Surrey, agosto 1825
Gemma Desmond si fermò sulla riva del laghetto e fissò l'orribile macchia sull'abito di mussolina bianca. A giudicare dagli schizzi rossastri, sembrava che avesse sgozzato un animale, invece di essersi semplicemente fatta cadere in grembo una pera cotta al vino rosso.
Aveva solo bisogno di una buona scusa per allontanarsi dal picnic e avere una tregua dal fastidioso argomento della caccia a un marito. Non aveva pensato di dover arrivare a tanto per raggiungere lo scopo.
Si girò a guardare da sopra la spalla la sommità del colle dove sua zia riposava all'ombra del parasole di pizzo, e avvertì una fitta per i sensi di colpa. Voleva bene a zia Edith, però quella avrebbe dovuto essere una vacanza estiva, libera dagli intrighi e dai programmi per l'imminente Stagione mondana londinese.
Gemma voleva solo dimenticare, almeno per qualche tempo, il motivo per cui le servisse un marito.
Però non poteva sfuggire al proprio destino. In fondo era noto a tutti che la sua reputazione recava una macchia nera come i suoi capelli corvini. Nella buona società di Londra non c'era nessuno che non fosse a conoscenza dei misfatti di suo padre.
Era figlia di un ladro e mancato assassino. Per questo il nome Desmond era come una palla di piombo al piede di Gemma, che doveva trascinarsela dietro dovunque andasse. Anche sua zia, la Duchessa Vedova di Vale, ne aveva subito le ripercussioni, perché aveva perso prestigio presso la nobiltà rifiutandosi di scacciare la nipote. Gemma avrebbe fatto qualsiasi cosa per liberarla da quel peso.
Persino sposare un uomo solo per il suo nome.
Purtroppo zia Edith aveva un lungo elenco d'idee brillanti per conquistare un marito e non aveva mai smesso di esporgliele da quando erano partite da Londra tre giorni addietro.
Ora che erano nel Surrey la situazione non era cambiata di molto. Almeno il panorama era diverso, con le colline verdeggianti che si estendevano a perdita d'occhio. Invece delle nuvole grigie di Londra c'erano dei ciuffi candidi che sembravano appesi nel cielo azzurro, senza neppure un alito di vento a muoverli. Anche i rami dei salici pendevano immoti sfiorando l'acqua immobile. Il caprifoglio cresceva in abbondanza e i boccioli spandevano il loro profumo dolce nell'aria.
Gemma inspirò a fondo guardando il laghetto davanti a lei. Era piuttosto ampio, quanto la casa di sua cugina a Mayfair, ma si restringeva nel punto in cui si trovava lei, formando una piccola baia di acqua tanto limpida da permetterle di vedere i ciottoli sul greto e i pesci di un arancione iridescente che passavano lenti vicino alla riva.
Sarebbe stata contenta di rimanere lì per ore se non avesse dovuto risolvere il problema della macabra chiazza sul vestito. Avrebbe potuto toglierselo per lavarlo ma, per quanto zia Edith fosse di ampie vedute, non avrebbe approvato la sua iniziativa esibizionistica, nonostante fossero da sole a fare un picnic sulla collina. Però il laghetto era poco profondo in quel punto, per cui lei avrebbe potuto avventurarsi in acqua e bagnare la stoffa per strofinare la macchia e lavarla.
Decidendo che fosse la soluzione migliore, si tolse scarpe e calze, che lasciò sull'erba soffice. Poi sollevò la gonna fin quasi alle ginocchia ed entrò in acqua, provocando una serie di onde che mossero la superficie.
Immediatamente la carezza fresca dell'acqua la calmò come una pozione magica e Gemma fu invasa da un profondo senso di pace. Per un breve istante riuscì a non pensare ai programmi per la Stagione mondana e alla sua vana ricerca di un marito. Smise persino di preoccuparsi irrazionalmente che suo padre potesse ricomparire e costringerla a lasciare di nuovo la famiglia, come quando era morta sua madre. Invece si concentrò sui ciottoli lisci sotto i piedi e sull'acqua che era tornata immobile.
