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Quel pomeriggio, alle quattro meno un quarto precise, la bellissima Persephone e il giovane Heracles scesero dallo scuolabus e si accorsero che la madre, la cara signora Sweet, non era venuta a prenderli. Videro lo scuolabus, guidato da un autista dal nome assurdo, il signor Strange, scomparire dietro l’angolo sotto il Bennington Monument; videro i loro compagni, bambini e bambine riottosi che vivevano in paesini circondati da sempreverdi di ogni tipo tranne le latifoglie, e i sempreverdi erano tutti malati di ruggine; e quei compagni erano molto cattivi, perché a volte i maschi picchiavano il giovane Heracles quasi a morte, e la disciplina che gli era necessaria per impedirsi di afferrarli tutti insieme con le sue grandi mani brune e trasformarli in cose inerti come i suoi vecchi calzini era più grande della forza che aveva usato per sgominare l’intera città di Tebe che appariva sul suo gioco del Nintendo portatile; quei bambini in ogni caso avevano nomi di origine umile, come Tad, Ted, Tim e così via. Ma alla fermata dell’autobus non c’era la signora Sweet e il giovane Heracles era fuori di sé dall’ansia e dal dolore, perché amava sua madre tantissimo e solo così; e una nuvola scura piena di un fuoco tossico gli uscì dalla fronte e lui la diresse verso la cima del Bennington Monument, una struttura dedicata a una battaglia che si era conclusa con una sconfitta e una vitttoria e gli sconfitti e i vincitori si erano ormai adagiati nella normale deturpazione della vita quotidiana, e la fece cadere a terra, mancando di poco un pullman pieno di cittadini tedeschi che proprio allora stavano visitando il New England.

Il giovane Heracles era così fuori di sé dalla rabbia e dall’angoscia per il fatto che la signora Sweet non era lì ad accoglierlo alla fermata dello scuolabus che cadde a terra e si rannicchiò avvicinando i piedi al petto, il mento alle ginocchia, come l’illustrazione di un bambino completamente sviluppato nel grembo materno, un’illustrazione che si trova comunemente sulle pareti degli studi medici. Oh, su! Ed era la voce della bellissima Persephone, sua sorella, ed è così che deve essere, perché era primavera e lei era stata liberata dalle profondità della tasca della vecchia giacca di tweed di Brooks Brothers del signor Sweet (e la fodera di quella tasca era fatta di seta comperata a Hong Kong). Non sapendo cos’altro fare, tirò su suo fratello con grande facilità, come se fosse un asparago appena raccolto, o un cesto di fragole, o un piatto di piselli, o come se stesse togliendo dalla gabbia il criceto morto durante la notte, e lo infilò nella tasca destra della sua giacca che era fatta di polietilene tereftalato mentre la tasca era foderata di rayon. Su, su, disse mentre gli accarezzava la curva della schiena con il pollice, proteggendogli con le quattro dita la testa appoggiata alle ginocchia, è una cosa bruttissima che non sia venuta a prenderci come al solito alla fermata dello scuolabus. Dove diavolo può essere? Cosa diavolo starà facendo? Già, sarà seduta in quella stanza a scrivere della sua maledetta madre, come se nessuno nella storia del mondo avesse mai avuto una madre che voleva ucciderlo prima che nascesse; e quello stupido padre di nome signor Potter che non sapeva neanche leggere, e quella stupida isoletta del cazzo dove è nata, piena di gente stupida che la storia dimenticherebbe volentieri ma lei deve continuare a ricordare a tutti quel posto e quella gente che non interessa a nessuno e lei questo proprio non lo sopporta. E dove sta? In quella stanzetta di fianco alla cucina, e da lì vede la cucina e ci sta preparando quello che ognuno di noi vuole mangiare e nessuno vuole la stessa cosa eppure lei continua a scrivere quella merda... falla smettere, falla smettere prima che l’ammazzi ed era molto meglio quando ci sferruzzava quelle calze che erano troppo grandi prima che le lavasse e troppo piccole dopo che le aveva lavate e rimanevano nel cesto della biancheria a prendere polvere perché lei non sopportava di buttarle via, con tutto il tempo che ci aveva messo a farle e i berretti non tenevano caldo, ci scendevano sugli occhi mentre sciavamo e io per poco non mi ammazzavo venendo giù dalla pista nera con quello stupido berretto che mi aveva fatto come regalo rimanendo alzata di notte; ed è quella stupida scrittura, quella stupida scrittura, quella stupida scrittura che le impedisce di venirci a prendere in tempo alla fermata dello scuolabus guidato dal signor Strange, che si chiama anche Ralph e non è un nome di origine nobile, e un tizio, sai, che dovrebbe essere imprigionato in una cella sepolta sottoterra, potrebbe prenderci e portarci a casa sua e assassinarci o violentarci e nessuno sentirebbe mai più parlare di noi, non verremmo neppure menzionati nel notiziario della sera, scomparsi dalla faccia della terra come una specie di èra geologica che non è nemmeno stata scoperta... cosa sta facendo, cosa sta facendo, cosa diavolo sta facendo? Se ne sta seduta in quella stanza davanti alla grande scrivania che le ha fabbricato Donald e pensa, pensa a una frase e a come finirla: mia madre mi ammazzerebbe se ne avesse l’occasione, io ammazzerei mia madre se ne avessi il coraggio, ti par possibile, lei vive in quel mondo nella stanza con la scrivania e la cucina lì di fianco e ci lascia qui tutti soli perché un uomo venga ad assassinarci, perché i turisti tedeschi ci guardino a bocca aperta, perché tutti gli altri bambini e le loro madri vedano che lei non ci ama, ama solo il mondo che si porta dentro la testa, un diluvio di bugie, tutte nella sua testa, noi non siamo niente per lei, niente, niente, solo quelle parole nella sua testa, e adesso guarda, scende la notte, la notte color inchiostro ci inghiottirà e non verremo mai ritrovati, perché saremo persi nella notte, nella notte vera e propria, come nel mare color inchiostro.

