Gli ospiti arrivarono in processione, come se si fossero accordati per confluire tutti insieme a Dunnock Park. Sam li ricevette uno dopo l'altro, ma senza l'abituale attenzione perché era distratto dal pensiero di Gemma.
Non faceva altro che chiedersi che cos'avesse voluto dirgli. Qual era la novità che le premeva tanto di comunicargli? A giudicare dalla sua espressione preoccupata, non doveva essere una bella notizia. Il suo più grande timore era che dovesse rivelargli di essere promessa a un altro. Sembrava avere una particolare abilità per trovare fanciulle il cui cuore propendeva per altri uomini.
«Milord!» disse Fentum senza fiato, precipitandosi nell'atrio. Aveva risposto a una chiamata urgente della governante ed era tutto trafelato e spettinato, con i capelli brizzolati irti in testa come una cresta. «Lord Avery Hollander e Lord Bates Hollander insistevano che le camere a loro assegnate non fossero uguali. Ognuno sosteneva che la stanza dell'altro fosse più grande. Ho spiegato che erano identiche, tranne per il fatto che una era arredata sui toni dell'azzurro e l'altra era bordeaux, però i signori erano ancora scontenti. Hanno discusso a lungo su chi avesse una vista migliore dalle finestre, e alla fine mi sono preso la libertà di permettere loro di cambiare le camere.»
«Molto bene. In futuro lascia che se la vedano con me se hanno delle lamentele» disse Sam digrignando i denti. Fare capricci e dare il tormento alla servitù era un vezzo tipico dei gemelli Hollander, che lui chiamava tra sé e sé Uno e Due perché gli era difficile distinguerli, soprattutto perché in quel momento non poteva permettersi di lasciare il suo posto per occuparsi personalmente della questione. Sapeva che spesso i suoi amici puntavano i piedi per delle bazzecole solo per movimentare una situazione.
Spazientito, chiese: «Per caso hai notato se la Duchessa di Vale e sua nipote sono ancora in giardino?».
Fentum si ravviò i capelli con la mano inguantata. «Mi sembra di avere scorto un parasole mentre passavo davanti alle finestre sul retro della casa. Devo mandare una cameriera a chiedere se gradiscono qualcosa?»
«No, ci penso io.» Sam lanciò una rapida occhiata verso la portafinestra a due battenti di mogano, in fondo al lungo corridoio, da cui si usciva in giardino. Gli sembrava che fosse lontana miglia invece che alcuni passi. «Anzi, accogli gli altri ospiti e dai loro il benvenuto a mio nome, e di' che li vedrò questo pomeriggio per prendere insieme il tè in terrazza.»
Senza indugiare oltre, si allontanò e si diresse verso il giardino.
Arrivato alla portafinestra, però, si fermò vedendo due ospiti, Miss Ashbury e sua madre, Lady Tillmanshire, sedute a un tavolo in terrazza vicino a una parete coperta di clematide rampicante bianca e gialla. Non volendo attirare la loro attenzione, rimase in disparte cercando di non farsi vedere mentre perlustrava con lo sguardo l'ampio giardino in cerca di Gemma.
«Chissà quando scenderà dalla sua camera Miss Leeds. Il fatto che tardi a farsi vedere è un bene, perché mi lascia a disposizione tutto Dunnock Park» commentò Miss Ashbury, senza rendersi conto che non ci fosse solo sua madre ad ascoltarla.
Sam fece un ghigno sarcastico mentre spostava lo sguardo sulle due dame e vide che Miss Ashbury si sistemava il cappellino appuntato di sbieco sui riccioli ramati perfettamente acconciati. Gli piacevano le donne sicure e volitive, ma non apprezzava l'arroganza e la presunzione, e temeva che Miss Ashbury avesse ereditato quel tratto da sua madre, che dimostrava il suo tentativo di farsi notare con un arzigogolato cappellino.