Dopo qualche istante la sua attenzione fu attirata da uno strano pesce azzurrognolo che sembrava ignorare la sua presenza e le nuotava pigramente intorno alle caviglie. Incapace di resistere all'impulso, lei si chinò e infilò la mano in acqua.
Il pesce si fermò di colpo e si girò verso la sua mano immersa fino al polso. Gemma agitò le dita fingendo che fossero cinque vermi chiari, ma capì subito che il pesce era troppo intelligente per farsi ingannare. Non le mordicchiò le dita quando si avvicinò, ma le sfiorò con una pinna prima di fuggire come un lampo. Poi tornò e girò dall'altro lato, strofinandosi contro il suo palmo e facendole il solletico. Gemma vide il proprio riflesso sorridere nello specchio d'acqua.
Nello stesso istante udì un colpo di tosse.
Colta di sorpresa, sussultò e raddrizzò la schiena di scatto, poi si voltò verso il punto della riva opposta dov'era fermo un uomo. Con i capelli biondi mossi e i lineamenti spigolosi e aristocratici, sembrava un dio sceso dall'Olimpo sulla Terra. Nessun mortale poteva essere così bello!
Gemma batté più volte le palpebre per schiarire la vista.
Assurdamente, lui rimase lo stesso di prima.
Si ergeva fiero, con una gamba piegata e il piede poggiato su un grosso masso coperto di muschio. Portava stivali da cavallerizzo e una giacca cammello che gli pendeva da una spalla, appesa a un dito. Aveva una posa disinvolta e l'aria calma e rilassata. Però forse le stava solo dando il tempo di riprendersi dallo stupore, conscio che la sua apparizione facesse palpitare le donne e ne ottenebrasse i sensi.
A quel pensiero Gemma tornò rapidamente in sé. Per esperienza, sapeva che non ci si poteva fidare degli uomini, soprattutto di quelli belli.
Per precauzione, calcolò la distanza tra loro. Erano separati da circa dieci passi in linea d'aria da una riva all'altra del laghetto, il doppio percorrendone la riva. Quindi aveva abbastanza tempo per darsi alla fuga prima che lo sconosciuto la raggiungesse, o gridare per attirare l'attenzione della zia, che avrebbe potuto chiamare il cocchiere.
Si girò per guardarsi alle spalle e assicurarsi che la donna fosse ancora dov'era prima. Zia Edith non si era mossa e, vedendola, agitò la mano per rassicurarla, come per dirle che non doveva temere niente e nessuno perché era sotto la sua ala protettrice.
Era un gesto semplice, ma Gemma si tranquillizzò. La zia non sembrava considerare minacciosa la presenza dell'uomo. Oppure forse aveva già mandato il cocchiere a prendere la pistola.
«Spero che mi perdonerete, non era mia intenzione spaventarvi» disse l'uomo con una voce baritonale che la raggiunse senza che dovesse gridare. «Sono venuto solo a godere del panorama di Dunnock Park.»
Le sorrise e, quando inclinò il capo in un cenno di saluto, il sole fece risplendere i capelli di riflessi dorati. Era abbastanza vicino da permetterle di vedere le ombre spigolose del suo volto che facevano risaltare gli zigomi e le mascelle squadrate. Il naso dritto e affilato puntava verso l'incavo sopra la bocca ampia e la fossetta nel mento. Gli occhi celesti erano più luminosi del cielo di fine estate e parvero assumere una sfumatura più calda mentre lui la scrutava a sua volta, abbassando poi lo sguardo verso l'acqua.
Anche Gemma guardò verso il basso e si accorse di aver lasciato cadere la gonna che galleggiava come una rete leggera intorno ai polpacci. L'acqua che inzuppava la stoffa la rendeva trasparente fino alle ginocchia. Se avesse continuato a rimanere in acqua, il suo corpo non avrebbe celato più molti segreti agli occhi dello sconosciuto.
Si sentì invadere dal calore dell'imbarazzo e il suo riflesso le rivelò che aveva le gote rosse, come se nelle sue vene scorresse del vino di Bordeaux e lei si fosse trasformata nella pera che aveva fatto cadere.
«Allora lascerò il laghetto tutto per voi» disse in fretta, prima di arrossire ancora di più.