 

 

Dov’è, dov’è...? Allora, oh, proprio allora la signora Sweet arrivò con la vecchia macchina, la vecchia Kuniklos grigia, la vecchia macchina che la signora Sweet chiamava affettuosamente signor McGregor, perché adorava personalizzare ogni cosa, come se ogni cosa al mondo fosse fatta solo per lei; e quando vide i suoi due figli si gonfiò come un soufflé e in effetti proprio allora aveva in mente il menu per la cena: soufflé di granchio, un’insalata mista di foglioline appena germogliate – i semi glieli aveva venduti Renee Shepherd in un pacchetto disegnato dagli Shaker, una setta di gente devota adesso estinta – con una vinaigrette francese, gelato se i bambini lo volevano, gelato confezionato, non fatto da lei, lei lo faceva solo d’estate; andava molto fiera di loro, e perché? Non sapeva spiegarlo, né adesso, né allora... Ma i bambini erano felici di vederla, o almeno così pensò allora. La sorella del giovane Heracles lo aveva liberato dalla tasca nell’istante in cui aveva scorto la vecchia Kuniklos grigia in cima alla salita proprio davanti a Gatlin House; il giovane Heracles aveva abbandonato quell’eterna posizione fetale e adesso era fresco come un fiore che sboccia, o come un fiore che sboccia in un video accelerato. La signora Sweet prese fra le braccia i suoi cari figli e li attirò a sé con gli occhi chiusi come se fossero un fragrante mazzo di Lilium nepalense appena colto, ma in realtà li spinse sul sedile posteriore della vecchia macchina che aveva la muffa sul fondo, il tetto che perdeva, la portiera dal lato del guidatore che non si chiudeva bene, lasciando entrare la pioggia o la neve a seconda dei casi. Mise la terza e svoltò in Silk Road, attraversò il fiume Walloomsac sul ponte coperto, imboccando veloce le curve di Matteson Road, girando a sinistra in Harlan Road per raggiungere la casa dove un tempo viveva Shirley Jackson. Ma di quel tragitto fino a casa, a chi importava allora? A chi importa adesso? Perché tra il ponte coperto e la casa di Shirley Jackson c’è un bosco e proprio mentre lo raggiungevano Persephone si passò la lingua sulle labbra e proprio mentre attraversavano il confine che separa la cittadina dal paesino si mise a cantare, non una canzone dalle note comuni, non una canzone che si sente alla radio, e d’altronde non era nemmeno una vera canzone, era una serie di suoni intonati, tutti diversi, raggruppati in serie di dodici o forse tredici o quattordici, ma dodici sembrava più plausibile, o almeno così pensò la signora Sweet, ma lo pensò soltanto, non lo sapeva con certezza allora o adesso, mentre lo scrive; e quelle serie di note che prima erano uguali e poi no, perché non erano in un ordine prevedibile, pensò la signora Sweet, e fu allora che non volle ficcare un grosso calzino di spugna da uomo nella bocca della bellissima Persephone, erano in ordine casuale, pensò la signora Sweet, e fu allora che volle gettare la bellissima Persephone nell’oblio, un oblio che era semplicemente il cielo, un posto dove l’avrebbero tenuta finché la signora Sweet avesse ricominciato a sopportare la sua presenza. E la bellissima Persephone cantava come se fosse accompagnata da un’intera orchestra, un’orchestra sontuosa, come se si trovasse in una grande sala davanti a un pubblico senza caratteristiche fisiche specifiche, niente nasi larghi, niente capelli fini e biondi, un incarnato indifferente, estraneo agli avvenimenti storici. Ma per gli altri occupanti della vecchia Kuniklos, una macchina che veniva fabbricata in Germania però aveva un nome greco, com’era fastidioso sentire il contenuto del catalogo Delia’s in quel modo, com’era fastidioso sentire il contenuto del catalogo Wet Seal in quel modo, com’era fastidioso sentire il contenuto dei desideri della bellissima Persephone in quel modo. Continuava a cantare, anche se cantare, quell’attività spesso associata alla sensazione di venire trasportati fuori dal proprio stato mentale verso un’altra sfera, una sfera al di là del proprio vero sé, non era quello che faceva la bellissima Persephone; cantava e il canto in sé era bellissimo e lei cantava del cappotto di tweed con l’orlo appena sotto il ginocchio e del cappotto di tweed tagliato nello stile di un marinaio della Marina britannica e del vestito ricavato da barili di petrolio trasformati in una stoffa sottilissima con cui era stato cucito un vestito di surreale bellezza, e cantava della gonna che aveva pieghe larghe ed era corta e della gonna che aveva pieghe strette ed era lunga e degli stivali dalla suola spessa e degli stivali al ginocchio e degli stivali che non erano neppure degni di essere indossati dalla bellissima Persephone o dalla sua amica Lamb dai capelli di fiamma che abitava in Mechanic Street, o dalla sua amica che abitava