3

Gemma fece una smorfia guardando il proprio riflesso nel piccolo specchio ovale nella stanza presso la locanda. Aveva le guance e la punta del naso rosse per il sole. Alla base del collo c'era una striscia grigiastra di sudore e polvere, i capelli erano una massa di riccioli crespi e spettinati, lo chignon era quasi sciolto e c'era addirittura una foglia impigliata alla sommità del capo.

Fantastico, pensò con disappunto. Vedersi in quelle condizioni pietose cambiava completamente l'idea che si era fatta del suo incontro con Sam. Era stato tanto affabile e galante da indurla quasi a credere di aver fatto colpo su di lui. Sì, è rimasto colpito, ma perché ha pensato di essersi imbattuto in una pazza uscita dal manicomio, un'assassina di pere cotte al vino.

Forse l'aveva fissata con curiosità morbosa, come si guarda uno scherzo della natura. Persino Berta, la cameriera di sua zia, era rimasta impressionata nel vederla ridotta così e le aveva chiesto se si fosse sentita male durante il picnic. Tuttavia era chiaro che in realtà ciò che voleva sapere era se le avesse dato di volta il cervello.

Per certi versi era stato proprio così. Lungo tutto il tragitto fino al paesino di Banfern Glenn, che non era poi così lontano, le era parso di avere una persona diversa dentro di sé, una fanciulla che non riusciva a smettere di sorridere e sospirare con aria nostalgica, ripensando all'incontro presso il laghetto come se le immagini di quella scena fossero state dipinte su una lanterna di carta che ruotava ipnotica intorno alla fiammella di una candela.

Quando erano arrivate alla locanda, era addirittura riuscita a convincersi che avrebbe rivisto Sam. Ma la cruda realtà dello specchio aveva infranto le sue illusioni.

Inzuppò una salvietta nella bacinella piena d'acqua, la strizzò e si strofinò la pelle per lavare via il sudiciume. No, sarebbe stato meglio non rivederlo, si disse. Dopotutto non ci sarebbe mai stato niente tra loro dopo che Sam avesse saputo il suo cognome.

Allora perché quella certezza non serviva a diminuire la sua delusione?

I pensieri cupi di Gemma furono interrotti da qualcuno che bussava alla porta della camera di fronte alla sua, dove dormiva zia Edith. Se non fossero state libere due stanze avrebbero condiviso il letto, ma la zia insisteva per dormire da sola quando poteva ed era tanto esigente quando viaggiava da portare addirittura con sé un cuscino fatto appositamente per potervi appoggiare la testa senza rovinare l'acconciatura. Quel piccolo vezzo eccentrico era uno dei motivi per cui Gemma le era tanto affezionata.

«Perdonatemi, Vostra Grazia, c'è un signore che chiede di voi» disse una cameriera della locanda.

Gemma trattenne il fiato. Chi era questo misterioso visitatore? Non conoscevano nessuno a Banfern Glenn. L'unica persona che avesse incontrato era... Sam.

«Sta chiedendo se qui soggiornano una ragazza e sua zia» continuò la cameriera. «Non sapevo che cosa dirgli.»

Il cuore di Gemma perse un battito e l'aria defluì dai suoi polmoni come se i lacci del corsetto fossero improvvisamente troppo stretti. No, era impossibile! Non voleva cedere a una fantasia assurda, immaginando che l'uomo che aveva conosciuto sulla riva del laghetto poco più di un'ora prima fosse venuto in quella locanda. Lo specchio fu d'accordo con lei, perché le rimandò uno sguardo dubbioso e sbalordito.

Ma poi la porta si spalancò e Gemma vide gli occhi grigiazzurri di sua zia splendenti di gioia. Nonostante fosse tutta in affanno, neanche un capello dell'elaborata acconciatura argentata osava trovarsi fuori posto. Senza esitare, si precipitò verso Gemma per avvolgerla in un abbraccio odoroso di cipria e di lavanda.

«Deve essere lui, mia cara. Scuoti la testa finché vuoi, ma è l'unica conclusione possibile. È chiaro che il gentiluomo che hai conosciuto al laghetto è venuto in visita.» La zia si staccò da lei e si rivolse alla cameriera con la cuffietta candida in testa, che aspettava in corridoio. «Fate salire il signore, per favore. Saremo nel salottino fra un minuto.»

«Non sono neppure vestita!» si lagnò Gemma. «E Berta è andata dalla lavandaia per vedere se si può togliere la macchia dal mio abito.» Gemma aveva avuto appena il tempo d'indossare una crinolina pulita, e poi c'era comunque da risolvere il problema dei capelli.

