29.
Una gattina di troppo
Mirta
«Ha detto proprio così?» Mirta annuì e Marcella fischiò prima di aggiungere: «Beh, è da ammirare che tu sia ancora qui!»
«Una promessa è una promessa, poi se la fai al tuo capo…» esclamò Mirta accennando all’ufficio di Gilberto «Vale doppio!»
«Tu sei una pazza, ragazza mia!» rispose una delle ballerine della domenica, che Mirta credeva si chiamasse Domitilla. «Quando uno ti dice una frase del genere, tu telefoni di nuovo al tuo capo e te ne stai con lui!»
«Io invece credo che tu abbia fatto bene…» disse Marcella sorridendo. «Philippe ha bisogno di cuocere nel suo brodo! Te ne ha fatte passare troppe, può aspettare un po’, no?»
«Gli uomini vanno educati» le interruppe Umberto entrando con una pila di vestiti fra le braccia. «E tu, Domitilla, sei la prossima e ancora sei qui, struccata? Muoviti!»
La ragazza gli sorrise accarezzandogli un braccio, poi corse al suo specchio, che era quello che di solito ospitava Lucia, a finire di prepararsi.
Quando quella fu abbastanza lontana, Marcella, che era lì per un turno extra, aspettò che il marito uscisse dalla stanza e poi domandò a Mirta: «Secondo te, mi tradisce?»
Lei trasalì. «Eh?»
«Umberto mi tradisce con lei?»
«Sei pazza?»
«L’hai vista? È giovane…»
Mirta scosse la testa. «E tu saresti vecchia? Senti, Marcella, lei ci può provare quanto vuole con Umberto, ma lui ama te!»
«Ma…»
«Nessun ma, non esiste! E poi, tu sei tutta naturale e ci scommetto quello che vuoi che quella si sia rifatta il seno!»
Marcella le sorrise. «Sei la migliore, sai? È che ho visto come lo tocca e una parte di me ha pensato che lui potesse…»
«E hai pensato male» rispose Umberto, rientrando nei camerini con altri costumi. «Non potrei mai decidere di mangiare una
qualsiasi crema al cioccolato quando a casa mia ho la Nutella…»
Domitilla, ignara di essere stata al centro della conversazione, rimase di stucco nel vedere il bacio passionale che Umberto donò alla sua dolce metà, mentre invece Mirta se lo godette a pieno pensando a quando, quella stessa notte, lei avrebbe avuto lo stesso trattamento da un certo cuoco francese.
Dio, non vedo l’ora…
«Domitilla, in scena!» esclamò con voce piena Gilberto, scontrandosi con la coppia ferma proprio davanti alla porta. «Santo cielo, ma che succede qui?»
«L’amore» rispose Mirta, semplicemente, facendo praticamente scappare Domitilla dalla stanza. «Ed era ora che anche quella se ne rendesse conto, perché nessuno può mettersi in mezzo a questi qui…»
Marcella e Umberto le sorrisero.
«L’avete traumatizzata?» ridacchiò Gilberto indicando con la testa la porta da cui era appena uscita l’altra ragazza. «Ditemi che non si licenzierà!»
«No, non lo farà, tranquillo! Oltretutto, ci sono tanti uomini di là, sono certa ne troverà un altro da accalappiare…»
«Forse, Mirta, dovrei dirti che c’è anche il tipo francese?»
Le parole di Gilberto la lasciarono basita. «Philippe?» domandò per essere certa.
«Sì, il tipo per cui ha infranto due volte le nostre regole: hai presente?»
Mirta annuì. «Ho capito».
Ma in realtà Mirta non capiva.
Philippe era lì per Rosa Blu, e pur essendo cosciente di essere sempre lei, si ritrovò ad essere gelosa del suo alter ego.
Perché viene qui per lei, se può avere me?
Perché non gli basto?
Perché sceglie il desiderio al posto della realtà?
«Stai bene?» le domandò Marcella posandole una mano sulla spalla nuda.
«Sì, perché?»
«Sembravi intontita e avevi il respiro accelerato… così mi sono spaventata e ho spedito Umberto a prenderti dell’acqua!»
«Non serviva…»
«Invece sì, bambola» rispose quello rientrando in stanza con un bicchiere. «Perché ho dato un’occhiata alla sala passando, e ho capito che non è il tuo francese, ma l’altro, Julian!»
Mirta tirò un sospiro di sollievo. «È il fratello minore di Philippe! E quello che stava baciando è Mirko, il Sous Chef del ristorante…»
«Tieni, bevi! Pensavamo saresti svenuta…» disse Marcella passandole l’acqua. «Ci tieni davvero a quel ragazzo, eh?»
«Forse troppo…»
«Non è mai troppo, è che tu credi che siano tutti come Edoardo!»
Mirta rabbrividì. «Credo tu abbia ragione…»
«Come sempre! Ora, forza, hai uno spettacolo da portare a termine, prima di andare a casa del tuo bel francese!»
Philippe
Aveva chiuso il locale e si era fiondato in macchina per tornare a casa in tempi record pensando che Mirta sarebbe arrivata poco dopo di lui, ma la realtà dei fatti gli aveva ben presto dato torto.
Erano passate due ore ed era ancora solo in casa, fatta eccezione per Tache che ora dormiva placidamente sul bracciolo del divano dove sedeva immobile.
Si era anche pentito di aver cacciato suo fratello di casa, perché se non altro gli avrebbe fatto compagnia nell’attesa.
Dannazione, Mirta, dove sei?