sul fianco di una montagna a North Adams, nel Massachusetts, o dalle sue tante altre amiche che d’estate abitavano con lei all’Eisner Camp di Great Barrington, nel Massachusetts. La sua voce nelle stesse dodici note e poi in una serie che poteva suonare familiare e poi inaspettatamente non lo era, o almeno così sembrava alle povere, arretrate orecchie della signora Sweet, perché la signora Sweet conosceva solo gli inni anglicani e poi Mighty Sparrow e poi la Motown e poi la disco e poi il giovane Heracles amava Jay-Z, com’era crudele farti amare una cosa dodici volte e poi trasformarla in un’altra cosa e farti amare quella e poi trasformarla in un’altra cosa e farti amare anche quella e poi rinnovare la cosa che amavi senza dirtelo finché amerai anche quella e poi trasformarla in una cosa che avevi dimenticato e farti amare anche quella e poi trasformarla in una cosa che conosci e che amavi allora e ami adesso e farti pensare che non la conosci affatto. Che crudeltà! Questo pensò la signora Sweet. Questo pensò la signora Sweet mentre portava i figli a casa, la casa dove aveva vissuto Shirley Jackson. E mentre la signora Sweet si avvicinava alla casa, a quella bella casa, dipinta di bianco con colonne doriche costruite in uno stile detto vittoriano, pensò che le dodici note disposte in serie e poi ripetute diverse volte e poi inaspettatamente cambiate potevano essere belle come cinque alberi disposti in file diagonali a pari distanza e perciò definiti un quinconce, e quella ripetizione, quel disegno, è così profondamente riposante per lo spirito, e la signora Sweet poteva testimoniarlo, perché una volta aveva visto quella stessa cosa nella parte boschiva di un giardino in Toscana.

Le dodici serie di note, tutte uguali, tutte leggermente diverse l’una dall’altra, o almeno così sembrava alle incolte orecchie della signora Sweet sintonizzate con il Terzo Mondo, si interruppero bruscamente, la bellissima Persephone chiuse la bocca, e la signora Sweet, a bordo della macchina grigia che la casa produttrice aveva battezzato in onore di un roditore molto amato dai bambini e odiato da chiunque avesse un orto non recintato, frenò di colpo! I suoi figli dissero: «Cristo, mamma» e «Ma cazzo, mamma», mentre i loro corpi venivano proiettati in avanti e poi trattenuti dalle cinture di sicurezza che la signora Sweet li costringeva sempre a mettere, e quel breve, inatteso incontro con la sciagura sarebbe stato piacevole ed emozionante se si fosse svolto sull’autoscontro e non nel vialetto della loro casa dolce casa.

Oh, allora, allora, ma solo per vederlo adesso: il giovane Heracles corse in casa, aprì le porte, entrò nel mondo di una sfilata di figure immaginarie, Tartarughe Ninja, Pipistrelli Ninja, Ragazzi Ninja che portavano mantelli elegantissimi di colori troppo vivaci per esistere nel mondo conosciuto e combattevano vittoriosi con creature del mondo futuro, creature del mondo passato, e si vedevano in televisione o sulle videocassette, certo non in Che fine ha fatto Carmen Sandiego?; e la bellissima Persephone corse in casa per chattare con Meredith e Samantha e Joan e Iona e Jenny e con un’altra amica con la quale condivideva ricordi speciali dell’Eisner Camp a Great Barrington, nel Massachusetts, e un’altra il cui padre guardava vagine tutto il giorno perché era un ginecologo, e un’altra i cui genitori gestivano un bed and breakfast a North Adams, nel Massachusetts, e un’altra che non aveva ancora incontrato di persona e non avrebbe mai incontrato nella realtà, e quell’assenza di realtà rattristava la signora Sweet, perché la realtà costituiva l’Adesso e l’Allora, e tra Adesso e Allora non c’erano differenze! Adesso e Allora non erano uguali e tuttavia Adesso e Allora: infatti la signora Sweet adesso aveva due figli e il signor Sweet era suo marito, il padre dei suoi due figli, quello era il suo Adesso e quello era il suo Allora, tutti separati fra loro, e le cose separate allora formavano una linea retta che convergeva adesso, così pensò la signora Sweet, mentre seguiva i figli nei recessi della casa dove un tempo viveva Shirley Jackson, ed è vero che il giovane Heracles e la bellissima Persephone non avevano mai sentito parlare della donna che aveva vissuto in quella casa con le grandi colonne doriche, in stile neovittoriano o neogreco. E adesso? La signora Sweet stava entrando in casa, e subito prima si fermò sulla soglia e rimase immobile: ai suoi piedi giaceva la sua vita, sepolta in un’oscurità infernale, color vino oppure no, e sorvegliata da uno stormo di paure alate: «Poco dopo essere stata costretta a ricopiare i libri I e II del Paradiso perduto come punizione per essermi comportata male in classe, andai a trovare la mia madrina, la signora DeNully, una