«Non importa» disse la zia chiudendo la porta e indicando il baule aperto. «So come abbottonare un vestito. Tieni, prendi l'abito verde che è in cima: è meno spiegazzato degli altri.»

Gemma si mosse in fretta, correndo con il cuore che batteva all'impazzata. Prese il vestito e lo infilò con gesti rapidi, senza soffermarsi a riflettere. Poteva davvero essere lui?

«Hai fatto colpo» riprese zia Edith, mettendole davanti un paio di scarpette verdi. Non sembrava avere alcun dubbio sull'identità dell'uomo che era venuto a trovarle.

Gemma scosse la testa, sforzandosi di non illudersi, mentre calzava le pantofoline. «È impossibile. Avevo i capelli scompigliati, il vestito macchiato di vino rosso e la gonna bagnata. Ed ero anche scalza.»

La zia la fece voltare e cominciò ad abbottonarle il vestito sulla schiena. «Alcuni uomini preferiscono le donne come sono in natura.»

«Zia Edith!» Gemma trasalì, ridendo e arrossendo.

«Non intendevo nude, ma al naturale, però in effetti tanti uomini preferiscono le donne senza niente addosso» commentò la zia, ironica. «In tal caso la società piomberebbe nel caos, nessuno riuscirebbe più a lavorare perché gli uomini sarebbero distratti.»

«Sei incorreggibile!» Gemma rise, alzando lo sguardo al cielo.

«È un vizio di famiglia, purtroppo, perciò considerati avvertita.» La zia fece schioccare la lingua e le tolse la foglia dai capelli. «E poi ormai hai ventidue anni ed è ora che tu sappia certe cose.»

«Quindi secondo te noi donne potremmo far crollare la società civile e l'unico motivo che lo impedisce è perché indossiamo degli abiti?»

«Esattamente.» La zia aprì la porta e sospinse la giovane in avanti per farla uscire in corridoio.

Gemma varcò la soglia, ma si bloccò di colpo perché davanti a lei era comparso Sam, a non più di dieci passi di distanza. La cameriera doveva aver dimenticato di chiudere la porta tra il salottino e il corridoio che conduceva alle camere.

Perciò eccolo lì, una sagoma che si stagliava contro lo sfondo della luce che filtrava dalla finestra alle sue spalle. Aveva lo sguardo puntato su di lei; era vestito come prima e aveva i capelli scompigliati in maniera affascinante. Era ancora più bello di come lo ricordasse. Gemma si sforzò di respirare senza ansimare mentre il cuore le batteva tanto rapidamente da minacciare di scoppiarle in petto.

«Ho dimenticato di legare la cintura» disse zia Edith alle sue spalle, affrettandosi a fare un fiocco al nastro verde scuro che aveva alla vita. Non si era accorta della presenza di Sam.

Gemma si sentì arrossire. Era la seconda volta che si trovava discinta davanti a lui. Come se Sam avesse avuto lo stesso pensiero, la fissò con calore prima di distogliere lo sguardo per un istante, quasi per concederle un attimo di riservatezza.

Gemma chiuse gli occhi cercando di calmarsi, ma era troppo emozionata. A peggiorare le cose, si accorse di essere invasa dall'impulso di precipitarsi nella stanza e gettare le braccia al collo di Sam. Era chiaro che l'influenza che aveva su di lei cominciava a rappresentare un problema. Nell'arco di un'ora era passata dal desiderio di abbracciare una nuvola a quello di stringere a sé un uomo che conosceva appena.

Fece un respiro profondo e si sforzò di far rallentare i battiti del cuore e di non dimostrarsi troppo smaniosa, tuttavia non era in grado di dissimulare le proprie emozioni. Sarebbe stata una pessima giocatrice al tavolo verde.

La breve incursione nella buona società londinese le aveva insegnato a essere cauta in ogni situazione. Si era subito accorta che, una volta che le persone conoscevano il suo nome, si rivelava la loro vera natura. Aveva sentito dei commenti pungenti accompagnati da sguardi di disapprovazione e ostilità, insulti espliciti, e qualcuno la ignorava di proposito e apertamente.

A quel ricordo, improvvisamente le passò la voglia di vedere la reazione di Sam. Nella migliore delle ipotesi, sarebbe andato via e non avrebbe più voluto conoscerla. Gemma non osava neppure immaginare quale potesse essere invece la peggiore delle ipotesi.

