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Darren Mathews posò lo Stetson – falda in giù, come gli avevano insegnato gli zii – sul banco dei testimoni. Per l’occasione, i Texas Rangers gli avevano permesso di presentarsi in tenuta ufficiale – camicia button-down inamidata a puntino e pantaloni scuri ben stirati. Il distintivo d’argento era appuntato sul taschino sinistro. Non lo portava da settimane, dopo la sospensione in seguito all’indagine sul caso Ronnie Malvo. Non aveva più portato nemmeno la fede, da allora, e anche quella faceva parte del costume di scena. Resistette all’impulso di giocherellare con il cerchietto metallico rigirandolo sull’anulare della mano sinistra, inspiegabilmente gonfia.

Fu risucchiato ancora una volta nel gorgo dei suoi scarni ricordi su quanto successo dopo le otto della sera prima. Una vaschetta da asporto di pollo affumicato, un tavolino pieghevole per mangiare davanti alla TV, una bottiglia di Jim Beam, del blues sullo stereo degli zii. Il tintinnio del ghiaccio, il primo bicchiere versato: quelle erano le ultime cose che ricordava. E, certo, il sollievo che viene dalla resa. Punto primo, non c’era niente che potesse fare per il suo matrimonio, davvero. Punto secondo, versare tre dita e ripetere. Punto terzo, affidarsi alla vocalità ruvida di Johnnie Taylor, alla sua mascolinità schietta, alla rivendicazione delle cose che ogni uomo dovrebbe avere nella propria vita, a cominciare dall’amore di una donna come si deve, fedele e pronta a guadare con lui un fiume di merda, se è quel che serve per arrivare dall’altra parte. I fraseggi blues della chitarra e il calore ambrato del bourbon fluttuavano ai margini dei suoi ricordi. Più in là, il vuoto, fino all’improvvisa durezza del legno del portico sul retro della vecchia casa di famiglia, dove si era svegliato all’alba.

Aveva una scheggia nella guancia e nessuna idea di cosa gli fosse successo alla mano. Non c’era sangue – solo un’escoriazione appena sopra le nocche, e un dolore insistente che non gli aveva dato tregua prima del quarto Motrin – ma pareva evidente che si era scontrato con qualcosa, lì nella proprietà. Qualcosa che aveva risposto, con forza. La familiare nebbia di fumi dell’alcol e vergogna con la quale conviveva da quando lui e Lisa si erano lasciati aveva attutito la sua curiosità. Non si era sforzato di ricostruire l’accaduto. I fatti, così come lui li conosceva: aveva bevuto da solo e si era svegliato da solo. Le chiavi della macchina erano nel freezer, dove le aveva lasciate in un lampo di spettacolare preveggenza. Niente indicava che potesse aver fatto del male ad altri che a se stesso, ed era quanto gli premeva sapere. Era stanco, però; stanco di dormire da solo, mangiare da solo, nulla da fare se non attendere. Che il gran giurì esprimesse un verdetto, che sua moglie lo lasciasse tornare a casa.

“Vuole chiarire la natura del suo rapporto con l’imputato?” domandò Frank Vaughn, il procuratore distrettuale di San Jacinto County, dalla sua postazione sul podio.

“Mack lavora per…”

“Prego?”

“Rutherford McMillan… Mack,” spiegò Darren. “Lavora per la mia famiglia da più di vent’anni.”

Proprio per questo, la notte in cui Mack aveva puntato una pistola contro Ronnie Malvo, Darren era corso da lui. Tutta la strada da Houston a San Jacinto County in meno di un’ora. Lisa lo aveva scongiurato di non andare. Non era in servizio, aveva protestato, pur sapendo bene quanto lui che un ranger non smontava mai. Era appena rientrato dopo un mese sulle strade dello stato, e la mandava su tutte le furie che fosse pronto a lasciarla di nuovo con tanta facilità. Darren, non farlo. Ma lui lo aveva fatto, si era precipitato in aiuto di Mack, e adesso era chiamato a testimoniare in un caso di omicidio. Stava scontando da allora il “te l’avevo detto” di Lisa.

