«Perché quella faccia scura, Lord M?» Vittoria si sporse in avanti oltre lo scrittoio sul quale lei e il Primo Ministro, nel salottino privato, stavano sbrigando il lavoro delle valigette rosse. Melbourne non rispose, e lei incalzò: «Sono così felice di vedervi. Non potete immaginare quanto sia estenuante lo zio Leopoldo.»
Melbourne sollevò lo sguardo dal documento che stava leggendo. «A rischio di risultare offensivo nei confronti di un membro della vostra famiglia, devo dire che lo ricordo come un tipo vanesio e opportunista.»
Vittoria rise. «Non è cambiato affatto. Adesso porta un parrucchino, e progetta di farmi sposare il cugino Alberto.»
«Non credo che sia saggio sposare un cugino di primo grado, Maestà.»
Vittoria gli lanciò un’occhiata sagace. «Non avete ragione di preoccuparvi, Lord M. Gli ho detto che non succederà mai!»
Melbourne fece una pausa, poi si alzò e disse: «Se vi appaio preoccupato non è certo colpa di vostro zio. Purtroppo c’è stata una sommossa in Galles a opera di certi figuri – una banda di criminali bella e buona – che si fanno chiamare “Cartisti”.»
Vittoria si alzò a sua volta e gli andò accanto. «Che nome curioso.»
«Si chiamano così perché hanno scritto una carta in cui chiedono il suffragio universale, elezioni a cadenza annuale, urne per il voto segreto e un’indennità per i membri del Parlamento. Le loro idee sono irrealizzabili, naturalmente, ma hanno riscosso molto favore presso certe classi sociali.»
Vittoria era sbalordita. «Sono degli estremisti. Mi avevate sempre detto che gli inglesi non sono un popolo rivoluzionario.»
Lui scosse la testa. «C’è stato un raccolto magro, Maestà, sia quest’anno sia quello passato. Quando la gente ha fame, fa presto a convertirsi al radicalismo.»
Vittoria annuì. «Capisco. Ma credete che siano pericolosi questi… Cartisti?»
Melbourne guardò fuori dalla finestra. Vedeva l’Arco di Marmo e, più avanti, il Mall profilato di bandiere. A sinistra c’erano le piazze e le terrazze color panna della Belgravia di Thomas Cubitt, che si contendeva ormai con Mayfair il primato di quartiere più distinto di Londra. Ma se voltava la testa a destra e guardava oltre le cancellate che circondavano Buckingham Palace vedeva i tetti sfondati dei caseggiati fatiscenti di Pimlico. Se apriva la finestra, forse l’odore della povertà sarebbe arrivato fin dentro le camere. Ovviamente la regina era perfettamente al sicuro nella sua residenza, sorvegliata giorno e notte dalla Cavalleria Reale, ma era meglio non dimenticare quanto fossero vicini alle zone più turbolente.
Quando si volse verso Vittoria, fece in modo di assumere un’espressione calma e rassicurante. «Oh, no, Maestà. I rivoltosi a Newport erano armati solo di forconi e falcetti. Le forze di sicurezza hanno sedato i tumulti senza alcuna difficoltà. I capibanda sono stati portati qui a Londra per essere processati con l’accusa di alto tradimento. Se teniamo una linea dura, l’esempio farà da deterrente per eventuali insurrezioni future.»
Vittoria lo fissò dritto negli occhi. Lui allora proseguì: «Non c’è motivo di inquietarsi. Me ne occuperò io. La vostra sicurezza è l’unica cosa in grado di turbare la mia tranquillità.»
Lo sguardo del visconte doveva essere stato un po’ troppo intenso, poiché Vittoria arrossì e replicò in tono entusiasta: «Venite all’opera stasera? C’è la Persiani che canta Lucia di Lammermoor. So che preferite Mozart, ma non credo di poter sopravvivere a una serata da sola con lo zio Leopoldo.»
Melbourne declinò l’invito. «Non credo che la mia presenza sia necessaria. Dimenticate che ci sarà anche il granduca. Mi sembra di ricordare che gradiste molto la sua compagnia al Ballo dell’Incoronazione.»
Vittoria si guardò le mani. «Il granduca è un eccellente ballerino e la sua compagnia è assai gradevole» disse fissandolo negli occhi, «ma non potrà mai sostituirvi.»