Zia Edith le diede un altro colpetto per attirare le sua attenzione. «Non facciamolo aspettare. È chiaro che è ansioso di rivederti.»

Solo perché non sa nulla di me.

Gemma si preparò, facendosi forza, ed entrò nel salottino. Per ogni passo che faceva il cuore batteva otto volte. Sollevò lentamente lo sguardo e vide il suo cilindro marrone sul tavolino tondo al centro della stanza, poi lui accanto al tavolo, con le spalle dritte e le braccia dietro la schiena. La giacca cammello era aperta a rivelare il panciotto verde, che per uno scherzo del destino era abbinato all'abito di Gemma. Quel pensiero fugace intensificò il suo rossore.

La zia le passò accanto e attraversò la stanza con calma, senza dimostrare minimamente la trepidazione di Gemma. «Buongiorno, signore. Sono lieta di fare la vostra conoscenza... Ora che ci penso, però, noi ci conosciamo già! Siete il Visconte Ellery, nevvero? Se non ricordo male avete partecipato a una festa presso la residenza di campagna di mio nipote il Natale scorso.»

Ellery? Gemma si rese conto di conoscere quel titolo. La sua carissima amica Juliet Harwick, la Marchesa di Thayne, aveva accennato più volte al suo desiderio di presentarle Lord Ellery, ma poi non c'era mai stata l'occasione. Era una bizzarra coincidenza conoscerlo lì nel Surrey.

Lui le sorrise con malcelato piacere e chinò il capo. «Sì, Vostra Grazia. Il Duca di Vale è un padrone di casa squisito e sono stato onorato dal suo invito. In quell'occasione ho ritrovato con piacere anche l'altro vostro nipote, il Conte di Wolford.»

Conosceva anche i suoi cugini? Allora sicuramente aveva sentito il suo nome. A quel pensiero Gemma fu invasa di nuovo dal timore.

«Allora mi sembra giusto che vi presenti anche mia nipote, Miss Gemma Desmond» disse zia Edith.

Gemma s'irrigidì, in attesa che lui ricordasse tutte le volte in cui il nome di suo padre era comparso a lettere cubitali sui giornali londinesi. Di lì a due secondi il suo sorriso si sarebbe spento e lui si sarebbe affrettato a battere in ritirata con una scusa.

«Miss Desmond» disse invece, fissandola con cordialità.

Lei fece automaticamente una riverenza, stupita dalla sua reazione, anzi, dal fatto che non ne avesse avuta alcuna nel sentire il cognome che portava.

«È un piacere fare la vostra conoscenza, Lord Ellery.»

Forse non era prevenuto e non pensava che fosse simile a suo padre? No, negli ultimi mesi aveva capito che era impossibile dissociarsi dai suoi misfatti. Probabilmente Sam aveva solo dimenticato il suo nome.

Purtroppo questo significava che toccava a lei o a zia Edith informarlo. Poiché zia Edith era convinta che l'uomo giusto avrebbe chiuso un occhio sui peccati di Albert Desmond per concentrarsi sulle attrattive della nipote, l'ingrato compito sarebbe spettato a Gemma.

Mentre stava riflettendo su come esordire, lui tolse le braccia da dietro la schiena e le offrì un mazzo di fiori, sorprendendola ancora di più. Le corolle bianche screziate di rosa si stagliavano in contrasto con la sua pelle abbronzata. Era un gesto poetico che la intenerì. Gemma non avrebbe mai sperato che qualcuno cogliesse dei fiori per lei.

Tutti i pensieri svanirono dalla sua mente. «Il caprifoglio è il mio fiore preferito» sussurrò.

«Davvero?» ribatté lui sorridendo compiaciuto. «Allora è una vera fortuna che ce ne siano tanti a Dunnock Park in questo periodo dell'anno. Forse li avete visti vicino ai salici.»

Lei annuì timidamente, esitando ancora a farsi avanti. «Quando ero al laghetto non sapevo che fosse il vostro, come la collina su cui ci eravamo accomodate, sconfinando nella vostra proprietà.»

«A nostra difesa posso dire che era un posto ideale per fare un picnic» disse zia Edith senza alcun rimorso. Era abituata a fare ciò che voleva e si sarebbe fermata sulla sua collina anche se ci fossero stati segnali di divieto di accesso su ogni albero e ogni masso.

Sam scosse la testa con noncuranza. «Non avete nulla da temere, abbiamo smesso di sparare agli intrusi molto tempo fa.»