Vaughn annuì e lanciò un’occhiata ai giurati: uomini e donne del posto, sottratti a fattorie, uffici postali e botteghe di barbiere, per i quali una giornata in tribunale rappresentava un diversivo eccitante – un divertimento, perfino – e poco importava che fosse in gioco la vita di un uomo. Il procuratore distrettuale era un abile affabulatore, con un istinto innato per il ritmo narrativo, il dipanarsi dell’intreccio, il dosaggio sapiente delle informazioni chiave. Non c’era un giudice in aula, solo un ufficiale giudiziario, il procuratore, uno stenotipista, e i dodici membri della giuria popolare incaricata di decidere se incriminare Rutherford McMillan per omicidio di primo grado. Il procedimento, come ogni udienza di discussione davanti al gran giurì, si svolgeva a porte chiuse; le panche color miele destinate al pubblico erano vuote. La bilancia era tarata in netto favore dello stato: né l’indagato né il suo difensore avevano facoltà di intervenire durante l’esposizione delle prove a carico. Darren era stato chiamato a testimoniare dalla pubblica accusa, ma intendeva fare tutto il possibile per piantare il seme del dubbio nelle menti dei giurati. Il difficile sarebbe stato farlo e tenersi il lavoro, ma era disposto a correre il rischio. Rifiutava di credere che Mack avesse ucciso qualcuno a sangue freddo.

“Quale tipo di attività svolge McMillan presso la sua famiglia?” domandò Vaughn.

“Bada alla nostra proprietà nella contea, sei ettari a Camilla. È la casa dove sono cresciuto, ma non ci vive più nessuno da anni. Non stabilmente, almeno. In effetti, io abito lì al momento. Vede, mia moglie e io stiamo attraversando un periodo un po’ così, e mi ha chiesto spazio per…”

Obiezione: il teste divaga.

Era quel che avrebbe detto al posto di Vaughn, se fosse stato un vero processo.

Ma non c’era un giudice, lì. E Darren, da buon ex studente di giurisprudenza, sapeva che anche lui poteva trarne vantaggio. Voleva che i giurati avessero modo di conoscerlo; così, forse, sarebbero stati più inclini a credere che stesse dicendo la verità. Non confidava che il distintivo fosse sufficiente a garantire per lui, malmesso com’era. La camicia era pezzata sotto le ascelle, i suoi pori sprigionavano un puzzo acre. La nausea, fino a quel momento rimasta in sottofondo, stava prendendo il sopravvento. Sentì lo stomaco dare un sussulto e gli salì alla gola un rigurgito acido.

Aveva violato una delle regole cardinali degli zii: mai andare in città vestiti in modo trasandato, con un aspetto meno che dignitoso o l’aria di chi si sente tenuto a giustificarsi quindici volte al giorno. Lo zio Clayton, un tempo avvocato difensore e ora professore di diritto costituzionale, era solito dire che, per “uomini come noi”, camminare per strada con un lembo della camicia svolazzante o un paio di pantaloni larghi a vita bassa significava “aggirarsi con fare sospetto”. William, suo gemello identico e contraltare ideologico, lui stesso un tutore della legge, un ranger, su questo non esitava a dargli ragione. Non offrire alla polizia appigli per fermarti, figliolo. I due, smentendo lo stereotipo delle coppie gemellari in totale sintonia, si trovavano di rado su un terreno comune, se non per il fatto di essere entrambi uomini della famiglia Mathews, una stirpe radicata da generazioni nel Texas orientale: americani neri per i quali la dignità era tanto un modo di essere quanto una tecnica di sopravvivenza. I suoi zii aderivano alle vecchie convenzioni sociali del Sud, perché sapevano bene che il contegno di un colored poteva diventare in un attimo questione di vita o di morte. Darren aveva voluto credere che la loro fosse l’ultima generazione costretta a vivere così, che il cambiamento alla Casa Bianca avrebbe avuto una ricaduta a cascata sull’intera società americana.

Invece, si era dimostrato vero il contrario.

In seguito all’elezione di Obama, l’America aveva avuto un soprassalto reazionario.