«E se facessi un dolce?» disse poi ad alta voce, svegliando la gattina che prese a stiracchiarsi. «Magari al cioccolato? Per ammazzare l’attesa?»
Philippe prese il miagolio come un cenno di assenso e si alzò in piedi, dirigendosi verso la sua fornitissima cucina.
Muovendosi avanti e indietro prese tutti gli ingredienti e gli utensili che gli sarebbero occorsi, poi iniziò a eseguire la ricetta del soufflé al cioccolato, che oramai sapeva a memoria.
In pochissimo tempo, infatti, l’impasto fu pronto e lo sistemò in due diverse terrine, che poi mise nel forno.
Si sedette su uno degli sgabelli della cucina e, mentre osservava rapito il dolce in forno, si rese conto di essere impaziente.
Non vedeva l’ora di avere Mirta fra le mani.
Aveva una voglia matta di perdersi in lei, come mai gli era capitato prima.
Era come se fosse tornato adolescente e come se quella che attendeva con tanto ardore fosse la sua prima volta.
E invece, che Dio lo perdonasse, non lo era.
Philippe ammise con se stesso di essere stato un amante delle storie di una notte, se non altro per la mancanza di affetto che quelle richiedevano, perché prima di Mirta non cercava una relazione stabile. Lui che era un monogamo convinto.
Prima del tradimento, infatti, non c’era cosa che amasse di più del dividere il letto con qualcuno, nel vero senso della parola.
Adorava condividere le piccole cose con la donna con cui andava a letto. Adorava le coccole la domenica mattina. Amava preparare la colazione e portarla a lei, a letto.
E ora non stava nella pelle perché, se tutto fosse andato come prevedevano i suoi piani, avrebbe riavuto ogni singola cosa.
Si sarebbe ripreso tutto quello che Juliette gli aveva rubato.
Juliette…
Ripensare a quel nome, lo riportò alla conversazione che avevano avuto al ristorante quella stessa sera.
Lei era convinta che quel bambino, moro e con gli occhi chiari, fosse suo figlio e Philippe, guardandolo in viso, aveva subito creduto fosse la verità.
Gli somigliava incredibilmente.
Ma qualcosa nel ritorno improvviso della donna gli sfuggiva: perché proprio adesso? Perché non quando il bambino era nato, se i tempi coincidevano con la loro storia? E Gregoire? Dov’era finito? Erano in combutta?
Tante domande, troppe, per le quali non sapeva se avrebbe avuto, o voluto, la risposta.
Il timer trillò proprio nello stesso istante in cui suonò il campanello di casa.
Tache, credendo fosse Julian, si mosse veloce come un razzo anticipandolo di un bel pezzo dato che lui si attardò per spegnere il forno e posare i due soufflé, perfettamente riusciti, sul ripiano della cucina.
«Arrivo» urlò camminando verso la porta e accucciandosi prima di aprirla per afferrare Tache che, di solito, adorava sgattaiolare fuori dal suo appartamento.
La gattina miagolò il suo disappunto mentre lui spalancava l’uscio di casa sua e rimaneva incantato dalla semplice bellezza di Mirta.
Si era cambiata.
Non c’era più l’ombra della divisa nera che aveva indossato al ristorante, né di quella che, probabilmente, indossava al suo secondo lavoro.
Un vestitino azzurro con una scollatura poco profonda la rendeva così perfetta ai suoi occhi che quasi si dispiaceva del fatto che, di lì a poco, l’avrebbe spogliata di tutto per renderla finalmente sua.
«Ciao» disse lui, con la voce roca a causa di quell’ultimo pensiero.
«Hey» rispose lei, un attimo prima d’illuminarsi per la presenza della gattina che ora cercava di divincolarsi per saltarle addosso. «E questa palla di pelo chi è?»
«Tache».
«Che significa?»
«Macchia».
«Giusto» poi allungò le mani verso quella screanzata della sua gatta e gli domandò: «Posso prenderla?»
«Certo, a quanto pare le stai simpatica e credimi, per me, è una novità!»
«Non le piacciono le donne che porti qui?»
Philippe chiuse per un attimo gli occhi, dandosi dell’imbecille da solo. «No».
Mirta gli sorrise, poi avvicinando il viso al musetto della gattina, asserì con voce nasale: «Chi è una micia intelligente? Eh, chi è? Sei tu…»
Philippe ridacchiò quando Tache le leccò il naso. «Eh sì, le piaci…»
«Solo a lei?»
«No, piaci anche al suo impaziente padroncino» esclamò lui sicuro, chiudendo la porta dietro di lei.
«Dici?»
«Non era evidente dal mio invito di prima?»
Mirta scosse la testa. «Sai, sono una di quelle ragazze che si fa film
mentali, hai presente? E quello che avevo pensato per questa sera non cominciava proprio così…»
«No? E cosa prevedeva questo tuo film?»
«Beh, entravo qui in casa e tu, senza dire una parola, mi prendevi fra le braccia e iniziavi a baciarmi, mentre con le mani mi afferravi il sedere e mi tiravi su, senza fatica, prima di appoggiarmi alla porta, dove mi avresti regalato il primo orgasmo della notte con la bocca…»
Philippe rimase per un attimo basito, poi mormorò roco: «Metti giù il gatto, Mon Sucre! Adesso!»
E non appena Tache scappò via da loro, infastidita dall’essere stata fin troppo vezzeggiata, lui si fiondò su Mirta per iniziare a far diventare la sua fantasia realtà.