«Ama ancora i numeri, Silvia?»
Silvia non risponde alla domanda diretta del preside. Lo guarda, ma non risponde. Come paralizzata. «Silvia?» la richiama lui.
«Abbastanza» risponde lei. Che significa abbastanza? La Guerra andava bene in matematica, come in tutte le altre materie, ma addirittura «lei mi insegna»… E poi «amava i numeri»… Non credo che Silvia abbia mai amato altro che se stessa, o al limite la madre, che sennò la faceva sentire un verme.
«Sbagliò a ritirarsi da quella competizione, Silvia.»
«E adesso che c’entra?» protesta lei. «Va bene tutto, ma i discorsi da rimpatriata no, lasciamo perdere. Non è questo il tema, ora.»
«Quale tema?» chiede Germano, improvvisamente attento come è sempre stato quando si trattava di Silvia. Non ho mai capito cosa fosse lui per lei: il suo spazio di ribellione, forse, la follia prima di rientrare nei ranghi. Ma per lui non si discute, Silvia fu il grande amore. Come lo può intendere uno come Germano, chiaro, che è un misto tra i biglietti che si trovano nei cioccolatini e le notti in caserma.
«Ne discussi anche con sua madre…» continua intanto il preside, imperterrito.
Silvia lo interrompe: «Ne parlò con mamma?».
«Sì, certo. Le dissi che era un grosso errore, e che lei avrebbe potuto fare bene.»
«E lei che disse?» Silvia prima non lo voleva ascoltare, ora è presa dall’ansia. Ma di che parlano?
«Disse che una ragazza deve pensare alle cose serie, e non perdere tempo giocando coi numeri. Per quello c’è la tombola, aggiunse. Me lo ricordo ancora.»
Sorriso amaro di Silvia, che a quanto pare riconosce lo stile materno. Subito però si ricompone, e accende una sigaretta.
«Silvia» interviene la signora Elena, «come sa, anche Mirko si ritirò. Le confesso: non riuscii mai a digerire questa vostra retromarcia.»
Mirko? E Silvia? Vostra retromarcia? Cos’è, il gioco dei mondi paralleli? Giochiamo a cosa sarebbe successo se Silvia avesse scambiato anche solo un saluto con Mirko in vita sua? Ma non lo ha fatto, ne sono sicuro.
Il preside si scopre circondato da espressioni interrogative e decide di spiegarsi.
«Parliamo delle Olimpiadi della matematica, ricordate? La scuola decise di puntare su tre studenti. Uno era Franceschi della H, uno era Mirko Caiati, e la terza era Silvia.»
Silvia che si iscrive a una competizione scolastica? Una cosa da secchioni? Da nerd? Silvia? Per di più, andando contro sua madre?
«Ti sei iscritta alle Olimpiadi, Silvia?» chiede Lucio beffardo. «E che pensavi di guadagnarci?»
Insopportabile, come sempre, ma coglie nel segno. La nostra Silvia, se davvero si è prestata a un’operazione culturale, dirò di più, formativa, può averlo fatto soltanto perché c’era un bottino da arraffare.
«La gloria, Rinaldi» risponde per lei il preside. «La gloria per sé e per l’istituto!»
«Mirko mi diceva che lei era così brava, che studiavate così bene insieme…» rincara la signora Elena. «Ma poi vi siete ritirati entrambi. La cosa lo tormentava, sa?»
Silenzio generale.
«Cioè, tu e Mirko… studiavate insieme?» chiede finalmente Margherita.
«Oh, sì» risponde Elena, mentre Silvia alza il mento come sfidandoci a dire qualcosa. «E andavano anche molto forte! Ricordo quando si avvicinava la data delle prove, che tensione! Mirko andava da lei i mercoledì e i venerdì. Poi, di colpo, più niente. Perché, Silvia? Mirko non me lo ha mai voluto spiegare.»
Non capisco il tono della domanda. È un vero quesito o è una sfida? Conosce o no la risposta?
E dov’è Mirko?
Ma Silvia non ne approfitta per mettere sul tavolo la questione cruciale, il che mi conferma che è sconvolta. Si guarda le mani, piuttosto, e sembra che ci veda dentro il passato come in una sfera di cristallo. Una sfera dalle unghie curatissime.
«Mia madre non era d’accordo.» Anche la voce sembra venga dal passato.
«Con che cosa?» chiedo io affascinato da questa svolta nella trama.
«Con l’idea delle Olimpiadi.»
«E perché?»
«Perché no. Punto e basta. Per lei… studiavamo troppo» dice Silvia con tono un forzato, di parole strappate dalla gola.