Comunque fosse, per Darren i suoi zii erano giganti: uomini di indubbia caratura e saldi principi, ciascuno convinto di aver trovato nella propria carriera la strada giusta da percorrere per rendere il paese un habitat ospitale per la vita dei neri. Secondo William, il ranger, la legge ci avrebbe salvati proteggendoci, perseguendo penalmente i crimini contro di noi con lo stesso zelo con cui si perseguono quelli contro i bianchi. No, dissentiva Clayton, l’avvocato difensore: la legge è una truffa dalla quale i neri hanno bisogno di essere protetti, perché le regole sono state scritte contro di noi fin dal primo tratto d’inchiostro su una pergamena. Era un dibattito solenne, basato sul presupposto che la vita dei neri fosse sacra, meritevole di perpetuazione e bisognosa di salvaguardia; un dibattito che Darren aveva seguito fin da piccolo, quando si avventurava malfermo tra le loro gambe allungate sotto il tavolo della cucina, ai tempi in cui i due fratelli ancora abitavano insieme, prima che litigassero per una donna. Avevano allevato Darren dai suoi primi giorni di vita, e lui era cresciuto a cavallo dello spartiacque ideologico della famiglia.

Vaughn lo interruppe, passando alla domanda successiva. “Dunque, quando il signor McMillan la chiamò, quella notte, fu in qualità di amico o di membro dei Texas Rangers?”

Obiezione: la domanda invita a esprimere una congettura.

“Tutt’e due, immagino,” rispose Darren.

“E sa dirci perché il signor McMillan abbia chiamato lei, invece del nove-uno-uno?”

Lisa aveva fatto la stessa domanda. Seduta sul loro letto, con indosso una t-shirt scolorita della Southern Methodist University, aveva domandato perché Mack non si fosse rivolto alle autorità locali, che bisogno avesse di coinvolgere Darren. Lui le aveva assicurato che lo sceriffo era stato avvertito. Sbagliava, come avrebbe scoperto troppo tardi. Ma questo non era il caso di dirlo al gran giurì. “Penso si sentisse più tranquillo con qualcuno che conosceva.”

Vide le sopracciglia color sabbia di Vaughn convergere verso la radice del naso. Era un uomo bianco poco più vecchio di lui, sui quarantacinque forse, con capelli castani due toni più scuri delle sopracciglia. Darren dedusse che li tingeva, e all’improvviso ebbe un’orribile visione del procuratore che girava per le corsie del Brookshire Brothers locale in cerca del Miss Clairol. Vaughn era un funzionario governativo in tutto e per tutto: anonimo completo blu e stivali color cognac ben lucidati. Gli era stato detto che Darren era contrario all’incriminazione, che secondo lui i Rangers e lo stato del Texas stavano commettendo un errore, e subodorava un tiro mancino fin dal loro primo incontro per preparare la testimonianza.

“Certo, qualcuno che conosceva.” Vaughn rivolse uno sguardo alla giuria. “Un tutore dell’ordine. Ma pur sempre un amico, non è vero?”

Darren fu cauto su questo punto. “Siamo in rapporti amichevoli, diciamo.”

“Be’, ha fatto tutto il viaggio da Houston per accorrere in suo aiuto. Non mi dirà che lo avrebbe fatto per chiunque.”

“C’era un noto criminale nella sua proprietà.”

“Un peckerwood. Non è così che Mack l’ha definito?”

Quel termine, che in origine identificava un innocuo picchio, era un nomignolo offensivo appioppato ai bianchi meno abbienti delle zone rurali del Sud, e un insulto razziale se usato dai neri. Ma d’altra parte era stato rivendicato da gang carcerarie e suprematiste, quindi la definizione di Mack era corretta. “Dopo che Malvo l’aveva chiamato negro.”

La parola, pronunciata apertamente in un’aula di tribunale, ebbe l’effetto di una scossa elettrica. Diversi giurati bianchi si irrigidirono, come se dire “negro” a voce alta davanti a un uditorio multietnico potesse bastare a scatenare atti di violenza o a evocare il reverendo Al Sharpton.

