6.          Pizzo, Piume e una Rosa Blu
Mirta
«Che stronzo, cazzo!» esplose Mirta camminando per le strade di Firenze come un’indemoniata.
Era rimasta in quel locale poco meno di un’ora e mezza, ma aveva capito che, nemmeno per una fortuna ci avrebbe mai rimesso piede.
L’unica cosa che le dispiaceva era l’aver lasciato il ristorante in fretta e furia senza poter salutare Jacopo e Carmen, che erano stato carinissimi con lei fin dall’inizio.
Le sue gambe però l’avevano portata lontana da quello stronzo di cuoco a una velocità assurda e lei si era lasciata condurre via.
«Che, poi, come si permette a darmi dell’inetta!»
La gente che la sentiva parlare da sola la schivava come se avesse avuto qualche malattia mentale e forse era così, perché quella era l’unica spiegazione per la sua instancabile capacità di ritrovarsi ad avere a che fare con stronzi patentati.
Nonna Rosa le diceva sempre che avrebbe attirato quel tipo di uomini fino a quando non avrebbe trovato la vera se stessa, perché era l’insicurezza a farla comparire sui loro radar.
«Radar del cazzo!» disse entrando dentro al Morgana e beandosi del consueto profumo di rose e vaniglia che permeava l’aria.
«Ohi, bimba! Chi ti ha fatto arrabbiare così?»
«Il deficiente che mi aveva dato un posto nel suo locale, Gilberto! Ha osato darmi dell’inetta solo perché sono inciampata!»
Il suo capo sorrise. «Beh, quella è normalità! In realtà, non capisco perché tu sia così propensa a cadere quando cammini, ma sia così leggera e coordinata quando balli!»
Mirta rispose al sorriso e poi rispose: «Lo so, mia madre diceva sempre la stessa cosa, anzi, ti dirò di più, mi spedì a lezione di danza proprio per la mia mancanza di coordinazione…»
«Cosa che le si è ritorta contro, o sbaglio?»
«No, non sbagli! Credo che, se potesse, tornerebbe a quel momento e si picchierebbe da sola! Ma per fortuna non può farlo!»
«Dici bene, bambina, perché se fosse altrimenti, io non avrei la mia stella! A proposito, visto che sei qui, apri tu come al solito?»
«Certo, va bene…»
«Allora corri a prepararti e ricorda di camuffare il tatuaggio!»
«Lo so! Non voglio essere sulla tua lista nera…» poi gli scoccò un bacio sulla guancia e corse a prepararsi.
Quando era entrata per la prima volta nel Morgana, l’aveva fatto per il suo piacere personale, perché aveva sempre amato quel genere di locali.
Tavolinetti bassi in legno scuro, divani in pelle chiara e luce soffusa che proveniva dai candelabri posti su ogni superficie disponibile.
Il tendaggio rosso e nero faceva da cornice al palco rialzato che la vedeva esibirsi dal giovedì al sabato.
Si mosse fra i tavoli, poi scostò la tenda e s’immerse nella consueta spensieratezza delle sue colleghe ballerine nel backstage.
«Rosa, buonasera!» la salutò il costumista, nonché marito di una delle altre ragazze, bloccandola quando passò davanti alla porta della sua stanza. «Guarda cos’ho preparato per te stasera…» e poi indicò un vestito lungo, completamente realizzato in pizzo nero, appeso a una gruccia.
«Mio Dio, Umberto! Ti sei superato, stavolta!»
«Lo so, ho pensato che con la nuova canzone ci stesse benissimo, non credi?»
«Sì, è perfetto! Ci abbinerò il mio boa rosso…»
L’uomo le sorrise. «Perfetto: prendilo e corri a prepararti, le altre sono in camerino!»
Mirta gli fece l’occhiolino e passò oltre, schivando oggetti di scena e ritrovandosi poco dopo nel suo sancta sanctorum.
«Eccola! Ve l’avevo detto che ci sarebbe stata!» gridò Marcella, una delle veterane del Morgana. «La nostra Mirta è innamorata di questo posto…»
«’Sera a tutte, ragazze! Come state?» le salutò accomodandosi alla sua postazione, dove cominciò a tirare fuori il cerone per mascherare il suo tatuaggio. «E sì, amo troppo tutto questo, anche solo per pensare di andarmene! Oltretutto, siete la mia famiglia!»
Marcella si avvicinò a lei con la sua solita camminata seducente e poi le domandò: «Eppure, oggi, i tuoi occhi sono spenti: cos’è successo?»
Le altre, tutte a diversi livelli di preparazione, si zittirono per ascoltare la sua risposta: «Avevo una prova in un ristorante e diciamo che lo chef non è stato all’altezza delle mie aspettative…»
«Te ne sei andata?» le domandò Lucia, che aveva già indossato la sua parrucca blu.
Mirta annuì. «Sì, non potevo restare lì a farmi dare dell’inetta!»
«Inetta? Tu?» urlò quasi Rita, che aveva un solo occhio truccato. «Questo è un cretino!»
«E nemmeno poco! Comunque, sarete fiere di me nel sapere che gli ho tirato una sberla e sono andata via!»
