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Lei si chiamava Randie Winston. Aveva ricevuto la notizia tre giorni prima, dal suo agente: le aveva telefonato a Saint Albans, fuori Londra, dove si trovava per lavoro, impegnata in un servizio fotografico per Vogue UK. Si era messa subito in viaggio: un treno per Londra, poi un volo di otto ore fino a New York, e lì aveva preso un altro aereo per Dallas, perché le avevano detto che era la soluzione migliore essendo diretta al capoluogo della contea di Shelby, dove avrebbe dovuto incontrare lo sceriffo Parker Van Horn. Però non aveva trovato Van Horn ad accoglierla nell’ufficio dello sceriffo della piccola città di Center – altre tre ore di strada, in aggiunta alle dodici di viaggio che aveva alle spalle – ma un giovane agente, diciannove anni al massimo, l’anello del liceo sulla mano destra affondato nel grasso messo su dal diploma. Al suo arrivo stava divorando un hot dog bisunto, e quasi gli era andato di traverso il boccone quando si era presentata come la moglie di Michael Wright, la voce spezzata da un singhiozzo alla parola “moglie”.

Lei e Michael erano separati da oltre un anno, eppure era rimasta sua moglie fino all’ultimo, pronta a mollare tutto e partire senza nemmeno cambiarsi d’abito. Era una fotografa di moda piuttosto nota, richiesta ovunque; il cashmere e i gioielli che si confacevano al suo mondo, però, la identificavano come un’intrusa in questo. La sua attrezzatura fotografica era rimasta nell’auto a nolo, e Darren la rassicurò che sarebbe tornato a prenderla, anche se significava farsi a piedi i dieci chilometri fino alla birreria. Si erano fermati per la notte in un motel fuori Lark, lungo la Highway 59. Lei tremava quando avevano imboccato l’autostrada. Mentre la birreria si allontanava nello specchietto retrovisore del pick-up, si era abbandonata sul sedile, sfinita per il dolore e la stanchezza. Ormai andava avanti per inerzia.

Il motel era una struttura a ferro di cavallo di dieci camere, con un’insegna al neon in cima a una torre di vecchi pneumatici alta almeno sei metri. The Lucky Ten, si chiamava. La donna alla reception aveva assegnato loro due camere separate, senza bisogno che Darren le chiedesse: aveva notato la fede alla sua mano sinistra, e l’assenza di un corrispettivo sulle dita di Randie. Era sulla sessantina, con ricci ispidi color argento brunito che dovevano essere il risultato di una permanente fatta in casa, e una croce d’oro pendente da una catenina intorno al collo chiazzato di rosso. Per prudenza, aveva consegnato una sola chiave ciascuno. Darren aveva lasciato a Randie la camera con il letto più grande, sull’orlo del quale adesso era seduta, rivolta verso le pesanti tende gialle.

Darren si era sistemato su una poltroncina rivestita di vinile verde scuro, i piedi affondati nella moquette spessa e le mani bene in vista. Non prese nemmeno appunti: voleva che lei sapesse di essere al sicuro.

“Allora non ha mai parlato con lo sceriffo?”

“Era occupato fuori città.”

Si era tolta la giacca, restando in jeans e t-shirt grigia, e Darren si rese conto di quanto fosse esile. Teneva le spalle incurvate e aveva tirato indietro i capelli; ora poteva vederla meglio in viso. Darren sapeva che Van Horn era in città quel pomeriggio, ma non disse niente. Non aveva accennato al secondo omicidio né menzionato Missy Dale, e non intendeva farlo adesso; non ancora, almeno.

Poteva sentire gli autotreni passare sulla 59 a intervalli di pochi minuti, schiamazzi notturni seguiti da sacche di quiete in cui si udiva solo il gracidare delle raganelle nei boschi circostanti.

“C’era un vicesceriffo in ufficio,” continuò Randie. “Ha tirato fuori una busta con gli effetti personali di mio marito, dicendo ‘Mi dispiace’ e ‘Il corpo è a Dallas’ e altre cose che non ricordo. E poi mi ha chiesto di identificarlo da una foto.”

“Cosa c’era nella busta?”