Ma Darren voleva che fosse ben chiaro: Ronnie “Redrum” Malvo era feccia, un balordo tatuato legato alla Aryan Brotherhood of Texas, un’organizzazione criminale che faceva soldi con la produzione di crystal meth e la vendita di armi illegali; una gang il cui rito iniziatico consisteva nell’uccidere un negro. Non a caso, il suo soprannome era la lettura al contrario della parola murder, “omicidio”, e nel gergo delle gang indicava anche il sangue, red rum. Ronnie stava molestando da settimane la nipote di Mack, Breanna, studentessa part-time alla Sam Houston State: la seguiva in macchina mentre andava e tornava a piedi dalla città, apostrofandola con epiteti che lei non voleva ripetere; passava avanti e indietro di fronte a casa sua quando sapeva che era sola; la insultava per il colore della pelle e per come portava quei “capelli da selvaggia”. La ragazza era terrorizzata, e ne aveva motivo. Ronnie era noto per aver sparato a un cane che aveva fatto i bisogni nel suo cortile, e minacciato di fare lo stesso – o di peggio – a qualunque nero si fosse avvicinato alla baracca sbilenca che lui chiamava casa. I suoi passatempi comprendevano picchiare ragazzi del liceo e vandalizzare fattorie di proprietà di neri, abbattendo staccionate e devastando coltivazioni. Una volta era anche stato arrestato, per avere appiccato il fuoco a una chiesa episcopale metodista africana nella vicina Camilla, la cittadina di Darren. Ronnie aveva la struttura fisica di un idrante a colonna, basso e tarchiato, con la testa a ogiva e una precoce calvizie incipiente che nascondeva sotto una bandana. Mack era un nero settantenne che ricordava bene il Ku Klux Klan; rammentava ancora quante volte, da bambino, si era rannicchiato dietro il padre e un fucile, la paura dei raid notturni e delle storie orribili di “cavalieri” del Klan provenienti da città come Goodrich e Shepherd. Ma quelli erano altri tempi, e Rutherford McMillan non intendeva sopportare ancora quella merda nel 2016.

“Esatto,” commentò Vaughn. “Un noto criminale e, come lei dice, riconosciuto suprematista bianco stava minacciando l’indagato…”

“Non so per certo se Ronnie lo abbia minacciato.” Darren guardò la prima fila di giurati. Quattro uomini e due donne, tutti bianchi. “Ma Mack aveva ogni diritto di proteggere la sua proprietà.” Due dei giurati bianchi annuirono.

In Texas, certi bambini delle elementari sapevano recitare a memoria la “dottrina del castello” – la normativa sulla legittima difesa adottata dallo stato nella versione stand your ground, ancora più permissiva sul ricorso alle armi per la protezione della proprietà o della persona – con la stessa scioltezza del giuramento di fedeltà alla bandiera degli Stati Uniti d’America.

Quello di Mack era un caso da manuale.

Ronnie Malvo aveva violato il confine della proprietà di Mack approfittando dell’oscurità, su una Dodge Charger ultimo modello customizzata con cerchi in lega da venti pollici e quasi di certo pagata con i proventi della droga. Si era fermato lasciando il motore acceso, ma i fari spenti. I gas caldi emessi dal doppio tubo di scarico si alzavano in sbuffi di condensa, dissolvendosi tra i pini svettanti che delimitavano il piccolo appezzamento di terra ai margini di San Jacinto County. Era un posto isolato: l’abitazione più vicina si trovava ad almeno quattrocento metri lungo la strada a corsia unica che passava davanti alla casa di Mack.

Breanna, che era sola nella casetta rivestita in legno dove viveva con Mack, era uscita sul portico a vedere chi ci fosse là fuori, nel buio. Quando aveva notato la Dodge e la sagoma di Ronnie Malvo al posto di guida aveva lanciato un urlo per lo spavento; il cellulare le era caduto di mano e si era rotto. Lei era rientrata di corsa, tirando il catenaccio, poi aveva chiamato il nonno dal telefono fisso in cucina. Lui, a sua volta, aveva chiamato Darren dall’abitacolo del suo decrepito pick-up Ford, mentre correva a casa da un lavoro nella vicina Wolf Creek. Poco dopo si era fermato sulla stradina di accesso, bloccando la sola via di uscita a Ronnie Malvo.