«Meglio per te» commentò Lady Tillmanshire con la sua dizione affettata. Per essere la moglie di un commerciante che era baronessa solo da un anno, dopo che suo marito aveva acquistato il titolo, si era adattata mirabilmente all'alta società di cui imitava alla perfezione i modi altezzosi e sofisticati, e anche i vezzi del parlare. «Che la servitù veda quanto sei adatta a diventare la padrona di casa di Dunnock Park. La tua cara amica può arrangiarsi. Inoltre sicuramente in questo momento sta complottando contro di te con la matrigna, quella creatura infantile di Lady Cantham. Detesto il modo in cui stiano sempre a bisbigliare fitto fitto tra loro.»
In quel momento, però, la principale preoccupazione di Miss Ashbury sembrava essere un petalo di fiore che era finito sul tavolo e che stava allontanando verso il bordo con la punta del ventaglio per farlo cadere con un'espressione disgustata. «Ho saputo che verranno anche Miss Creighton e Miss Stapleton.»
Sua madre emise un mugugno contrariato. «Benché mi dispiaccia ammetterlo, comprendo che Miss Stapleton possa risultare interessante agli occhi di un pretendente. Non solo suo padre è ricco, ma è anche abbastanza graziosa e ha una bella carnagione, nonostante abbia le guance troppo tonde per i miei gusti. Quanto a Miss Creighton, è chiaramente un invito fatto per pietà.» Sottolineò quel giudizio schioccando la lingua contro i denti con aria di superiorità, e scosse la testa, facendo ondeggiare pericolosamente il mostruoso cappellino.
Miss Ashbury annuì. «È una fanciulla molto scialba, in effetti, e non credo che il patrimonio di suo padre sia sostanzioso.»
«Alcune ragazze sono nate per rimanere zitelle, purtroppo» sentenziò Lady Tillmanshire. «E ho sentito dire che sia anche una suffragetta, per giunta. Per fortuna non verrai mai accusata di avere opinioni così sconvenienti, e per questo potrai ambire a un partito migliore.»
«Forse anche a Lord Ellery...» insinuò la ragazza.
«Lo spero» annuì Lady Tillmanshire, prima di continuare, abbassando la voce. «Prima ci libereremo di quell'assurdo accordo stretto da tuo padre con quel barbaro di Lord Haggerty e meglio sarà per noi. Non so che cosa gli sia preso per avere pensato di unire la nostra famiglia alla sua.»
Sam si accigliò. Aveva sentito parlare del fatto che Lord Haggerty avesse avuto il permesso di corteggiare Miss Ashbury, ma Lord Tillmanshire in persona gli aveva assicurato che la questione era stata risolta. Se avesse saputo che Miss Ashbury era ancora legata da un accordo stretto con un altro uomo da suo padre non l'avrebbe mai invitata.
L'unico motivo per cui avesse preso in considerazione Miss Ashbury come sua ospite era l'interesse che professava per l'orticoltura, ma vedendo come aveva reagito con aria schizzinosa nel trovare un solo petalo sul tavolo cominciava a pensare che l'avesse ingannato anche in questo.
Accorgersi dell'ennesimo raggiro di cui era vittima lo rendeva ancora più grato a Gemma perché, in base a quello che sapeva di lei, non era tipo da dire bugie e falsità per piacergli.
Cercando d'ignorare i discorsi di madre e figlia, spostò di nuovo l'attenzione al giardino, scrutando i cespugli di rose e le aiuole di settembrini violetti per guardare in direzione della siepe di bosso.
Dopo aver perlustrato con lo sguardo tutto il giardino senza trovare Gemma, cominciò ad allarmarsi, ma cercò di tranquillizzarsi dicendosi che non sarebbe andata via senza avvertirlo.
Poi individuò un familiare ombrellino di pizzo in fondo al parco ed emise un sospiro di sollievo. Finché Gemma fosse rimasta a Dunnock Park avrebbe avuto modo di convincerla a trattenersi per la festa.
