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«Abbiamo ricevuto tantissimi inviti questa settimana, mia cara. Non so quali accettare per primi» disse zia Edith, nella sua camera nella villa padronale. Come sempre, la sua chioma argentea era perfettamente acconciata. Era reclinata sul letto in mezzo a una profusione di cuscini che le permetteva di adottare una posa ideale.

Gemma guardò in corridoio dalla porta aperta quando sentì un rumore di passi. Immediatamente il cuore le accelerò i battiti, che sentiva pulsare ai polsi e alla base della gola; era emozionata al pensiero di rivedere Sam.

Quando si accorse che era solo un valletto, tornò a voltarsi verso la zia con un gran senso di vuoto che peggiorò quando fissò la pila di lettere sul comodino.

Era sciocco sentirsi tanto avvilita, lo sapeva. Dopotutto avrebbe dovuto essere contenta dell'arrivo di decine di lettere negli ultimi giorni. Ognuno dei mittenti esprimeva un fervido desiderio di ricevere una visita da zia Edith e anche da lei. Sembrava proprio che fosse destinata a smettere di preoccuparsi per la propria reputazione.

Sapeva che era tutto merito di Sam. Solo lui avrebbe potuto avere la sensibilità di assicurare che la sua vita cambiasse in meglio prima della sua partenza da Dunnock Park.

Avrebbe dovuto essere piena di entusiasmo. Finalmente avrebbe potuto smettere di essere un peso per i suoi parenti e fare un passo avanti verso la vita tranquilla che aveva sempre desiderato.

«Però forse sarebbe meglio andare a stare con Ivy e Northcliff, in modo da essere presenti quando nascerà la creatura» continuò zia Edith. «Poi, all'inizio della prossima primavera, potremmo recarci da Liam e Adeline per il loro primo figlio. Fra i tuoi cugini, rischiamo di essere affaticate per tutto il viaggiare e immerse fino al collo in mezzo ai bambini piccoli.» Fece una risatina affettuosa mentre sfogliava le varie lettere, passando da una all'altra, senza accorgersi che il mondo aveva improvvisamente smesso di girare per Gemma. «Oh, e la mia cara amica Lady Cosgrove ha scritto una lettera deliziosa.» Fece una pausa, poi lesse la missiva ad alta voce: «Sono estremamente lieta di riferirvi che Lilah è in stato interessante ed è radiosa. Quanto a suo marito, non riconoscereste Jack. Pur essendo normalmente feroce come un leone, con lei è mansueto come un agnellino e sta assumendo alla perfezione il suo nuovo ruolo di Visconte Locke».

«Sono contenta per loro» disse distrattamente Gemma. «Ogni volta che ho parlato con Lilah, è sempre stata gentilissima con me. Mi ha anche aiutata a finire di dipingere il murale nella nursery di Ivy.»

Zia Edith si alzò a sedere con la schiena dritta e sollevò un dito. «Mi è venuta in mente una cosa. Mi sembra di ricordare che fosse proprio Lilah la fanciulla che Lord Ellery aveva corteggiato all'inizio della scorsa Stagione mondana, però credo che il suo cuore fosse già impegnato. Ma forse lui non era troppo preso da lei, perché altrimenti credo che sarebbe stato troppo dispiaciuto per continuare a cercare moglie e organizzare questa festa. Gli uomini tendono a diventare cupi e solitari quando vengono feriti nei sentimenti.»

Gemma ricordò quello che aveva detto Lady Russford del fatto che Sam fosse stato respinto, e avvertì una fitta di gelosia al pensiero che Lilah avesse attirato l'attenzione di Sam. «Credo che, per natura, possa riprendersi con facilità da una delusione d'amore. La prossima Stagione mondana sicuramente ci sarà un'altra debuttante a catturare il suo interesse.»