Aveva urlato a Breanna di prendere la pistola che teneva in casa. Nel giro di pochi secondi, lei era uscita con il revolver calibro .38 a canna corta. Mack non sapeva se Ronnie fosse armato, ma puntare una pistola contro un uomo era senz’altro il modo più rapido per scoprire se ne aveva una anche lui.

Quando Darren era arrivato, i due erano in una situazione di stallo.

Il ranger era entrato nella proprietà di Mack a fari spenti, aveva parcheggiato il pick-up sotto i rami di una vecchia quercia e risalito con cautela la stradina di terra e ghiaia, trovandosi davanti la seguente scena: Mack, tra il ciarpame ammassato nel cortile, con la .38 puntata alla testa di Ronnie, il quale giurava di voler soltanto parlare con la ragazza, aggiungendo a ogni buon conto “ma non starò qua a farmi ammazzare da questo negro.” Teneva una .357 puntata al petto di Mack; una pistola ben più potente della Colt .45 che Darren aveva estratto dalla fondina. Ronnie sembrava esasperato dall’impasse. Aveva bisogno che il “vecchio negro rincoglionito” spostasse quel maledetto pick-up, se ci teneva tanto a mandarlo via dalla sua proprietà. Mack gli aveva intimato di mettere prima il suo “culo bianco da peckerwood” sulla Dodge. Volavano spruzzi di saliva, le fronti erano lucide di sudore.

“Metta giù la pistola, Malvo,” aveva detto Darren. “Usciamone puliti, tutti quanti.”

“Dillo al negro,” si era intestardito Ronnie, indicando Mack con un cenno del capo.

“A quale negro stai parlando, Ronnie? E, prima di rispondere, ricorda che uno di questi negri è un Texas Ranger che è stato tirato giù dal letto a causa tua. Sai, sono un po’ a corto di pazienza, al momento.” La Colt di Darren aveva mandato un bagliore, riflettendo la luce della lampada sul portico. Per un momento, Ronnie era parso spaventato, messo all’angolo, ma non era detto che fosse una buona cosa. Cominciava a dare vistosi segni di agitazione. Due pistole puntate alla testa, stava tremando nei suoi stivali da motociclista, e ancora era riluttante ad ammettere che aveva spinto troppo oltre la sua bravata, trovato pane per i suoi denti e avuto la peggio. L’orgoglio era una brutta bestia, e Darren sapeva di uomini che erano stati uccisi per molto meno.

Così, aveva deciso di cambiare approccio.

“Mack, abbassa la pistola.” Darren immaginava che, dei due, fosse lui quello che gli sarebbe stato più facile far ragionare. Si sbagliava.

“Col cavolo.”

“Me ne occupo io, Mack.”

“Non voglio rogne, gente,” aveva detto Ronnie.

Darren sentiva Breanna piangere sul portico.

“Voglio questo figlio di puttana fuori della mia proprietà,” aveva insistito Mack.

“Metti giù la pistola, Mack. Non ne vale la pena.”

“Ho tutto il diritto di proteggere la mia proprietà.”

“Sì, ma ogni minuto che tieni quella pistola in mano ci avvicina di più a una situazione da cui non posso tirarti fuori. Dammi retta, Mack. Non vorrai andare in prigione per colpa sua, vero? Lascia fare a me, dovrà rispondere di violazione di proprietà privata.”

“Non me ne frega niente di quello.” Gli occhi cisposi di Mack luccicavano. “Lo voglio morto o fuori di qui, delle due l’una.”

“Sposta la macchina e me ne vado,” aveva ribadito Ronnie. “Stavo solo girando un po’ intorno alla ragazza. Dovresti essere contento che qualcuno vuole guardare quel suo culo da scimmia.”

“Lancia le chiavi a Bre, Mack,” aveva detto Darren. Il vecchio aveva obbedito, ma senza abbassare la rivoltella; sembrava una pistola giocattolo, nella sua grande mano. Darren aveva chiesto a Breanna di spostare il pick-up del nonno sulla strada, così Ronnie Malvo avrebbe potuto andarsene.

