Da La mente del bambino
Alle nostre riunioni abbiamo sempre un’accolta di lavoratori tipicamente montessoriani. Essi spesso portano con sé congiunti, o amici, o conoscenti, cosicché nei nostri gruppi si può dare il caso di vedere seduti, l’uno vicino all’altro, bambini, ragazzi, giovani, persone adulte, professionisti e non professionisti, gente colta e incolta, senza che da noi ci sia nessuno che diriga o disciplini questi gruppi. Le nostre riunioni sono apparentemente eterogenee, e diverse dai comuni corsi culturali. Gli studenti che le seguono devono avere un certo grado di cultura, ed è questa l’unica condizione: del resto possono trovarvisi affiancati matricole e professori, avvocati e dottori, e coloro che potrebbero essere i loro clienti. In Europa avevamo gente di ogni paese, in America, una volta, perfino un anarchico. Malgrado questo miscuglio, non vi furono mai conflitti fra gli studenti. Come mai? Perché tutti eravamo uniti in un comune ideale. In Belgio, un paese così piccolo che potrebbe entrare tutto in un angoletto dell’India, vi sono due lingue, il francese e il fiammingo; il popolo è politicamente diviso, e questa divisione è aumentata dalle differenze tra cattolici e socialisti e da quelle di altre correnti politiche. È perciò molto raro che persone così divise e al tempo stesso così strettamente unite ciascuna al proprio gruppo, prendano parte insieme a congressi: ma nei corsi «Montessori», ciò avveniva. Era un fatto così fuor del comune, che lo si commentò sui giornali: «Per anni abbiamo tentato di far intervenire alle stesse riunioni culturali persone di partiti diversi, ed ecco che ciò si verifica in questi corsi dove si studiano i bambini». Tale è il potere del bambino: tutti sono vicini a lui, qualunque sia il loro sentimento religioso o politico, e tutti lo amano. Da questo amore proviene la forza che ha il bambino di unire le genti. Gli adulti hanno forti e talvolta feroci convinzioni che li dividono in gruppi e quando accade che fra loro ne discutano, facilmente lottano. Ma su di un punto – il bambino – hanno tutti lo stesso sentimento. Pochi realizzano l’importanza sociale che ne deriva al bambino.
È evidente che occorre meditarvi e investigare se si vuole creare un’armonia nel mondo. È il solo punto in cui convergono, da tutti, sentimenti di delicatezza e di amore: quando si parla del bambino gli animi si raddolciscono; l’umanità intera condivide l’emozione profonda che viene dal bambino. Il bambino è una sorgente d’amore; quando lo si tocca, si tocca l’amore. È un amore difficile a definire; tutti lo sentono, ma nessuno sa descriverne le radici o valutare le conseguenze della sua vastità, o vagliare la sua potenzialità di unione fra gli uomini. Malgrado le nostre differenze di razza, di religione, e di posizione sociale, a mano a mano che abbiamo parlato di lui ci siamo sentiti e ci sentiamo uniti da sentimenti fraterni; che vincono diffidenze e difesa sempre deste fra uomo e uomo e fra gruppi di uomini nella pratica della vita.
Accanto al bambino la diffidenza si dilegua: diventiamo dolci e gentili perché, riuniti intorno a lui ci sentiamo riscaldare dalla fiamma di vita che sta là dove la vita ha le sue origini. Negli adulti coesistono il senso della difesa e l’impulso dell’amore. Dei due sentimenti quello fondamentale è l’amore; l’altro gli si è sovrapposto. L’amore, quale noi lo sentiamo per il bambino, doveva esistere potenzialmente anche fra uomo e uomo, perché un’unione umana si è formata e non vi è unione senza amore.
Cerchiamo di renderci conto della natura dell’amore. Consideriamo ciò che di esso hanno detto profeti e poeti, perché sono essi che hanno saputo dare forma ed espressione a questa grande energia che noi chiamiamo amore. Certo non vi è nulla di più bello ed elevante di quelle espressioni poetiche che, cantando l’amore – base di ogni esistenza – fanno vibrare il cuore anche dei barbari e dei violenti. Anch’essi, che portano morte e distruzione a popoli intieri, si sentono toccati dalla bellezza di quelle parole; segno è che malgrado la pratica della loro vita, essi hanno conservato in sé questa energia che, risvegliata dalla parola, comunica una vibrazione ai loro spiriti. Se non fosse così, essi non percepirebbero la bellezza delle espressioni; le considererebbero vane o insensate.
Se ne sentono la bellezza è perché, quantunque l’amore non sembri fare parte della loro vita, essi ne subiscono l’influenza, e, senza rendersene conto, ne sono assetati.