Melbourne percepì l’intensità di quello sguardo e si chiese se la regina si stesse rendendo conto di quanto fossero seduttivi i suoi atteggiamenti. Era così giovane e innocente se la paragonava alle donne di cui abitualmente si circondava, ma c’era una schiettezza quasi disturbante in quel suo modo di fissarlo. No, Vittoria non aveva idea di cosa stava facendo.
«Voi mi adulate, Maestà» disse accennando un inchino e offrendole il più garbato dei suoi sorrisi, «e come tutti gli uomini, sono sensibile alla lusinga.»
«Forse dovrei provare ad adulare un po’ anche lo zio Leopoldo.»
«Avrei dovuto dire… come tutti gli uomini tranne vostro zio Leopoldo.»
Il trillo della risata argentina di Vittoria gli fece compagnia per tutto il resto della giornata.
Vittoria dedicò particolare attenzione alla sua toeletta per prepararsi all’opera. Dopo aver disquisito lungamente con Skerrett, decise che si sarebbe fatta acconciare i capelli con una treccia arrotolata sulla sommità del capo come a formare una corona, una pettinatura che le faceva sembrare il collo più flessuoso perché non c’erano ciocche libere a coprire la linea bassa delle spalle.
«Stasera intendo indossare la collana di diamanti della regina Carlotta.»
«Sì, Maestà, vado a prenderla immediatamente.» Jenkins uscì, con gran sferragliare del mazzo di chiavi che le pendeva dalla cintola. Poco dopo tornò con una scatola di cuoio verde sbiadito e la porse a Vittoria. Quando lei la aprì, ebbero entrambe un sobbalzo nel vedere i diamanti che scintillavano alla luce delle candele.
«Sì, volevo proprio questa» disse Vittoria mentre la passava a Jenkins affinché gliela allacciasse dietro al collo.
Quando arrivò con i fiori da inserire nell’acconciatura, Skerrett fece un urletto di stupore di fronte a quella magnificenza. «Sembra che vi stia andando a fuoco il collo, da quanto brilla!»
La regina si guardò allo specchio soddisfatta. Sembrava davvero che quelle gemme avessero le fiamme dentro. Skerrett le assicurò la tiara sul capo e alla fine Vittoria si sentì perfettamente appagata dalla sua immagine riflessa.
Le aveva fatto piacere sapere da Lord Melbourne che il granduca Alessandro, dopo aver finito il suo viaggio in Europa, aveva deciso di fare un’altra tappa in Inghilterra prima di rientrare a San Pietroburgo. Era un ballerino eccellente e un abile conversatore. Quel suo ritorno a corte era quanto mai opportuno: sarebbe stato un utile scudo per parare i colpi dello zio.
Lo zio Leopoldo non era stato affatto contento quando lei gli aveva detto che, per ragioni diplomatiche, avrebbe dovuto dividere il palco reale con il granduca.
«Puoi sederti vicino alla mamma, zio. So che avete tante cose da discutere.»
Lui aveva protestato, dicendo che la grande affabilità che dimostrava nei confronti del granduca poteva essere fraintesa, ma Vittoria aveva interrotto subito le sue lamentele. «Oh, non preoccuparti. Ci sarà anche Lord M con noi e veglierà affinché non si verifichi alcun incidente diplomatico.»
Leopoldo aveva serrato le labbra, senza aggiungere altro.
L’orchestra del Teatro di Sua Maestà suonò God Save the Queen e l’inno nazionale russo quando Vittoria raggiunse il palco con il granduca. Al termine dei brani, i due sovrani si accomodarono senza neppure voltarsi a controllare che le poltrone fossero posizionate al posto giusto. Abituati sin dalla nascita a essere trattati in modo consono alla propria regalità, lo diedero per scontato.
Il Teatro di Sua Maestà la Regina, che fino a poco tempo prima si era chiamato Teatro di Sua Maestà il Re, era pieno. La trasposizione in musica di Donizetti della Sposa di Lammermoor di Sir Walter Scott era già un successo, ma quella sera il pubblico era interessato tanto a quel che avveniva in scena quanto a quello che succedeva fuori dal palcoscenico.
