Cinque

Il mattino dopo Vittoria aspettava come al solito Melbourne nel salottino privato, con le valigette rosse impilate sullo scrittoio. Si era vestita con cura, indossando un nuovo abito di mussola a motivi floreali, e si era fatta acconciare i capelli con le trecce che giravano attorno alle orecchie, una pettinatura che a detta di Lord M le donava molto. Gli eventi del giorno prima l’avevano confusa a tal punto che era andata a letto senza cena. Ma poi nel cuore della notte si era svegliata in preda all’inquietudine e si era alzata.

C’era la luna piena, e i giardini del Palazzo erano screziati di luce argentata. Vide una bestiola, forse un coniglio, correre per il prato in direzione del laghetto. Vittoria faceva fatica, certe volte, a ricordare che quella residenza si trovava nel pieno centro di Londra, a un paio di chilometri dall’ospizio dei poveri. Comunque aveva appreso con sollievo che non c’erano stati feriti quel pomeriggio: Melbourne le aveva dato ascolto.

Pensava di ricevere qualche notizia da lui la sera stessa, ma con sua grande sorpresa non si era fatto vivo neppure per lettera. In un certo senso era meglio così: le occorreva tempo per esaminare i propri sentimenti. Sentiva ancora la lana ruvida della sua giacca che sfregava contro la propria guancia. Quel contatto, per quanto rapido e fortuito, le aveva provocato un turbamento che non riusciva a spiegare. Era come se avesse trovato qualcosa che non sapeva di star cercando.

Mentre camminava su e giù per la camera, illuminata da una luna talmente chiara che non le occorreva neppure una candela, vide la scatola con il telescopio che le aveva regalato Lord Melbourne per il compleanno. La aprì ed estrasse lo strumento, allungandolo fino alla massima estensione. In ginocchio sulla poltrona davanti alla finestra, Vittoria lo avvicinò all’occhio e cercò la luna. La lente le rivelò il paesaggio lunare, con le sue zone d’ombra, e provò un certo sgomento.

Non era esattamente il tipo di regalo che si aspettava da Lord M per il compleanno, ma ora le parve di comprenderne il significato. Le aveva suggerito di guardare le cose con occhi diversi, di spostare la prospettiva. Ovviamente all’epoca avrebbe voluto che accettasse il fatto che non era più lui il suo Primo Ministro, ma poi si era reso conto di doverle rimanere accanto. Attraverso quella lente d’ingrandimento doveva ora riconsiderare la posizione di Lord Melbourne, e guardarlo con altri occhi.

Era suo amico, consigliere e confidente, ma forse, si chiese Vittoria, poteva diventare qualcosa di più. Il suo corpo l’aveva capito da tempo – quell’improvviso contatto avvenuto il pomeriggio prima le aveva dato una sorta di scossa elettrica – ma la sua mente doveva ancora prendere coscienza di quella nuova prospettiva. Se proprio doveva sposarsi, ci poteva essere un marito più adatto o più desiderabile dell’uomo che già riempiva i suoi pensieri? Sarebbe stata una scelta poco ortodossa, ne era consapevole, ma di sicuro sarebbe stato meglio per lei sposare un uomo che amava anziché assoggettarsi a un matrimonio di convenienza.

L’Atto Reale di Matrimonio vietava le nozze di un membro della famiglia senza che prima ci fosse il consenso del sovrano, ma il sovrano era lei stessa. Sapeva, ovviamente, che ci sarebbero state obiezioni da parte degli zii, e forse anche da quelle bestie dei Conservatori, ma alla fine chi avrebbe mai potuto fermarla?

Mentre girava la rotella d’ottone del telescopio, Vittoria rifletté su quanto sarebbe stato arduo comunicare a Lord M la sua decisione. Forse lui aveva già capito qualcosa, ma anche se così fosse stato – pensò stringendo forte il telescopio tra le mani – qualunque proposta sarebbe dovuta scaturire da lei stessa: i sovrani devono dichiararsi per primi, non possono sperare in una proposta di matrimonio.

