Otto

Il granduca aspettava Vittoria al cancello Roehampton di Richmond Park. Le aveva mandato un biglietto quella mattina chiedendole se aveva voglia di fare una passeggiata a cavallo in un posto dove avrebbero potuto lanciarsi al galoppo. «Rotten Row è il posto ideale per ammirare le signore nei loro eleganti completi da amazzone, ma oggi non mi interessa la moda.»

Dopo l’incontro con sua madre e Conroy, Vittoria capiva perfettamente le esigenze del russo. Anche lei voleva galoppare talmente veloce da lasciarsi indietro tutto il mondo, e pensare solo alla sottile striscia di terra che si snodava davanti alla testa del cavallo. E così aveva proposto Richmond Park, con i suoi alberi secolari e i suoi cerbiatti. Là sicuramente avrebbero potuto lanciarsi al galoppo senza paura di scontrarsi con una carrozza o di travolgere una bambinaia che spingeva la sua carrozzina.

Dopo che lo scudiero l’ebbe aiutata a montare in groppa a Monarca, Vittoria si accorse che il granduca aveva un’espressione impietrita, con la bocca serrata. Era evidente che non fosse in vena di conversare, e così, afferrando le redini, lei gli propose: «Facciamo un giro completo del parco?»

Il granduca annuì e Vittoria affondò i tacchi nei fianchi della sua giumenta. Contenta di poter andare a briglia sciolta, Monarca prese subito velocità, e lo stesso fece il cavallo del granduca. La loro corsa mise in fuga i cervi e fece volare in alto nel cielo, con grandi strepiti, i fagiani che se ne stavano nascosti tra gli arbusti. Quando passavano sotto i rami più bassi delle querce, si chinavano in avanti per schivarli, e infine, con urletti di pura gioia, si lanciarono in discesa verso i due stagni che dividevano in due il parco.

Felici e senza fiato, Vittoria e il granduca tirarono le briglie per frenare i cavalli. Il granduca smontò con un’agile mossa, e prima che lo scudiero giungesse per aiutare la regina, il russo l’aveva già sollevata e adagiata al suolo. La rigidità della sua espressione era svanita.

«Vi ringrazio per avermi condotto qui, Vittoria. Avevo un estremo bisogno di fare questa corsa.»

Vittoria sorrise. «Elisabetta Tudor era solita venire in questo parco a cacciare i cervi.»

«La regina che non prese mai marito.»

«Ma che ebbe un regno lungo e glorioso.»

«Esatto. Una grande regina può essere superiore a qualunque uomo» replicò il granduca con il viso illuminato da un sorriso. Poi si voltò verso il suo scudiero, che si teneva a debita distanza, e schioccò le dita. L’uomo estrasse un pacchetto e lo diede al granduca, che lo aspettava con la mano tesa.

«Ho qualcosa per voi, Vittoria. Un piccolo pegno per la nostra amicizia.»

Era una tabacchiera in smalto blu con i profili in oro. Sul coperchio le lettere V e A, fatte di diamanti, erano intrecciate a formare un grazioso monogramma, quasi simmetrico nelle punte e nelle parti cave.

Vittoria sospirò. «È splendido. E queste iniziali?»

Il granduca fece un cenno con il capo e rispose: «V e A, Vittoria e Alessandro. Forse sono stato troppo audace, ma spero vogliate perdonarmi.» Le mise la scatola in mano e le richiuse le dita perché la tenesse stretta.

«V e A. Queste due lettere formano un accordo perfetto, non vi pare?»

Il granduca annuì. Poi, lasciandole la mano, aggiunse: «Lo zar mio padre mi ha ordinato di tornare a Pietroburgo.»

«È ammalato?» chiese Vittoria.

Il russo scosse la testa. «È in perfetta salute, ma teme di morire da un momento all’altro. E così ha deciso che è ora che io prenda moglie.» Guardò Vittoria e sospirò.

«Ha scelto per me una principessa danese di cui non ricordo il nome. Dice che è molto ghiotta di aringhe.» Scrollò le spalle, e abbozzò un sorriso.