donna così grassa che non poteva spostarsi dal divano alla poltrona senza sostegno, e se non avesse avuto un sostegno non ci sarebbe riuscita affatto. Quando non dormiva, stava nella stanza che conteneva il divano e alcune poltrone, poltrone Morris, e molte pezze di stoffa dalle infinite trame, o almeno quelle reperibili dalle merciaie delle Indie Occidentali Britanniche. Quelle pezze di stoffa venivano da stabilimenti inglesi ed erano di ottima qualità e non tutti potevano permettersele: la donna che puliva la casa dei DeNully riceveva da loro tre metri di stoffa come regalo di Natale. Nella stanza con la signora DeNully c’erano lini a pois svizzeri e irlandesi e bellissimi tessuti increspati a strisce e cotone ricamato e faille di seta e ogni genere di cose che renderebbero un bel vestito ancora più bello. La signora DeNully era sposata con il signor DeNully, il direttore del Mendes Dockyard che apparteneva alla famiglia omonima e che vendeva tutto quello che aveva a che fare con le navi e con le case. Era emigrato dalla Scozia ad Antigua senza soldi e senza famiglia quando era molto giovane, a sedici anni o giù di lì, e poco dopo aveva conosciuto e sposato la signora DeNully. Lei era allora la figlia illegittima di un uomo ricco; sua madre discendeva dagli schiavi e suo padre discendeva dai padroni e lei somigliava più ai padroni che agli schiavi. Sua madre e suo padre non erano sposati. Suo padre era sposato con una donna dalla quale aveva avuto una figlia, la sua unica erede legittima. Questa figlia e la signora DeNully si somigliavano molto, però si odiavano e l’odio era così radicato che non si sapeva neppure quando fosse cominciato o cosa l’avesse provocato. Questa figlia sposò un uomo di nome Pistana e non so adesso da dove venisse ma qualcuno diceva dal Portogallo. Ma anche il signor Pistana lavorava nel settore tessile, e ciascuna delle due sorelle, anche se non si rivolgevano parola, spesso mandava all’altra i clienti che non trovavano un certo tipo di stoffa. A dire il vero vendevano gli stessi tessuti, nessuna delle due trattava una merce che l’altra non avesse. I tessuti che vendevano arrivavano con la stessa spedizione, sulla stessa nave proveniente dallo stesso porto inglese. Ma adesso sto pensando alla signora DeNully, e se nomino sua sorella la signora Pistana con suo marito il signor Pistana, che vendeva pentole e padelle e tazze e piatti nell’altra metà del negozio di loro proprietà, è solo per vedermi davanti la signora DeNully viva e vegeta come allora.

«La signora DeNully aveva quattro figli, tre maschi e una femmina, ma la femmina morì molto tempo fa, allora non sapevo quanto tempo fa, e non si parlava mai di quando era viva. Era il periodo in cui frequentavo la scuola morava e così quando cominciai a vederla tutti i giorni dovevo avere cinque o sei anni. Andavo a pranzo a casa sua, perché casa sua era proprio accanto alla chiesa morava e la mia scuola era stata costruita nell’Ottocento sul terreno della chiesa da missionari moravi di qualche parte della Germania. All’ora di pranzo potevo avvicinarmi a casa sua, perché allora i due cani di uno dei suoi figli erano rinchiusi. Non erano cani da guardia, erano da compagnia, e per dimostrare che erano cani da compagnia e non semplici animali venivano nutriti con quello che mangiavano gli esseri umani, non con roba andata a male o grattata via dal fondo della padella o altra roba che nessuno voleva mangiare. Ma allora, nei pomeriggi dopo la scuola quando dovevo fermarmi a ringraziare e salutare la mia madrina, cioè la signora DeNully, spesso i cani non erano più rinchiusi; il figlio, a cui appartenevano, era tornato a casa dalla sua scuola e li aveva liberati. Mi vedevano da lontano uscire dalla mia scuola e attraversare il campo e il vecchio cimitero e il giardino della casa del pastore moravo e poi, quando non ero troppo lontana dalla vecchia cisterna, mi correvano incontro, mi saltavano addosso e mi buttavano a terra, e poi rimanevano lì a guardarmi ansimando. Si chiamavano Lion e Rover. Lion aveva il colore di un leone, un leone che avevo visto su un libro; Rover era un cane normale ed era lui che metteva sempre la zampa anteriore sul mio corpicino tremante e poi ci si appoggiava sopra con tutto il peso, poi si tirava su e alzava l’altra zampa, respirando affannosamente. Allora mi veniva da piangere, ma non con lacrime dagli occhi o con un suono dalla bocca, mi veniva da piangere dalla pancia, perché tutto quello che provavo veniva dalla pancia, ma non sapevo come fare. Allora il padrone dei cani appariva come per magia, perché io non lo avevo proprio visto, e mi guardava e accarezzava la testa ai cani e li chiamava per nome e poi si allontanava, dando loro da mangiare uova d’anatra sode».