In primo luogo c’era il palco reale che ospitava la regina e il granduca di Russia, le cui decorazioni militari incastonate di diamanti brillavano non meno della collana di Vittoria. Alle spalle dei due monarchi c’erano il Primo Ministro e Lady Portman, condannati dal protocollo a stare in piedi per l’intera durata della rappresentazione. Dall’altra parte dell’anello reale c’era il palco che ospitava il re del Belgio e la duchessa di Kent. La folla li aveva salutati con grande calore, ed entrambi avevano pensato di aver meritato individualmente quel giusto tributo. Ma Sir John Conroy, in piedi alle spalle della duchessa, sapeva bene a chi dei due spettavano realmente quelle acclamazioni.
Il duca di Cumberland, al contrario, non ricevette alcun plauso mentre si accomodava nel suo palco in compagnia della moglie e di suo nipote, il principe Giorgio di Cambridge. Il principe, che indossava l’uniforme e aveva l’aria di chi preferisce il refettorio del suo reggimento al teatro dell’opera, aveva gli occhi azzurri sporgenti e la conformazione del mento tipici degli Hannover.
Quando terminò l’ouverture e la Persiani entrò in scena per la sua prima aria, c’erano tanti binocoli puntati sul palco reale quanti ce n’erano rivolti alla diva.
Il duca di Cumberland era stato felicissimo di vedere che Leopoldo non era nel palco reale, anche se non aveva apprezzato che accanto alla nipote fosse seduto il granduca. Un giorno sarebbe stato acclamato Zar di tutte le Russie, e dunque non avrebbe mai potuto sposare Vittoria, ma aveva un tocco esotico che di sicuro a suo nipote mancava.
«La regina sta entrando in grande intimità con il russo, Giorgio. Credo che dovresti andare a porgerle i tuoi omaggi prima che gli si sieda in grembo.»
Giorgio fece un sospiro esagerato. «L’importante è che non debba restare anche per il secondo atto. Cantano meglio i miei commilitoni alla mensa degli ufficiali.»
L’unica persona che guardava lo spettacolo con l’attenzione che meritava era la regina. Quando Lucia iniziò a cantare del suo amore imperituro nei confronti di Edgardo, gli occhi le si riempirono di lacrime, cominciando a rigarle le gote.
Il granduca, che non aveva mai perso di vista il suo profilo, estrasse un fazzoletto di proporzioni imperiali e glielo porse. Lei l’accettò con un sorriso.
«Grazie. Sono sopraffatta dall’emozione.»
Il granduca le si accostò e disse, a voce bassa: «Non abbiamo molte occasioni di abbandonarci al pianto, noi due.»
Vittoria annuì. «Avete ragione. Forse è per questo che amo tanto l’opera.»
«Avete un’anima russa.»
«O forse inglese.»
La musica salì d’intensità quando Lucia giunse alla fine dell’aria e cadde svenuta. Gli spettatori non fecero caso alla sua splendida interpretazione perché erano tutti intenti a scrutare l’erede al trono di Russia che corteggiava la loro regina.
Nell’intervallo il principe Giorgio si presentò nel palco reale. Vittoria lo guardò stupita. «Non sapevo che vi piacesse l’opera.»
Il viso lattiginoso di Giorgio arrossì mentre si sforzava di rispondere. Alla fine disse: «È un interesse recente, cugina Vittoria.»
«Allora insisterò che la prossima volta siate voi ad accompagnarmi» replicò lei sorridendo. Poi, voltandosi verso il granduca, disse: «Posso presentarvi mio cugino, il principe Giorgio di Cambridge?»
Giorgio fece al russo un inchino adeguato ma non troppo ossequioso. Il granduca annuì e disse: «Ho avuto l’onore di ispezionare il reggimento del principe. Che uniformi magnifiche!»
Dal suo tono si capiva chiaramente che le uniformi erano l’unica cosa apprezzabile di quel reggimento. Mentre Giorgio rifletteva su quell’implicito insulto, il suo viso si fece paonazzo. Avrebbe voluto rispondere che il suo almeno era un battaglione da combattimento ben disciplinato e non un manipolo di Cosacchi ubriachi, ma si limitò a lanciare un’occhiataccia al russo impertinente.
«Non è splendida Lucia?» chiese Vittoria al cugino. «La scena della follia non vi ha fatto venir voglia di piangere?»