È curioso osservare che in tempi come i nostri, nei quali la guerra è stata distruzione senza esempio, e ha raggiunto ogni terra più remota, quando si penserebbe che il parlar d’amore fosse mera ironia, la gente ancora ne parla con insistenza. Si fanno dei progetti per unirsi, il che significa non solo che c’è amore, ma che l’amore è una forza base. Così, oggi, quando sembrerebbe che tutto dovesse portare a far dire agli uomini: «Basta con questa fantasia che chiamano amore: poniamoci davanti alla realtà, che, come vediamo, è solo distruzione. Non hanno forse distrutto città, foreste, donne, bambini?»; oggi si parla ancora di ricostruzione e di amore: se ne parla anche mentre le distruzioni sono in atto. Ne parlano uomini politici eminenti, ne parlano la Chiesa e coloro che sono contro la Chiesa, la radio, i giornali, i discorsi di chi ci passa vicino, colti e illetterati, ricchi e poveri e seguaci di ogni credo e teologia, tutti, tutti dicono «amore». E se è così (né vi potrebbe essere maggior prova di questa forza dell’amore), perché l’umanità non dovrebbe studiare questo grande fenomeno? Perché se ne parla soltanto mentre l’odio fa strage? Perché esso non dovrebbe esser sempre studiato e analizzato, in modo che la sua forza possa divenire benefica? E perché non chiederci come mai non ci si è preoccupati di studiare questa energia prima d’ora e di unirla ad altre forze che già conosciamo? L’uomo ha messo tanta intelligenza nello studio di altri fatti naturali, li ha vagliati e sviscerati e ha fatto tante scoperte; perché non spenderebbe un po’ di questa sua virtù nello studio di una forza che potrebbe unire l’umanità? Qualunque contributo atto a mettere in luce il valore dell’amore e l’amore in sé, dovrebbe essere accolto con avidità, e considerato di preminente interesse. Ho detto che poeti e profeti ne hanno parlato spesso come fosse un ideale, ma non è un ideale, è una realtà: che è sempre stata e sarà.
Dobbiamo renderci conto che, se noi oggi sentiamo questa realtà dell’amore, non è perché ce l’abbiano insegnata a scuola.
Anche se ci avessero fatto imparare a memoria le espressioni dei poeti e dei profeti, le loro parole sono poche, e le avremmo dimenticate negli eventi della vita. Se la gente chiede amore con veemenza, non lo fa perché ne ha udito parlare o ne ha letto: amore e aspirazione all’amore, non sono cose imparate, esse formano parte del retaggio della vita. È la Vita che parla, non i poeti e i profeti.
L’amore può infatti essere considerato da un altro lato che da quello della religione e della poesia. Dobbiamo considerarlo dal punto di vista della vita stessa: e allora esso non è solo immaginazione o aspirazione, ma la realtà di una energia eterna che niente può distruggere.
Vorrei dire qualche parola intorno a questa realtà e anche attorno alle cose che poeti e profeti hanno detto. Questa forza che noi chiamiamo amore è la più grande energia dell’universo. Ma questa espressione non è adeguata, perché esso è più che un’energia: è la creazione stessa. Meglio sarebbe dire: «Dio è amore».
Vorrei poter citare da tutti i poeti e da tutti i profeti e i santi ma non li conosco tutti, né mi sarebbe possibile citarli nelle loro diverse lingue, che non mi sono tutte note. Lasciate che riporti le parole di uno che conosco e che, quando parlò dell’amore, si espresse con così grande forza che oggi, dopo duemila anni, risuonano ancora in tutti i cuori cristiani con veemenza queste sue parole: «Quand’anche io parlassi tutti i linguaggi degli uomini e degli angeli, se non ho carità, divengo un rame risonante e un tintinnante cembalo. E quand’anche io avessi profezia, e intendessi tutti i misteri, e tutta la scienza e quand’anche avessi tutta la fede, talché trasportassi i monti, se non ho carità, io sono un nulla. E se anche distribuissi i miei beni per nutrire i poveri e dessi il mio corpo per essere arso; se non ho carità, quello niente mi giova» (San Paolo ai Corinti, I/13).
Si potrebbe dire all’apostolo: «Tu che hai un sentimento così profondo, sai certo che cosa è l’amore; deve essere qualcosa di formidabile: rivelalo a noi». Perché, quando tentiamo di spiegarci questo altissimo sentimento, ci accorgiamo che non è cosa così semplice. Le parole ch’egli ha usato potremmo trovarle realizzate nella nostra civiltà presente che può muovere le montagne e fare anche più grandi miracoli, poiché da un capo all’altro del mondo noi possiamo farci udire parlando sottovoce; ma tutto ciò è nulla se non c’è l’amore. Abbiamo creato grandi istituzioni per nutrire i poveri e vestirli, ma se non vi mettiamo amore è come se sonassimo un tamburo, che fa rumore perché è vuoto. Che cosa è dunque questo amore? San Paolo, che ci ha dato quella descrizione della sua grandezza, prosegue, ma non ci fornisce una teoria filosofica: egli scrive: «La carità è lenta all’ira, è benigna; la carità non invidia, non provoca, non si gonfia; non è ambiziosa, non cerca le cose per sé, non provoca la collera, non divisa il male; non si rallegra dell’ingiustizia, ma gioisce della verità; soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa» (San Paolo ai Corinti, idem).