La prova lampante era il fatto che si era mantenuto a distanza da lei, come se tra loro non ci fosse mai stato niente. Non si parlavano da tre giorni, da quando lui l'aveva accusata di vedere solo porte chiuse davanti a sé. A ripensarci, era un commento che le sembrava ironico, considerando con quanta fermezza le avesse chiuso la porta in faccia. Per lei non era stato facile attraversare il giardino per andare dalla dépendance alla villa. Ogni volta che era venuta a trovare la zia era sempre stata agitata al pensiero di rivederlo e di quello che gli avrebbe detto. Però durante ogni sua visita lui era stato assente. Molto comodo per evitare il confronto...

La mortificazione aumentò ancora dentro di lei, stringendole il cuore.

Zia Edith scosse la testa. «Sembrerebbe che la sua natura, come la definisci tu, sia mutata perché proprio stamattina ho saputo da Lady Russford che suo figlio ha rinunciato definitivamente a cercare moglie. Lord Stapleton e Miss Stapleton sono ripartiti stamane, e anche le due Creighton. È un vero peccato, perché Lord Ellery sarebbe stato un eccellente marito.»

Gemma deglutì per sciogliere il nodo in gola che si era formato per l'emozione. «Il migliore» mormorò.

«Oh, guarda» continuò zia Edith, tornando alla lettura delle missive. «Lady Cosgrove ha aggiunto una notizia interessante su Juliet. Anche se lei e Lord Thayne sono ancora in luna di miele, hanno chiesto a Zinnia e a Marjorie Harwick di sovrintendere alla consegna di una cassa piuttosto voluminosa nella loro biblioteca. E sai che cosa c'era dentro? Una chaise longue di velluto rosso. Per quale motivo credi che abbiano bisogno di aggiungere un mobile tanto insolito in quella stanza? È strano, non trovi?»

Ma Gemma non prestava attenzione al commento della zia perché fissava un invito che aveva in mano. «Lord Ellery ha fatto tanti sforzi solo perché potessi andare via» mormorò.

«Oh, mia cara nipote!» Stropicciando i fogli che aveva sparsi in grembo, zia Edith si protese verso di lei e le prese la mano. «Non pensi che sia possibile il contrario, cioè che volesse facilitare la tua permanenza?»

«Se fosse vero, allora uno di questi inviti avrebbe dovuto essere il suo.» O, almeno, sarebbe andato a trovarla. Invece la tormentava con la sua assenza e ogni sera le lasciava un bocciolo di caprifoglio sul cuscino nella sua camera nella dépendance. Non aveva idea di come facesse a entrare e uscire indisturbato, senza farsi notare, ma quel fiore era comunque un simbolo che le ricordava con crudeltà ciò che avrebbe potuto avere se la situazione fosse stata diversa. «Non che importi, alla fine» aggiunse scuotendo la testa.

«Perché ne sei convinta?»

«Perché appena tornerà mio padre o verrà arrestato per qualche truffa in chissà quale angolo del mondo, allora tutto questo non sarà valso a nulla. Il nome Desmond finirà di nuovo nel fango insieme a tutti coloro che lo portano.»

Zia Edith rimase in silenzio durante lo sfogo angosciato di Gemma, fissando la nipote con l'espressione pensosa e scrutatrice. «È incredibile che non l'abbia mai notato prima d'ora, ma tua madre, che riposi in pace, aveva la stessa reazione quando era spaventata. Quando ho sposato suo fratello era ancora una scolaretta. Spesso, durante le mie visite, inventava storie terrificanti di mostri in agguato sotto il letto o nell'armadio. Credevo che volesse solo farmi paura o dimostrarmi le sue doti drammatiche. Solo in seguito mi sono resa conto che immaginare catastrofi era un modo per proteggersi dai veri pericoli che potevano acquattarsi nell'ombra. Era il suo modo di farsi coraggio per affrontare ogni eventualità, anche le più sgradevoli.»

Nonostante Gemma avesse apprezzato quell'aneddoto, non le piaceva il concetto che la zia stava esprimendo. «Però io non immagino nulla!» protestò. «So per certo che sarà così quando tornerà mio padre.»