Lei si girò a tastare il copriletto, trovò la borsa e ne pescò una piccola busta di plastica appannata dalla condensa, confezionata con la cura con cui un qualsiasi poliziotto avrebbe forse impacchettato il pranzo, non certo delle potenziali prove. ANNEGAMENTO, diceva il referto dell’esame autoptico. Quella era la causa della morte. Ma, stando a Greg, il medico legale non era riuscito a stabilirne la modalità, se Michael Wright fosse vittima di un omicidio. Darren sentiva la domanda nell’aria, nell’odore fetido che trapelava dalla busta di plastica, nel tanfo del bayou che aleggiava sopra quel caso. Aveva guanti di lattice sul pick-up, una scatola intera, ma non voleva lasciarla sola proprio adesso. Per il momento si accontentò di ispezionare il contenuto della busta dall’esterno. Un portafoglio, pelle nera, intriso d’acqua e sformato; una fede d’oro, simile a quella che Darren aveva al dito, messa quel mattino come atto propiziatorio; un portachiavi della BMW, con una foglia marcita incastrata nella spirale di metallo argentato che tratteneva una dozzina di chiavi. Il tutto pesava meno di mezzo chilo, quel che restava di Michael Wright. “È quel che gli hanno trovato addosso,” disse Randie. “È rimasto nel bayou per qualche giorno prima che lo scoprissero, era quasi irriconoscibile.” Le si ruppe la voce. Deglutì e provò a continuare. “Il portafoglio… È da quello che ho saputo con certezza che era Michael. Glielo avevo regalato io per il nostro ultimo Natale insieme.” Ricominciò a piangere, un suono flebile, come di qualcosa che si sgonfiasse, uno sfiato di ossigeno mentre si afflosciava su se stessa gocciolando lacrime salate.

Darren andò in bagno, dove trovò delle salviette di carta spessa e dura in un contenitore di plastica decorato con un tripudio di decalcomanie di rose. Lo portò di là, lo posò accanto a lei sul letto e si rimise a sedere, piedi a terra e mani in vista, sulla poltroncina a qualche passo da lei, sotto il quadro di un paesaggio: un ranch, buoi texani dalle lunghe corna dipinti in nero e marrone.

Randie si soffiò il naso. “È solo che… quel che ha detto il vicesceriffo non ha senso.”

“Le ha detto altro, a parte dell’annegamento?”

“Che secondo lo sceriffo Michael è stato rapinato.”

Questa era nuova. “Rapinato?”

“Ha detto che quella notte stava uscendo dalla birreria, pensano fosse ubriaco.”

In base a cosa? Greg non aveva fatto parola di un tasso alcolemico elevato nel referto dell’autopsia, sul quale Darren era d’un tratto impaziente di mettere le mani.

Lei prese un’altra salvietta. “Ma le sue carte di credito sono ancora nel portafoglio.”

“Lo ha toccato?” chiese Darren, anche se bastava un’occhiata alla busta per capire che ormai non aveva importanza: qualunque prova quei reperti avessero avuto da offrire era già andata distrutta.

“L’ho aperto davanti al vicesceriffo. Carte di credito e più di cento dollari in contanti. Forse qualcuno gli ha portato via l’orologio, oppure è caduto nell’acqua. Ma come può essere una rapina se il portafoglio non è stato toccato?”

“La macchina,” disse Darren. Non che l’idea lo convincesse più di tanto, ma ogni buon poliziotto avrebbe dovuto prenderla in considerazione. Randie lo guardò, sorpresa che avesse indovinato.

Fece un cenno di conferma. “Il vicesceriffo ha detto che Michael aveva ‘un bel macchinone’, come se fosse un reato, e che qualcuno potrebbe averlo aggredito per rubarglielo.”

“Ma le chiavi dell’auto sono qui,” osservò Darren.

“Ne teneva un paio di scorta nel cassetto del cruscotto, le avrebbe trovate chiunque,” spiegò Randie. “Michael non era della zona, quindi pensano che si sia perso – probabilmente a piedi, camminando nel bosco – e poi sia caduto nel bayou. Dicono che la macchina salterà fuori, prima o poi.” Scrollò la testa. “Ma lei ha visto quel bar… Michael non si sarebbe mai sognato di mettere piede in un posto del genere.”

Il posto dove lavorava Missy Dale, pensò Darren.

“Com’era il vostro matrimonio?” domandò di punto in bianco.

“Com’è il suo?” ribatté lei.

Per la prima volta, Darren vide la donna dietro le lacrime; il modo in cui gli occhi, seppur spalancati, potevano restringersi a due feritoie dalle quali scoccavano dardi di indignazione, il modo in cui la linea della mascella s’induriva nella luce della lampada. Si era risentita per la domanda. Nemmeno a lui piaceva che gli si lanciassero palle curve di quel tipo. “Ha detto che eravate separati, tutto qui.”

“Mi tradiva.”

Gli diede l’informazione in tono oggettivo, poi lasciò che gestisse come meglio credeva il silenzio imbarazzato.