Ormai era sul punto di piangere anche Mack. Una smorfia gli torceva la bocca, dagli angoli sfuggivano fili di bava. “Questo delinquente non ha il diritto di venire qui, sulla mia terra, a dare fastidio alla mia bambina,” aveva biascicato. “Non sta scritto da nessuna parte che devo mangiare merda e fargliela passare liscia.”

Darren aveva avvertito un cambiamento nel respiro di Mack: si stava facendo più pesante e rapido. Restavano soltanto pochi secondi prima che cedesse alla rabbia che infiammava ogni muscolo del suo corpo asciutto. “Breanna, vai!”

Mentre la ragazza correva giù dal portico, verso il pick-up, Darren aveva approfittato della distrazione per agire. Fulmineo, aveva afferrato il polso destro di Mack e l’aveva spinto giù, sempre tenendo la Colt puntata su Ronnie. Mack aveva imprecato, ma poi si era arreso, lasciandosi cadere sulla terra chiazzata d’erba del cortile. Ronnie aveva subito abbassato l’arma, l’aveva gettata sul sedile della Dodge attraverso il finestrino aperto, poi era sgattaiolato verso il posto di guida come avesse il fuoco al culo.

Al banco dei testimoni, Darren coronò la breve arringa recitando la formula della “dottrina del castello”.

Vaughn si stizzì. “Conosco la legge, signor Mathews.”

Ranger Mathews,” lo corresse.

“Il punto, ranger Mathews, è che invece di chiamare il nove-uno-uno, l’indagato ha pensato bene di contattare un agente che conosceva, e che essendo anche lui afroamericano avrebbe di certo compreso la rabbia suscitata da un tale incidente…”

“Obiezione!” Stavolta Darren lo disse ad alta voce.

Dal podio, Vaughn lo guardò in cagnesco, la mano destra aggrappata al bordo del parapetto con tanta forza da sbiancare le nocche. “Signor Mathews…”

“Sono un Texas Ranger, avvocato.”

“Allora si comporti come tale.”

Vaughn seppe di aver esagerato appena lo ebbe detto. Le giurate in prima fila scossero la testa per il modo in cui si era rivolto a un rappresentante della forza di polizia più venerata dello stato. In seconda fila, uno dei due membri neri della giuria incrociò le braccia in atteggiamento ostile, facendo scorrere uno stuzzicadenti da un lato all’altro della bocca. Un minuscolo pugnale puntato dritto verso il procuratore.

“Passi alla prossima domanda,” lo invitò Darren, sfruttando il vantaggio.

“Il signor Malvo se ne andò di propria volontà quella notte, vero?”

“Sì. Gettò l’arma nella macchina e se la filò di corsa.”

Due giorni dopo, Malvo era stato trovato morto in un fosso al margine della sua proprietà, due proiettili calibro .38 piantati nel petto. E il rapporto di Darren sull’incidente aveva fatto finire Mack sulla lista dei sospettati. Si sentiva responsabile dell’intera vicenda. Cento volte al giorno desiderava non essere mai andato lì, quella notte, non avere mai presentato quel rapporto. Dopo averlo redatto aveva esitato, fissando con preoccupazione le pagine che uscivano dalla stampante, consapevole che mettere il nome di Mack sul verbale di un incidente, seppure come parte lesa, significava fargli varcare una soglia dalla quale poteva non esserci ritorno. Il crimine, una volta toccata la vita di un nero, lasciava una macchia difficile da rimuovere. Ma Darren era un poliziotto, quindi aveva fatto il suo dovere. Si era attenuto alle regole, ed ecco a cosa aveva portato: un gran giurì riunito per decidere del rinvio a giudizio di Mack per omicidio. Se incriminato, avrebbe dovuto affrontare il processo; lui, un uomo di settant’anni che per tutta la vita non aveva fatto altro che lavorare e amare la sua famiglia. E poi, se condannato, sarebbe finito nel braccio della morte.