Sospirò, pensando a come avrebbe potuto esprimersi. L’unico modo possibile era mettersi vicina a lui abbastanza da sentire il suo calore e da non dover incontrare il suo sguardo. Non sarebbe riuscita ad aprir bocca se lui l’avesse fissata con quei suoi occhi verdi. Doveva farlo, e senza indugio. Le tornarono in mente le parole che usava sempre Lord M quando era il momento di affrontare qualcosa: «C’è sempre un flusso della marea negli affari degli uomini che bisogna seguire al momento giusto…»

Avrebbe seguito la marea.

Quando la porta del salottino si aprì, subito dopo che l’orologio ebbe finito di battere le nove, Vittoria sollevò lo sguardo con un sorriso. Non era il suo Primo Ministro, come lei credeva, bensì Emma Portman, che aveva un’aria insolitamente turbata.

«Emma? Veramente aspettavo Lord M.»

«Lo so, Maestà. Per questo sono passata io. Volevo dirvi che Lord Melbourne è andato a Brocket Hall.»

«Brocket Hall? E perché mai sarebbe andato laggiù?»

Emma Portman abbassò lo sguardo. «Non saprei. Forse aveva bisogno di respirare un po’ di aria di campagna.»

«Ma se mi ha sempre detto che non c’è niente di più corroborante per lui di una passeggiata per St James’s?»

La dama provò a sorridere, ma il suo sguardo continuava a essere velato di preoccupazione. «Perfino Lord Melbourne può essere incoerente, alle volte.»

La regina si alzò in piedi di scatto, scagliando in terra le valigette ministeriali. Emma stava per chinarsi a raccoglierle ma Vittoria la fermò con un gesto della mano.

«Lasciate perdere le valigette. È qui la vostra carrozza, Emma?»

Emma annuì lentamente, con il volto sempre velato di apprensione.

«Vorrei prenderla in prestito, se possibile. Meglio ancora, vorrei che facessimo un’escursione insieme.»

Emma guardò la regina e fece una domanda di cui conosceva già la risposta. «Dove andiamo, Maestà?»

«A Brocket Hall. Devo dire a Lord M una cosa della massima importanza.»

«È un viaggio impegnativo, Maestà. Forse sarebbe meglio inviargli un messaggero. Sono certa che Lord M tornerebbe immediatamente in città.»

Vittoria passeggiava nervosamente in lungo e in largo. «No, non posso aspettare. C’è sempre un flusso della marea negli affari degli uomini che bisogna seguire al momento giusto…»

«Non posso obiettare alle parole di Shakespeare, Maestà.»

«Bene. Dobbiamo partire subito. Viaggeremo in incognito, naturalmente.»

«Naturalmente» ripeté Emma in tono mesto. Se Vittoria s’era accorta dello scarso entusiasmo da parte della sua dama, non lo diede a vedere: si avviò lungo il corridoio con il solito passo rapido e leggero.

Il viaggio verso Brocket Hall, nella contea dello Hertfordshire, durò quasi due ore. Vittoria insistette nel fare un’unica tappa. Si sedette sul bordo del sedile, e mentre giocherellava con il velo cercava di ripassare mentalmente il discorso che avrebbe fatto a Lord Melbourne. Di tanto in tanto guardava Emma e faceva qualche commento sul tempo o sul paesaggio, ma era chiaro che la sua testa era troppo piena di pensieri per consentirle una normale conversazione.

Alla fine, con gran sollievo di Emma, la carrozza svoltò nel vialetto profilato di olmi che conduceva a Brocket Hall, una villa palladiana con la facciata di pietra calcarea.

«Ecco, Maestà. Se guardate da questa parte si vede la casa. Credo sia stata costruita durante il regno del vostro bis-bisnonno Giorgio II, ed è considerata una delle più belle del periodo.»

Vittoria guardò fuori dal finestrino, ma non per vedere la casa. «Avete conosciuto la moglie di Lord M, Emma?»

«Caroline? Naturalmente. Era per me una specie di cugina.»

«Che tipo di donna era? Era molto bella?»

«No, non la definirei una bella donna. Ma era straordinariamente vivace. Se c’era lei in una stanza, era impossibile che l’attenzione cadesse su qualcun altro.»

«Capisco. Ma la sua condotta era immorale, non è così?»