«Sì, prima è e meglio è» continuò Miss Ashbury. «Appena siamo entrate in camera la mia cameriera mi ha informata che Lord Ellery ha invitato al ricevimento un'altra ragazza e sua zia. L'ha sentito dire dai domestici che sono tutti incuriositi dal fatto che il loro padrone sembri assolutamente affascinato da questa misteriosa debuttante.»
«Non devi preoccuparti» disse Lady Tillmanshire. «Gli uomini s'incapricciano delle donne, ma si disamorano con altrettanta facilità quando compare all'orizzonte una fanciulla più interessante. Però non ho avuto notizie di questo inatteso sviluppo, perché invece la mia cameriera era impegnata a stirare gli abiti per stasera. Hai saputo il nome di questa nuova rivale?»
«No, so solo che questa donna è arrivata prima di tutte le altre ed è stata vista dirigersi verso il giardino.»
«Ah, ecco perché hai sentito il bisogno improvviso di prendere una boccata d'aria! Molto scaltra, bambina mia...»
«Credo che seguendo quel parasole troveremo la nostra preda misteriosa» disse Miss Ashbury in tono aspro e ostile.
Però Sam non prestava attenzione alle loro parole che erano diventate solo un brusio di sottofondo, come il ronzio di due api su un fiore. Era concentrato sul percorso dell'ombrellino, la cui sommità si spostava lungo il bordo della siepe. La trepidazione gli fece battere più forte il cuore, e lui si attardò per un istante per riacquistare una certa compostezza prima di uscire in giardino.
Ma non aveva ancora varcato la soglia quando la vide comparire, bellissima, scompigliata e perfettamente a suo agio in quell'ambiente. Con il cappello di paglia in mano, esponeva il viso al sole per farsi baciare dal tepore dei raggi e la sua pelle era dorata e luminosa. Non era tipo da sforzarsi di comportarsi in modo da ricevere l'approvazione altrui, ma aveva una sua eleganza fluida e aggraziata. Si fermò ad ammirare i fiori e le piante, sorridendo contenta mentre sfiorava le foglie con la punta delle dita.
Sam avvertì un fremito ai polpastrelli per il ricordo del suo tocco il giorno in cui aveva colto i fiori per regalarglieli. Aveva avvertito un desiderio irrefrenabile di baciarla, così forte da lasciarlo senza fiato. Anche in quel momento aveva voglia di dirigersi semplicemente verso di lei, prenderla tra le braccia e catturarle la bocca con la propria.
Il suo corpo rispose a quell'impulso incontrollabile; incapace di frenarsi, Sam fece un passo e uscì in terrazza. Quando la brezza fece fluttuare l'abito di mussolina giallo chiaro, incollandolo al corpo flessuoso di Gemma per qualche istante, la stoffa le accarezzò la curva dei fianchi e le mise in mostra il contorno delle cosce snelle. Sam si bloccò di colpo. Il suo cuore prese a battere forte e un intenso calore scese rapido al suo ventre mentre cercava di lottare contro l'improvvisa eccitazione che era assolutamente sconveniente mentre si trovava di giorno nel giardino pieno di ospiti. Questa volta non aveva né il cappello né un cestino da picnic da reggere davanti a sé per nascondere la prova concreta del proprio desiderio, che tendeva la patta dei pantaloni.
«Le conosci, mamma?» chiese Miss Ashbury a Lady Tillmanshire, fortunatamente ancora ignara della sua presenza.
«Uhm, la donna con l'ombrellino ha qualcosa di familiare. Se solo avessi gli occhialini... No, non è possibile!»
«Che cosa c'è?» chiese Miss Ashbury, stupita e incuriosita dalla sua improvvisa esclamazione.
«Non può essere lei, ma sembra proprio la Duchessa di Vale.»
«Bah, non è affatto grave che ci sia anche lei. Avere la sua approvazione potrebbe essere un ulteriore vantaggio per me.»
