Daniele e il fanciullo
Molto tempo fa viveva in terra d’Egitto, all’epoca in cui essa era benedetta da molti santi, un pio padre di nome Daniele, che abitava in romitaggio nel deserto e la cui intercessione era ritenuta così potente da venir richiesta da molti. Questo padre Daniele un giorno si incamminò verso la città, per vendervi alcuni cesti e stuoie che aveva intrecciato nella sua solitudine e acquistare in cambio viveri e nuovi attrezzi. Percorreva lento il sentiero riarso, e la sua veste e i suoi capelli si coprivano di polvere, ma la sua anima era lieta e salda nella grazia di Dio. Quando vide innalzarsi vicine le mura della città di Terenuthis, si raddrizzò il peso sulle spalle, lodò Dio e si avviò arzillo verso la porta aperta, l’oltrepassò e sentì spirargli incontro, dall’angusta stradina di pietra, un’arietta fresca. In quell’istante udì gridare accanto a sé, dalla finestra di una casetta: “Sant’uomo, caro padre, entra dunque da me!”. Ma egli non diede retta a quella voce, perché non di rado era accaduto che monelli o donne di malaffare cercassero di divertirsi in modo sconveniente alle spalle degli eremiti che venivano dal deserto. Così continuò impassibile per la sua strada e stava appunto per girare nella via dei cuoiai che conduce al mercato, quando si sentì trattenere per la veste. Fu costretto a voltarsi, umilmente rassegnato a difendersi contro qualche importuno motteggiatore. Vide invece dietro di sé un uomo dall’aria amichevole, ancora piuttosto giovane e ben vestito, il quale si inchinò, si gettò in ginocchio davanti a lui e con le labbra gli toccò devotamente la veste.
“Che cosa desideri”, chiese dolcemente padre Daniele, “oppure qual bisogno ti spinge a me pover’uomo?”
“Signore”, gridò l’uomo, restando inginocchiato, “non siete voi il pio padre Daniele? Ho udito molto parlare di voi e della vostra virtù, e se c’è un uomo che mi può aiutare, quello siete voi, caro padre. Vedete, io sono un mercante e conduco i miei affari con successo, e quel che faccio o intraprendo sta sotto la visibile benedizione di Dio, sicché avrei ogni motivo di definirmi un uomo felice e soddisfatto. Invece mi vedete tanto infelice da inginocchiarmi nella polvere della via e supplicarvi che mi aiutiate nella mia afflizione, come spero e confido possiate. Infatti sono sposato da cinque anni, senza che a Dio sia piaciuto di concedermi un solo figlio, e mi è insopportabile il pensiero che dopo la mia morte il mio nome si estingua e tutte le mie sostanze vadano a estranei. Perciò, caro padre, fatemi la grazia di venir con me nella mia casa per benedire la mia donna e recitare una preghiera, affinché la sua sterilità si allontani e ci venga finalmente concesso un erede”.
“Alzatevi”, disse padre Daniele al supplice, “alzatevi e tornate al vostro lavoro; quando sarò di nuovo nel mio romitaggio dirò volentieri una preghiera per voi. Andate con Dio, fratello caro”.