Zia Edith sospirò, poi riprese, in tono indulgente: «Cara, non ne ha alcuna intenzione. Non tornerà mai più».

«Perdonami, zia, ma non puoi esserne sicura. Ha sempre fatto ciò che voleva senza curarsi degli altri» replicò Gemma in tono aspro.

«Esattamente.» Zia Edith posò lo sguardo sulla collana di corallo di Gemma. «Quella collana era di tua madre. L'ho custodita a lungo, in attesa del momento giusto.»

«Ma come l'hai trovata?» le chiese Gemma toccandola come se si aspettasse di vederla scomparire, quasi fosse un miraggio.

«Tuo padre la vendette poco dopo la morte di tua madre.» Zia Edith serrò le labbra per un istante. «Fortunatamente il gioielliere di Londra riconobbe il fermaglio particolare e m'inviò una lettera per avvertirmi. L'acquistai e da allora l'ho tenuta da parte per te. Tua madre avrebbe voluto che l'avessi tu, come tutti gli altri gioielli che possedeva.»

Gemma inspirò, tremante, facendosi coraggio per quello che stava per dire. «Ma ho perso... ho venduto tutto in un mercato. È stata un'esperienza terribile e non mi perdonerò mai per averlo fatto.»

«Non è possibile, mia cara. Tuo padre aveva venduto tutti i gioielli di tua madre prima di portarti via con sé e lasciare Londra. Poi cercò di nascondere il suo misfatto sostituendoli con delle copie fatte di pietre di vetro e di ottone al posto dell'oro.»

Gemma la guardò sbalordita. Per tutti quegli anni il ricordo di avere venduto i gioielli di sua madre al mercato l'aveva tormentata. «Quindi non erano suoi?»

Zia Edith scosse la testa e le sfiorò una guancia per consolarla. «Se avessi saputo che credevi di aver venduto i suoi gioielli te l'avrei detto molto prima. Ammetto di avere anch'io le mie colpe. Per anni ho permesso che tuo padre mi spillasse denaro con la minaccia d'impedirmi ogni contatto con te se non l'avessi pagato. Invece avrei dovuto oppormi e chiedere aiuto a qualcuno per trovarti.»

«Come avresti saputo dove cercarmi? Non ci fermavamo mai nello stesso posto per più di una settimana» disse Gemma con aria distratta, perché un altro pensiero occupava la sua mente. Si era sempre chiesta perché le fosse stato concesso di scrivere alla zia. Il padre controllava sempre accuratamente che non le raccontasse mai dei suoi affari nelle proprie lettere e la minacciava spesso di troncare ogni rapporto epistolare con la zia se avesse accennato alle sue truffe. Ora sapeva che aveva minacciato anche la donna. «Perché pensi che alla fine mi abbia riportata a Londra?»

«Quando hai compiuto vent'anni ho smesso di pagarlo, sperando che venisse a chiedermi soldi di persona e ti riportasse a Londra. Sapevo che era un rischio, ma dovevo fare qualcosa. Nelle tue lettere mi sembravi tanto sola e triste.»

Improvvisamente Gemma capì che era vero quello che sosteneva sua zia: suo padre non sarebbe più tornato, perché per lui non sarebbe più stato vantaggioso.

Però, a dire il vero, l'aveva sempre sospettato. Già da anni aveva accettato il fatto che suo padre non le avesse mai voluto bene. Era molto più interessato ai soldi e ai suoi imbrogli che alla figlia.

Era strano che quella conferma non l'avesse turbata più di tanto. Anzi, a dire il vero era liberatoria. Fece un respiro profondo e pensò che quel momento era, come aveva detto Lady Russford, un punto in una lunga fila di ricami.

«Hai ragione, mi sentivo sola.» Si alzò dalla poltroncina accanto al letto e si chinò ad abbracciare la zia, dandole un bacio su una guancia. «E sono contenta che tu abbia preso quella decisione.»