Vittoria fu commossa dai suoi sospiri. Sebbene sapessero entrambi che qualunque alleanza tra loro sarebbe potuta avvenire solo a livello diplomatico, lui stava interpretando la parte dell’innamorato deluso. Benché sapesse che con tutta probabilità si trattava solo di una recita, Vittoria apprezzò ugualmente il gesto.

Inclinando la testa da un lato, gli fece un sorriso. «Sono certa che sarà una sposa deliziosa. Magari farà un po’ odore di pesce, ma sarà senz’altro incantevole.»

Il granduca le prese la mano e la guardò negli occhi. A Vittoria tornarono in mente le parole che lui le aveva detto al ballo, ovvero che né lui né lei avrebbero mai potuto sposare chi meglio credevano, e le sfuggì un sospiro. Poi sentì il lugubre verso di una cornacchia e le tornò in mente Melbourne che le teneva la mano a Brocket Hall.

Il granduca le lanciò un’occhiata malinconica attraverso le sue lunghe ciglia. Ovviamente era convinto che stesse pensando a lui.

«Se le cose stessero diversamente…»

Si avvicinò alla regina, sperando di ottenere da lei un bacio di addio, ma Vittoria lo schivò e disse in tono allegro: «Sono certa che saprete rendere felice la vostra mangiatrice di aringhe.»

Lui aprì le braccia. «Farò il mio dovere. La sposerò, avrò da lei molti figli, e un giorno sceglierò le loro mogli.»

Vittoria rise. «Spero che sceglierete saggiamente.»

«Forse avrete una figlia che vorrà sposare mio figlio per governare con lui la Russia.»

«Dimenticate che ho deciso di non sposarmi.»

Il granduca scosse la testa. «No, non l’ho dimenticato. Ma non credo che una donna come voi debba vivere senza un marito. Sono solo triste perché non sarà un russo.» Si portò la mano di Vittoria alle labbra e la baciò.

La duchessa non si presentò a cena quella sera, e quando Vittoria mandò Lehzen a indagare sulla sua salute, la baronessa tornò senza una risposta. La regina sentiva un grumo stringerle la bocca dello stomaco. Sapeva bene che sarebbe dovuta andare di persona negli appartamenti della madre, ma non era riuscita a trovare il coraggio. Detestava Conroy almeno quanto sua madre lo apprezzava, e pur non riuscendo a perdonare il legame forte con quell’uomo, capiva l’intensità di quel sentimento, almeno dal giorno della sua visita a Brocket Hall.

Il mattino dopo la regina volle esaminare i suoi merletti. Skerrett le portò una cassettiera che profumava di legno di cedro, dalla quale Vittoria estrasse delicati colletti di pizzo e veli impalpabili, finché non trovò uno scialle dai ricami talmente fini che quando lo scrollò si mise a brillare come fosse tempestato di cristalli di brina. La cameriera non poté trattenere un gemito.

«È una meraviglia, non ti pare?»

«È la cosa più bella che abbia mai visto, Maestà.»

Vittoria mise lo scialle sotto il braccio e prima che la sua determinazione potesse indebolirsi si avviò in direzione dell’ala nord.

Sua madre era seduta sul divano, con lo sguardo perso nel vuoto. Era vestita di nero, con i boccoli biondi che le ricadevano ai lati della testa flosci e disordinati. Vedendo in che stato di desolazione si trovava sua madre, Vittoria sentì il groppo allo stomaco farsi più stretto. Si sedette accanto a lei, ma la duchessa sembrò non accorgersi della sua presenza. Vittoria si chiese se avesse fatto la cosa giusta a recarsi lì in visita, e desiderò istintivamente andarsene, ma dentro di sé sapeva di dover sistemare le cose.

Appoggiò lo scialle tra le mani inerti della madre, ma la duchessa non si mosse. Allora Vittoria lo dispiegò drappeggiandoglielo in grembo.

«È per te, mamma. Questo merletto è stato fatto in un convento di Bruges. Guarda quanto è delicato.» Glielo mise davanti agli occhi vitrei e lo agitò facendolo vibrare come una ragnatela al vento.

Passò solo un minuto, ma a Vittoria sembrò un’ora. Poi sua madre finalmente si voltò verso di lei e, fissandola con uno sguardo sempre più vacuo, parlò con voce priva di qualunque emozione. «L’hai mandato via, Drina.»