Ma il postulante non lo lasciò scappare così facilmente. Mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime, afferrò di nuovo la veste del pio uomo, gli abbracciò le ginocchia e scongiurò quel caro padre che entrasse solo per un istante in casa sua e scambiasse almeno qualche parola con sua moglie, affinché sapesse per chi avrebbe pregato. Alla fine il santo sorrise e cedette, benché malvolentieri; ordinò al mercante di alzarsi e fargli strada, e lo segui per quei pochi passi che mancavano sino alla casa di lui. Qui depose il suo carico accanto alla porta e fu condotto dal cittadino, attraverso il corridoio e il cortiletto, sino alla parte interna della casa, dove tutto indicava un modesto benessere. Daniele respinse con decisione l’invito, cortesemente rivoltogli dall’uomo, di mangiar qualcosa e bere un bicchiere di vino, e volle esser condotto senza indugio dalla donna, giacché doveva camminare molte ore per giungere al suo lontano romitaggio, e la notte non era amica di nessuno. Ma il vero motivo per cui aveva respinto l’invito ed era entrato così malvolentieri in quella casa, il pio uomo lo tacque, in parte per pudore e in parte per altre considerazioni. Infatti aveva orrore di avere a che fare con donne, e la sua paura dell’altro sesso, alla cui attrazione non sempre sentiva la forza di resistere, era anche stata il motivo che un tempo lo aveva spinto a cercar dimora nel deserto. Ogni volta che, per una qualsiasi ragione, doveva aver a che fare con donne, si sentiva subito in pericolo e già mezzo sconfitto, e così anche in questo caso desiderava venirsene via il più presto possibile. Il mercante aprì la porta e fece entrare l’ospite nella stanza della sua sposa, che sedeva per terra ed era intenta a cucire dei cordoncini dorati su una bella veste verde. Era una donna ancora giovanissima, con gli occhi scuri, i capelli neri e una bocca assai piccola e infantile, e quando si alzò per salutare il penitente, mostrò una figura flessibile e ben fatta, e una involontaria grazia naturale nei movimenti, che subito colmò di gioia e incantò il padre del deserto, senza che egli se ne rendesse conto. Infatti, non appena entrato nella camera, era stato colto da quell’imbarazzo e da quell’ostinata paura che soleva ispirargli ogni contatto con le donne, e mentre, senza che lui lo sapesse, la graziosa persona della giovane sollevava i suoi occhi e il suo cuore, egli corrugò gravemente la fronte e parlò con la bella creatura non diversamente da come avrebbe fatto con una messaggera dell’inferno.
“Dunque non avete figli?”, chiese aspramente, con voce indurita dal dispetto e da una segreta viltà.
“Così è, caro padre”, fu la risposta della donna, “e non sappiamo come abbiamo potuto meritare questa punizione del cielo. Per cui vi saremmo indicibilmente grati se poteste aiutarci”.
“Inginocchiatevi”, disse frettolosamente il santo, “pregherò con voi”.
Essa si inginocchiò, ed egli si inginocchiò accanto a lei; il marito voleva uscire rispettosamente, ma il buon padre con gesti furiosi gli fece cenno di rimanere; così anch’egli si inginocchiò accanto ai due, e padre Daniele pronunciò una breve preghiera per la giovane, poi rapidamente si alzò per andarsene, quando la donna lo chiamò piano e disse in tono querulo: “Non volete darmi la vostra benedizione, pio padre? Beneditemi, vi prego, e imponetemi la mano, perché possiate raccomandare me e la nostra preghiera al Signore!”
Padre Daniele non poteva rifiutarsi, e così vide la donna inginocchiarsi ancora, e quando, per benedirla, le pose sul capo la sua ruvida mano, essa vi appoggiò dentro fiduciosa la testa, e con strana commozione e invaghimento egli sentì i suoi morbidi e folti capelli, che gli parvero sorprendentemente serici e delicati, né credeva di averne mai sentiti di simili fra le dita. La donna si alzò riconoscente, porse la mano al padre e lo pregò di restare e mangiar qualcosa, e poco mancò che egli acconsentisse a quella preghiera. Ma si fece forza, prese rapidamente congedo e uscì di là così turbato che dimenticò le mercanzie che aveva deposte all’ingresso, e il padrone di casa dovette chiamarlo e portargliele. “Che fortuna”, pensò padre Daniele quella sera, quando, stanco e nuovamente al sicuro, se ne stava seduto nella sua capanna di canne ai piedi della roccia, “che fortuna per me avere questo tranquillo rifugio e questa capanna lontana dal mondo! Se solo il contatto della mia mano coi morbidi capelli di una giovane donna può turbarmi tanto, come potrei restar puro se dovessi vivere nel mondo?” Ma dal ricordo e dai sogni non proteggono né lontananza né capanna di canne, e tra l’ignara donna nella città e il solitario penitente nella sua landa desolata nacque uno strano rapporto, perché padre Daniele doveva incessantemente difendersi dall’immagine della graziosa donna, che gli restava ostinatamente intorno e si faceva avanti seducente non appena la stanchezza o il sonno indebolivano la sua vigile coscienza.