«No, non capisci, questo significa che la ragazza che è con lei è la scandalosa Miss Desmond. Lord Ellery non potrebbe mai invitare una persona dalla reputazione pessima come la sua a questa riunione di alta nobiltà.» Lady Tillmanshire emise un piccolo sbuffo carico di sdegno. «Se si venisse a sapere in società, trovarci a una festa in sua presenza danneggerebbe anche il nostro buon nome. Sarebbe una macchia sul nostro prestigio.»
Nonostante fosse distratto dalla contemplazione del corpo di Gemma, Sam mise da parte i suoi pensieri carnali in un angolo della mente e concentrò l'attenzione sulle parole che aveva sentito, soprattutto scandalosa e pessima reputazione. Immediatamente capì che il motivo del disprezzo di Lady Tillmanshire aveva a che fare con ciò che Gemma avrebbe voluto dirgli.
Fu improvvisamente invaso da un brutto presentimento. Forse aveva permesso a un impulso istintivo di annebbiare il suo discernimento?
La sua incertezza non fece altro che aumentare quando Gemma si avvicinò e uscì da dietro un cespuglio di rose. All'inizio s'illuminò in volto appena vide Sam, ma la sua espressione cambiò subito quando spostò lo sguardo verso le donne sedute al tavolino e si rabbuiò, assumendo un'aria distaccata e imperscrutabile.
«Buongiorno, Lady Tillmanshire» esordì la duchessa con un tono altezzoso e scostante che Sam non le aveva mai sentito impiegare prima di allora. Sembrava più un avvertimento che un saluto. «Miss Ashbury.»
La baronessa si alzò di scatto facendo fremere tutte le piume del cappellino, e raddrizzò le spalle, poi indirizzò un cenno imperioso alla figlia, intimandole di alzarsi. «Buongiorno a voi, Vostra Grazia.»
Senza rivolgere la parola a Gemma, Lady Tillmanshire e Miss Ashbury si girarono per andarsene, ma si bloccarono appena videro Sam fermo vicino alla portafinestra.
«Lord Ellery» lo salutò Lady Tillmanshire, mutando in fretta espressione. Non era più sdegnosa e altera, ma affascinata e melliflua, e quel rapido cambiamento fece contrarre i suoi lineamenti con un effetto quasi comico. «Vi prego di perdonarci per non esserci soffermate in terrazza ad attendere il vostro arrivo, ma mia figlia è afflitta da un'improvvisa emicrania. Forse potreste accompagnarci fino alle nostre stanze.»
Di certo quell'intrigante voleva metterlo al corrente di tutti i particolari, ma Sam voleva essere informato direttamente da Gemma.
Si girò e vide un valletto che portava un vassoio vuoto in cucina. «Barnes, ti dispiacerebbe scortare Lady Tillmanshire e Miss Ashbury nelle loro camere?»
Il domestico annuì e Sam, senza dire altro alla baronessa e a sua figlia, si avviò verso il giardino, deciso a scoprire che cosa stesse nascondendo Gemma.
La scandalosa Miss Desmond.
Gemma fu invasa dal gelo del terrore mentre spostava lo sguardo da Sam alla donna matura con l'imponente cappello, un cipiglio torvo e la dentatura da cavallo. Il panico le fece battere più forte il cuore, tanto da avere un ronzio alle orecchie che le impedì di udire quello che stava dicendo la donna. Però si accorse che Sam aveva aggrottato le sopracciglia e poi aveva spostato lo sguardo verso di lei, fissandola confuso.
In quel preciso istante capì di avere tradito la sua fiducia.
Aveva atteso troppo tempo prima di confessargli tutto. Ora qualsiasi cosa gli avesse detto avrebbe gettato un'ombra sulla loro conoscenza e lui l'avrebbe ritenuta una donna capace di reticenze e sotterfugi.
Avvertì una stretta allo stomaco al pensiero che lui potesse disprezzarla. Sam aveva tutto il diritto di voltarle le spalle e seguire le donne che avevano manifestato tanto apertamente la loro disapprovazione.