Guardandosi allo specchio, Gemma toccò la collana. Le sembrava che sua madre fosse lì con lei. Quel suo ricordo per un momento le permise di vedere la sua immagine come un fantasma, una visione eterea.

«E la mamma aveva anche l'abitudine di coprirsi la bocca con la mano quando rideva?»

La zia sorrise nostalgica e si asciugò gli occhi lucidi. «Oh, sì! L'avevo dimenticato. Aveva un dente scheggiato in un angolo. Non si vedeva affatto, in realtà. Non credo che si rendesse conto di quanto fosse bella. Le assomigli anche in questa caratteristica, anche se c'è un certo visconte che è assolutamente consapevole della tua modestia, ma anche del tuo splendore.»

Insicura, Gemma rifletté sulle sue parole. «Credi davvero che io immagini il peggio per proteggermi dalle delusioni?»

Zia Edith non disse niente, ma le diede dei colpetti alla mano.

Che strano, pensò Gemma. Di solito si riteneva brava a decifrare le persone, ma non aveva mai creduto di nascondere lei stessa una caratteristica tanto evidente. «In verità, non sono certa se mi spaventi di più immaginare il peggio o sperare che invece accada il meglio.»

«Be', credo che finora tu abbia avuto più che abbastanza della tua dose di pessimismo, ed è ora che provi a vivere vedendo tutto con maggiore ottimismo.» Zia Edith scostò il copriletto e si alzò. «Improvvisamente mi sento molto meglio. Che ne dici, cara, devo ordinare la carrozza o preferisci restare qui?»

Agitato e impaziente, Sam era sulla riva del laghetto e si stava chiedendo se fosse possibile morire di trepidazione. Non parlava con Gemma da tre giorni.

Erano trascorsi tre giorni da quando l'aveva toccata e baciata l'ultima volta, da quando aveva messo in moto un piano per darle la possibilità di avere la vita che voleva. L'unico problema era che non sapeva se Gemma volesse lui. E l'attesa lo stava uccidendo.

Aveva capito che non gli piaceva affatto essere innamorato. L'amore era un sentimento devastante che straziava il cuore provocandogli una fitta a ogni battito, e gli faceva bruciare i polmoni a ogni respiro.

Prima, quando aveva corteggiato Lilah, aveva immaginato che l'amore tra loro potesse crescere a poco a poco, considerato quante cose avessero in comune. Aveva pensato che sarebbe stato serenamente appagato dalla propria vita. Invece quello che provava ora era completamente diverso.

Se pensava a Gemma non gli si prospettava un futuro di tranquillità e piacevoli conversazioni. Poteva vedere una lunga vita di felicità, giorno dopo giorno, ora dopo ora. Immaginava di vedere il suo viso ogni mattina al risveglio e di darle il bacio della buonanotte ogni sera. Poteva raffigurarsi le loro mani unite, con le dita intrecciate, mentre contemplavano il loro primogenito nella culla. Immaginava il sorriso di Gemma che cambiava nel corso degli anni, con qualche ruga in più e dei fili d'argento tra i capelli. E voleva tutto ciò, ne aveva bisogno. Sì, aveva bisogno di passare tutta la vita con lei, e sapeva che nessuna donna avrebbe mai potuto reggere il confronto.

Però era anche consapevole del fatto che non poteva costringerla ad avere le stesse aspirazioni. Non poteva obbligarla a scegliere di vivere con lui per sempre né ad amarlo.

Si accorse di aver perso ogni interesse per la pesca, perciò poggiò a terra la canna con la lenza che sprofondava nell'acqua. Rimase fermo a fissare la superficie scintillante dell'acqua e si portò una mano al cuore per massaggiarlo, nel tentativo di acquietare il dolore che lo affliggeva. Non sapeva come porvi rimedio; gli sarebbe piaciuto veder comparire improvvisamente la soluzione così com'era comparsa Gemma sulla riva del lago il primo giorno.