Quando, dopo alcune settimane, fu giunto nuovamente il momento di accudire ai suoi piccoli affari in città, il penitente era così stanco di questa lotta con un’immagine della memoria che da uomo coraggioso decise di andar dritto nella fossa dei leoni e difendersi dalla tangibile realtà, piuttosto che continuare ad esser lo zimbello dei propri sogni. Voleva rivedere la donna, nella speranza che, alla vista della realtà, si sarebbe liberato dal fantasma. ro, e dopo un lungo tragitto salì di nuovo, un pomeriggio, la strada che portava in città. Questa volta si fermò subito alla casetta nei pressi della porta, vi entrò e, provenendo dalla sferza del sole, con gli occhi abbagliati procedette a tentoni per lo scuro corridoio, in direzione del cortile. Allora udì, e gli suonò come un dolce saluto del suo paese natio, una sottile voce di fanciulla cantare un’antica canzoncina religiosa che egli stesso da fanciullo aveva imparato da sua madre e cantato spesso nei lontani tempi dell’infanzia, e, quando si avvicinò e guardò nell’ombroso cortile, vide la giovane donna seduta su una stuoia colorata che mondava una scodella di lenticchie e cantava. Quel bel quadro gli toccò il cuore, e si vergognò profondamente di aver potuto pensare in sogni peccaminosi e con ignobile desiderio a quella stessa donna timorata che ora sedeva lì all’ombra come una bambina e cantava la canzone preferita della sua infanzia. Salutandola si diresse verso di lei, che lo aveva immediatamente riconosciuto e salutato con rispetto, la benedisse e si informò di come andassero le cose. Apprese che il marito si trovava nel sud per affari, ed essa era sotto la protezione di un vecchio liberto; aveva un po’ di nostalgia per il marito lontano, ma in complesso stava bene. Nell’ascoltare quell’innocente chiacchierio l’uomo del deserto perse molto del suo grave imbarazzo, respirò sollevato e prese a parlare anche lui accennando alla canzone e, poiché essa lo interrogava, cominciò a raccontarle della sua patria e della sua giovinezza. Con un senso di gratitudine e di liberazione si abbandonò alla piacevolezza di un intrattenimento scevro da desideri, quale non aveva provato da anni, e accanto alla giovane donna tornò a nascergli dentro una sorgente sepolta di candore innato che dissipò le ombre dalla sua anima e gli diede un’ora di benefica pace, quale di rado è concessa agli asceti. Con la promessa di non dimenticarla la prossima volta che fosse tornato in città, si separò da lei, sbrigò i suoi affari e tornò nel suo luogo desolato con in cuore una felice serenità. Se ora tornava a pensare alla donna in città, pensava a lei come a una sorella, senza desideri né tormentose fantasie; incluse lei e il marito nelle sue preghiere e sentì la sua vita sterile e solitaria inserita in una cerchia di rapporti amichevoli e dolci. Da quel giorno il santo tornò più volte nella casa del mercante. Dopo qualche tempo trovò il padrone di casa, che era tornato soddisfatto dal suo viaggio, e mangiò più volte da questi suoi nuovi amici; e quando furono passati alcuni mesi, un giorno l’uomo lo prese da parte, gli strinse la mano e gli disse: “Tra me e mia moglie c’è un segreto, e voi avete il diritto di essere il primo a conoscerlo. Mia moglie attende un figlio, e questo lo dobbiamo alla bontà di Dio e alla vostra preghiera, caro padre”. Daniele, che aveva riposto poca fiducia nella sua preghiera, ne fu felice e udì con commozione che, se fosse stato un maschio, intendevano battezzarlo con il suo nome. Ma quando Daniele dopo un intervallo più lungo (infatti era stato malato) tornò da quella gente, ecco che alla sua comparsa la donna, che sembrava aver pianto, uscì di corsa dalla camera; il marito lo trattò rudemente e quasi con ostilità; il vecchio liberto lo inseguiva con sguardi