Vedendo adesso la bambina che lei era allora, vulnerabile come i fagioli rampicanti che doveva ricordarsi di annaffiare, perché quell’anno stava coltivando le sue verdure dai semi, e se non le avesse curate, se non le avesse accudite, sarebbero avvizzite e morte, così come quella bambina era avvizzita e morta per diventare l’Adesso della signora Sweet, e per continuare a vivere per sempre dentro di lei. È irraggiungibile, quella bambina; inconsolabile e irraggiungibile, eppure eccola lì, la signora Sweet, coi cuscinetti di grasso accumulati sul girovita non più giovanile che nessuna corsa di sei chilometri intorno alla Park-McCullough House insieme a Meg riusciva a smaltire; le braccia grosse come il filetto di maiale in vendita da Price Chopper, le gambe ancora invidiabili, a patto di riuscire a vederle sotto quelle orribili salopette comprate da Gap o Smith & Hawken, e mentre le rivolgeva il suo eterno ultimo addio, il signor Sweet guardò quella salopette e disse, vorrei proprio vedere l’uomo o la donna che ti troverebbe desiderabile, e a quelle parole la signora Sweet pianse e poi pianse ancora; le ginocchia dei pantaloni perennemente nere perché era sempre inginocchiata a terra, a strappare erbacce o a piantare qualcosa con un nome latino difficile da pronunciare. Ecco che allora il signor Sweet si intromise nella linea scelta dalla signora Sweet per immaginare una giustificazione della propria esistenza, e la signora Sweet varcò la soglia dell’anticamera della casa di Shirley Jackson, aprendo la porta della cucina, camminando sui pavimenti di pino, fermandosi davanti ai fornelli, lavando qualche piatto nel lavandino, preparando gli ingredienti per un soufflé di granchio, mentre la voce della bellissima Persephone precipitava giù dalle scale, lei era nella sua stanza e cantava nello stesso tono che aveva usato lungo la strada di casa: perché mangiamo cibo francese, questo non è un ristorante francese, voglio andare da McDonald’s; e poi continuò a cantare: tu credi di essere con noi, tu credi che noi crediamo che tu sia con noi, invece noi sappiamo che sei dentro la tua testa e solo quello che c’è lì dentro è vero per te e tu vivi in quella stanzetta con la grande scrivania e noi non contiamo niente per te, solo la tua infanzia con tutto il suo dolore, come se nessuno avesse mai sofferto nell’infanzia, come se solo tua madre fosse mai stata crudele con sua figlia; e allora, proprio allora, le sue parole si gonfiarono nell’ululato di un possente corpo d’acqua che precipitasse giù da rocce strappate alla cintura stessa della terra da una violenta eruzione e adesso in equilibrio precario, con l’acqua che scorreva ininterrottamente sopra e intorno e sotto, e tutto questo a un’altitudine povera di ossigeno, e la voce della bambina faceva male alle orecchie, quel motivo creato da serie e serie di note ripetute in ordine e poi di nuovo nello stesso ordine faceva molto male alle orecchie. Ma la signora Sweet si mise a preparare il soufflé di granchio, seguendo la ricetta di una donna che viveva a Cambridge, nel Massachusetts, ma era una specialista di cibi francesi mai cucinati da nessuna donna francese conosciuta dalla signora Sweet. Tuttavia, e questo era uno dei modi che aveva la signora Sweet per rendere neutro il Vedi Allora Adesso, sottraendogli il potere di proiettare sensazioni e ombre potenti sulle persone radunate a tavola, o sul torneo di pallacanestro organizzato per bambini che non sanno giocare molto bene, o sul litigio che alla fine li porterà al divorzio e al tema degli alimenti, o sull’ingiustizia del mantenimento dei figli per chi ha figli ma non si è mai posto il problema di come comprargli il pane, o sui modi in cui si può mettere a tacere un’inadempienza e far finta di ignorarne le conseguenze! Eppure, ancora più spregevole: che noia! La signora Sweet andò avanti per la sua strada, ignorando deliberatamente il disprezzo serpentino che avvolgeva e strangolava il suo essere mentre entrava il quel mondo di mamma e mammina e madre e così via; e preparò la cena e apparecchiò la tavola da sola, perché i figli si rifiutarono di aiutarla, erano impegnati a fare un modellino di Villa Adriana per l’ora di latino, ricostruendo i viadotti che portavano l’acqua dal Tevere alla casa romana, e gli oggetti domestici, utili o semplicemente decorativi, utilizzati in quella che Allora era la civiltà romana: e tutti quei compiti erano assegnati da un insegnante di nome McClellan.