Invece l'uomo la stupì avanzando verso di lei. «Vostra Grazia, potrei parlare per un istante in privato con Miss Desmond?» chiese a zia Edith senza staccare lo sguardo da Gemma, scrutandola.
«Certo, Lord Ellery, però resterò anch'io in giardino» lo avvertì la duchessa in tono secco, per fargli capire che avrebbe vegliato sulla nipote come una leonessa che protegge la sua creatura.
Sam chinò il capo e fece un gesto in direzione del sentiero.
Si avviarono e, quando lui non aprì bocca, Gemma capì che stava aspettando che lei intavolasse il discorso. Da dove cominciare? Dalla morte di sua madre? Oppure avrebbe dovuto iniziare il suo racconto da quando suo padre aveva deciso di allontanare Gemma dall'unica famiglia che avesse conosciuto per introdurla a una vita d'inganni nel deserto? Forse avrebbe dovuto innanzitutto riferirgli di quando suo padre giocava d'azzardo, perché era stato così che aveva conosciuto degli uomini che avevano talento per le frodi e le riproduzioni false che poi rivendevano come autentici reperti antichi. Aveva conosciuto tanti di quei truffatori e avrebbe potuto fargli molti esempi.
Però, per ripulirsi la coscienza, era più importante cominciare dal proprio inganno nei confronti di Sam.
«Non intendevo rivelarvi il mio cognome» esordì sottovoce. Il suo tono era appena udibile, lieve come il fruscio della sua gonna che sfiorava il bordo di lavanda al lato del sentiero. «Il nostro incontro sulla riva del laghetto è stato tanto strano e perfetto che non volevo rovinarlo dicendovi come mi chiamassi. Come avete capito senza dubbio, il mio cognome suscita disprezzo e repulsione in tutti quelli che lo sentono.»
Sam alzò gli occhi al cielo, poi sospirò e scosse la testa. «Se non intendevate dirmelo, allora pensavate di non rivedermi più» dedusse.
«Non ero tanto presuntuosa da credere di avervi lasciato la stessa piacevole impressione che mi avevate fatto voi» dichiarò lei, benché non fosse esattamente la verità, perché aveva sperato di rivederlo, ma in quel momento le era parsa solo una fantasia, un'illusione.
«Quando sono arrivato alla locanda avete capito la verità» puntualizzò lui.
Il tono aspro lasciava trasparire tutta la sua frustrazione, e Gemma stese istintivamente la mano per poggiargliela sul braccio, ma la ritrasse subito. Era troppo tardi per quel gesto carico di familiarità. Sentiva un gran vuoto dentro di sé: aveva perso ciò che avrebbe potuto avere.
«E difatti ero sopraffatta dalla gioia nell'accorgermi che avevo torto. Però anche allora non pensavo di avere alcuna possibilità, perché il vostro interesse sarebbe scemato rapidamente una volta che aveste appreso il mio cognome.» Gemma deglutì, cercando di dominare i sensi di colpa. «Quando mia zia ci ha presentati e voi non avete ricollegato subito il mio nome mi sono sentita fortunata perché finalmente avrei potuto evitare di essere riconosciuta. Mi sono anche detta che fosse un'innocua omissione.»
«Il nome Desmond non mi era parso nuovo, tuttavia non lo conosco abbastanza da capire perché Lady Tillmanshire abbia avuto quella reazione» ammise Sam. Si fermò improvvisamente sul sentiero e si girò verso di lei, guardandola severo. «La vostra spiegazione mi sembra reticente e mi lascia sospettare mille motivi, i più disparati. Vi prego, ditemi ora se il vostro nome è collegato a un marito o a un uomo a cui siete promessa.»
Gemma batté più volte le palpebre, colta di sorpresa dalla sua ipotesi. Era quello il caso peggiore che potesse immaginare? Non aveva dedotto che le sue origini fossero riprovevoli, ma si era solo chiesto se un altro uomo potesse avanzare pretese su di lei prima che lui avesse la possibilità di farlo?