“Mi dispiace,” disse Darren in fretta. Si rese conto troppo tardi di averle appena manifestato compassione perché il marito andava a letto con un’altra donna, mentre non aveva detto una parola di condoglianze per la sua morte. “Mi dispiace,” ripeté, stavolta scusandosi della propria goffaggine. Lei fece segno di lasciar perdere, poi abbassò lo sguardo a fissare taciturna l’anulare spoglio. “Lo ha lasciato, quindi?”

“No.” La sua voce era strozzata non più dal pianto, ma dal rimorso. “Non ho fatto niente, è questo il punto. Non ho chiesto il divorzio, ma nemmeno l’ho perdonato. Non me ne sono andata, ma non sono nemmeno rimasta. Stavo via per lavoro mesi di fila, non mi facevo scappare un incarico, mi tenevo alla larga il più possibile.”

“Lo amava?”

“Ha qualche importanza?”

Era bella, e Darren non riusciva a immaginare in quale universo un uomo abbastanza fortunato da avere l’amore di una donna come lei potesse correre dietro a qualcun’altra, ma doveva chiederlo. Ancora non sapeva perché Michael fosse andato in Texas da solo. “Stava ancora vedendo altre donne?”

“Michael e io non ci parlavamo da mesi.” Randie aveva assunto un tono formale, uno scudo alzato in direzione di Darren.

“Sa perché ha fatto un viaggio in macchina di quasi millecinquecento chilometri per venire fin qui da Chicago?”

Lei lanciò uno sguardo all’angolo del letto dove era posata la busta di plastica con gli oggetti di suo marito. La risposta non era lì.

“Che cosa c’era a Lark?”

“Non ne ho idea.” Nei loro sette anni insieme, disse, Michael non l’aveva mai portata nella città dove era nato, che lei credeva fosse da quelle parti. Confondeva Timpson con Tyler.

Darren la ringraziò, le disse che aveva dei cracker e un po’ di carne di cervo secca nel pick-up, se voleva, visto che i distributori automatici del motel erano in funzione solo fino a mezzanotte. Randie rispose che stava morendo di fame, e non era schizzinosa. “Grazie.” Gli rivolse perfino un pallido sorriso; un’espressione automatica di gratitudine, qualcosa in cui le donne riescono a prodursi anche quando stanno soffrendo. Ma, appena Darren si alzò per andare alla porta, scattò su dal letto e lo afferrò per un braccio, ansiosa, come temesse che non sarebbe più tornato. Le sue dita premevano sul muscolo sopra il gomito. “Cercherà di scoprire cosa gli è successo? Perché io lo amavo, sa? Lo amavo davvero.” Voleva che le credesse, quasi che il suo aiuto dipendesse da quello. “Troverà chi è stato, vero? Voglio dire, l’hanno mandata qui apposta, giusto?”

Darren non se la sentì di dirle che in realtà nessuno lo aveva inviato né invitato, che lei era la sola al mondo a volerlo lì.

Perché, al momento, per lui era sufficiente.

“Cerchi di riposare.” Le batté la mano sul braccio, rassicurante. “Non la lascerò sola.”

Scrisse un messaggio a Lisa solo quando ebbe la ragionevole certezza che lei dormisse. Qualunque discussione per il suo mancato ritorno a casa poteva aspettare fino al giorno dopo. Randie era crollata dopo aver divorato un pacchetto di cracker, e lui si era chiuso la porta alle spalle senza fare rumore, le chiavi dell’auto a nolo in mano. Poi si era messo in attesa, di guardia alla camera 9, appoggiato contro la sottile parete intonacata a malta tra le loro due stanze, scrutando ora il parcheggio del motel – deserto eccetto per il suo pick-up – ora l’autostrada a quattro corsie oltre lo spiazzo, per assicurarsi che nessuno fosse a caccia. La gentaglia della birreria, o chiunque altro avesse saputo che la moglie di Michael Wright era in città. Sembrava tutto tranquillo, e sapeva che fino al sorgere del sole non lo sarebbe stato più di così, ma per sicurezza aspettò un’altra ora, supponendo, a ragione, che nessun bar nel superstizioso Texas orientale restasse aperto oltre le due di notte, con l’avvicinarsi dell’ora del diavolo. Infine si diresse verso l’autostrada.