Mentre ripercorreva quel ricordo con la mente, notò un movimento con la coda dell'occhio e vide la canna da pesca che cominciava a scivolare in avanti verso la riva. No, non si muoveva spontaneamente, veniva tirata.

L'afferrò in fretta stringendo forte il manico di sughero e indietreggiò tirando fuori dall'acqua la lenza con uno slancio, ma venne strattonato verso la riva. Quale che fosse il pesce che aveva abboccato all'amo, non avrebbe ceduto tanto facilmente. Sam piantò i talloni in mezzo all'erba e al terreno morbido, deciso a dare battaglia.

Per un buon quarto d'ora la bestia titanica si oppose strenuamente ai tentativi di Sam di catturarla, trascinandolo sempre di più verso l'acqua. Poi, dopo un ultimo strattone, il mostro emerse in tutta la sua lunghezza ragguardevole, dibattendosi, con le scaglie verdazzurre che rilucevano al sole.

Era lui, Mr. Luccio.

Sam non credeva ai propri occhi. Per anni quel pesce era sfuggito a tutti i suoi tentativi di cattura, schivando astutamente l'amo. Quello era il momento che aveva tanto atteso.

«Ah, ti ho acciuffato finalmente!» esclamò Sam, tirandolo a riva.

Tuttavia, quando guardò gli occhi del luccio non provò alcuna soddisfazione. Pensò solo che avrebbe voluto che Gemma fosse lì con lui, a far riecheggiare la sua risata argentina sulle acque del laghetto.

«Purtroppo, amico mio, avrei preferito prendere all'amo lei» commentò con tristezza.

Attento ai suoi dentini aguzzi, Sam tolse l'amo e ributtò in acqua il luccio. Il pesce rimase fermo per qualche istante nell'acqua poco profonda vicino alla riva, guardando Sam come se anche lui fosse deluso da quella fine ingloriosa della loro battaglia.

Poi diede un colpo di coda beffardo e si allontanò pinneggiando fiero, come per provocare Sam e sfidarlo a tentare di riagguantarlo. Invece Sam avvolse la lenza e posò sull'erba la canna da pesca. Quando raddrizzò la schiena, però, vide qualcosa muoversi sull'altra riva.

Si girò e scorse Gemma dall'altra parte del laghetto, con un abito di mussolina rosa. Sam batté più volte le palpebre, come se fosse convinto che si trattasse di un miraggio.

«Era l'inafferrabile Mr. Luccio?» gli chiese lei guardandolo incerta e guardinga. La sua voce dolce gli giunse da sopra la superficie dell'acqua.

«Proprio lui.» Immobile, Sam non riusciva a distogliere lo sguardo, temendo di avere un'allucinazione e di vederla scomparire. Se era un sogno, non desiderava più svegliarsi.

Gemma raccolse l'orlo della gonna e si avviò lungo la riva per avvicinarsi. «Quando ero piccola, una volta ho conosciuto un giocatore d'azzardo che portava al collo un ciondolo fatto con un dente di luccio. Era convinto che gli portasse fortuna e diceva che il luccio avrebbe esaudito il desiderio espresso da chi l'avesse preso e poi liberato.»

Sam poteva crederci, ma dipendeva da come fossero andati i minuti seguenti. «Allora ho fatto bene a ributtarlo in acqua.»

«Avete fatto bene a prescindere dal desiderio.» Gemma gli sorrise mentre camminava facendo attenzione a destreggiarsi fra le pietre e l'erba alta lungo il sentiero. «Immagino che il luccio vi sia grato per essere stato liberato. Anch'io non desideravo altro. Per anni la libertà mi è parsa più sfuggente del vostro luccio.» Si fermò e lo guardò negli occhi. «Grazie a voi, ora sono libera di vivere come desidero senza che la mia famiglia debba subire ripercussioni.»

