Il giovane innamorato
Questa storia accadde al tempo di sant’Ilarione. A Gaza, città natale di questo santo, viveva una coppia di coniugi semplici e pii, che il Signore aveva benedetto dando loro una figlia saggia e assai bella. La tenera fanciulla crebbe in umiltà e timor di Dio, per la gioia di tutti, istruita dai genitori in ogni cosa buona, e nella sua casta leggiadria era soave a vedersi come un angelo di Dio. Intorno alla sua bianca fronte ondeggiavano capelli bruni e lucenti, gli occhi modestamente abbassati erano ombreggiati da lunghe ciglia di un nero vellutato, e incedeva sui delicati piedini snella e leggera come le gazzelle tra le palme. Non aveva occhi per gli uomini, giacché nel suo quattordicesimo anno di età, colpita da una mortale malattia, era stata destinata dai genitori a esser sposa di Dio, qualora si fosse salvata, e Dio aveva accolto questa loro offerta. Di questa pura fanciulla si innamorò un giovane che viveva nella stessa città. Anch’egli era bello e ben fatto, figlio di ricchi genitori che lo avevano educato e istruito con ogni cura. Ma da quando si era innamorato della bella fanciulla, non faceva altro che cercare ogni occasione per vederla, e allora restava come in estasi e contemplava quella giovinetta di sì belle doti con sguardi pieni di desiderio. E se un giorno non poteva vederla, vagava pallido e cupo, non riusciva a prender cibo e passava ore a sospirare e a lamentarsi. Il giovane aveva ricevuto una buona educazione cristiana ed era di indole dolce e pia, ma adesso questa violenta passione si era totalmente impadronita della sua anima. Non riusciva più a pregare e, anziché a cose sante, pensava unicamente ai lunghi capelli neri della vergine, ai suoi begli occhi tranquilli, al colore e al contorno delle guance e delle labbra, al suo collo candido e sottile e ai suoi svelti piedini. Ma si asteneva dal manifestarle il suo grande amore e desiderio; infatti sapeva bene che lei era risoluta a non prendere nessuno per marito e non portava in sé altro amore se non per Dio e per i propri genitori. Alla fine, poiché si struggeva dal desiderio, le scrisse una lunga lettera supplichevole, nella quale le esprimeva il suo ardente amore e la pregava fervidamente di accettarlo e di unirsi con lui un giorno in un matrimonio felice e grato a Dio. Profumò questo scritto con una preziosa polvere persiana, lo legò con un nastro di seta e di nascosto lo mandò alla vergine tramite una vecchia serva. Quando ella lesse le sue parole, si fece rossa come lo scarlatto. Nel primo turbamento fu tentata di strappare la lettera oppure di mostrarla subito a sua madre. Non lo fece soltanto perché conosceva bene quel giovane sin da bambino e gli era affezionata, e inoltre percepiva nelle sue parole una certa modestia e dolcezza; restituì invece la lettera alla vecchia dicendo: “Riporta questa lettera a chi l’ha scritta e digli che non mi rivolga più tali parole. Digli anche che dai miei genitori sono stata destinata a essere una vergine di Dio, e quindi non potrò mai concedere la mia mano a un uomo e, restando nel mio stato verginale, voglio servire Dio e onorarlo, perché il suo amore è per me più alto e prezioso dell’amore umano. E digli perciò che, se anche trovassi qualcuno il cui amore fosse più alto e prezioso di quello di Dio, persisterei nel mio voto. Ma a colui che ha scritto la lettera auguro la pace di Dio, che è più alta di qualsiasi considerazione. E ora vai e sappi che da te non accetterò altre ambasciate”.
Stupita di tanta fermezza, la serva tornò dal suo padrone e gli riportò la lettera, riferendogli anche tutto quel che la vergine aveva detto. Benché essa vi aggiungesse molte parole di consolazione, il giovane proruppe in alti lamenti, si strappò le vesti e si cosparse il capo di terra. Non ardì più incontrare la vergine per strada, ma cercò di vederla solo di lontano. La notte giaceva insonne nella sua stanza, gridava il nome dell’amata con cento dolci e teneri vezzeggiativi, la chiamava sua luce e sua stella, sua cerbiatta e sua palma, consolazione degli occhi suoi e sua perla, e quando si destava da tali fantasie e si ritrovava solo nella stanza buia, digrignava i denti, malediceva Dio e batteva la testa contro le pareti. L’amore terreno aveva oscurato e spento nel suo cuore il timor di Dio. E non appena il demonio ebbe trovato accesso al suo cuore, lo spinse di abominio in abominio. Il giovane giurò di far sua quella fanciulla, fosse pure con la forza. Si recò a Menfi, entrò alla scuola dei sacerdoti pagani di Asclepio e si fece istruire nelle arti della magia. Per un anno si dedicò con grande zelo a questa dottrina e poi fece ritorno a Gaza. Allora incise su una tavola di rame segni e parole efficaci, che rappresentavano un forte incantesimo d’amore. Di notte seppellì quella pesante tavola sotto la soglia della casa dove abitava la vergine. Già il giorno seguente