L’indomani Vittoria si svegliò con un sole splendente che filtrava dalle finestre. Saltò giù dal letto, con Dash già pronto ai suoi piedi, e diede un’occhiata al parco. Sarebbe uscita a cavallo. Poi improvvisamente le tornarono in mente gli eventi della sera prima, e tutta l’euforia che il bel tempo le aveva provocato svanì nel nulla.
Si domandò quali fossero le condizioni di Lady Flora. Pur biasimandosi per quel pensiero alquanto crudele, non riusciva ad allontanare la speranza che la morte di quella povera donna sopraggiungesse quanto prima. Non c’era niente di peggio dell’attesa.
Non dovette attendere a lungo. Era nel salotto del mattino e stava eseguendo un duetto al piano con Harriet Sutherland quando la porta si aprì e la duchessa si precipitò nella stanza, con il viso irrigidito dal dolore. «La mia povera Flora è spirata.»
Le dita di Vittoria rimasero immobili sulla tastiera. Harriet farfugliò qualche parola di scusa e si congedò in fretta e furia, con un gran fruscio di sottane. La regina si alzò in piedi e chiuse delicatamente il coperchio. «Oh, mamma! È terribile!»
La duchessa assottigliò gli occhi. «Sei stata tu a condurla alla morte, Drina.»
«Sono stata a trovarla ieri sera. Per scusarmi del mio… errore.»
«Errore! Hai mandato un dottore a umiliare una donna in fin di vita!»
«Le ho chiesto scusa.» Vittoria cercava di controllare la propria voce per evitare che il panico prendesse il sopravvento.
«Credi che sia sufficiente, Drina? Dire che ti dispiace? Come una bambina che rompe per sbaglio un bicchiere? Comunque non è con me che devi scusarti, ma con Sir John. Hai accusato anche lui, che era altrettanto innocente.»
Quando sentì quel nome, Vittoria avvertì una rabbia incontrollabile salirle fino alla testa. Sua madre non riusciva a pensare ad altro che al suo prezioso Conroy.
«Forse è innocente rispetto a quello specifico crimine. Ma è responsabile di colpe ben peggiori, mamma!»
La duchessa fece uno scatto all’indietro, come se qualcuno l’avesse schiaffeggiata. «Cosa stai dicendo? Sir John è sempre stato come un padre per te. E tu ripaghi la sua gentilezza con una simile calunnia!»
Vittoria fece un passo in avanti, come se volesse prendere sua madre per le spalle e scuoterla con forza. «Gentilezza? È così che la chiami? Rinchiudermi a Kensington come una prigioniera e deridermi continuamente per la mia statura, per la mia voce e per la mia ignoranza? E tu che ridevi con lui, mamma.»
La duchessa sollevò le mani, come a volersi proteggere da un colpo. «Drina, ti prego.»
Ma Vittoria non si sarebbe fermata. Non poteva. «Da che mi ricordo, lui è sempre venuto prima di me.» Aveva la voce rotta, ma seppe trattenere le lacrime tale era la ferocia della sua collera.
La duchessa la fissò sconvolta. «Wovon redest du? Di cosa stai parlando? Non sei in te, Drina.»
Vittoria sapeva che non sarebbe riuscita a trattenere le emozioni ancora a lungo. Tirò indietro le spalle, sollevò il mento e disse, chiamando a raccolta tutto il contegno di cui disponeva: «Questa conversazione termina qui, mamma. Hai il mio permesso di congedarti.»
Le parole restarono sospese a mezz’aria tra madre e figlia. Quando pensò che sua madre avrebbe potuto oltrepassare quella barriera e andarle vicino, Vittoria si sorprese a desiderare che la stringesse tra le braccia. La duchessa rabbrividì, come se la corda invisibile che le teneva insieme avesse prodotto una vibrazione. Ma poi abbassò lo sguardo e uscì dalla sala a passi lenti, come in stato di sonnambulismo.
Vittoria scoppiò a piangere.