Era quello il motivo per cui si trovava lì? In tal caso, quella gratitudine gli ricordava che, se fosse andata via, sarebbe stata solo colpa sua.

Se Gemma non avesse avuto altra scelta, avrebbe potuto sposarlo, se non altro per salvare la propria reputazione. Ma Sam voleva di più da lei... e per lei. Voleva renderla felice ogni giorno della vita trascorso insieme a lui. Ma, soprattutto, voleva che il cuore di Gemma si aprisse all'amore in modo che lui lo riempisse ogni giorno con i propri sentimenti.

«Però poi mi sono resa conto che, se avessi potuto scegliere dove vivere, non sarei riuscita a immaginare un posto migliore di Dunnock Park» continuò lei, facendo qualche passo timido verso di lui.

Il cuore di Sam batteva più rapido e, a ogni battito, percuoteva il guscio delle sue incertezze, incrinandolo, però lui gli impose di non sperare troppo. Dopotutto era possibile che Gemma fosse venuta lì solo per dirgli addio, ma volesse indorare la pillola facendo dei complimenti alla sua tenuta.

No, forse era un'ipotesi ridicola, ma Sam si rifiutava di dare per scontato che Gemma lo amasse prima che lei gliel'avesse detto in modo esplicito.

«C'è un bel panorama, lo ammetto» disse lui allargando il braccio per indicare con studiata disinvoltura il paesaggio mentre si avviava verso di lei. Facendo un incredibile sfoggio di pazienza, si sforzò di non affrettare il passo.

Lei si accigliò come se non si fosse aspettata quella risposta. «Be', sì... E sarebbe troppo audace chiedervi di poter abitare in un piccolo cottage sulla riva del lago in mezzo ai cespugli di caprifoglio?»

«Piuttosto audace» osservò lui, pensoso. «Specialmente se voleste che lo costruissi io. Dopotutto ci vorrebbero mesi, forse anche anni, per erigere un'abitazione dignitosa. Nel frattempo dove vivreste?»

«Io...» Gemma deglutì. «Magari nelle vicinanze, spererei.»

Era tanto cauta e circospetta che Sam sentiva d'impazzire. Temeva di morire veramente per l'ansia prima di raggiungerla. «Ma se non doveste più preoccuparvi del vostro buon nome e poteste vivere dovunque voleste, perché mai dovreste desiderare di abitare vicino a Dunnock Park?»

«Perché il mio cuore è qui» disse lei senza fiato, mentre lo fissava con intensità.

L'aria vibrava di trepidazione, e anche Sam si accorse di avere difficoltà a respirare. «In senso filosofico o sentimentale?»

«Il problema d'innamorarsi è che non si riesce più a immaginare la propria vita senza la persona amata» ammise Gemma.

«Perdonatemi, non ho afferrato» disse Sam, trattenendo a stento la gioia. «La brezza deve aver portato con sé le vostre parole, impedendomi di udirle.»

Lei scosse la testa, poi serrò le labbra per qualche istante, come per evitare di ricambiare il sorriso estatico di Sam, ma la felicità che le faceva risplendere gli occhi la tradì. «Vi amo.»

«Oh, Gemma, per favore, possiamo darci del tu?» ribatté lui, trepidante.

«Ma certo... Sam.»

«Allora, ti prego, riprovaci e dimmelo di nuovo. Puoi fare di meglio, lo sento.»

Gemma non esitò a obbedire. «Ti amo.»

Trionfante, Sam scoppiò in una risata gioiosa mentre faceva gli ultimi passi per colmare la distanza che li separava, liberandosi definitivamente da ogni dubbio. Poi le prese le mani. «Mi sembra di avere aspettato un'eternità a sentirtelo dire. Ho capito di amarti il primo giorno che ci siamo visti. Ho saputo subito che il tuo posto sarebbe stato qui con me.»