«Ben fatto, Mirta!» concordò con lei Mena, l’ultima arrivata al Morgana.
«Grazie!» poi tutte tornarono a ciò che stavano facendo prima e lei tirò fuori la spugnetta per coprire la rosa blu che aveva sul fianco.
Tolse la maglia nera e, una volta rimasta solo col reggiseno, prese a picchiettare cerone e correttore sul disegno, che in poco tempo sparì.
Sfilò i pantaloni e poi indossò il vestito che aveva realizzato per lei Umberto, che aderiva al suo corpo come una seconda pelle.
«Oddio, mio marito ha un debole per te!» sbottò Marcella, avvicinandosi a lei. «Sei fortunata che io non sia gelosa…»
«Perché sai che primo, non hai nulla da temere e secondo, lui ti ama troppo anche solo per pensare a un’altra donna!»
Marcella annuì. «Infatti, lo so! Il vestito comunque è davvero incantevole, anche se sei praticamente nuda!»
«È quello il bello: non sono nuda! È un vedo-non vedo, ed è proprio quello che li fa impazzire tutti!»
«No, Mirta, a farli impazzire sei tu! Sei così bella quando balli…»
«Lucia, Mirta è sempre bella!» la corresse Marcella. «Anche quando cade o sbatte la testa a uno sportello che ha aperto lei stessa cinque secondi prima…»
«Oh, grazie!» affermò lei, sistemandosi la parrucca bionda a caschetto sulla testa e fermandola con delle forcine, affinché anche nelle mosse più estreme non cedesse nemmeno di un millimetro.
«Allora, ragazze!» esordì Gilberto entrando nel camerino. «Siete pronte?»
Mirta annuì, come anche le altre quattro.
«Sono quasi le dieci, sto per aprire!» poi uscì e le lasciò agli ultimi ritocchi.
«Forza, ragazze! È sabato, ci sarà il pienone!» asserì Rita sorridendo.
«Come sempre!» rispose Marcella, mettendo la sua maschera in raso. «Dateci dentro e ricordate: non fatevi toccare e, se qualcuno oltrepassa il limite, fate un cenno e verrà allontanato. Noi incarniamo il desiderio e, in quanto tali, siamo intangibili, proprio come le fantasie scatenate da tale sentimento!»
«Sei poetica, oggi!» la rimbeccò Mirta, afferrando il boa rosso e avvolgendoselo attorno al collo. «Beh, vado! Voglio essere dietro alle quinte quando Gilberto presenterà la serata…»
Annuirono tutte e lei si affrettò a raggiungere il retro del palco, perché sentiva già un certo vociare all’interno della sala grande.
«Buonasera, signore e signori!» esclamò proprio in quel momento Gilberto, che aveva indossato il suo vestito di scena: un completo elegante con tanto di cravatta degli stessi colori delle tende attorno al palco. «Se siete qui, oggi, è perché siete in vena di qualcosa di piccante e noi del Morgana siamo qui per questo! Le ragazze sono tutte pronte e non vedono l’ora di deliziarvi con le loro movenze sensuali…»
«Vogliamo loro, non te!» urlò un ragazzo dal pubblico.
«Avete ragione, infatti ora chiamerò sul palco la nostra stella, la ragazza che possiede tutte le qualità che una ballerina del Morgana dovrebbe avere! L’unica e sola: Rosa Blu!» 
Gilberto scese dal palco e non appena prese posto al solito tavolino nel bel mezzo della sala, il fonico fece partire la sua canzone e Mirta uscì dall’ombra, dirigendosi proprio al centro del palco, dove qualcuno aveva già sistemato la sedia che le serviva per il suo numero.
“Sometimes I get a good feeling
I get a feeling that I never, never had before
And I got to tell you right now
I believe, I really do believe that”
La voce di Christina Aguilera seguiva i suoi passi quasi come se fosse stata pensata proprio per lei.
Si sedette sulla semplice sedia di ferro, aprì le gambe e chiuse gli occhi buttando indietro la testa.
Scostò di lato la gamba destra, allontanandola dal piede della sedia e poi si accarezzò con la mano. Lenta e inesorabile.
Il pubblico osservava rapito ogni sua mossa e lei sorrise, perché erano i momenti come quello a farla sentire potente.
“Something's got a hold on me
(Oh, it must be love)
Something's got a hold on me right now child
(Yeah, it must be love)
Let me tell you now
I got a feeling, I feel so strange
Everything about me seems to have changed
Step by step, I got a brand new walk
I even sound sweeter when I talk
I said, Oh yeah
It must be love
(You know it must be love)”
Si alzò in piedi e fu in quel momento che lo vide: Philippe Tonetti era lì, in fondo alla sala, ed era in compagnia di un altro ragazzo, più giovane e sicuramente più sorridente di lui.
Stava camminando verso uno dei tavolini, ma non le staccava gli occhi di dosso.
Ti piace quello che vedi, stronzo? pensò e poi una strana idea cominciò a vorticarle nella testa. Un’idea che prevedeva scendere dal palco e andare dritta nelle fauci del lupo cattivo.