È una lunga enumerazione di fatti, una lunga descrizione di immagini, ma tutte queste immagini ci ricordano stranamente le qualità dei bambini: sembrano descrivere la potenza della mente assorbente. Questa mente che riceve tutto, che non giudica, non respinge, non reagisce. Assorbe tutto e tutto incarna nell’uomo. Il bambino compie l’incarnazione per diventare uguale agli altri uomini, per adattarsi alla vita con essi. Il bimbo sopporta tutto: entra nel mondo, in qualsiasi ambiente egli nasca, vi si forma e si adatta a vivere, e l’adulto che egli diverrà un giorno, sarà felice in quell’ambiente. Se gli accadrà di affacciarsi sul mondo in una regione torrida, si costruirà in maniera da non poter vivere ed essere felice in altro clima. Lo ricevano il deserto o le pianure frangiate dal mare, o i declivi delle alte montagne, o i terreni glaciali delle regioni artiche, di tutto egli godrà, e solo là dove è nato e cresciuto raggiungerà il massimo benessere.
La mente assorbente accoglie tutto, spera in tutto; accetta la povertà come la ricchezza, accetta ogni fede, e i pregiudizi e costumi del suo ambiente: tutto incarna in sé stesso.
Questo è il bambino!
E se non fosse così, l’umanità non raggiungerebbe stabilità in ognuna delle tante diverse parti della terra, né compirebbe il continuo progresso della civiltà se dovesse ricominciare sempre da capo.
La mente assorbente forma la base della società creata dall’uomo, e ci appare nelle sembianze del delicato e piccolo bambino che risolve le misteriose difficoltà del destino umano con le virtù dell’amore.
Se noi studiamo il bambino meglio di quanto non abbiamo fatto fino a oggi, scopriamo amore in ogni suo aspetto. L’amore non è analizzato dai poeti e dai profeti, ma dalla realtà che ogni bambino svela in sé.
Se consideriamo la descrizione di San Paolo e poi guardiamo il bambino, dobbiamo dire: «In lui si trova quanto egli ha descritto: qui è personificato il tesoro che racchiude tutte le forme della carità».
Originariamente questo tesoro si trova dunque non solo in quei pochi che si impersonarono nella poesia o nella religione, ma in ogni essere umano. È un miracolo offerto a tutti; ovunque troviamo la personificazione di questa immensa forza. L’uomo crea un deserto di discordia e di lotta, e Dio continua a mandare questa pioggia fecondatrice. Così è facile intendere come tutto ciò che l’adulto crea, anche se può essere detto progresso, non porta a nulla senza amore. Ma se questo amore presente in ogni piccolo bambino, portato in mezzo a noi, viene realizzato nella sua potenzialità o nei suoi valori allora sviluppati, le nostre conquiste, già grandi, saranno incommensurabili. L’adulto e il bambino devono unirsi; l’adulto deve farsi umile e imparare dal bambino a essere grande. È strano che, fra i miracoli compiuti dall’umanità, ve ne sia solo uno che essa non abbia considerato: il miracolo che Dio ha fatto sin dall’inizio: il Bambino.
Ma l’amore è ben più di quanto abbiamo finora considerato. Nell’umanità esso è esaltato dalla fantasia, ma in noi non è che un aspetto di un’energia molto complessa che, descritta con le parole «attrazione» e «affinità», regge l’universo, mantiene le stelle nel loro corso, fa unire gli atomi fra loro per formare nuove sostanze, trattiene le cose sulla superficie della terra. Essa è l’energia che regola e ordina l’animato e l’inanimato; e che viene incorporata nella essenza di tutto e di tutti, come guida che porta verso la salvezza e verso l’eternità nella evoluzione. Generalmente è inconscia; nella vita assume talvolta aspetti coscienti e, penetrata nella coscienza dell’uomo, ha da lui ricevuto un nome: «amore».
Tutti gli animali hanno a un certo momento l’istinto della riproduzione, che è una forma di amore. Questa forma di amore è un comando della natura, perché senza di essa non vi sarebbe continuità di vita. Così un piccolo atomo di questa energia universale è stata loro prestata per un momento affinché la specie non si estingua.