S’incamminò lungo il margine della carreggiata, torcia Maglite in mano, .45 al fianco, e la piccola bottiglia di Wild Turkey semivuota infilata nella tasca posteriore dei pantaloni. Restava appena abbastanza bourbon per stuzzicare la voglia, ma meglio che niente. Faceva sembrare il cielo notturno più basso, le stelle luccicavano sopra le punte dei pini come una spolverata di neve. L’aria adesso si era fatta pungente, aveva freddo senza la giacca, ma la camicia bianca l’avrebbe aiutato a restare vivo: una sorta di pettorina catarifrangente che segnalava la sua presenza a qualunque veicolo fosse passato di lì viaggiando a centodieci chilometri orari. Si tenne per lo più sulla banchina sterrata, il brecciolino scricchiolante sotto i piedi, l’orecchio teso ai suoni di creature insonni nei boschi che fiancheggiavano la strada. A quell’ora di notte i camion erano pochi e distanziati, e la calma gli schiarì la mente. Bevve un sorso o due di bourbon, per scaldarsi e, non aveva problemi ad ammetterlo, farsi coraggio. Il viaggio a Lark avrebbe richiesto un tributo, questo lo sapeva sin dall’inizio. Solo, non sapeva quale. Né riusciva a stabilire che cosa di preciso lo turbasse tanto in quegli omicidi. La loro apparente semplicità – il fatto che si prestassero così bene a essere inquadrati in schemi supportati da secoli di casistiche – per qualche motivo lo insospettiva.

Il disagio era iniziato con l’ordine cronologico delle uccisioni: prima lui, il nero, poi la ragazza bianca. Non rientrava nel convenzionale copione americano, non concordava con gli ammonimenti dei suoi zii di non fare il cretino con ragazze bianche o anche solo rivolgere loro apprezzamenti poco eleganti, e presupponeva un desiderio di vendetta per l’omicidio di Michael – uno straniero, a Lark – da parte dei neri del luogo che non sembrava molto plausibile. Da Geneva’s non aveva percepito acredine verso nessuno, eccetto lo sceriffo e i suoi uomini che si aggiravano dietro la caffetteria, né sentito una sola parola poco rispettosa nei confronti di Missy Dale. Anzi, Geneva aveva parlato con tenerezza del bambino della ragazza. Tim, l’autotrasportatore, era parso altrettanto rattristato. Era stato Wally, in effetti, a suggerire che la morte di Missy potesse essere il risultato del livore che serpeggiava tra i neri di Lark, che il suo assassinio fosse seguito a quello di Michael Wright per il principio di causalità e non per caso. E di certo la pensava così anche lo sceriffo Van Horn, il quale aveva chiesto a Geneva una lista di quanti erano stati nel locale la sera prima; lui e Wally stavano guardando entrambi in quella direzione. Nella testa di Darren risuonò la voce di Greg, a rammentargli la riluttanza della sua tribù – la grande tribù delle forze dell’ordine – a cedere alle pigre lusinghe della coincidenza. Ma anche scavare dove non era sotterrato niente aveva le sue controindicazioni. E più ci pensava, più sembrava verosimile che qualcuno avesse visto una BMW ultimo modello e aggredito Michael per rubargliela, lasciandolo solo e stordito in una notte buia come quella in cui ora stava camminando. Era del tutto plausibile che davvero si fosse perso. Una possibilità che andava almeno considerata. E la fine orribile di Missy, lo stato in cui l’avevano trovata, poteva avere a che fare non con Michael, ma con la clientela della birreria, la brutta gente a contatto della quale lavorava, tra cui non si sarebbe sorpreso di scoprire qualcuno con una sfilza di precedenti per violenza sessuale. Tutto ciò andava considerato, ripeté a se stesso, anche se il dubbio persisteva.

Quasi dieci chilometri di scarpinata. Gli facevano male i piedi negli stivali di cuoio color noce, le cui suole si sarebbero spaccate se avesse chiesto loro di rifare tutta la strada in senso inverso. Fu sollevato di vedere l’auto a nolo, una Ford blu a due porte, sola nel parcheggio della birreria. L’insegna al neon era spenta, l’interno del locale buio. Era preparato a trovare la macchina vandalizzata, ma sembrava tutto a posto, e attraverso i finestrini la torcia illuminò il bagaglio di Randie sul sedile posteriore, inclusa la custodia nera della macchina fotografica. Era sudato per la lunga camminata e appena avviato il motore abbassò un poco i finestrini, in modo che gli arrivasse un soffio di aria fresca sulla faccia mentre guidava.

Non tornò al motel, però; non subito.