Emma sorrise. «Vi riferite alla fuga con Byron? Non la definirei immorale. Credo che sia stata sconsiderata, ma non immorale: Byron l’aveva stregata, e lei non ebbe la forza di resistergli.»

«State forse dicendo che il suo comportamento non era da biasimare?»

«Sono stata alquanto dispiaciuta per lei, Maestà. Se l’aveste vista, dopo la fine di quella mésalliance, avreste capito. Era come se si fosse spenta tutta l’energia che ardeva dentro di lei. Byron era un uomo terribile. Straordinariamente attraente, ma senza cuore. La povera Caroline venne buttata via come un cencio vecchio.»

«Ma aveva infranto i voti matrimoniali, Emma. Come si può provare pietà per una donna che si macchia di una simile colpa?»

Emma fissò il visetto di Vittoria e vide che le gote s’erano arrossate e gli occhi brillavano. «Non è stata la prima donna sposata a tradire il marito, né l’ultima.»

«Io penso invece che il suo comportamento sia stato deplorevole. Non ho mai capito perché Lord Melbourne la riprese con sé dopo che l’aveva ricoperto di ignominia.»

«È stato ammirevole, Maestà. Sua madre, gli amici, il partito… tutti avevano cercato di convincerlo a divorziare, ma lui non lo fece. Disse che non l’avrebbe abbandonata nel momento del bisogno. E si prese cura di lei fino alla sua morte, anche se per la maggior parte del tempo Caroline era in preda al delirio.»

Vittoria scosse la testa. «Non meritava un uomo così.»

Emma si permise di dissentire. «All’inizio era una donna amorevole, ma poi… ecco, credo che William si ritenesse responsabile del suo declino.»

La carrozza iniziò a rallentare.

Emma guardò la regina. «Se mi permettete, entro io per prima. Conosco il maggiordomo, e vorrei pregarlo di osservare la massima discrezione.»

Vittoria si abbassò il velo nero davanti al viso. «Credete che qualcuno possa riconoscermi, con questo velo?»

Emma si sforzò di non sorridere.

Hedges, il maggiordomo, stava scendendo gli scalini mentre il cocchiere apriva la carrozza. Il suo volto tradì una forte apprensione. Poi riconobbe Emma e la salutò con un profondo inchino. «Sono desolato, signora, ma il padrone non mi aveva avvisato della vostra visita.»

«Non preoccupatevi. Non ne era a conoscenza neppure lui.»

Hedges era visibilmente a disagio. «Poiché siete un’amica di vecchia data, una delle sue più fidate, mi sento in dovere di avvertirvi che non troverete Sua Signoria in una buona disposizione d’animo. È arrivato ieri sera senza preavviso e non sembrava in sé.»

«Vi ringrazio, Hedges. Sono preparata al peggio.» Poi abbassò la voce. «Ho portato con me una persona, una persona molto… distinta, che vuole vedere Lord Melbourne.» Il maggiordomo fece un’aria stupita, ma quando gettò un’occhiata verso la figuretta velata che aspettava in carrozza, un guizzo di consapevolezza gli balenò negli occhi. «Capisco, mia signora.»

«È qui in incognito, vorrei sottolineare.»

Hedges annuì. «Certamente.»

«Bene. Ora potete andare ad avvisare il padrone che sono arrivate delle visite.»

«È nel parco, mia signora. Credo sia andato verso il boschetto ceduo nei pressi del laghetto. La zona dove si radunano le cornacchie.» Accompagnò quest’ultima informazione con un’alzata di sopracciglio, come se volesse scrollarsi di dosso ogni responsabilità rispetto a quel luogo.

Emma annuì. «Vi ringrazio, Hedges. Lo raggiungeremo a piedi.»

Incapace di attendere oltre, Vittoria scese giù dalla carrozza. «Va tutto bene? È proprio qui, non è vero?»

Emma la prese per il braccio e si avviarono lungo il sentiero, dove nessuno poteva sentirle. «Sì, Maestà, William è qui. Il maggiordomo dice che è laggiù.» Indicò il boschetto oltre il lago, che era attraversato da un ponticello di pietra.

Vittoria seguì con lo sguardo. «Allora vado a cercarlo.»