Giorgio provò un certo sollievo a quella domanda, alla quale poteva rispondere in modo pienamente sincero. «Non immaginate quanto.»
Il principe si trattenne nel palco reale per qualche altro minuto, con Cumberland che non gli staccava gli occhi di dosso. Ma poi la musica riprese, e lui si congedò.
Leopoldo aveva assistito a quell’incontro attraverso le lenti del suo binocolo, e aveva capito subito quali fossero le intenzioni di Cumberland rispetto al principe Giorgio. Pur sapendo che Giorgio era decisamente inferiore ad Alberto sia per avvenenza sia per intelligenza, fu nondimeno sollevato nel vedere che Vittoria non aveva dimostrato alcun entusiasmo nei suoi confronti. Sua nipote preferiva di gran lunga la compagnia del granduca, ma Leopoldo non era allarmato da quello che reputava niente di più che un innocuo corteggiamento. Il matrimonio tra due sovrani era un’impossibilità pratica e diplomatica. L’ultima volta che era stato fatto il tentativo, ai tempi di Maria Tudor e Filippo II di Spagna, le cose erano andate male per entrambe le famiglie.
Dopo che Giorgio se ne fu andato, l’attenzione di Leopoldo si spostò sulla scena, dove era in corso un piacevole balletto. Si stava giusto godendo i polpacci ben torniti delle ballerine quando la duchessa, che stava invece osservando la figlia, lo interruppe. «Guarda Drina. Credo che si stia facendo corteggiare dal granduca. È assai disdicevole.»
«Mia cara, non ti allarmare. Il granduca è solo un passatempo innocuo. Vittoria non è così sciocca da pensare che tra loro possa esserci più di qualche parola lusinghiera.»
La duchessa sospirò. «Spero proprio che tu abbia ragione. Ma sappi che Vittoria è capace di ogni genere di sciocchezza.» Conroy fece uno schiocco di assenso.
Leopoldo spostò nuovamente lo sguardo dal palcoscenico al palco reale. Attraverso le lenti del binocolo vide il viso ingrandito di Vittoria e notò con sorpresa e inquietudine che aveva un’espressione raddolcita, una di quelle espressioni che a volte hanno le donne innamorate. Ma chi stava guardando? Quando inclinò il binocolo per seguire la traiettoria di quello sguardo, Leopoldo individuò le attraenti sembianze di Lord Melbourne, che sembrava ricambiare con pari tenerezza.
Leopoldo mise giù il binocolo. La duchessa aveva ragione: sua nipote sarebbe stata capace di ogni genere di sciocchezza. Come poteva solo immaginare che Melbourne fosse per lei qualcosa di più di un Primo Ministro? No, era impossibile. Vittoria non poteva illudersi di una simile fantasticheria. Ma ciò che aveva visto era assai preoccupante. Decise di non parlarne con sua sorella. L’unica cosa che avrebbe potuto spingere Vittoria a compiere azioni irrevocabilmente sciocche sarebbe stato un intervento della madre. No, doveva parlare direttamente con lei. Avendo preso la sua decisione, Leopoldo tornò a guardare la scena, dove nel frattempo le ballerine, con suo grande disappunto, erano state sostituite da un coro di vigorosi scozzesi che cantavano in italiano.
Il corteo della regina fu il primo a lasciare il teatro. Il granduca accompagnò Vittoria giù per la scala fino all’ingresso di Haymarket, dove la carrozza era in attesa. Uscendo dal teatro, la regina fu gratificata da qualche acclamazione proveniente dalla folla.
Il granduca voltò la testa verso di lei e sorrise. «Il vostro popolo vi ama, Vittoria.»
«Forse sono contenti di vedere la loro regina. Credo che anche voi siate salutato con lo stesso entusiasmo in Russia.»
«Può darsi. Ma il vostro popolo è libero di acclamarvi se ne ha voglia, mentre il mio popolo non lo è. L’encomio dei servi non è uguale a quello dei liberi cittadini.»
Vittoria vide che il granduca si era rabbuiato quando si era chinato a baciarle la mano.
«Buonanotte, Alessandro» disse, ben consapevole di averlo chiamato per nome, come del resto aveva fatto lui.
Il granduca batté i tacchi in segno di saluto.
