25.
Inquietudini e decisioni
Mirta
Sebbene il paramedico le avesse sconsigliato di fare movimenti bruschi o di lavorare, quella sera, come ogni sabato, si era precipitata al Morgana, non appena Philippe l’aveva lasciata a casa.
Non aveva voluto sapere ragioni: non appena l’infermiere aveva terminato la medicazione, l’aveva trascinata sulla sua Corvette per portarla a riposare.
Aveva lasciato di nuovo il ristorante a Mirko per accompagnarla, mentre tutti li fissavano come se fosse loro spuntato un corno in mezzo alla fronte.
L’aveva salutata con un casto bacio sulla guancia, cosa che l’aveva lasciata per un istante inebetita, poi, dopo averla guardata scendere e arrivare sana e salva al suo portone, era andato via.
A quel punto, Mirta era salita a casa, aveva salutato sua nonna, aveva risposto all’interrogatorio sulla fasciatura e poi si era cambiata per andare al suo secondo lavoro.
Sua nonna aveva provato a trattenerla, ma come al solito, aveva vinto lei.
Ora però, mentre si preparava al suo numero, non era più tanto sicura di aver fatto la scelta giusta.
La testa le girava un po’ e si sentiva debole, anche se aveva mangiato una barretta proteica e aveva bevuto del succo di mela.
«Tesorino?» le domandò Umberto, avvicinandosi. «Stai bene?»
Mirta si voltò verso di lui e sorrise a fatica. «Certo, perché?»
«Per diversi motivi in realtà. Primo, perché stai mettendo il vestito al contrario; secondo, perché hai una fasciatura imponente sulla mano…»
«Ah, te ne sei accorto?»
«Mirta era impossibile non farlo, si vedono a malapena le tue dita!»
«Dici?» esclamò lei, guardandosi la mano che, effettivamente, mostrava più benda che pelle. «Mi sono fatta male al lavoro, oggi…»
«Male?» asserì Marcella avvicinandosi a loro e accoccolandosi quasi a suo marito. «Quanto male?»
«Mi sono tagliata una mano con un coltello, niente di che, se non contiamo il mezzo svenimento…»
«Cosa?» urlò Rita, che era già in abiti di scena a differenza di tutte le altre. «Svenuta?»
«Sì, ma tranquilli…» disse lei, ripetendosi. «Il paramedico ha detto che…»
«Paramedico? Mirta!» la riprese Lucia, rossa in viso. «Ma scherzi? Sei svenuta e stasera sei qui? Chiamate Gilberto!»
Umberto annuì e poi corse via, mentre lei chiudeva gli occhi dispiaciuta. «Non è necessario…»
«Sì, invece!» la sgridò Mena, che nel frattempo aveva indossato un abito che ricordava una divisa da poliziotto. «Ricordi quella sera in cui avevo la febbre, l’anno scorso? Chi mi ha mandata a casa?»
«Io» rispose lei, sicura. «Ma è diverso!»
«No, tesoro, è anche peggio. Sei svenuta, cavolo!»
Mirta stava per ribattere quando Gilberto irruppe nel camerino e le si piazzò davanti. «Stella, stai bene?»
«No che non sta bene! Guardala!» esclamò Marcella, facendola sedere. «Sembra un fantasma!»
«Io sto bene!» disse lei con un filo di voce. «Davvero!»
Gilberto scosse la testa. «Mirta…»
«Facciamo così» propose Umberto accarezzandole la testa ancora priva della parrucca bionda. «Mirta si esibirà per ultima stasera, ma nel frattempo starà con me di là nel mio studio, dove le farò mangiare qualcosa di molto zuccherato affinché si riprenda. Che ne dite?»
Mirta annuì. «Sì, sono sicura che sia solo una carenza di zucchero legata anche allo spavento! Non puoi mandarmi a casa…» esclamò rivolgendosi a Gilberto «I clienti mi aspettano!»
«Ti esibirai, ma solo se Umberto dirà che stai meglio. I clienti vanno e vengono, Mirta, ma tu sei unica!» e dopo aver detto ciò, Gilberto tornò in sala, dove i preparativi per la serata dovevano già essere ultimati visto che di lì a poco iniziarono a sentire il vociare dei numerosi avventori.
«Allora, la scaletta. Salterà Mirta…» dichiarò a quel punto Marcella «Quindi vado io, poi a seguire Rita, Mena e Lucia…»
«E solo se starai bene, alla fine, entrerai tu!» asserì con enfasi
Umberto «Perciò, lasciamo questo caos e vieni di là con me, signorina!»
Mirta salutò le sue colleghe e seguì il costumista fino alla porta della sua stanza, attese che liberasse dalle stoffe il divano e poi ci si accomodò sopra.
Era morbidissimo e in breve tempo si assopì, svegliandosi solo quando Umberto le portò un succo di frutta all’albicocca e una fetta di pane con sopra della marmellata di fragole.
«A che punto sono?» domandò lei, sentendo in lontananza la musica.
«Ha appena finito Rita, ora tocca a Mena…»
La ragazza annuì, dando un piccolo morso al pane. «Buona questa marmellata, dove l’hai presa?»
«Dalla mia scorta personale, che domande! Non dirlo a Marcella però, altrimenti mi toccherà di nuovo la dieta!»
Mirta abbozzò un sorriso, finì di mangiare e ascoltando il rumore ripetitivo della macchina da cucire, si appisolò di nuovo.
Quando sentì una mano sul viso si svegliò di soprassalto. «Che succede?»
«Manca poco al tuo momento, come ti senti?»