E a cena: nel soufflé c’era poco sale, troppo sale, poco granchio, troppo granchio, il granchio era vecchio, questo è certo, surgelato, perché come si fa a trovare del granchio fresco in un paesino di uno Stato senza sbocco sul mare? Qui non ci sono granchi di terra. L’insalata era fradicia, la signora Sweet aveva versato la vinaigrette sopra le foglie tenere molto prima di metterla in tavola. La bellissima Persephone fece un’isola di insalata sul suo piatto, mentre la parte sgonfia del soufflé era una spiaggia dove comandava un crudele pirata dell’epoca elisabettiana o dove gente crudele proveniente da Haarlem andava a prendere il sole perché l’inverno in Olanda può essere crudele. Il mondo è crudele, pensò la signora Sweet mentre sedeva a tavola con il marito e i due figli. Il signor Sweet disse ad alta voce, come se fosse sul palcoscenico e parlasse al pubblico: tutti i tulipani che vostra madre ha piantato l’anno scorso sono stati mangiati dal cervo, un cervo dalle corna molto grandi, un vecchio cervo furbo dai gusti raffinati e malevoli; il cervo è venuto e se li è mangiati tutti, proprio quando stavano per sbocciare, proprio quando i boccioli erano sul punto di schiudersi, il cervo è venuto e se li è mangiati, ciascun bocciolo un boccone delizioso e succulento di qualcosa che forse era sacro e forse no, ma lui li ha mangiati, sbafati, divorati, lasciando alla vostra povera madre solo gambi verdi là dove dovevano esserci, scintillanti di rugiada, il «Queen of the Night», lo «Holland Queen», il «Black Parrot», la piccola clusiana «Cynthia», il «Lady Jane», l’humilis «Alba Coerulea», i turkestanika, i kolpakowskiana, i linifolia, gli ibridi Kaufmanniana e Greigii; dove dovevano esserci i fiori singoli precoci di «Purple Prince», «White Marvel» e «Christmas Orange»; dove dovevano esserci i fiori doppi precoci di «Mondial», «Monsella» e «Monte Carlo»; dove dovevano esserci gli ibridi a fiore di giglio «Mariette», «Marilyn» e «Mona Lisa»; dove doveva esserci il «Mrs. John T. Scheepers», soprattutto il «Mrs. John T. Scheepers», perché quello è in assoluto il tulipano preferito di vostra madre; dove dovevano esserci tutti quei tesori che lei ha aspettato per tutto l’inverno, seduta nella vasca da bagno a bere ginger ale e a mangiare arance fino a notte inoltrata, sognando tulipani e sognando maniere di stare al mondo che mi fanno solo infuriare (me, il signor Sweet), e si comporta così solo per far infuriare me, perché io (il signor Sweet) la voglio morta, io e la bellissima Persephone la vogliamo morta, io e la bellissima Persephone chiederemmo al giovane Heracles di ucciderla se lui non la amasse tanto, ma adesso, in questo momento, in questo adesso, che felicità, perché il cervo le ha mangiato i tulipani proprio mentre stavano per aprirsi in una splendida fioritura. E i due figli proruppero in un applauso e batterono le mani e brindarono con i bicchieri di latte, rovesciandone addirittura un po’ sui piatti, il cui contenuto adesso era qualcosa che poteva essere descritto da persone interessate all’oscuro e all’insolito, e poi attaccarono a cantare in coro: chi ha preso il suo tucano, il cervo ha preso il suo tucano, chi ha preso il suo tucano, il cervo ha preso il suo tucano, chi ha preso il suo tucano, il cervo ha mangiato il suo tucano, domanda e risposta, risposta e domanda, fino a un crescendo che s’infranse a terra, dodici note dissonanti non fatte per stare insieme. Mammina, mammina, mammina! Mamma! I figli della signora Sweet le erano seduti di fronte, il loro respiro era il suo respiro, e lei odorava di tutte le dolci cose che aveva dato loro, e loro si chiamavano Persephone e Heracles, non Rover e Lion, e in ogni caso non avevano mai sentito parlare delle uova di anatra e quindi non avrebbero potuto mangiarle.

Stringendosi i figli al petto, la signora Sweet li calmò con i suoi baci, ricordando loro che allora l’amavano, non solo allora in quel momento, ma anche allora quando erano piccoli e non riuscivano ad addormentarsi senza tenere in bocca i suoi seni pieni di latte, Allora quando non sapevano attraversare la strada e lei doveva insegnarglielo, Allora quando il giovane Heracles cadeva in un sonno profondo solo se veniva portato in un posto dove degli uomini manovravano enormi macchinari e i macchinari facevano un rumore così forte da coprire anche i pensieri, e gli uomini stavano realizzando una meraviglia dell’ingegneria; Allora quando li portò a vedere il Continental Divide e un ghiacciaio in ritirata nello Stato del Montana e trovò inaspettatamente una specie di clematide, la columbiana, che fioriva proprio davanti alla cucina del loro motel, dove intanto si stava preparando la colazione, e poco dopo scoprì che il sentiero verso il lago dal nome di donna, una donna che andava commemorata ma sarebbe stata insopportabile come amica, era chiuso perché il giorno prima un turista tedesco era stato buttato a terra da un grizzly, che in realtà voleva divorare un piccolo di alce che nuotava nel lago con la madre. La signora Sweet condusse i figli verso le loro camere al piano di sopra della casa di Shirley Jackson, una donna morta molto tempo prima che la signora Sweet si trasferisse in quella casa e una donna che la signora Sweet non avrebbe mai conosciuto, e tuttavia, pur essendo sconosciuta, era fin troppo presente nella vita quotidiana della signora Sweet; li spedì a letto senza incidenti, perché a quel punto mettere a letto i figli era un’impresa per la cara signora Sweet, un’impresa piena di contrattazioni sul pranzo da portare a scuola: alla fine la