la fanciulla era cambiata, lasciava girare più liberamente gli sguardi, di solito modestamente abbassati, si sciolse i capelli e così sciolti li fece ondeggiare, trascurò servizio divino e preghiere e cantò fra sé una canzoncina d’amore che nessuno le aveva insegnato. Questo contegno si accentuava di giorno in giorno, e la notte essa si girava irrequieta sui cuscini e gridava forte il nome del giovane, lo chiamava suo amatissimo e lo desiderava presso di sé. Questo mutato contegno non poté sfuggire a lungo ai genitori della fanciulla stregata. Insospettiti dalle parole e dai modi di lei, presero a spiarla, anche di notte, e si spaventarono e inorridirono tanto, che il padre voleva ripudiare quella sua figlia cattiva, com’egli la chiamava. Ma la madre lo pregò di aver pazienza; si misero a riflettere sulla cosa e capirono che la loro figliola era diventata un tal mostro a causa di un incantesimo. Poiché la vergine restava indemoniata come prima, anzi addirittura bestemmiava e chiamava forte il suo amato, i genitori si ricordarono del santo eremita Ilarione, che da molti anni viveva lontano dalla città, nel deserto, ed era casi vicino a Dio che tutte le sue preghiere venivano esaudite. Aveva guarito tanti ammalati e cacciato tanti demoni, che poteva forse esser definito, insieme a Sant’Antonio, il più potente uomo di Dio di quei tempi. A lui condussero la loro figlia, lo supplicarono e lo pregarono di guarirla, raccontandogli tutto quanto era accaduto. Il santo si volse alla vergine e gridò: “Chi ti ha reso, da serva di Dio che eri, un tal vaso di cattive passioni?”. Ma la fanciulla Io guardò, magro com’era e con la pelle riarsa, e prese a schernirlo; vantò la propria pelle bianca e il proprio corpo liscio e chiamò quell’uomo di Dio spaventapasseri rognoso, tanto che i poveri genitori caddero in ginocchio e si coprirono il capo per la vergogna. Ma Ilarione sorrise e riconobbe il diavolo che si era insediato nella fanciulla, e subito Io incalzò così fortemente, che quello dichiarò il suo nome e confessò tutto. Il santo scacciò con forza dalla vergine il demone che resisteva violentemente; allora essa si destò come da un sogno febbrile, riconobbe e salutò i genitori che piangevano, pregò Ilarione di benedirla e da quel momento tornò a essere la pia sposa di Dio che prima era stata. Intanto il giovane aveva atteso che l’incantesimo d’amore la vincesse e la spingesse nelle sue braccia. Trascorse in fiduciosa attesa parecchi giorni, durante i quali accadevano alla vergine le cose che abbiamo descritto. Dopo che essa, ormai guarita, fu tornata in città, una volta che passava per strada egli la vide venire da lontano e le andò incontro. Quando gli fu giunta più vicino, egli poté vedere che la sua fronte splendeva dell’antica purezza, anzi sul suo viso erano diffuse tanta pace e tanta bellezza che essa sembrava venire direttamente dal paradiso. Colpito il giovane si fermò, e alla vista di lei già cominciava a vergognarsi della sua empietà. Tuttavia non volle darsene per inteso, e quando essa gli fu giunta molto vicino, fidando nell’efficacia dell’incantesimo andò da lei, le prese la mano e disse: “Allora, mi ami?” La vergine senza arrossire alzò lo sguardo, sicché i suoi occhi puri si posarono su di lui come stelle. Da essi si irradiava una bontà indicibilmente amorevole, essa gli strinse la mano e disse: “Sì, fratello mio, io ti amo. Amo la tua povera anima e, ti prego, strappala al maligno e rimettila a Dio, affinché ridiventi bella e pura”. Una mano invisibile toccò il cuore del giovane, i suoi occhi si riempirono di lacrime ed egli esclamò: “Oh, dovrò dunque rinunciare a te per sempre? Ma tu comanda, ed io non farò più nulla se non quello che vuoi tu”.
Essa sorrise come un angelo e gli disse: “Non dovrai rinunciare a me per sempre. Un giorno noi staremo davanti al trono di Dio. Sforziamoci di poterlo guardare negli occhi e di uscire assolti dal suo giudizio. Allora sarò la tua amica. È solo per poco che dovrai star separato da me”. Dolcemente egli lasciò la sua mano, ed essa proseguì sorridente. Il giovane restò per un po’ come ammaliato, poi si avviò, chiuse la sua casa e si recò nel deserto, per servire Dio. La bellezza lo abbandonò, diventò sparuto e nero e divise la sua dimora con gli animali dei campi. E quando la stanchezza lo assaliva e i dubbi lo tormentavano e non sapeva più trovar conforto, ripeteva cento volte le parole di lei: “È solo per poco...” In verità per lui fu lungo, il tempo. Diventò grigio, poi bianco, e rimase su questa terra sino agli ottantun anni. Ma cosa sono ottant’anni? Il tempo se ne vola via, come avesse ali d’uccello. Dai giorni di quel giovane sono trascorsi un migliaio e molte centinaia d’anni, e presto saranno dimenticati anche il nostro nome e le nostre vicende, e della nostra vita non rimarrà più traccia, se non forse una piccola, incerta leggenda...
(1907)