«Non è meglio se vado prima io ad annunciargli la vostra visita? Potrebbe non essere pronto per ricevervi.»

Vittoria rise. «Oh, Emma, Lord M e io non abbiamo bisogno di tanti convenevoli. Anche lui viene spesso a Palazzo senza annunciarsi prima. Perché dovrei comportarmi diversamente?»

«Come desiderate, Maestà.»

Vittoria s’incamminò lungo il sentiero di ghiaia che portava al ponticello, ma quando Emma fece per seguirla, si voltò indietro e disse: «Credo sia meglio che mi aspettiate dentro casa.» Vide che la dama era sul punto di protestare, e disse in tono perentorio: «Posso farcela da sola.»

«Se ne siete proprio sicura, Maestà.»

«Proprio sicura.»

Emma rimase a guardare la sagoma minuta della regina avvolta nel voluminoso velo nero che si avviava a passo vivace verso il laghetto. Quando si voltò, Hedges era in piedi accanto a lei. Si scambiarono un’occhiata mentre prendevano atto di quanto stava accadendo, poi Lady Portman ruppe il silenzio. «Mi è venuta sete, nel viaggio. Potreste farmi preparare un tè?»

«Certamente, signora.»

Vittoria lo vide per prima. Il verde scuro della sua giacca si stagliava contro la pietra grigia della panchina su cui era seduto. Guardava dalla parte opposta a quella da cui lei stava venendo, e stava fissando alcune querce i cui rami frondosi erano anneriti dalla fitta concentrazione di cornacchie che vi stavano appollaiate. Era perfettamente immobile, con la testa poggiata allo schienale della panca. Ma poi gli uccelli percepirono la presenza della regina e cominciarono a volare in cerchio. Le loro strida riecheggiavano sul pelo dell’acqua. Melbourne si alzò lentamente, con una postura che esprimeva tutto il fastidio che provava per essere stato disturbato. Ma quando riconobbe l’inconfondibile figuretta che gli veniva incontro, il suo portamento si fece improvvisamente guardingo e circospetto.

Aspettò che si fosse avvicinata ancora qualche metro, poi agitò una mano in segno di saluto. Quando Vittoria lo raggiunse e sollevò il velo, Lord Melbourne disse: «Dunque siete proprio voi, Maestà. Non ne ero sicuro.»

Vittoria lo guardò. «Il maggiordomo ha detto che questo è il vostro posto preferito.»

Melbourne indicò gli alberi alle sue spalle, dove gli uccelli strepitavano per protestare contro l’intrusione. «Vengo qui per loro, Maestà. Sono animali socievoli. Quando si riuniscono in questo modo si dice che facciano un Parlamento. Ma le cornacchie sono senza dubbio più civilizzate dei loro equivalenti umani.»

Rimasero ad ascoltare il gracchiare lugubre degli uccelli. Vittoria si morse il labbro, poi disse: «Mi rincresce disturbarvi, Lord M, ma dovevo parlarvi con urgenza.»

Melbourne accennò un inchino. «La residenza di Brocket Hall è onorata di ricevere una vostra visita.»

«Sono venuta qui con Emma Portman. In incognito, naturalmente.»

Melbourne non trattenne un lieve fremito delle labbra. «Naturalmente, Maestà. Ma la vostra presenza non può essere del tutto celata.»

Vittoria si sistemò il velo, che si gonfiava per via del vento. Le cornacchie risposero al suo gesto con un mulinello di grida.

«Ieri… Ieri mi sono resa conto di una cosa.»

Lui continuò a fissarla. Aspettava che proseguisse, ma di fronte alla sua esitazione la incoraggiò: «Dunque, Maestà?»

Vittoria parlò in fretta, come se dovesse sbarazzarsi delle parole prima che le bruciassero dentro la bocca. «In questo momento vi parlo non da regina ma da donna.»

Ebbe un altro momento di esitazione, e Melbourne continuò a guardarla nell’attesa che proseguisse. «All’inizio credevo che voi foste il padre che non avevo mai avuto, ma adesso sento…» Poi sollevando lo sguardo, finì la frase: «… so che voi siete l’unico compagno che io potrò mai desiderare.»