Vittoria lasciò andare lo scialle sul grembo di sua madre. «No, mamma» disse dolcemente. «Lo ha voluto lui.» Prendendole la mano, continuò: «Ma so che ti mancherà. Credimi, mamma, ti comprendo.»

Abbassando lo sguardo, Vittoria vide la fede nuziale della duchessa incastrata tra le nocche gonfie dell’anulare.

«Come puoi comprendere? Sei solo una bambina. Come puoi capire come si sente una donna?» La voce della duchessa si ruppe sulla parola “donna”, che venne fuori come un rantolo intriso di lacrime.

Vittoria sentì che il nodo alla bocca dello stomaco si stava sciogliendo, e le parole le sgorgarono prima che potesse controllarle. «No, mamma. Ti sbagli. So bene quanto sia duro perdere una persona a cui tieni.»

La duchessa percepì una nota di disperazione nella voce della figlia, cosa che la aiutò ad allontanarsi per un attimo dal proprio dolore. Fissandola nei grandi occhi azzurri, dello stesso colore dei propri, capì. Si passò una mano sugli occhi bagnati di lacrime e poi accarezzò la guancia accaldata di Vittoria con infinita tenerezza. «Nessun uomo ti lascerebbe mai, a meno che non vi fosse costretto.»

Di fronte a una tale inattesa gentilezza Vittoria crollò, gettandosi tra le braccia della madre in un turbine di singhiozzi. «Oh, mamma… Io non sarò mai felice!»

La duchessa accolse il corpo tremante della figlia tra le braccia e la strinse forte. «Sei ancora giovane, Liebes. Troverai il modo di dare pace al tuo cuore, te lo assicuro.»

Quando i singhiozzi di Vittoria iniziarono a placarsi, la duchessa le sollevò il mento fino a portarlo all’altezza del proprio. «Abbiamo entrambe perso qualcosa, Drina. Ma oggi» aggiunse con gli occhi colmi d’amore, «sento di aver ritrovato qualcos’altro.» Vittoria la guardò stupita. «Ho ritrovato il tuo Schockoladenseite. Il tuo “lato cioccolatoso”. Credevo di averlo perduto per sempre.»

Vittoria percepì nella voce della madre un tono di supplica, come se volesse invocare il suo perdono, e le appoggiò la testa in grembo. Mentre la duchessa le carezzava la testa, chiuse gli occhi e inalò il sentore di lavanda.

Leopoldo, che era arrivato negli appartamenti della duchessa per comunicarle la visita imminente di Alberto ed Ernesto, vide questo quadretto dalla soglia e in punta di piedi si allontanò. Sapeva, ovviamente, che Conroy era stato bandito dalla corte, e ne era ben felice, ma temeva che una incrinatura permanente tra madre e figlia avrebbe potuto mettere a repentaglio la possibilità che Alberto conquistasse Vittoria. La vista della nipote adagiata sul grembo di sua sorella, che gli ricordava una Pietà, era assai incoraggiante. Se Vittoria si riconciliava con la madre, allora Alberto non sarebbe stato rifiutato a priori in quanto Coburgo.

Quanto alla duchessa, avrebbe sicuramente sentito la mancanza dell’irlandese, ma riguadagnare l’affetto di Vittoria sarebbe stata per lei una ricompensa adeguata. Con il tempo sua sorella avrebbe capito che Conroy era rimasto per tutti quegli anni al suo fianco solo nella speranza di guadagnare potere, e che quando aveva visto svanire la possibilità di diventare qualcosa di più che un semplice dignitario della duchessa di Kent se n’era andato. Purtroppo la duchessa non avrebbe trovato nessun altro in grado di intrattenerla come sapeva fare lui, ma la madre della regina, al pari della moglie di Cesare, doveva essere al di sopra di qualunque riprovazione. Pensò alla sua chère amie nascosta in una villa a St John’s Wood e rifletté sul fatto che per un uomo era assai più semplice districarsi in faccende di tal genere. Mentre ripercorreva il corridoio per tornare ai suoi alloggi intravide per un istante la sua immagine allo specchio e constatò con una certa soddisfazione che il parrucchino era sistemato alla perfezione.