Lei gli sorrise contenta. «Devo farti una confessione. L'ho capito subito anch'io. Ormai lo so da qualche tempo, per l'esattezza dal primo giorno in cui ho avuto l'impulso di gettarti le braccia al collo e stringerti forte a me.»

Non sarebbe stata una cattiva idea. «Fammi vedere che cos'avresti voluto fare...»

Senza esitare, Gemma lo abbracciò di slancio e cominciò a tempestargli il viso di baci. «Forse sarebbe stato troppo audace per un primo incontro, però» commentò.

«Credo che tua zia avrebbe brandito il suo famigerato parasole per separarci» osservò Sam prima di catturarle la bocca con la propria, stringendola forte, avido delle sensazioni che gli provocava il corpo di Gemma.

Dalle labbra della giovane sfuggì una risatina. «Invece no, avrebbe chiamato subito la carrozza per portarci difilato verso la chiesa più vicina per farci sposare, sorridendo soddisfatta.»

«La chiesa più vicina è a Banfern Glenn» disse Sam, scostandosi leggermente per scrutare l'espressione di Gemma. L'ultima volta che aveva accennato alle nozze non aveva ricevuto la reazione sperata.

Lei arricciò le labbra con aria pensosa, provocandolo con il suo broncio sensuale. «È così vicina! In pratica, ci si potrebbe sposare in qualsiasi momento dopo avere fatto le pubblicazioni o...»

«Oppure acquistare una licenza speciale e sposarsi subito.» Sam si accorse che lei aveva sussultato impercettibilmente, ma la sua espressione non gli rivelava che cosa stesse pensando.

«Mmh, devi essere sicuro dei sentimenti della sposa per sapere che sarebbe d'accordo a un matrimonio tanto precipitoso.»

Si stava divertendo a tenerlo sulle spine? Per renderle la pariglia, la stuzzicò a sua volta strofinando le labbra sulle sue prima di darle un piccolo bacio a ogni angolo della bocca rivolto all'insù. Sentendola tremare, fu incitato a continuare.

«Potrei cercare di allettarla per convincerla a dirmi di sì.»

«Magari con baci ardenti e abbracci passionali?» gli suggerì lei, dandogli dei piccoli baci che lo indussero a chiedersi chi dei due stesse seducendo l'altro. «Se lei ti amasse davvero, però, l'unica lusinga di cui avrebbe bisogno sarebbe quella di sapere che sei suo.»

Tanto per ribadire il concetto, Sam la baciò di nuovo con trasporto. Durante quell'assalto appassionato, si abbassò lentamente fino a stendersi con lei sull'erba fresca, avvolti dal profumo dolce del caprifoglio.

«Sono tuo, Gemma, e, cosa ancora più importante, tu sei mia.»

«Per pura coincidenza, il tuo copriletto nuziale è stato terminato proprio stamattina» lo informò lei accarezzandogli i capelli tra un bacio e l'altro, distesa quasi sotto di lui. «Ho dato l'ultimo punto personalmente.»

Sam le diede un altro bacio lento e sensuale, immaginando Gemma avvinghiata a lui con passione sotto quel copriletto. Le accarezzò la vita, quindi fece scivolare la mano verso la curva del fianco, infine sollevò la testa e le strizzò l'occhio. «Allora credo che sia giunto il momento di trovare moglie.»

Lei serrò leggermente le palpebre guardandolo con una scherzosa aria ammonitrice. «Sapevi che c'è un'antica usanza a Dunnock Park secondo cui devi chiedere la mano della donna che cuce l'ultimo punto del copriletto del tuo corredo nuziale?»

«Non mi sembra di averla mai sentita» disse Sam, con la ferma intenzione di chiederle di sposarlo dopo averle dato un ultimo bacio. La parte migliore di quella situazione era sapere che lei gli avrebbe detto di sì. «E a quando risale questa tradizione, esattamente?»

Lei gli sorrise, con le labbra sulle sue. «A qualche secondo fa...»