La sentono per un poco e poi sparisce dalla loro coscienza. Questo dimostra quanto economa e misurata sia la natura nel dispensare l’amore: quanto preziosa perciò è questa energia che essa elargisce a piccole dosi, quasi per un comando. Quando i piccoli vengono al mondo si rinnova il dono dell’amore per i genitori; un amore speciale che li porta a nutrire i loro nati, a scaldarli, a difenderli, fino ad affrontare pericoli e morte. L’attaccamento della madre per i piccoli la tiene costantemente vicina a loro giorno e notte. È questa la forma di amore che assicura la sopravvivenza, la salvezza e il benessere dei piccoli. Il compito dell’energia in questo suo aspetto speciale è preciso: «La specie deve essere protetta e tu ti dedicherai a questa protezione sino a che gli esseri a te affidati non avranno più bisogno di aiuto». Ed ecco che, appena i figli sono cresciuti, da un momento all’altro l’amore sparisce. Quelli che prima sembravano legati da un sentimento inestinguibile, si separano. Se si rivedono poi, agiscono come se non si fossero mai conosciuti; e se il figlio osa prendere un boccone del cibo della madre, questa, che prima gli cedeva tutto, lo attacca con ferocia.
Cosa vuole dire questo? Che il piccolo raggio dell’energia penetra attraverso le tenebre della coscienza che viene prestata a ogni essere, e ritirata non appena il suo scopo sia raggiunto.
Nell’uomo non è così: l’amore non sparisce quando i figli sono cresciuti, non solo, ma esso si estende al di là dei limiti della famiglia. Lo abbiamo sentito pronto ad apparire e a unirci quando un ideale ci ha toccato il cuore.
Nell’umanità l’amore permane e le sue conseguenze vanno al di là della vita individuale: perché cosa è la organizzazione sociale che va estendendosi ad abbracciare tutta l’umanità se non la conseguenza di amore che gli altri sentirono nei secoli passati?
Se la natura dispensa questa energia con scopi precisi; se essa la dà così misuratamente ad altre forme di vita; non deve essere senza scopo la generosità che dimostra verso l’uomo.
Se in ogni suo aspetto questa energia porta verso la salvezza, è fatale che, quando non la si consideri, si proceda verso la distruzione. Il valore di questa porzione di energia che ci è elargita è smisuratamente al disopra di tutte quelle conquiste materiali di civilizzazione a cui l’uomo è così attaccato. Queste non sono che espressioni temporanee della stessa energia e, dopo un poco, sorpassate da nuove conquiste, esse spariranno; ma l’energia stessa seguiterà a svolgere il suo compito di creazione, di protezione e di salvezza anche dopo che dell’uomo non resterà traccia nell’universo.
L’amore è concesso all’uomo come un dono volto a un dato scopo e per uno speciale disegno, come ogni cosa che viene prestata agli esseri viventi dalla coscienza cosmica. Esso dev’essere tesaurizzato, sviluppato e ingrandito al massimo delle possibilità. L’uomo, unico tra gli esseri, può sublimare questa forza che gli è stata data e svilupparla più e più, e farne tesoro è il suo compito: appunto perché questa è forza, tiene insieme l’universo.
Con essa, anche l’uomo potrà tenere unito tutto quanto egli crea con le sue mani e con la sua intelligenza: senza di essa tutto ciò che crea sarà rivolto (come quasi sempre lo è) a portare disordine e distruzione: senza di essa, con l’aumentare della propria potenza, nulla di suo potrà sussistere, tutto crollerà.
Ora possiamo capire la parola del Santo che: tutto è nulla se non vi è l’amore. Più dell’elettricità, che fa luce nelle tenebre, più delle onde eteree, che permettono alla nostra voce di attraversare lo spazio, più di qualunque energia che l’uomo abbia scoperto e sfruttato, conta l’amore: di tutte le cose esso è la più importante. Tutto ciò che l’uomo può fare con le sue scoperte dipende dalla coscienza di chi le usa. Questa energia dell’amore, invece, ci è data perché ognuno di noi l’abbia in sé. Essa, pur donata all’uomo in misura limitata e diffusa, è la più grande forza di cui l’uomo dispone. La parte di essa che possediamo coscientemente è rinnovata ogni qualvolta un bambino nasce, e anche se più tardi le circostanze la fanno assopire, noi sentiamo per essa un desiderio struggente; dobbiamo perciò studiarla e usarla più di ogni altra forza che ci circonda perché essa non è prestata all’ambiente come lo sono le altre forze, ma è prestata a noi. Lo studio dell’amore e la sua utilizzazione ci porteranno alla sorgente dalla quale esso zampilla: il Bambino.
Questa è la strada che l’uomo dovrà percorrere nel suo affanno e nei suoi travagli, se egli, come aspira, vuole raggiungere la salvezza e la unione dell’umanità.