Mentre pronunciava quelle parole, uno sprazzo di luce squarciò le nuvole andando a illuminare direttamente il viso di Melbourne, che si voltò per un istante. Poi, quando il sole tornò dietro le nuvole, guardò Vittoria e le prese una mano. Sebbene indossasse i guanti di capretto, la regina sentì il tocco di quella mano, che bruciava come un tizzone ardente. Con l’altra mano fece un gesto verso gli uccelli radunati alle sue spalle.

«Lo sapevate, Maestà, che le cornacchie scelgono un unico compagno per tutta la vita? Ogni anno, quando è il momento di fare il nido, ripetono i riti di corteggiamento con lo stesso compagno dell’anno precedente, rinnovando i voti nuziali e tenendo sempre viva la scintilla della vita di coppia. Potremmo imparare così tanto da loro.»

Vittoria udì le sue parole, ma l’unica cosa che percepiva era il calore delle sue mani. Quando vide la regina che lo guardava fisso, Melbourne fece una pausa, poi proseguì. «Se avessi osservato meglio il comportamento delle cornacchie, forse mia moglie si sarebbe sentita più accudita da me.»

Vittoria sbottò indignata: «Non avrebbe mai dovuto lasciarvi! Io non avrei mai fatto una cosa del genere!»

Melbourne deglutì, poi disse, in tono grave: «No. Quando si dona il proprio cuore, lo si fa senza esitazione.» Poi, abbassando la voce, aggiunse: «Ma voi non potete donarmi il vostro.»

Vittoria avrebbe voluto scoppiare a ridere. Ma non lo capiva per quale motivo era andata fin là?

«Credo, Lord M, che voi lo possediate già.» Gli si avvicinò con il viso fino al punto in cui la differenza di altezza lo permetteva. Sapeva che non si sarebbe mai approfittato della sua regina, ma di sicuro voleva che gli fosse chiara una cosa: se avesse voluto baciarla, lei non gli si sarebbe sottratta. Chiuse gli occhi, in attesa. Ma anziché sentirlo che si chinava su di lei, perse il contatto delle sue mani.

Quando riaprì gli occhi, notò delle rughe tra il naso e la bocca a cui non aveva mai fatto caso. Melbourne parlò con determinazione. «No, mia cara Vittoria. Il vostro cuore dovrà restare intatto per qualcun altro.»

Tornò a guardare le cornacchie, come se potessero trasmettergli qualche messaggio, poi si voltò nuovamente verso Vittoria e le disse con fredda lucidità: «Io non saprei cosa farmene.» E sorridendo aggiunse: «Come una cornacchia, ho avuto un’unica compagna e amerò solo lei per tutta la vita.»

Ci volle un momento prima che Vittoria capisse cosa aveva detto, e che tutto ciò che aveva pensato e sperato non si sarebbe mai realizzato. Si era ingannata. Lui non la amava. Sarebbe rimasto sempre fedele alla memoria di una moglie che lo aveva tradito.

Doveva andarsene prima che arrivassero le lacrime. Chiamando a raccolta tutta la sua dignità, disse: «Capisco. Sono spiacente di avervi disturbato, Lord Melbourne.» Si abbassò il velo davanti al viso e si allontanò, prima camminando, poi correndo più veloce che poteva, mentre il gracchiare delle cornacchie copriva il rumore dei suoi singhiozzi.

Dalla finestra del salotto, Emma Portman vide la figura minuta della regina che riattraversava il ponte sul laghetto. Dalla traiettoria sghemba che percorreva, era evidente che Vittoria non vedeva il sentiero davanti a sé: stava piangendo.

Suonò il campanello e chiese a Hedges di preparare la carrozza perché sarebbero ripartite immediatamente. Il maggiordomo annuì, ma prima di congedarsi disse con una tristezza che rivelava un profondo affetto: «Il mio padrone non ha avuto la felicità che avrebbe meritato, signora.»

«No. Ma ha servito splendidamente il suo paese.»

Hedges chinò il suo capo ingrigito e fece chiamare la carrozza. Emma Portman aspettò la regina.

Vittoria risalì la collina e montò subito in carrozza. Non sollevò il velo. Emma si accomodò al suo fianco, ma la regina non voleva parlare. Cosa avrebbe potuto dire? Che l’unico uomo che avesse mai desiderato l’aveva respinta perché preferiva la memoria della moglie morta, una donna che l’aveva trattato indegnamente?

