Due

La pioggia aveva fatto cadere tutti i fiori dai ciliegi dei giardini di Palazzo, che erano sparsi al suolo come coriandoli. Vittoria non fece caso né ai fiori né alle pozzanghere. Non si curava dell’acquazzone, né del fatto che il suo abito di mussola con i ricami rosa fosse tutto inzuppato, o che le trecce arrotolate sulle orecchie le penzolassero ormai ai lati del viso o che le sue dame di compagnia fossero strette le une alle altre sotto un ombrello.

Vittoria adoperava il suo ombrello non per proteggersi dalla pioggia bensì per aprirsi un varco tra i cespugli del boschetto. Provava quasi soddisfazione a vedere le orgogliose teste dei tulipani cadere sotto la sua scure. Slash, slash, slash. Dopo aver ridotto quelle aiuole a una scena di devastazione, la regina si guardò attorno alla ricerca di qualcos’altro da distruggere.

Harriet Sutherland le si avvicinò e le disse in tono gentile: «Non credete sia meglio rientrare, Maestà? Piove a dirotto, e non vorrei mai vi venisse un raffreddore.»

«Rientrate voi se volete. Per me stare qui o in qualunque altro posto è lo stesso.»

Harriet tornò sotto l’ombrello. Vittoria riprese a inveire contro le piante del boschetto, ma le venne in mente un’aiuola di peonie vicino alle fontane che avrebbe decimato con particolare soddisfazione. Una volta Lord Melbourne le aveva detto che le peonie erano i suoi fiori preferiti.

Ma quando si voltò sentì un’altra voce. «Drina!»

Vittoria si fermò. Con sua grande sorpresa vide che la duchessa di Kent, con un ombrello in mano, stava avanzando verso di lei. Quando la raggiunse, la cinse con il braccio libero e lei si innervosì immediatamente: dalla morte di Lady Flora le aveva a stento rivolto la parola. Ma poi sentì il suo profumo all’acqua di lavanda e decise di abbandonarsi a quell’abbraccio, adagiando la testa sulla spalla della madre.

«Mia povera Drina. Sono arrivata appena ho saputo di Lord Melbourne.»

«Oh, mamma! Cosa farò adesso? Lui è l’unica persona che mi capisce!»

Il cuore di sua madre le batteva sotto la guancia. «Non c’è solo lui, Drina.»

Vittoria non rispose, concedendosi per una volta il conforto della presenza materna. La duchessa aveva un’espressione tenera e affettuosa. «È davvero dura per me.»

«Lo so, Drina. Ti aiuterò io, e forse sarà meglio che tu abbia al tuo fianco altre persone di famiglia.»

Vittoria sentì gli occhi riempirsi di lacrime.

«La gente non faceva che ripetere che Lord Melbourne era troppo presente nella tua vita. Adesso dovrai dimostrare a tutti di essere padrona di te stessa.»

La duchessa accolse la figlia, con le guance ormai rigate di lacrime, sotto il suo ombrello e la tenne abbracciata a sé.

«Non ti crucciare, Liebchen. Non devi preoccuparti. Mi prenderò io cura di te.»

Per un istante Vittoria si abbandonò a quell’abbraccio, come non le capitava più da anni. Si sentiva al sicuro tra quelle braccia profumate di lavanda, ed era tornata a essere il piccolo Maiblume di sua madre.

Quella sera Melbourne prese parte a un ricevimento alla Holland House, ma non si trattenne a lungo. Sulla strada del ritorno, disse al suo cocchiere di deviare attraverso Piccadilly anziché passare da Buckingham Palace. Quando la carrozza svoltò in Trafalgar Square, passando davanti alla colonna che stavano costruendo in onore dell’ammiraglio Nelson, il visconte pensò all’espressione che aveva Vittoria la sera prima, quando gli aveva chiesto se davvero volesse abbandonarla. Improvvisamente la sua biblioteca alla Dover House perse ogni attrattiva, e si ritrovò a ordinare al cocchiere di dirigersi verso una certa stradina secondaria di Mayfair.