Uscito dal parcheggio prese la direzione opposta, quasi rannicchiato al volante della piccola vettura, e avanzò a bassa velocità lungo la Highway 59 finché trovò la svolta per la FM 19, una strada rurale che dall’autostrada si inoltrava tra i boschi fino al bayou Attoyac. Il corso d’acqua passava dietro la caffetteria di Geneva e la birreria di Wally; due mondi agli antipodi, ma distanti appena quattrocento metri l’uno dall’altro. Imboccò lo stretto nastro di asfalto, privo di linea di mezzeria: la precedenza di cortesia era ancora prassi comune in quei piccoli centri. Attraverso il fondo dell’automobile sentiva ogni crepa e avvallamento del manto stradale, e a ogni sobbalzo quasi batteva la testa contro il tettuccio. Si fermò dopo una cinquantina di metri e scese dalla macchina. Il cigolio della portiera fu l’unico suono nell’oscurità, a parte il canto corale di grilli e raganelle. La strada era sovrastata sui due lati da pini giganteschi, al cospetto dei quali lui e la piccola Ford sembravano minuscoli. Moscerini e scarabei danzavano nella luce dei fari. A titolo di prova, allungò un braccio nell’abitacolo e spense tutti i fanali. Il buio era straordinario, tanto denso da essere quasi tangibile, un drappo di velluto nero impunturato di stelle, minuscoli grumi di luce il cui chiarore permetteva a malapena di vedere la propria mano tenendola davanti alla faccia. Darren sapeva che Michael era stato trovato lì attorno, a un tiro di fionda dalla birreria, ma che ci faceva su quella stradina, tanto per cominciare?

Volendo dare credito alla teoria dello sceriffo, tutto era partito dal furto della BMW, ma non potevano avergliela rubata nel parcheggio del locale. Michael non era un idiota, aveva una laurea in legge, Cristo santo: di sicuro avrebbe seguito l’autostrada, relativamente bene illuminata, per tornare da Geneva’s. No, qualcosa lo aveva attirato su quella strada secondaria, ed era lì che lo avevano aggredito per portargli via la macchina. Doveva essere andata così. A quell’ora, senza veicoli di passaggio sulla highway a indicare con i loro fari la direzione per uscire dal bosco, era possibile perdere l’orientamento nel buio e andare dalla parte sbagliata, specie dopo qualche bicchiere. Darren stimava che in quel momento il suo tasso alcolemico fosse 0,9; per un uomo abituato a bere come lui, significava essere abbastanza alticcio da sapere che sarebbe stato meglio fermarsi, ma non così ubriaco da non accorgersi della falla nella teoria dello sceriffo. Da lì dov’era, se stava fermo ad ascoltare, riusciva perfino a sentire il mormorio del corso d’acqua.

Il bayou era di fronte a lui, si rese conto, a forse cinquanta metri. Se Michael era stato lasciato lì, da solo, senza macchina, smarrito, perché mai avrebbe camminato verso un corso d’acqua che non poteva vedere? Nessuno sano di mente avrebbe fatto quel che Darren stava facendo adesso: inoltrarsi di notte nel folto di un bosco con il quale non aveva alcuna familiarità. Ma andare verso l’ignoto era il suo mestiere, e non aveva ancora consegnato il distintivo.

Camminò in linea retta, oltre il punto in cui la strada curvava verso sud, e proseguì sempre dritto sul terreno impervio, guidato dal mormorio del bayou. Si chinò sotto i rami bassi, spinse da parte i più ingombranti; il bosco s’infittiva e il debole fascio di luce della torcia tascabile era di scarso aiuto. Gli venne in mente di tornare indietro ad accendere i fari della macchina, per avere una traccia luminosa; a un più giudizioso 0,5 l’avrebbe fatto in partenza, invece di avventurarsi alla cieca tra gli alberi. Fu quando si girò verso la Ford, ruotando malamente sul piede sinistro, che scivolò. La pendenza non era forte, ma inaspettata, e non poté evitare la caduta. Mentre slittava giù verso l’acqua, con una torsione si rovesciò per artigliare la terra nel tentativo di arrestarsi, ma le sue dita non trovarono niente su cui fare presa e riuscì solo a perdere la torcia. Finì nel bayou, prima i piedi, poi il resto del corpo, lungo disteso a faccia in giù.

Chiuse gli occhi appena in tempo, ma l’acqua glieli fece bruciare lo stesso.

Serrò la bocca e fece appello alla forza di volontà per combattere il panico che lo assalì insieme alla fame d’aria. Non morirò qui, stanotte. Mosse le braccia in una vaga sembianza di nuoto a rana per tenersi a galla, provò a battere le gambe e picchiò il piede contro il fondo del bayou, schiacciandosi l’alluce nella punta dello stivale. Con il dolore arrivò l’illuminazione. Alzati, idiota! Devi solo alzarti. In un attimo Darren era in piedi. L’acqua gli arrivava non più su delle cosce. In quel momento, seppe che Michael Wright non poteva essere annegato entrando nel bayou con le proprie gambe.