Il cuore che le martellava in petto si gonfiò per l'emozione e le suscitò nuovamente il desiderio di gettarsi tra le sue braccia. Si sforzò di mantenere l'espressione impassibile mentre dentro di sé esultava. Per evitare di reagire e dare sfogo al proprio entusiasmo, strinse forte le mani insieme. «No» rispose.
Lui rifletté per qualche istante sulla sua risposta, poi fece un respiro profondo e annuì. «Il vostro affetto è impegnato altrove?»
«No» esalò Gemma con un respiro che era un soffio tremulo, rimproverandosi perché avrebbe voluto sorridere e aggrapparsi a quel momento di confidenza e intimità, ma la terribile notizia che stava per dargli avrebbe rovinato tutto. «E non sono neanche libera di prendere in considerazione un legame.»
Si sforzò di riprendere a camminare perché restare ferma, di fronte a lui, in grado di vedere ogni sfumatura della sua espressione, le faceva desiderare di rimandare l'inevitabile. Perciò si voltò e proseguì lungo il sentiero mentre Sam si avviava al suo fianco.
«Ricordate la notizia, apparsa sui giornali londinesi, del rapimento e tentato assassinio di Miss Adeline Pimm?» Già sentire la propria voce che pronunciava quelle parole la fece rabbrividire, perché le riportò alla mente l'accaduto. Suo padre aveva ordinato a uno dei suoi uomini di mettere Miss Pimm – l'attuale Contessa di Wolford – in una cassa con un busto di marmo e buttarla nel Tamigi per farla finire sul fondo del fiume.
«Sì. Vostro cugino, Lord Wolford, prese in prestito il mio cavallo quella stessa mattina» disse Sam, aggrottando le sopracciglia come se, frugando nella memoria per recuperare il ricordo di quell'avvenimento, stesse cominciando a desumere la verità.
Gemma avvertì un nodo in gola quando l'espressione di Sam si rischiarò, come se avesse finalmente compreso, e lui la fissò con una strana espressione, che non gli aveva mai visto prima di allora e che la spiazzò, perché non poteva decifrare i suoi pensieri.
«È probabile che il vostro aiuto quel giorno abbia salvato la vita della moglie di mio cugino. Ora Adeline è una mia cara amica, e devo ringraziare voi se è ancora tra noi.»
Si rendeva conto di avvicinarsi in fretta alla fine della loro breve conoscenza e quel pensiero le faceva salire le lacrime agli occhi. Avvertiva un bruciore al bordo inferiore delle palpebre per il pianto che minacciava di sgorgare, ma fece il possibile per trattenersi perché era imperdonabile essere dispiaciuta per se stessa e ancora più riprovevole mostrare il proprio rammarico.
Perciò raddrizzò le spalle e aggiunse: «Mio padre è Albert Desmond, l'uomo che organizzò quei terribili eventi. Il nome che porto è una macchia sulla mia famiglia e, in tutta coscienza, non posso contaminare la vostra casa con la mia presenza».
Si girò per scappare, rendendosi conto che stava perdendo la battaglia per trattenere le lacrime.
Sam tuttavia non le permise di allontanarsi. L'afferrò per un braccio e la bloccò con fermezza, ma anche con un certo garbo. «Dove andate?»
Lei scosse la testa, continuando a voltargli le spalle. Non riteneva necessario dargli altre spiegazioni. Il suo destino era chiaro per chiunque conoscesse la sua storia. «Prima a prendere mia zia, poi tornerò a Banfern Glenn. E da lì... non lo so.»
Lui non la lasciò andare, si avvicinò e le mise entrambe le mani sulle spalle. Il calore e la pressione rassicurante di quel contatto ruppero le dighe che trattenevano le sue lacrime. Un pianto copioso le sgorgò dagli occhi scivolando giù fino al corpetto, punteggiandolo di piccole gocce.