Zia Edith rise, una cosa strana per lei. «Siete stato gentile a portare dei fiori. Mi avete risparmiato di doverli rubare per abbellire la mia camera. Però non aspetterò il ritorno della cameriera per metterli in un vaso perché temo che appassiscano e sarebbe un peccato, dato che sono molto belli. Con il vostro permesso, vado a prendere una brocca in camera mia. Torno subito.»

Senza troppe cerimonie, zia Edith uscì dalla stanza lasciandoli soli.

«Perdonatemi» disse lui avvicinandosi e guardando accigliato le corolle che stavano già piegando il capo. «Non ho previsto che potessero avvizzire e non ho neanche messo un bel nastro per offrirveli più degnamente.»

Lei inclinò il capo per scrutarlo, notando che era alto ma non incombeva minaccioso su di lei. Il suo atteggiamento la metteva a proprio agio, non le faceva desiderare di mantenere le distanze. Anzi, il calore che irradiava la rese più audace e la spinse a stendere la mano.

«Sono bellissimi, non si sono affatto rovinati nel tragitto. È un mazzolino stupendo.» Appena prese i fiori, Gemma fu scossa da un brivido e staccò in fretta la mano appena sfiorò le sue dita, come se si fosse scottata, e strinse istintivamente il pugno. «Non volevo... Cioè, dovrei portare i guanti e...»

«Veramente è meglio così, altrimenti gli steli vi avrebbero macchiato i guanti» disse Sam con voce roca come se fosse turbato quanto lei. Aveva gli occhi incupiti da un'emozione misteriosa e le iridi erano un'aureola azzurra che circondava le pupille dilatate.

Rimproverandosi per la propria vigliaccheria, Gemma ritentò, ma la sensazione fu ancora più intensa perché stavolta il gesto era intenzionale. Quando prese il mazzolino chiuse il pugno di Sam tra le dita. Sentire le nocche che le sfioravano il palmo le provocò un fremito indicibile che le percorse tutto il corpo, dagli arti al busto per insediarsi infine nel suo ventre, facendolo vibrare di emozione.

Le sfuggì dalle labbra una risatina nervosa. Annaspò per raccogliere tutti gli steli che le sfuggivano di mano perché non erano legati. Le loro dita s'intrecciarono, lasciandola senza fiato.

«Gemma...» sussurrò lui. «Ditemi che siete contenta che sia venuto, altrimenti me ne andrò immediatamente.»

Lei cercò di recuperare la compostezza, ma era difficile perché le girava la testa mentre erano così vicini, con le mani unite e il profumo inebriante dei fiori che si levava tra loro. «Data la vostra insistenza, devo dirvi che sono contenta. Non mi avete dato alternativa» scherzò.

«Avete ragione. Sono stato maleducato e vi ho dato una pessima dimostrazione del mio carattere. Non ho scuse, se non il fatto che il profumo del caprifoglio abbia avuto un effetto conturbante su di me. Vi assicuro che di norma sono molto meno diretto e audace, e dotato di una natura più riservata.»

«Anch'io» ammise Gemma, benché in quel momento le sembrasse perfettamente naturale che le loro mani fossero unite a sorreggere i fiori, e lui le fosse tanto vicino da permetterle di avvertire il suo profumo di sole e di muschio, un'essenza virile che le faceva girare la testa più della fragranza del caprifoglio.

Sam annuì. «Ho notato il vostro riserbo quando eravamo al laghetto. Vi siete posta con grande compostezza, io invece mi sono comportato da pazzo sin dal primo momento.»

«Siete tutt'altro che pazzo. Il gentiluomo che ho davanti a me è un modello di gentilezza e serietà» mormorò Gemma, sentendosi stranamente languida e stordita, con le palpebre pesanti.

Lui scosse la testa, ma sorrise. «Allora detesto rovinare la vostra buona opinione dicendovi quanto io sia tentato di ordinarvi di partecipare a una festa da ballo in paese questa sera.»

Una porta che sbatteva e dei passi in corridoio ricordarono a Gemma che non erano soli. Sentendosi arrossire, staccò in fretta le dita da quelle di Sam, poi fece un passo indietro verso il caminetto, stringendo i fiori al cuore.

«Perché non me lo chiedete semplicemente?»

«Perché un invito lascia troppo spazio a un rifiuto, invece io vorrei avere una certezza prima di andare.»

Gemma scosse la testa. «Ma siete appena arrivato!»