maligni. Costernato e offeso, non appena furono soli, padre Daniele ne chiese ragione al mercante. Quello all’inizio non voleva parlare, poi nel suo sdegno prese rapidamente fuoco, e all’improvviso tirò fuori con rabbia tutto quel che aveva nel cuore. Era diventato lo zimbello e lo scandalo di parenti e vicini, fermamente convinti che il bambino che doveva nascere fosse il frutto di una relazione illecita tra sua moglie e lui, Daniele. Il liberto, durante l’assenza del marito, lo aveva visto più volte venire in casa; questa frequentazione era stata notata anche da altri, e in breve, lui non sapeva che cosa pensare, ma desiderava non riveder più quell’ambiguo santo, che solo il nome e la veste proteggevano dalla sua ira. Invano lo spaventato pio uomo cercò di giustificarsi, invano fece chiamare il liberto, che ripeté audacemente le accuse. Umiliato e triste lasciò quella casa, pensando che non ci sarebbe davvero più andato. Anzi rimandò la sua prossima gita in città tanto a lungo, sino a che non vi fu costretto da un estremo bisogno. Quando vi tornò, apprese per caso che la donna aveva partorito un maschio, e che tre domeniche dopo ci sarebbe stato il battesimo. Adesso visse di nuovo brutte giornate, nella sua capanna di canne. A momenti si adirava e si sentiva offeso da quell’accusa mostruosa, altre volte interpretava questo insulto soltanto come giusta e meritata punizione per il modo in cui per un certo tempo aveva pensato alla giovane donna. Alla fine però vinse in lui il sentimento della propria innocenza e il desiderio che quella povera donna e quel fanciullino affatto innocente non avessero a soffrire per sempre a causa di quel brutto sospetto. Così pregò giorno dopo giorno che la sua innocenza potesse essere dimostrata, e presto si sentì così fortificato e sicuro della sua causa che, dopo una notte di veglia, con decisione improvvisa, come un sonnambulo si recò in città, cercò la casa del mercante e vi entrò impavido, benché l’ingresso e il cortile brulicassero di gente sconosciuta. Tutti guardarono il sopravvenuto con stupore, curiosità oppure con manifesto scherno, ma egli si fece strada fra la calca senza guardare in faccia nessuno, trovò corte e corridoio pieni di gente e apparve come uno spettro nella stanza, dove vide l’uomo in abiti da festa e la donna, pallida e stanca, con il fanciullino in grembo. Ambedue lo fissarono spaventati, e l’uomo stava per scacciarlo rudemente di casa quando la porta si aprì di nuovo ed entrò il liberto, che introdusse umilmente un presbitero. Infatti era appunto la terza domenica, e il prete era venuto per battezzare il bambino. Allora padre Daniele si inchinò davanti al sacerdote, poi si rizzò in tutta la sua altezza, guardò tutti apertamente negli occhi e disse: “Voi gente, e tu, prete del Signore, siete riuniti per battezzare un fanciullino sulla cui nascita resta, non fugato, un grave sospetto. Sono stato amico di questa casa e ho benedetto con le mie mani questa donna e pregato per lei, perché Dio le donasse un figlio. Poi, quando essa restò incinta, vennero persone cattive e gravarono questa donna e me di un sospetto che mi rifiuto di riferire. Ma ora sono qui, e prego Dio onnipotente di essere mio giudice. E così ti chiedo, neonato, chi di noi e innanzi a Dio e agli uomini tuo padre?”
Ed ecco che il bambino, di ventidue giorni, aprì gli occhi, sorrise, indicò il mercante e disse con voce chiara: “Mio padre è questo”.
Subito la notizia del miracolo si diffuse per la casa e la città. Il fanciullo fu battezzato col nome di Daniele, e il padre Daniele ancora per molti anni andò e venne da quella casa come amico e soccorritore. Cullò il bimbo sulle ginocchia, e quando il Signore lo chiamò a sé, nella sua beatitudine, il fanciullo portò il lutto per lui come per un vero padre.
(1911)