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«E mo questo chi è?»

Aho’, m’arendo. Chi dovresti da esse?

L’uscita di Germano è quasi una citazione. Perché io Andrea Liscassi l’ho riconosciuto, ma Germano non avrà neanche mai saputo che esisteva, sebbene fosse seduto due banchi a destra del suo.

Se non fossimo in un incubo, ci sarebbe da ridere. Sentendo la voce siamo schizzati tutti su nel living, pensando: è arrivato Oliviero e ha aperto, e ha le chiavi delle auto, ce ne andiamo, siamo salvi. Germano è salito su per ultimo. Abbiamo già controllato la porta, ancora chiusa, e le tapparelle blindate, ancora abbassate. Al centro della stanza, però, c’è un signore della nostra età, non troppo alto, con un po’ di pancetta, ben vestito, piuttosto stempiato. Sorridente. Non capisce perché ci agitiamo tanto.

«Ciao, Stefano.» Poi vede gli altri e cambia tono. Non sorride più: «Lucio, Sil…».

Lo interrompo: «Andrea, come sei entrato?».

«Cioè?»

«Come hai aperto la porta.»

«Col codice, sulla tastierina fuori.»

«Hai il codice?» (Margherita)

«Sia ringraziato Iddio!» (La signora Elena)

«Certo, era nel telegramma.» (Andrea)

«Quale telegramma?» (Io)

«Quello che convocava qui, oggi per le 19.»

Orario diverso dal nostro. Col codice d’ingresso. Quindi era tutto previsto, e se era tutto previsto…

«Dacci il telegramma!»

… quello che sta per fare Lucio è assolutamente inutile.

«Dov’è il quadro?» chiede, strappando il foglio dalle mani dell’ultimo arrivato, e corre verso il cruscotto dell’astronave. Digita numeri in serie, ma non succede nulla.

«Riprova!» urla Silvia, agitatissima.

«Sto riprovando, vedi! 2, 3, 4, 4, 7 e 10.»

Biip, fa il quadro quasi con scherno.

«Nulla, non succede nulla.»

«Funziona solo per entrare.» Me lo immaginavo. «Per uscire ce ne sarà un altro.»

«Che vuol dire, che siamo chiusi dentro?» chiede l’ultimo arrivato, incredulo.

Nessuno gli risponde.

Guardo il telegramma.

IL GIORNO 7 LUGLIO

DALLE 19

A CASALE VECCHIO, ZONA CASCINALI

ASCIANO (SI)

CI SI RIVEDE TRA VECCHI COMPAGNI.

PER ENTRARE DIGITA IL CODICE 2, 3, 4, 4, 7, 10.

TI ASPETTO

MIRKO CAIATI

Neanche un accenno, con lui, al fantomatico documento. Quella era la nostra, di esca.

«Lo ha firmato Mirko» sottolinea Margherita.

«Lo può aver firmato chiunque, a nome suo» fa Silvia. Poi, rivolgendo lo sguardo verso la signora Elena: «Anche la vecchia, e Mirko è morto».

«Io non lo conosco nemmeno, questo signore» replica lei fredda. «È un vostro amico, suppongo.»

«Signora, sono Andrea Liscassi, buonasera» si presenta lui, tendendo la mano, che la signora Elena stringe cortese. «Sono… ero… sono un compagno di scuola di Mirko» aggiunge confondendosi disperatamente con i tempi. A quanto pare questa compagnia fa lo stesso effetto a tutti. «Lei è la madre, vero? Ma Mirko non… c’è?»

«No» risponde Silvia al posto della signora Elena. «Non c’è. E forse non c’è mai stato.»

«Che intende dire, Silvia?» chiede la donna.

«Che io qua so solo che sono sua prigioniera, chiusa in un carcere blindato, e che di Mirko non c’è traccia. Non c’è neanche una sua foto. C’è solo lei, la nostra carceriera, e un’accozzaglia di vecchie glorie del liceo.»

Silvia non ha torto.

«Tu Mirko lo hai visto in questi anni, Andrea?» domando. La mente umana è a dir poco meravigliosa. Pochi minuti prima ero appeso alle parole di Margherita, per scoprire una verità che mi sfugge da trent’anni. Adesso voglio solo uscire di qui. E chissenefrega di tutto il resto.

«Io? No. Ma mi avevano detto che si era lentamente ripreso.»

«Chi te lo ha detto?»

«Panucci…»

«E Panucci come lo sapeva?»

«Era in contatto con la signora, credo.»

«Sì, certo. Roberto Panucci. Un giovane molto caro, si è sempre informato sulla salute di Mirko.»

«Quindi la fonte è sempre lei. E il cerchio si chiude» conclude Silvia.

«Non capisco cosa voglia dire» replica secca la donna.

«Voglio dire che questo è tutto un suo piano.»

«Non dire scemenze, Guerra» sbotta la Fratocchi.

Andrea la vede, e gli torna il sorriso. Andava bene in italiano.

«Professoressa…»

«Andrea» lo interrompo prima che possa mettersi a rievocare quella volta che prese 8, «siamo chiusi qua dentro, lo hai capito?»

«Per un incidente» precisa il preside, che si era tenuto in disparte, «e la causa sono io.»

«Preside!» esclama Liscassi «Come sta?»

«Imbarazzato, caro ragazzo. Ho causato un bel guaio, ho fatto scattare l’allarme, e siamo chiusi dentro.»

«Un guaio, preside? Un incidente? Nel telegramma di questo qui c’è scritto di usare il codice, era previsto che le porte fossero chiuse.» La logica di Silvia è spietata.

«Ragazza mia» replica il vecchio, con un’ombra dell’antica autorevolezza, «ma lei crede che se qualcuno avesse architettato tutto, questo avrebbe avuto bisogno del mio aiuto? Forse con la mia goffaggine ho solo anticipato lo scatto automatico delle porte, chissà.»

Basterebbe un telecomando in effetti.

«Ma ci sarà un modo per uscire…» Liscassi non capisce di cosa stiamo parlando, ma avverte il clima teso, e si guarda intorno, con aria indagatrice.

«Ma sì, arriverà a momenti il giardiniere» rassicura la signora Elena, riprendendo il suo mantra ormai poco plausibile su Oliviero, l’atteso salvatore.

«Comunque in classe eravamo in trenta…» continua Liscassi. «Sarà pure stato invitato qualcun altro. Non credo che Mirko avrebbe invitato solo voi» aggiunge non senza malizia. «Non credo proprio.»

«Ma si può sapere questo chi è?» sbotta Germano.

«Sono un tuo ex compagno di classe, Viviani. Ma non mi stupisce che tu non ti ricordi di me.» Liscassi ha sempre avuto un buon carattere ma a tutto c’è un limite.

Intervengo, a smorzare ogni nuova scintilla che possa scoccare. Spiego tutto (o quasi) a Liscassi, almeno a grandi linee. Dell’invito a noi cinque per le 15, dell’arrivo del preside e della professoressa, delle chiavi della macchina e della chiusura blindata della casa. Un’incredibile serie di sfortunati eventi, oppure il piano di qualcuno. Presumibilmente della signora.

«Avvocato, capisco i suoi dubbi» interviene Elena, «ma queste, come piace dire a lei, sono solo illazioni. Avete fatto tutto da soli. Dimentica poi di aggiungere che Margherita ci stava per raccontare qualcosa di interessante, a quanto pare, riguardo alla signora Guerra e mio figlio.»

Silenzio nella stanza. Rotto da Liscassi.

«Silvia e Mirko? Ma quello lo sanno tutti, signora.»