In carrozza, Vittoria sentì un rumore: era Dash che le era saltato in grembo e le stava leccando le mani. «Oh, mio piccolo caro Dash, che splendida sorpresa!» Poi lo tirò a sé e lo abbracciò stretto.
La graziosa testa bionda di Lord Alfred Paget, il Gran Stalliere, comparve al finestrino. «Spero di non avervi recato offesa, Maestà. Ma si stava struggendo a Palazzo, e così mi sono preso la libertà di portarlo con me.»
«Siete stato molto premuroso, Lord Alfred. Non posso pensare a un migliore compagno per il viaggio di ritorno. A Dash piace molto sentir parlare dell’opera, vero, Dash?» E il cagnolino si abbandonò all’esultanza quando la regina gli grattò la pancia.
«Spero non ti dispiaccia accogliere anche un passeggero umano, Vittoria.» Con suo grande fastidio, Vittoria vide che era lo zio Leopoldo. Senza aspettare la risposta, il re del Belgio scansò Lord Alfred e prese posto di fronte alla nipote.
Vittoria si strinse sul sedile, con Dash sempre stretto tra le braccia. Era stanca, e l’ultima cosa che avrebbe desiderato era un tête-à-tête con lo zio. Ma non c’era modo di evitarlo, a meno che non chiedesse alle guardie di rimuoverlo con la forza, cosa che avrebbe scatenato un incidente diplomatico. Il pensiero la fece sorridere. Tirò l’orecchio del cane e gli sussurrò all’orecchio: «Non sai quanto sia contenta la tua mammina di vederti, piccolo Dash.»
Leopoldo estrasse un fiammifero dalla tasca e accese la candela vicina al suo sedile, che gli illuminò il viso dal basso facendolo apparire quasi demoniaco. «Mia cara nipote, sai bene che ho sempre cercato di essere un padre per te.»
Vittoria giocherellava con l’orecchio del cane. «Mi hai scritto parecchie lettere, questo è certo. Vero, Dash?»
Leopoldo sospirò. «Per favore, parla con me e non con il tuo cane. Devo dirti qualcosa di molto importante.»
Vittoria accostò il muso di Dash al proprio viso e replicò: «E noi ti ascoltiamo.»
Lui ignorò l’insolenza. «Dici di non voler sposare Alberto. Ma io vorrei sapere se intendi sposare qualcun altro.»
«Non ho in programma di sposare nessun altro, al momento» ribatté lei guardandolo freddamente.
Leopoldo si portò una mano alla testa per verificare che il parrucchino fosse ben posizionato. «Non starai forse pensando che il tuo Lord M possa mai essere per te altro che un Primo Ministro?»
«La tua insinuazione non merita neppure una risposta» rispose Vittoria mentre carezzava Dash con tanta furia da farlo guaire.
«Allora, da monarca a monarca, ti consiglio di fare attenzione.»
«E io, da monarca a monarca, ti consiglio di non intrometterti.» La sua voce era alterata dall’irritazione.
«Forse sei troppo giovane per capire quanto sia pericolosa la tua situazione. Il paese è in condizioni precarie. Sono molto preoccupato per i disordini in Galles. Tutti i movimenti rivoluzionari nascono allo stesso modo, con il malcontento del popolo.»
«Lord Melbourne dice che non ho niente da temere dai Cartisti. Dice che c’è stato un pessimo raccolto, e che quando la gente ha fame tende ad arroccarsi su posizioni radicali.»
«Il tuo Lord Melbourne non è infallibile, Vittoria. Temo che anche la Corona Britannica sia vulnerabile.»
Vittoria fece un rumore a metà tra il grugnito e la risata. Ma Leopoldo proseguì imperturbabile. Prese dei fiammiferi dalla tasca e sfregandone uno davanti al volto illuminò la sua espressione imbronciata.
«Credi che la tua monarchia sia un fuoco che arde vigoroso, Vittoria, ma basta uno spiffero che soffia dalla parte sbagliata e la fiamma si spegne. Sposa Alberto e costruisci una famiglia della quale il tuo popolo possa essere fiero. Altrimenti…» Leopoldo soffiò sul fiammifero.
Vittoria tenne Dash ancora più stretto a sé e non disse una parola per il resto del viaggio, che fortunatamente fu molto breve.