Camminando con circospezione, tornò sulla riva erbosa, il vestito gocciolante e inzuppato incollato alle gambe. Cercò di strizzare più acqua possibile chinandosi per recuperare le scarpe.
«Ditemi, ammaliatrice di pesci, sarebbe stato meglio se fossi stato egoista e non vi avessi fatto notare la mia presenza?» la chiamò lui prima che potesse allontanarsi. «Almeno avrei potuto imparare la vostra tecnica segreta per attirare i pesci e catturarli.»
Gemma si fermò e si voltò verso di lui, indispettita dall'insinuazione e dal pensiero che quell'uomo potesse crederla capace d'inganno, seppure solo nei confronti di un pesce. Aveva trascorso quasi tutta la vita a portare il peso delle frodi di suo padre, anche prima che la sua disonestà fosse nota in società. «Non c'è alcun trucco. Il pesce non conosceva la mia mano e non avrebbe potuto crederla capace di malignità.»
«Ah, siete una filosofa!» Lui annuì e incurvò un angolo della bocca in un sorriso sornione. «Mi piacerebbe conoscere la vostra opinione riguardo a un possibile metodo per convincere un certo luccio, che mi sfugge da anni, del fatto che il mio amo non sia altro che un innocuo pezzetto di metallo lucente.»
I muscoli contratti per la tensione si rilassarono appena Gemma si rese conto di essere balzata a conclusioni affrettate. Non era più nel deserto con suo padre e i suoi loschi compari, e neanche a Londra, dove i pettegolezzi rovinavano la reputazione in un batter d'occhio, perciò era possibile che quel gentiluomo fosse semplicemente gentile e cordiale, e non avesse fatto insinuazioni maligne. Tuttavia non aveva intenzione di trattenersi abbastanza a lungo da averne la conferma.
«Se fossi un pesce non mi farei lusingare dall'argento» replicò facendo spallucce. «Dovreste tentare di convincere il vostro luccio che il vostro amo sia un verme imprigionato e che ci voglia un bel morso per liberarlo.»
Il commento fu accolto con una risata disinvolta. Guardandolo dalla riva opposta del laghetto, Gemma notò che rideva con gusto e sincero divertimento. Non aveva un bagliore ammiccante nello sguardo né un'espressione diffidente e misteriosa. Anzi, il suo atteggiamento era quello di un uomo schietto e disponibile, privo di riserve, e per questo le sembrava ancora più bello.
Si accorse di essere piacevolmente turbata in sua presenza, ma di cominciare ad apprezzarla. Tuttavia, nelle condizioni in cui erano i suoi vestiti, non avrebbe potuto trattenersi un solo minuto in più in compagnia dello sconosciuto, per quanto l'istinto la spingesse a indugiare.
«Vi auguro una buona riuscita della vostra impresa e una buona giornata» si accomiatò, notando la nota riluttante nel proprio tono.
Lui tornò subito serio e stese la mano, come per bloccarla tirando un filo invisibile. «Sono certo che ci siano altre attrattive interessanti in questo splendido luogo. E se doveste far arrivare qualche parola nella mia direzione, non mi dispiacerebbe fare altrettanto verso di voi.»
Gemma si sforzò di trattenere il sorriso che le stava incurvando le labbra.
«Per dimostrarvi quanto sia privo di malizia e degno di fiducia, mi siederò qui e mi terrò a debita distanza. Pensate che la vostra accompagnatrice troverà qualcosa da ridire?»
Senza esitare, lasciò la giacca sul masso e si sedette sull'erba, muovendosi con la fluidità e la naturalezza di un uomo sicuro di sé. Però era più attento che rilassato, come se stesse aspettando di vedere quale decisione avrebbe preso lei.
Gemma apprezzò il suo atteggiamento discreto; era chiaro che desiderava continuare a parlare con lei, ma non stava cercando d'influenzarla.
«Se mia zia non fosse d'accordo ve ne accorgereste all'istante. Potrebbe farvi molto male con quell'ombrellino dall'aria innocua.»
Attenta a maneggiare il vestito bagnato, Gemma si sedette su un fianco piegando le gambe sotto il corpo, e allargò la gonna per farla asciugare al sole. Con la coda dell'occhio lo vide rilassarsi, poggiando l'avambraccio sul ginocchio sollevato.