«Non lo so» esclamò sinceramente, provando a mettersi seduta.
«La testa?»
La ragazza che, nel frattempo era riuscita a tirarsi su, sorrise. «Bene! La mano mi fa ancora un po’ male, ma il pisolino e la merenda hanno funzionato!»
Umberto rispose al suo sorriso. «Sono felice! Ora dovremo inventarci qualcosa per coprire quella mano!»
«Guanti!» disse lei, sicura. «Come quelli che misi per il ballo con le piume, ricordi?»
Lui annuì. «Perfetto! Ho anche l’abito giusto…» la lasciò sola per un attimo, poi riemerse da dietro un paravento con un paio di guanti neri di raso e un vestito dello stesso colore, ma in pizzo.
«Bellissimo».
«Lo so, solo il meglio per voi ragazze!»
«Grazie».
«Scherzi? Ora forza, vieni qui, ti aiuto a metterlo…»
E poi diventò la sua bambola, perché l’uomo la truccò e le mise
perfino parrucca e maschera.
Quando finì il suo lavoro su di lei, Marcella entrò nello studio del marito e le domandò: «Pronta?»
«Come sempre!»
«Di là c’è il tuo capo!»
«Ecco, ora sono meno tranquilla…»
Umberto e sua moglie le sorrisero, poi fu praticamente trascinata via, ritrovandosi al centro del palco, in compagnia solo di una sedia e del suo solito occhio di bue, mentre le note di Girl On Fire
, di Alicia Keys, accompagnavano le sue mosse seducenti.
Movenze che le fecero meritare appieno il nome che portava, che i suoi avevano scelto per lei in onore del luogo dove era stata concepita, la Sardegna, ma che per lei in realtà faceva riferimento all’albero sacro alla dea Venere: il mirto.
Philippe
Fisicamente, era seduto lì, ma la sua mente continuava a tornare a Mirta e al modo in cui si erano baciati, di nuovo.
Era stato un bacio veloce, ma l’aveva sentito fin dentro le ossa, l’aveva percepito con ogni parte di sé ed era per questo che si domandava per quale motivo l’avesse lasciata a casa da sola per tornare lì, al Morgana. Lo comprese quando Rosa Blu comparve sulla scena.
La canzone che accompagnava il suo numero era Girl on Fire,
e lui non poteva che essere d’accordo, perché quella ragazza era in fiamme.
Si muoveva in modo sensuale su una sedia, l’unica altra cosa con lei sul palco, apriva e chiudeva le sue lunghissime gambe per niente velate da quel lungo vestito di pizzo.
Ogni lembo di pelle, all’infuori delle sue mani, era in bella mostra e Philippe stava praticamente sbavando su ognuno di essi.
L’intimo bianco sotto tutto quel nero.
Le scarpe col tacco che sottolineavano l’elegante collo del piede, mentre lei tirava su una delle sue gambe in una posa più che plastica, che gli fece immaginare come fosse fare l’amore con una donna snodata come quella.
E poi fu un attimo, Rosa Blu si tirò su e la parrucca si mosse, lasciando intravedere una piccola ciocca di capelli di un colore differente.
Erano rossi.
La cosa sfuggì a tutti, perché troppo presi a guardare il resto del balletto, ma lui non si lasciò scappare quel momento.
Li vide benissimo e la sua mente gli fece uno scherzo, perché invece di continuare a osservare Rosa Blu su quel palco, immagino Mirta, che probabilmente con quei tacchi e quel vestito sarebbe inciampata entro i primi cinque secondi.
Philippe sorrise a quel pensiero proprio mentre la ballerina, arrivata ormai alla metà della canzone, iniziava a scendere le scale e a camminare verso di lui.
Dio, mi vuole morto…
pensò mentre lei si avvicinava, rendendosi conto di non vedere più la ciocca di capelli rossi.
La canzone arrivò al ritornello, proprio mentre lei si lasciava cadere ai suoi piedi molleggiando sulle gambe e posando le mani sulle sue ginocchia per restare in equilibrio su quei trampoli.
Il profumo della ballerina entrò nelle sue narici e Philippe chiuse gli occhi mentre lei tornava in piedi e, girandogli nuovamente attorno, si avvicinò al suo orecchio, al quale sussurrò: «Ballare per te mi eccita, Philippe».
Philippe s’immobilizzò e non solo per la sorpresa di sentire il suo nome pronunciato dalle labbra della donna, ma soprattutto per ciò che aveva detto.
Rimase lì, fermo, a guardarla tornare sul palco, senza sapere bene cosa fare.
Di nuovo.
Era certo di una sola cosa: doveva prendere una decisione.
Mirta o Rosa Blu?
Quale delle due?
La scelta sarebbe stata ardua, era attratto da entrambe, ma doveva farlo, se non altro per non impazzire e per non prenderle in giro.
La vita è strana…
pensò mentre Gilberto Francia, il proprietario del Morgana, chiudeva lo spettacolo di quella sera.
L’uomo che era stato fino a qualche tempo prima non ci avrebbe
pensato due volte a buttarsi con tutte e due, perso com’era nei piaceri e nella quasi dissolutezza, ora invece si sentiva cambiato.
Anzi, si sentiva di nuovo se stesso, quello che era prima di Juliette, e non avrebbe mai ringraziato abbastanza i sentimenti che provava per quelle due donne per averlo ripescato dal fondo del baratro in cui era finito.
Ma cosa doveva fare?
Chi doveva scegliere?
Sperava che quella stessa notte gli portasse consiglio.