«Vi prego, Sam, lasciatemi.»
«Non posso» replicò lui sommessamente. «Per vostra stessa ammissione non potete sfuggire alla macchia che contamina il vostro cognome, perciò a che servirebbe scappare ora? Tanto vale restare qui.»
«Restare?» Se non fosse stata tanto affranta avrebbe riso. Gemma si asciugò le lacrime. «Il vostro nome è a repentaglio a causa del mio sciocco inganno ai vostri danni.»
«Quale inganno?» Fu Sam a ridere, ora. La sua risata calda e roca le fece provare la tentazione di appoggiarsi contro il suo busto per percepire meglio le vibrazioni di quel suono. «Avevate forse intenzione di sposarmi per cambiare nome?»
Gemma non poteva rispondergli perché in effetti per un breve istante ci aveva pensato. A dire la verità, l'idea di sposarlo le era venuta in mente più di una volta, perché era convinta che, più di chiunque altro, lui fosse la persona in grado di perdonarla per tale imbroglio.
«Con il vostro silenzio m'inducete a chiedermi se non vi sia davvero passato per la mente» insistette lui, con voce esitante.
«È stato un pensiero fugace» ammise lei. «Ma non avrei mai provato a realizzare il mio intento» si affrettò a precisare.
«Perché no?» Sam sembrava quasi offeso.
Perché tengo già troppo a voi, ammise Gemma tra sé e sé, chiudendo gli occhi.
«Non ho sentito bene. Che cos'avete detto? Parlate più forte» la incalzò lui.
Gemma aprì gli occhi di scatto. Aveva espresso quel pensiero ad alta voce? Dopo tutti gli anni in cui era stata accorta a non lasciar trasparire i propri sentimenti e pensieri, era l'occasione peggiore in cui perdere il controllo!
Imbarazzata, si schiarì la voce con un colpetto di tosse per riprendersi, lieta che lui non avesse sentito. «Perché meritate una persona migliore di me.»
«Preferivo la vostra prima risposta. Però forse anche quella confessione faceva parte del vostro piano» disse, più pensoso che arrabbiato per quel sospetto. «Il che significa che già quando eravamo in riva al lago avevate intenzione di catturarmi, attirandomi con il vostro spirito arguto e mostrandomi le gambe.»
Gemma arrossì. Le ultime lacrime scottavano sulle guance accaldate. Cercò di divincolarsi dalla sua stretta, ma la sua apparente delicatezza nascondeva una presa ferrea che non le permise di muoversi. «Non dovreste ricordarmi di avermi vista discinta.»
«Avete ragione» replicò lui serio, muovendo i pollici sulle sue spalle in lenti cerchi dall'effetto ipnotico. «Non ne parlerò, ma ci penserò sicuramente, e con grande apprezzamento per lo spettacolo sublime che mi avete offerto.»
«Se state cercando di farmi ridere vi avverto che non funziona.»
«Oh, io credo di sì, invece. Dopotutto sono riuscito già a farvi sorridere, no?»
La fece voltare ed ebbe la prova che aveva ragione perché lei lo guardava con le labbra incurvate all'insù. Sam aveva la capacità di placare all'istante il suo turbamento, rassicurarla e mettere a tacere i suoi pensieri più cupi.
Ma aveva il diritto di provare anche un briciolo di felicità con lui?
Tornò subito seria. «Vi chiedo scusa per avervi ingannato.»
Lui scosse la testa e la guardò con tenerezza, mettendole una mano sotto il mento per farle alzare il volto. Poi prese un fazzoletto dal taschino della giacca e le tamponò con cura le ultime tracce di pianto sulle gote.
«Gemma, non conosco nessuno che si presenti elencando i peccati e i misfatti della sua famiglia. Se fosse usanza comune le persone avrebbero un tale timore di fare nuove conoscenze che non uscirebbero più di casa.»
«Non è una giustificazione valida. A causa della mia presenza a Dunnock Park, il vostro buon nome potrebbe essere messo in discussione.»