signora Sweet avrebbe dato qualche Oreo in più alla bellissima Persephone, che così avrebbe potuto condividerli con Joree, alla quale i genitori proibivano di mangiare cose zuccherate; la signora Sweet avrebbe permesso al giovane Heracles di andare a giocare da Gregory, i cui genitori erano devoti cristiani appartenenti a qualche setta che la signora Sweet non capiva. E lei dopotutto permetteva al giovane Heracles di andare da Gregory, sia pure pregando e desiderando – allora preghiere e desideri erano intercambiabili e indistinguibili – che non subisse alcun danno, e infatti da Gregory non subì mai alcun danno. Malgrado ciò, la signora Sweet fu molto contenta quando seppe che Gregory stava per trasferirsi in Florida. Ma il giovane Heracles, poco prima di lasciarla andare – perché sentiva che lei non vedeva l’ora di tornare in quell’odiatissima stanza, la stanza di fianco alla cucina, la stanza in cui comunicava con il vasto mondo cominciato nel 1492, la stanza in cui giacevano sua madre e il fratello morto e gli altri fratelli e tutte le altre persone che lei cercava anche se le avevano voltato le spalle, quella stanza, quella stanza: bruciala, gridarono i suoi figli, bruciala con lei dentro, gridò il signor Sweet, ma la signora Sweet non conosceva nessun altro modo di essere e in ogni caso non sapeva che la sua esistenza e il suo modo di essere provocassero tanta agitazione negli altri –, poco prima di lasciarla andare, poco prima di scivolare nel sonno, uno stato contro il quale lui combatteva vigorosamente, perché voleva dominare, non essere dominato, Heracles disse a sua madre: mamma, mamma, oh, mamma! Raccontami ancora la storia del Decano e della signora Hess, e si riferiva alle storie di due creature delle profondità marine, un uomo e una donna che si erano sposati e lo avevano fatto senza avere branchie né polmoni. Il Decano era cresciuto in un posto di nome Oxnard, in California, dove per due o tre o quattro generazioni la sua famiglia aveva prodotto cappelli per persone di tutti i generi e le persone indossavano quei cappelli in ogni genere di occasione: per andare in chiesa, per lavorare nelle miniere dove estraevano dagli strati della terra tutte quelle cose che fanno mostra di sé nella tavola periodica degli elementi, per bere una birra al bar, per sposarsi, per partecipare a un funerale, a un battesimo, a un bat mitzvah, a un bar mitzvah, per assassinare qualcuno, per andare all’ospedale a trovare qualcuno che stava guarendo da una grave malattia, per andare in banca a pagare le rate di un prestito, per partecipare a rituali originari di zone poco capite del mondo conosciuto, come l’Africa, per esempio; ma i cappelli prodotti dalla famiglia del Decano facevano ormai parte integrante di quei rituali e le persone che li mettevano non erano affatto interessate a chi li produceva. La signora Hess era cresciuta in un posto di nome Massachusetts e per generazioni la sua famiglia aveva prodotto mobili con tronchi d’acero e quercia e frassino e noce e varie specie di pino e gente di ogni sorta cenava e conversava ed esprimeva giudizi di tipo legale o di tipo colloquiale; quello era il mondo della signora Hess. Adesso si ritrovano dentro le pagine di un libro e i loro alti e bassi si svolgono tutti nelle viscere acquose della terra e ancora più in profondità, in posti dove la materia terrestre non è affatto acqua ma solo qualcosa di simile: liquida; e quando la signora Sweet leggeva questo al giovane Heracles, lui diceva cosa vuol dire non acqua ma solo qualcosa di simile, dài mamma, dài mamma, è acqua o non è acqua e la signora Sweet proseguiva come se non fosse stata interrotta e il giovane Heracles desisteva come se non avesse interrotto. Ma in ogni caso le avventure del Decano e della signora Hess, di quelle due persone, le uniche che abitavano e conoscevano bene le profondità acquose della terra come fossero in superficie e avevano esperienza di profondità oltre quelle profondità, entusiasmavano il giovane Heracles.

Il Decano e la signora Hess non possedevano né polmoni né branchie, perché non vivevano nell’acqua o sulla terraferma, perché non appartenevano ancora a questa terra come la conosciamo adesso, ma videro la terra diventare compatta e grande e ancora più grande; videro un nucleo interno che veniva coperto da un nucleo esterno che poi veniva coperto da un mantello. «Ma guarda un po’» disse la signora Hess al Decano mentre il nucleo interno scompariva sotto il mantello. Al che il Decano si sistemò gli occhiali. «Com’è faticoso» disse, e la signora Hess rispose: «Se la pensi così, vedrai quando avremo dei figli». Il Decano voleva dire: «Che roba è?», ma sapeva che allora la signora Hess detestava ogni insolito tasso di ironia e avrebbe potuto giudicare inopportuno quel tentativo di umorismo. Non disse niente. Guardò sua moglie, i capelli di un bel rosso ruggine, gli occhi color del fuoco riflesso negli occhi vitrei dei due gatti che decoravano gli alari di un focolare del New England a metà novembre; guardò sua moglie che ruotava su se stessa prima in un verso e poi nell’altro nel tentativo di fondersi con la rotazione terrestre; non ci riuscì e sprofondò verso il proprio centro. E il Decano disse: «Che roba è!» e poi per un po’ divenne paonazzo e silenzioso. E poi esplose, non per il risentimento e la rabbia ma per le risate, battendo le mani in segno di approvazione per la sua stessa felicità. Lui amava la signora Hess. La amava tanto! La tempestò di baci che lei saggiamente ignorò ma dei quali comunque prese nota. «È ora di cena?» chiese il Decano e