A Lea Della Riccia Kramarsky, che col suo affetto
mi ha fatto amare quello che in comune abbiamo
e a conoscere quel che di lei non sapevo

Il coraggio e la perseveranza dimostrati dalle donne durante l’evento, come anche nel difficile processo di ritorno a un’esistenza normale dopo i traumi subiti, merita il nostro continuo ricordo. Dedico il mio libro a queste donne così determinate, in particolare a una di loro. È grazie al coraggio di Lea Della Riccia Kramarsky, un’ebrea fiorentina che la diaspora portò prima in Israele e poi negli Stati Uniti, che io stessa ho trovato il coraggio di affrontare, ormai più di vent’anni fa, una cultura del tutto nuova quale mi sembrava allora quella statunitense. Forse, se non avessi conosciuto Lea, non avrei trovato quella passione per la cultura ebraica italiana necessaria per la composizione di un libro. Forse la cultura ebraica italiana e le lacerazioni nella vita di molte donne causate dalla Shoah sono diventati argomenti imprescindibili del mio lavoro proprio perché il volto di Lea ha disegnato la traccia di una cultura che non conoscevo. Nel tempo e ora nel ricordo quel volto mi è diventato caro come quello di una madre. Le passioni e gli affetti vivono in quanto strumenti imperscrutabili di un interesse per cui scegliamo determinati campi di studio. Io so però che devo soprattutto al coraggio di Lea quel coraggio che mi ha spinta a scrivere di queste donne.