«Non le andava che studiasse con Mirko» la corregge Elena, che ha avuto una vita per imparare a tradurre i silenzi dentro le frasi.
«Sì, perché studiavo con Mirko» sbotta Silvia a muso duro. Il tacco ricomincia a battere per terra, il ginocchio riprende la sua danza nervosa. «Ma quelle erano le idee di mia madre, non devono necessariamente essere le mie» chiarisce in fretta, l’abitudine a coprirsi le spalle che prende il sopravvento.
«Non si deve giustificare, Silvia, nessuno lo mette in dubbio» dice la signora Elena con il tono di chi invece lo mette proprio in dubbio. «Come sta adesso la signora?»
«È morta.»
«Mi dispiace!» esclamo in un automatismo, poi penso: che cavolo sto dicendo? Non mi dispiace affatto, era una strega. Bella anche lei, certo, ma di una bellezza vuota, dura, respingente. Una strega, la Maga Circe, quella dei maiali (l’Odissea! Bingo! Ho visto lo sceneggiato in tv ma vale lo stesso) e se non fosse stato per lei, avremmo avuto tra noi più spesso la Silvia allegra e la Silvia gattina, e un po’ meno la Silvia nevrotica e competitiva.
«Silvia, ma le Olimpiadi della matematica?» Margherita non riesce a capacitarsi. «Come facevo io a non saperne niente?»
«Perché ti dicevo che il mercoledì e il venerdì andavo al Circolo» le ricorda la sua migliore amica dell’epoca. Scusa più che valida. Nessuno di noi proletari sarebbe stato ammesso al club.
«Ma tu mi raccontavi dei ragazzi che vedevi al Circolo… dei pomeriggi…» la memoria di Margherita torna a ondate. Si capisce che quelle esclusioni le facevano male.
«Raccontavo balle. Che ci vuole.» Silvia, senza punto di domanda, con la voce di una a cui ne hanno raccontate molte. Moglie tradita, valuta il mio occhio clinico da frequentatore di tennis club.
«Come andò, Silvia?» Il preside la osserva gentile. Se Silvia alza gli occhi e si accorge della compassione in quelli di lui, è morto. «Faccia un favore a un povero vecchio, ci racconti la storia.»
Lei per fortuna continua a studiarsi le mani. Da come la vedo io, sta valutando i pro e i contro, è evidente. E a quanto pare decide che è più conveniente esporsi: «Decisi di partecipare alle Olimpiadi di matematica, l’ultimo anno».
«Tu?» La domanda più ovvia non poteva che venire da Germano.
«E chi, tu?» Messo a posto Germano, riparte: «Lo feci di nascosto da mia madre, ovviamente. Diciamo che non avrebbe apprezzato. E cominciai a studiare. Mirko… Non mi ricordo». Solleva il viso e chiede al preside: «Fu un’idea sua, vero?».
«Confermo» annuisce il preside. «Suggerii che studiaste in coppia. Poi sareste stati rivali ma prima… Pensavo foste due teste che potevano lavorare bene insieme.»
Caiati a casa Guerra? Chiunque avrebbe pagato di tasca sua per passarci anche solo davanti, a quella villa con la piscina. La madre di Silvia non le lasciava invitare quelli della scuola pubblica (cioè noi), così nessuno l’aveva mai vista.
«Anche Mirko lo pensava» interviene la signora Elena. «Tornava a casa così contento… Diceva che Silvia era gentile, brillante, oltre che bellissima. E che era un genio.»
«Un genio? Diceva così?» C’è un’ansia fragile nella voce di Silvia che non c’è mai stata. La guardiamo tutti stravolti. La numero uno della scuola che ospitava lo scemo del paese? Ci parlava? Passava il tempo con lui? E poi, siamo seri… un genio?
«Veniva il mercoledì e il venerdì, dalle 15 alle 19, quando mia madre era al Circolo. Studiavamo, e ci bastava.»
«Tutti questi anni per scoprire che eri una secchiona in incognito» commenta Lucio, ma anche la sua voce è più morbida del solito.
«Alla fine… In qualche modo non mi importava che lui fosse lui» continua Silvia senza badargli. «La matematica risolveva tutto, era come se… ci facesse dimenticare quel che sembravamo, quel che dovevamo essere. Per lasciare solo ciò che eravamo. Solo due menti che entravano insieme in un mondo meraviglioso.»
Questa cosa di Silvia che ha un’anima ci destabilizza tutti. Margherita è la più allucinata, ovvio.
«Ma poi Mirko rovinò tutto» la voce di Silvia ritrova la durezza.