la signora Hess rispose in tono fermo: «Non ancora!», e il tempo continuò a passare come era sempre passato e sempre passerà, l’allora e l’adesso che s’intrecciano, perdono unicità, differenze, distinzioni, soggetti solo alle leggi della coscienza umana. «Mamma, mamma, che succede? Dov’è il pezzo in cui il Decano mangia il piatto pieno di castagne d’India bollenti, appena arrostite nel fuoco immortale, sai, il fuoco che arde sempre al centro della terra, quello che sta aspettando di ritrasformarci nella cosa da cui siamo venuti, quella cosa chiamata universo? Dov’è? Mi cerchi quel capitolo, per favore? Voglio che mi leggi i milioni di anni di pioggia. Puoi saltare a leggere quella parte, per favore mamma, per favore mamma?». Il giovane Heracles adorava il tono dolce e mellifluo con cui la signora Sweet gli leggeva la storia della creazione, la storia di come lui Adesso era Allora, la vera storia, la natura di ogni storia, la storia che era la definizione del caos, dell’instabilità, dell’incertezza, della pausa che contiene la possibilità del nulla, del vuoto. E la signora Sweet continuò in tono molto fermo, perché la personalità della madre rassicurante le riusciva facilmente; e disse, parlando per la signora Hess: «Venne giù un’acqua complicata da vari elementi e ciascuno di essi, da solo o combinato con altri, sarebbe stato ostile persino alla vita della zanzara portatrice della più virulenta forma di malaria, e venne giù per cento milioni di anni». Il giovane Heracles disse: «Oh, mamma, mamma, possiamo andare in Africa?». Ma la signora Sweet, sempre impersonando la signora Hess, disse: «Non esiste ancora un’Africa, non esiste ancora un’Africa», ripetendolo due volte, perché così lo avrebbe reso vero ed era vero allora ed è vero adesso. «Basta così, giovanotto» disse la signora Sweet, perché vedeva l’andirivieni dall’Africa non differenziato da Adesso e Allora, nient’altro che un continente emerso da miliardi di anni di inesorabile irrequietudine della terra, la terra indifferente a una coscienza individuale unica come quella che potrebbe manifestarsi nella signora Sweet, nel giovane Heracles o in chiunque altro; e gli rimboccò le lenzuola e il piumone, aggrovigliati com’erano, lenzuola e piumone, fino al mento, e glieli avvolse intorno al corpo come un sudario ma lui si sarebbe semplicemente addormentato e si sarebbe svegliato il mattino dopo, non avrebbe dormito per sempre. Era sdraiato al piano inferiore del letto a castello che la signora Sweet aveva comprato da Crate & Barrel, e il signor Sweet aveva protestato per il prezzo; il piano superiore era riservato agli amici del giovane Heracles, Tad e Ted e Tim e Tom e Tut, che si chiamavano così e non avevano paura di cadere da un letto così alto, o almeno così dicevano, e il giovane Heracles non ci credeva. E subito prima di andarsene, subito prima di mostrargli la luna e augurargli la buonanotte, la signora Sweet disse: «Domani è un altro giorno e allora cosa farai?», perché era abituata a vedere adesso, e comunque a sognare. La signora Sweet chiuse con forza il libro che conteneva le avventure del Decano e della signora Hess ma il Decano e la signora Hess non si preoccuparono affatto, andarono avanti come sempre, come prima e dopo e come adesso: gli occhiali del Decano scivolarono giù dal sottile balaustro del suo naso per un momento, un momento di milioni di anni nel regno dei batoliti e dentro le formazioni di liquidi addensati e solidificati in graniti, rocce che raffreddandosi si indurivano. «Oh sì, oh sì» si dissero il Decano e la signora Hess mentre attraversavano il regno profondo, prima che esistessero superfici abitabili, e loro due stavano creando una superficie che si poteva rendere abitabile, anche se allora non gliene importava niente.

Il tempo passò. Ma passò davvero? Sì, e al Decano venne fame e disse alla signora Hess: «Cena?», e lei rispose: «Non ancora!» perché sarebbero passati molti secoli prima che fosse possibile una cosa del genere, la cena: comprare carne e verdura al supermercato, cucinarle, apparecchiare la tavola, sedersi a mangiare mentre si parla dei fatti della giornata, di come viviamo adesso. Di come viviamo adesso! Sì, di come viviamo adesso: il cattivo gusto, la meschinità, la centralità dell’ego, la degradazione dell’ego non adeguatamente considerata, l’ego di nessuna utilità, di nessuna consolazione per gli individui. Di come viviamo adesso! Il Decano sospirò e si sdraiò, e la signora Hess, pensando che fosse il suo segreto, continuò a ruotare da una parte e piroettare dall’altra, imitando il campo magnetico terrestre, ma come poteva una cosa simile rimanere sconosciuta a quel dio della geomanzia? Lega ferro-nichel, peridotite, gabbro, granito: lui li conosceva tutti, con le mani e con il cuore. «Okay, va bene» le disse, e le ere, i periodi e anche le epoche gli volarono davanti agli occhi: Cambriano, Devoniano, Permiano, i -ceni, e ce n’erano tanti, di -ceni. Gli scacchi verdi del piumone sotto il quale era sdraiato il giovane Heracles si muovevano su e giù a un ritmo costante e perfetto, il battito del suo cuore, ma poi lui si mosse bruscamente e la sua mano volò nell’aria e andò a posarsi sopra la coperta, dove giacque isolata come una parte di un continente, sommerso o emerso, né l’uno né l’altro. Ma stava sognando fiori, campi e campi di grano fiorito, e poi farina, e alberi fioriti che avrebbero dato frutti, e poi alcuni che non avrebbero dato niente di commestibile, e passò l’intera notte così: sogni di fiori e farine e frutti e fiori che erano belli senza secondi fini.