La verità era che Ronnie Malvo faceva parte di una delle gang più violente nella storia d’America, uomini che si sbranavano anche tra loro, in particolare quando c’era di mezzo un tradimento. Darren sapeva di un capitano della Aryan Brotherhood of Texas che una volta aveva ordinato una spedizione punitiva particolarmente truce contro una giovane recluta sospettata di parlare con la polizia. Il presunto informatore, un diciannovenne, fu trovato a penzolare da una recinzione in un campo di grano di Liberty County, appeso al filo spinato per la poca carne che gli avevano lasciato attaccata alle ossa. Chiunque poteva avere ucciso Ronnie Malvo, il quale era davvero un informatore dell’FBI. Darren era l’unico in quell’aula, incluso il procuratore, a saperlo. Era di stanza alla sede di Houston dei Rangers e, qualche mese prima dell’omicidio Malvo, a forza di insistere era riuscito a entrare in una task force interagenzia che stava investigando sulla ABT con i federali. Per ovvie ragioni non gli era permesso farne parola, ma lui sapeva che la Fratellanza avrebbe avuto i suoi buoni motivi per chiudere la bocca a Ronnie, se qualcuno ne avesse scoperto la slealtà.

“Il signor McMillan era parecchio arrabbiato quella notte, non è vero?”

Darren ridimensionò a “turbato”, e aggiunse: “Non sembrava desideroso di vendetta, se è questo che intende.”

“Le sue sono supposizioni non richieste.”

“Io posso soltanto dire quel che ho visto, e Mack non ha ucciso nessuno.”

Vaughn si rabbuiò. Da quel momento non avrebbe più seguito il copione concordato, e Darren lo sapeva.

“Ronnie Malvo è stato ucciso con una rivoltella calibro .38, esatto?”

“Non ho lavorato all’indagine.”

“E come mai?”

“Non sono stato assegnato al caso,” rispose Darren, restando sul vago.

“Il tenente Fred Wilson riteneva che lei fosse troppo coinvolto, è così?”

“Sì, Ronnie Malvo è stato ucciso con una .38.” Darren gli concesse il punto.

“E, la notte del suo intervento, lei vide il signor McMillan puntare una rivoltella calibro .38 contro Malvo, giusto?”

“Non ha sparato, però.” Darren cercò una posizione meno scomoda sulla sedia. “Voleva solo essere lasciato in pace, sentirsi al sicuro in casa propria. Per questo mi chiese di restare.”

Appena Ronnie aveva avviato il motore ed era scappato a tutta velocità, sollevando ali di terra e ghiaia, Darren si era inginocchiato accanto a Mack, un uomo che in vent’anni non aveva mai visto nemmeno tirare su col naso, figurarsi singhiozzare come stava facendo, sconvolto per essere arrivato così vicino a uccidere qualcuno. Poteva restare con lui e sua nipote, gli aveva spiegato il ranger, oppure andare via e occuparsi di Malvo.

Mack aveva preferito che restasse.

Darren aveva finito per passare la notte sul portico, pistola in mano, a vigilare che nessun paio di fari sospetti si avvicinasse alla casa. Era rimasto di guardia finché si erano addensate le nuvole basse del mattino tinte di rosso ruggine, la terra del Texas orientale riflessa nel cielo. Aveva vegliato su quel minuscolo angolo dello stato, perché Rutherford McMillan potesse prendersi la notte di pace che gli spettava da una vita intera.

Due giorni dopo, Ronnie Malvo era stato trovato morto.

“Il che ci porta alla mia ultima domanda,” disse Vaughn, le mani intrecciate dietro la schiena. Darren vide gli angoli della sua bocca sollevarsi in modo appena percettibile. “Lei non è rimasto con l’indiziato per le quarantott’ore successive, giusto?”

“Sono tornato a casa. Sono tornato al lavoro.”

E da Lisa, che gli aveva chiesto di riprendere gli studi di giurisprudenza. Almeno pensaci, Darren.

Sarebbe stato semplice, lo sapeva.

Scegliere una vita a lei più comprensibile, tornare a casa.

“Era un no, questo?”

“No, non ero con lui.”

“Quindi non ha modo di sapere se nell’arco di quelle quarantott’ore il signor McMillan sia uscito di casa con quella stessa pistola per andare a uccidere il signor Malvo?”