Lui la guardò negli occhi. «È questo che avete subito dopo il vostro arrivo a Londra? Siete stata oggetto di pettegolezzi e allontanata?» La sua espressione s'indurì per la disapprovazione. «Non succederà più, non qui, almeno.»
Gemma era sicura di aver capito male. «Quindi volete ancora che resti?»
«Ma certo» dichiarò Sam, come se la questione non fosse mai stata messa in discussione.
Gemma era sbalordita dalla facilità con cui l'aveva accettata e dalla sua prontezza nel difenderla, oltre a essere affascinata dalla sua sicurezza. Il peso che le gravava sulle spalle da mesi si sollevò, seppure di poco, facendola sentire più leggera e piena di speranza.
«Non sapete nulla di me, come potete ritenermi priva di colpe, specialmente dopo quello che vi ho detto?»
«Molti sono stati coinvolti in atti deprecabili di qualche genere, ma questo non li rende colpevoli» dichiarò Sam avvicinandosi. «Se un soffione perde i suoi semi perché è investito dal vento durante una bufera, è forse colpa sua se resta nudo?»
Gemma non riusciva a respirare. Appena lui la toccava, avvertiva un legame improvviso che si stabiliva tra loro, come se fossero uniti mentalmente e fisicamente da un fremito che la induceva a desiderare di avvicinarsi ancora di più. La trepidazione era come un tentacolo che le avvolgeva il cuore stringendolo sempre di più e l'attirava inesorabile verso di lui.
Istintivamente vacillò e, in cerca di un punto di riferimento che le restituisse la stabilità, gli prese la mano e se la posò sulla guancia. Non le venne neppure in mente che fosse un gesto intimo e troppo confidenziale, considerato che erano in giardino in pieno giorno, e che oltretutto lei era una debuttante priva di accompagnatrice in quel momento, e lui un visconte che cercava moglie. Tutto ciò che sapeva era che le sembrava giusto, perfetto, trovarsi lì con lui.
Sam abbassò lo sguardo verso la sua bocca e le accarezzò delicatamente con il polpastrello del pollice il punto sensibile tra il mento e la curva del labbro inferiore, tumido e fremente come se anelasse ai suoi baci. Se avesse saputo prima quanto fosse bello stargli vicino, Gemma avrebbe davvero cercato uno stratagemma per farsi invitare alla sua festa e finire nell'elenco delle sue potenziali spose.
«Ora più che mai sento di avere il dovere di aiutarvi a portare a termine il progetto che avete fatto con vostra zia» disse Sam a bassa voce.
«Quello di sposarvi?» trasecolò lei. Sussultò, chiedendosi se avesse di nuovo espresso i suoi pensieri ad alta voce. Quando si accorse che era proprio così, avvampò violentemente e lasciò ricadere il braccio lungo in fianco, poi fece un passo indietro. «Ma era solo un'idea fugace e non... non intendevo...» farfugliò.
Il suo balbettio imbarazzato si arrestò quando lui le sorrise sornione, con un luccichio divertito nello sguardo che le fece palpitare il cuore.
«Forse parlavo della vostra intenzione di godere al massimo della vostra vacanza» insinuò Sam, ironico.
«Ah, sì, certo» mormorò lei mortificata. Spostò il peso del corpo da un piede all'altro, sospettando che le sue gote ora fossero diventate paonazze. «Però c'è un aspetto che non avete preso in considerazione. Ospitando la figlia di Albert Desmond in casa vostra, probabilmente avete compromesso in maniera irreparabile ogni possibilità di trovare moglie tra le invitate.»
Lui spostò rapido lo sguardo verso suo padre che, davanti al cottage del giardiniere in fondo al pendio, stava potando un cespuglio di ginepro per dargli una perfetta forma conica. «È un rischio che sono disposto a correre.»
Gemma non poteva fare altro che sperare che non dovesse pentirsi della decisione.