Vittoria sentì svanire quella consapevolezza che aveva provato appoggiando la sua guancia contro la giacca di Melbourne il giorno prima. Quel senso di sicurezza era stato una pura illusione: a Melbourne non interessava niente di lei. Lui teneva solo alla malvagia Caroline, un’adultera che l’aveva umiliato, mentre lei, Vittoria, non aveva fatto altro che donargli il suo amore e il suo affetto. L’odio nei confronti di Caroline e il pensiero della sua spaventosa cattiveria la fecero sentire un po’ meglio. Era più semplice incolpare la moglie morta che non il marito che restava fedele alla sua memoria. Quanto in fretta era passata dalla speranza alla disperazione. Pensò a come le aveva sorriso quando lei aveva tirato su il velo e poi al brivido di pura felicità che aveva provato quando lui le aveva preso le mani. Era il gesto di un innamorato, non di un politico. Ma poi si era messo a parlare delle cornacchie, e sebbene le tenesse ancora la mano, le sue parole la avevano allontanata. La sua unica possibilità di essere felice era svanita per sempre. Come avrebbe potuto sopportare un simile dolore? L’unica consolazione era che nessuno a parte loro due avrebbe mai saputo di quella conversazione.

Di lì a poco, una volta ritrovata la sua compostezza, avrebbe detto qualcosa a Emma per rendere chiaro che il motivo di quella visita era una consultazione urgente su una faccenda di governo. Quel pensiero le fece tornare in mente le ore felici passate insieme a Melbourne a sbrigare i documenti di stato, le battute di spirito sui vescovi di campagna, gli eventi più divertenti che avevano condiviso, come quando l’Emiro di Muscat le aveva regalato una zebra. Erano stati giorni davvero meravigliosi, ma ora erano finiti. Si chiese se avrebbe mai avuto il coraggio di affrontarlo. Non sarebbe mai più riuscita a parlare con lui come faceva un tempo. Tutto era rovinato. Le lacrime cominciarono a rigarle le guance. Emma le lanciò una rapida occhiata, ma lei voltò la testa. Non voleva che la sua dama la vedesse piangere. Chiuse gli occhi, facendo finta che nulla fosse accaduto, e che non fosse cambiato niente in lei rispetto al viaggio di andata.

Emma le mise in mano un piccolo oggetto di metallo. «Posso suggerirvi un sorso di brandy, Maestà? Credo sia molto efficace, quando si soffre… il mal di viaggio.»

Vittoria si portò la fiaschetta alle labbra e sentì il liquido ardente scottarle la gola. Tossì, ma quando il bruciore iniziale cominciò a stemperarsi in un calore più diffuso, fece un altro sorso. Al terzo sorso, disse: «Vi ringrazio, Emma. Il brandy mi è di grande aiuto.»

«Ne porto sempre un po’ con me in viaggio, può sempre servire.» Era una bugia. Hedges le aveva messo la fiaschetta in mano prima che ripartissero.

Vittoria sentì il caldo liquore invaderle il corpo, e la disperazione iniziale cominciò a diminuire, lasciando spazio a una sensazione generale di stanchezza. Dopo un minuto si assopì con la testa sulla spalla di Emma, e con grande sollievo di quest’ultima, dormì per tutto il viaggio.

Quando la carrozza passò sotto l’Arco di Marmo, Lehzen era in piedi sulla soglia, con il viso segnato dalla preoccupazione. Vittoria si svegliò di soprassalto. Con una fitta, Emma vide il viso della giovane regina corrugarsi quando si rese conto di cosa era successo. Fece segno alla baronessa di scendere ad aiutarla. Prima che Vittoria ebbe modo di aprire bocca, Emma disse: «La regina è molto stanca per il viaggio. Ha bisogno di andare subito a letto. Fatele preparare del negus, per cortesia.»

Scendendo dalla carrozza, Vittoria si gettò quasi tra le braccia di Lehzen. Emma osservò il volto della governante, che tradiva un’espressione di compatimento mista a un impercettibile lampo di trionfo.