«Sì, è ciò che continuo a ripetermi per impormi la calma, ma non frena l'inesplicabile desiderio di passare rapidamente dalle presentazioni a...» Sam si bloccò, forse perché si era reso conto di essersi accalorato troppo e di poter sembrare insistente e sfrontato. Lanciò un'occhiata alla porta, poi si allontanò da lei e prese il cappello tenendolo con due mani davanti a sé, quasi a farsi scudo.

«Ve ne andate già, Lord Ellery?» chiese zia Edith, posando in mezzo al tavolo un vaso basso di terracotta gialla, pieno d'acqua. «Lasciate che chieda di servire il tè per accogliervi degnamente.»

«Vi ringrazio, ma sono già stato indelicato da presentarmi senza preavviso, e non vorrei sembrarvi ancora più maleducato trattenendomi oltre il lecito. So quanto si desideri un letto dopo una giornata movimentata...» S'interruppe e tossicchiò imbarazzato, poi si affrettò a fare un goffo inchino. «Quanto si desideri riposare, intendevo» puntualizzò.

Zia Edith fece schioccare la lingua contro il palato. «Mi chiedo come mai vogliate accomiatarvi tanto in fretta, quando fino a poco fa mi sembravate ansioso di restare a intrattenervi con noi.»

Gemma si era posta la stessa domanda. Sentiva che quell'incontro le stava rapidamente sfuggendo di mano. Si era dunque stancato tanto presto della sua compagnia?

Lui si strinse nelle spalle e assunse un'espressione dispiaciuta. «Vi confesso che stavo giusto informando Miss Desmond di una festa da ballo questa sera nella sala qui accanto. Se non avete altri impegni sarei onorato di accompagnarvi entrambe.»

Quando il suo sguardo intenso si posò su di lei, Gemma non riuscì a trattenere l'emozione che le rendeva il sangue effervescente come champagne.

La zia sorrise compiaciuta e prese i fiori dalle mani della nipote, poi cominciò a disporli nel vaso. «Gemma cara, siamo a Banfern Glenn da quaranta minuti e abbiamo già accettato l'invito di un gentiluomo che ti ha portato i tuoi fiori preferiti?»

Anche Gemma sorrise. «Mi sembra di ricordare di avere respinto tutti gli altri inviti.»

Pensava che Sam avrebbe riso per quella battuta; avrebbe voluto sentire di nuovo il suono caldo e carezzevole della sua risata, e fu sorpresa quando si accorse che lui non aveva affatto l'espressione divertita. Aveva ancora le labbra incurvate in un sorriso affabile, ma gli occhi erano seri e la scrutavano con sincero interesse. Improvvisamente capì che quell'incontro non era un passatempo privo di significato per il visconte, ma che forse gli piaceva così come lei era attratta da lui.

L'esaltazione che provò per quel pensiero si abbatté di colpo al suolo, schiantandosi, quando ricordò che lui non sapeva ancora di chi fosse figlia.

Era ora di dirgli la verità, anche a costo di non rivederlo mai più.

«Non ho ricevuto altri inviti oggi, in realtà, e probabilmente non ne avrò mai.» Deglutì quando si accorse che le tremava la voce. «Il motivo è che...»

«Che Gemma è arrivata da poco a Londra e non ha partecipato ad alcun evento della Stagione mondana» intervenne in fretta la zia, interrompendola. «Perciò non ha avuto modo di farsi ammirare da altri gentiluomini.»

Sam si rilassò visibilmente. La sua postura perse ogni rigidità e il suo sorriso divenne ancora più luminoso. «Buon per me. Solo uno stolto non lo considererebbe un grosso vantaggio. Arrivederci a più tardi, dunque.»

Senza indugiare oltre, si accomiatò con un cenno del capo e uscì in fretta.

«Arrivederci» sussurrò Gemma alle sue spalle, mentre lui aveva già varcato la soglia.

Rimasta sola con la nipote, zia Edith batté le mani con entusiasmo. «Non poteva andare meglio! Sono certa che stasera arriverà presto per poter trascorrere più tempo in tua compagnia.»

Gemma aggrottò le sopracciglia, invasa dai sensi di colpa. «Avrei dovuto informarlo di mio padre.»

«Invece no» replicò la zia con il tono severo che abitualmente riservava ai suoi cugini North e Liam. «Dagli la possibilità di conoscerti e di apprezzarti più di quanto non faccia già.»

«Pensi che io gli piaccia, dunque?» Gemma aveva già intuito la risposta, ma assaporò il fremito di emozione che le provocava quella consapevolezza.