Era almeno un anno che non metteva piede nel bordello di Ma’ Fletcher, e dunque la sua presenza provocò una certa agitazione. La stessa tenutaria era tutta gentilezze e moine, e quando batté le mani una mezza dozzina di ragazze si presentò nel salotto, tutte più o meno svestite. Melbourne le passò in rassegna e si sforzò di non sbadigliare. Non riusciva a farsi venire neppure un minimo dell’entusiasmo richiesto dalla situazione. Ma poi notò che una delle ragazze, una biondina che non avrà avuto neppure vent’anni, aveva in volto un’espressione avida e zelante. Scelse lei, e fu ricompensato da un sorriso trionfante.

«Questa è Lydia, mio signore» disse Ma’ Fletcher. «Una ragazza molto apprezzata.»

Melbourne seguì Lydia su per le scale fino a una grande stanza da letto al primo piano. Nella camera si sprigionava un profumo di cera d’api e acqua di colonia, ma sotto quell’odore se ne celava un altro più oscuro, un misto di sudore e desiderio. Melbourne si tolse il mantello e si sedette sulla poltrona davanti al camino, allentandosi il nodo della cravatta. Lydia gli andò vicino, si fece scivolare dalle spalle nude la vestaglia che indossava e gli si sedette in grembo. Melbourne le appoggiò una mano sulla coscia, e per un istante permise a se stesso di immaginare cosa avrebbe provato se al posto di quella prostituta ci fosse stata un’altra giovane donna. Lydia cominciò a slacciargli i bottoni dei pantaloni. Mentre osservava l’incavo della sua nuca, Melbourne le domandò: «Quanti anni hai, Lydia?»

Lei sollevò lo sguardo. «Diciannove il mese prossimo, signore.»

«Sei molto giovane.» Sospirò. «Io ti sembrerò vecchissimo.»

Lei scosse energicamente la testa. «Oh, nient’affatto. Ci sono tanti clienti molto più vecchi di voi. E poi avete tutti i capelli in testa, cosa che non posso dire per gran parte dei miei clienti.» Fece scorrere le dita tra i capelli di Melbourne, che erano d’un colore intermedio tra il biondo e il grigio, e gli offrì un sorriso incoraggiante.

C’era qualcosa nell’inclinazione della testa di quella ragazza che lo spinse a chiederle: «Dimmi, quanti anni pensi che io abbia?»

Il modo in cui lei reagì, un misto di confusione e panico, gli fece capire che aveva fatto male a porle quella domanda. Ma poi Lydia recuperò il suo sorriso professionale e rispose: «Signore, non credo che abbiate più di quarant’anni.»

Melbourne scansò via con delicatezza la mano di Lydia dai suoi pantaloni. Si rialzò in piedi e fece per riprendere il mantello. La ragazza si lasciò sfuggire un gemito di disappunto. «Vi ho forse mancato di rispetto, signore? Io non sono brava a indovinare l’età, mi dispiace, ma voi non sembrate affatto vecchio. Non volete venirvi a stendere un po’ con me? Vi prometto che non ve ne pentirete.»

Melbourne replicò gentilmente: «Non sono dell’umore giusto. Ma non preoccupatevi: dirò a Ma’ Fletcher che non è stata colpa tua.» Si frugò nella tasca del panciotto e ne estrasse una sovrana d’oro.

«Tieni» le disse premendole la moneta nel palmo della mano. L’espressione raggiante di Lydia gli fece capire che era riuscito a rimediare alla ferita che aveva inferto al suo orgoglio professionale.

In carrozza, diretto verso casa, Melbourne sorrise per la sua stessa follia. Giunto alla Dover House, si fece portare del brandy. Quando il maggiordomo gli servì il decanter, lui ne bevve una lunga sorsata. Il domestico non poté evitare di notare che aveva i pantaloni ancora slacciati.