Sembrava veramente a suo agio in quel contesto, come se facesse parte del parco quanto gli usignoli che cinguettavano allegri sui rami di un vicino faggio.
«Non stento a crederlo» le disse. «Ero ancora bambino quando mi sono reso conto che un ombrellino non serve solo a ripararsi dal sole, ma è una vera e propria arma e può trasformarsi in una spada di legno con tanto di scudo.»
Gemma riuscì immediatamente a raffigurarselo da piccolo, un ragazzino con i capelli scompigliati che giocava impersonando un cavaliere. Quell'immagine lo rese ancora più simpatico ai suoi occhi.
«In mano a mia zia assume molteplici usi. Serve anche per infilzare le carte, allontanare le bisce e persino a catturare i pipistrelli, per quanto ciò mi faccia rabbrividire al solo ricordo.»
Lui sollevò un sopracciglio castano chiaro. «Davvero?»
«Dalle finestre aperte del salotto durante le serate estive non entra solo l'aria fresca, ma anche qualche ospite non gradito» precisò lei annuendo con aria seria, rammentando l'episodio che risaliva a un mese addietro. Zia Edith aveva cercato di colpire la povera creatura con l'ombrellino quando il parasole si era aperto. Avevano emesso entrambe un grido acuto e il pipistrello svolazzante, spaventato, vi era caduto all'interno. «Mia zia catturò così la bestiola rimasta nell'incavo dell'ombrellino, che poi consegnò al maggiordomo per farlo liberare all'aperto. D'inverno, invece, penso che possa entrare in casa dalla cappa del camino.»
«Chi, il maggiordomo?»
Quella domanda assurda la spiazzò e la fece ridere. «No, il pipistrello. Però sarebbe divertente vedere Mr. Arnold che sguscia in casa passando dal comignolo.»
Lui sorrise divertito. «Ho imparato qualcosa sui molteplici utilizzi degli ombrellini.»
«Credo che d'ora in poi li guarderete con occhi diversi.»
Vedendosi rivolgere quel sorriso luminoso, Gemma avvertì ancora un fremito e una sensazione di serena leggerezza, come se fosse seduta su una nuvola e da un momento all'altro avesse potuto librarsi in aria, per fluttuare sopra la superficie del laghetto e atterrare accanto a quell'affascinante sconosciuto.
Cercando di dissimulare quel pensiero e adottare un'espressione neutra, rivolse l'attenzione al laghetto.
Mentre giocherellava con un filo d'erba strappato e guardava l'acqua, lui le chiese: «Sarebbe troppo sfrontato da parte mia chiedere il nome della filosofa i cui insegnamenti seguirò fedelmente d'ora in poi?».
No, per favore, no, lo implorò lei mentalmente. Sarebbe voluta restare aggrappata ancora un po' a quella sensazione di serena spensieratezza. Ma lui non poteva sapere che il suo nome fosse una maledizione che, una volta pronunciata, avrebbe interrotto la loro breve conoscenza. «Sì, troppo sfrontato, effettivamente. Mia zia non mi perdonerebbe mai per essermi presentata a un estraneo.»
Lui fece una smorfia ironica. «Ma io non sono un estraneo per Dunnock Park, e ormai non lo siete neanche voi. Potremmo farci presentare dal luccio.» Spostò lo sguardo verso l'ombrellino di zia Edith. «Ci sarebbe anche un'altra soluzione.»
Era dunque tanto deciso a conoscere il suo nome da arrivare fino in cima alla collina per scoprirlo?
Gemma sentiva il cuore che le batteva forte per l'ansia, ma anche per l'emozione. Oh, come avrebbe voluto...
«Oppure, siccome Mr. Luccio è un vostro amico difficile da agguantare e mia zia è troppo lontana, potremmo fingere di essere vecchie conoscenze, che si sono presentate proprio qui un pomeriggio d'estate tempo fa.»
Lui le sorrise sornione. «Tanto tempo fa.»
«Quindi per voi potrei essere semplicemente Gemma.» Lo disse in fretta, prima di perdere il coraggio, ma con voce esitante e sottile, in un sussurro appena udibile.