«È indubbio. Anzi, ti dirò, se mi fossi trattenuta qualche minuto in più fuori dalla stanza, avrebbe potuto anche tentare di baciarti.»

«Certamente no» ribatté Gemma, pur arrossendo davanti allo sguardo scrutatore della zia. «E comunque non gliel'avrei permesso, non sono una sciocca.»

La zia rise. «Non avevate occhi che l'uno per l'altra, te l'assicuro. Guarda che anch'io sono stata giovane, e quando ho conosciuto mio marito ho provato la stessa sensazione.»

Quelle parole furono sufficienti per riportare bruscamente Gemma alla realtà. Si diresse verso la finestra per guardare il viottolo di acciottolato. «Il Visconte Ellery non diventerà mio marito. Quando saprà chi è mio padre si pentirà di avermi conosciuta.»

«Giudichi lui e te stessa troppo severamente. Conosco i suoi genitori, sono gentili e affabili quanto lui.»

«Il che non fa che peggiorare le cose» borbottò Gemma, ammettendo la dolorosa verità che le serviva un marito per assumere un nome più gradito in società. Sarebbe stato l'unico modo per sfuggire all'ostracismo a cui era stata sottoposta insieme ai suoi cari. «Anche se hai cercato di nascondermelo, so quante volte tu sia stata ignorata perché quella reietta di tua nipote vive sotto il tuo stesso tetto, e lo stesso è capitato ai miei cugini e alle rispettive mogli. Magari a North e Ivy, e a Liam e Adeline non interessano le maldicenze, ma a me sì.»

Con un duca e un conte in famiglia, la loro reputazione avrebbe dovuto essere più solida. Invece tra la nobiltà c'era ancora chi criticava la successione di North al titolo di duca, mettendo in discussione la parentela di sua madre. E altri ritenevano che Liam non fosse nient'altro che un libertino spendaccione.

«Con il tempo verrà tutto dimenticato, credimi.»

«Non tutto. Mio padre ha quasi ucciso Adeline cercando di farla finire sul fondo del Tamigi e, anche se la società potesse dimenticarlo, le tante persone che ha truffato non scorderanno mai il nome che porto.» Gemma girò la testa e posò lo sguardo sui fiori, sentendosi nuovamente travolgere da un'ondata di sensi di colpa. «Quando ho capito che Lord Ellery non sapeva chi fossi, avrei dovuto spiegarglielo subito. Tacendogli la verità mi sono trasformata anch'io in un'imbrogliona.»

«Direi proprio di no!» protestò zia Edith. «Sei giustificata, perché sei stata presa alla sprovvista scoprendo che esiste un uomo che non ti ha giudicata immediatamente in base alle azioni di tuo padre.»

Gemma ne dubitava. «Però non posso comunque sfruttare la bontà ignara del visconte per i miei scopi.»

«Puoi sempre chiederglielo» osservò zia Edith come se fosse una cosa da nulla.

Il pragmatismo della donna le strappò una risata sardonica. Gemma si voltò verso la porta e fece la riverenza, fingendo che Lord Ellery fosse ancora lì. «Visconte Ellery, vi sarei grata se foste tanto gentile da concedermi di portare il vostro nome per qualche decennio. Un bel nobiluomo educato come voi non ha sicuramente altre alternative a quella di sposare una fanciulla per pietà» declamò.

«Potreste sempre sposarvi per amore.»

Gemma alzò gli occhi al cielo. «Siccome non credo alle favole, devo dedurre che tu abbia preso troppo sole questo pomeriggio, zia cara. E forse anch'io, altrimenti non avrei mai accettato di partecipare al ballo di stasera. Ma come mi è venuto in mente?»

«Spero che tu abbia accettato pensando che ti saresti divertita. Dopotutto è lo scopo della nostra vacanza» disse zia Edith, evidentemente dimenticando che fino ad allora non aveva parlato di altro che dell'imminente Stagione mondana e della ricerca di un marito per la nipote. «Non preoccuparti per il futuro e non nutrire aspettative eccessive nei confronti di una semplice festa da ballo.»

Gemma la guardò con aria scettica. «Senti chi parla! Scommetto che hai già deciso la seta per il mio abito da sposa e organizzato il mio viaggio di nozze a Bath.»

«Questo commento dimostra che non mi conosci bene, mia cara, perché in realtà pensavo al pizzo del tuo abito e al tuo viaggio di nozze in Italia.» La zia le sorrise con entusiasmo. «Ah, e se doveste avere una figlia, Edith Charlotte sarebbe un nome delizioso, non trovi?»