Attese che lui le dicesse che non aveva sentito, ma poi lo vide muovere le labbra per ripetere il suo nome e avvertì di nuovo quel palpito strano.
«E voi mi conoscete già come Samuel» disse lui in tono sommesso, da cospiratore, come se le stesse rivelando un segreto.
Samuel... Che bel nome! Gli si addiceva, ma le parve troppo formale per una presentazione avvenuta così, in sordina, sulla riva del laghetto. Dopotutto ormai erano amici di lunga data.
«Sì, certo, ma vi ho sempre chiamato Sam.»
«Perdonatemi, l'avevo dimenticato» annuì lui fissandola con i suoi limpidi occhi azzurri.
Il calore del suo tono la fece arrossire e il fremito le raggiunse la testa, procurandole le vertigini. Ebbe voglia di distendersi sull'erba e abbracciare una grossa nuvola morbida e impalpabile che aleggiava sul suo capo per farsi trasportare dalla brezza.
Non si era mai abbandonata a simili pensieri sdolcinati. Era disincantata per natura, e il modo in cui era cresciuta aveva alimentato il suo cinismo. Conoscere il crimine e i misfatti del padre l'aveva resa incline ad avere la testa sulle spalle e i piedi saldamente piantati a terra.
Allora perché erano bastate poche parole da parte di uno sconosciuto per riempirle la mente di sciocchezze e vaneggiamenti?
Non ne aveva idea. Di qualunque natura fosse la sensazione che l'aveva invasa, non l'aveva mai provata prima di allora, e non le faceva particolarmente piacere essere presa alla sprovvista da qualcosa, avendo ormai imparato a essere accorta e prudente.
A quel pensiero, l'emozione si smontò rapida, come bolle di sapone che scoppiano tutte insieme. Guardò nuovamente in direzione dell'acqua vicinissima a lei e vide nel riflesso il proprio sorriso che si spegneva e la luce che le scompariva dagli occhi.
«Ho lasciato sola mia zia troppo a lungo» disse alzandosi e scostando la gonna umida dalle gambe. Quando alzò lo sguardo, vide che anche lui era in piedi e guardava il sentiero come se intendesse accompagnarla.
Gemma scosse la testa. Erano separati da un baratro più ampio di quanto lui immaginasse. «Ci aspetta ancora un lungo tragitto prima di arrivare al nostro alloggio.»
Lui si fermò, riflettendo sulle sue parole. «Allora siete al parco solo in visita mentre siete in viaggio. Dove siete dirette?»
«A Banfern Glenn.» Non voleva nascondergli più informazioni dello stretto necessario. Si sentiva già abbastanza in colpa per averlo ingannato omettendo il proprio cognome di proposito. E poi non aveva importanza dirgli dove fosse diretta. Quando fosse andata via da lì, era certa che non l'avrebbe più rivisto e il suo ricordo sarebbe svanito rapido dalla mente di Samuel.
Quella era la triste fine di un breve incontro sulla riva del lago.
«Ah, sì, l'ho sentito nominare.» Lui fece un rapido sorrisetto che la incuriosì. «Se non ricordo male, i proprietari della locanda in paese spesso organizzano vivaci feste nella sala attigua. Se vi tratterrete a Banfern Glenn abbastanza a lungo, dovreste partecipare a una di quelle serate per proseguire i vostri studi filosofici dell'umanità.»
Lei avrebbe voluto sorridere, ma le labbra non si sollevarono, pensando alla fine del loro incontro. «Non so per quanto tempo vi soggiorneremo.»
Assurdamente, Gemma avrebbe voluto che lui avesse insistito per accompagnarla fino in cima al colle, invece di lasciarla andare via. Ma forse, essendo di modi tanto disinvolti, gli capitava spesso di chiacchierare con degli estranei e per lui quello non era un episodio insolito e degno di nota. Non vi avrebbe ripensato a lungo, come invece avrebbe fatto lei.
Lui la fissò intensamente. «Forse troverete degli stimoli che v'indurranno a restare.»
Gemma non sapeva quanto fosse lontano il paese da lì, ma improvvisamente sperò che la distanza dal parco non fosse eccessiva e che l'eventualità di rivedere il suo vecchio amico fosse reale.
«Un vero filosofo vi direbbe che tutto è possibile.»