Quando salirono sul pick-up, Darren era già al telefono con Greg. “Ho bisogno di quell’autopsia. E anche di quella di Missy, se riesci a procurarmela.” Randie chiuse la portiera mentre lui avviava il motore. “Il tenente mi ha autorizzato a seguire il caso, ma mi farebbe comodo un aiuto esterno, perché prevedo che lo sceriffo la tirerà per le lunghe.”
“Cos’ha fatto cambiare idea a Wilson?” domandò Greg.
“La moglie…” Darren ricordò che Randie era sul sedile accanto, e riformulò: “Un giornalista ha iniziato a fare domande. È bastato questo.”
“Dovrei fare una scappata lì?” suggerì Greg. “Posso chiedere al mio supervisore di mandarmi a fare un breve sopralluogo. Se la forza dell’ordine locale ti sta boicottando…”
“Adesso sono io la forza dell’ordine locale.” Darren sbirciò Randie. Lo stava dicendo tanto a Greg quanto a lei: era una promessa. “Il caso è mio, che Van Horn se ne renda conto o meno.”
“Anche il Bureau potrebbe essere coinvolto,” osservò Greg.
Darren non aveva dimenticato che tutto era partito da lui, dalla sua ricerca di un’opportunità di carriera. Non vedeva l’ora di scappare dalla scrivania, e poteva capirlo. Ma era necessario gestire la situazione nel modo giusto, il che escludeva farsi raggiungere da un agente federale.
“Non credo sia una buona idea, in questo momento, far arrivare qualcun altro da fuori. E un federale, per giunta. Lo sai com’è in questi posti. Invece, ho davvero bisogno che tu mi trovi tutto quel che puoi sul periodo di detenzione di Keith Dale a Huntsville: cella, blocco, sanzioni disciplinari, affiliazione a bande, qualunque cosa lo colleghi alla Fratellanza.”
Greg mugugnò qualcosa, poteva essere un sì o un no, Darren non riuscì a capire con il rumore del motore. Recepì invece con molta chiarezza il suo disappunto – la rabbia, perfino – nel vedersi lasciato al margine di un caso che lui stesso aveva aperto, e per il quale ora Darren gli assegnava commissioni da sbrigare dietro la sua odiata scrivania. Ci fu una punta di piacere maligno nelle sue parole successive: “Ha chiamato Lisa.”
“Che cosa le hai detto?”
“Che non sapevo dove tu fossi.”
“Merda.” Le aveva detto che stava facendo un lavoro per Greg.
Adesso avrebbe pensato che le aveva mentito.
Appena chiusa la telefonata con Greg, l’avrebbe chiamata.
Ma Randie lo aggredì prima che potesse selezionare il numero. “Quindi lei aveva già accesso all’autopsia di Michael? Che bisogno c’era di parlare con quel pezzo di merda dello sceriffo, allora? Perché andare là con il cappello in mano a elemosinare informazioni?”
“È la prassi. Le cose vanno fatte in un certo modo, e conviene rispettare le procedure quando si ha a che fare con questi sceriffi del Texas orientale,” spiegò Darren.
Randie smozzicò una risata aspra. “Mi sembra di sentire Michael,” commentò, mentre lui fermava la macchina al margine dell’autostrada, aspettando un varco per attraversare. Guardò il paesaggio rurale, i pini e la terra rossa, i pick-up che le passavano davanti, con i fucili nelle rastrelliere montate ai finestrini posteriori, e Darren la sentì ribollire al suo fianco. “E il Texas qua, e il Texas là. Sempre a dire che non è così male, a cercare scuse per questi razzisti. Aveva una specie di nostalgia malata del posto dove era cresciuto. Lo rendeva cieco a tutto lo schifo di quaggiù.”
“Non è cercare scuse,” replicò Darren. “È sapere che ci sono anche io, qui. Anche io sono il Texas. Non può essere gente simile a determinare come dev’essere questo posto,” disse, accennando alla proprietà di Wally dietro di loro. “Questa è anche casa mia.” Stava parlando a nome di un uomo che non poteva più farlo, ma anche a titolo personale. “E, per quel che riguarda Van Horn, non può nuocere fargli pensare che stiamo seguendo le regole.”
Ma le sue argomentazioni non ebbero alcun effetto sulla quieta furia di Randie.
“Non sarebbe mai dovuto venire qui.” Le mani strette a pugno premute sulle cosce, come aggrappata a una boa invisibile, si illudeva che arrabbiarsi con Michael le avrebbe impedito di affogare nella marea montante di dolore che aveva appena cominciato a lambirle i piedi. “Come altro si aspettava che potesse andare a finire, in un posto del genere?”
“Tornare a casa non è andarsela a cercare.”
“Questa non era casa sua.”
Invece sì, e Darren lo capiva a un livello per lei inaccessibile. Non Lark, ovvio, ma quella strisciolina dello stato che aveva plasmato lui e Michael. La terra rossa del Texas orientale scorreva nelle vene di entrambi. Darren sapeva quanto fosse forte il richiamo di casa; sapeva cosa significasse calpestare la terra dove i tuoi antenati avevano costruito il tuo futuro con le proprie mani, quanto valesse ciò che era frutto di fatica e amore, come un raccolto potesse cambiare un destino. Sapeva che effetto facesse stare sul portico della sua casa di famiglia, a Camilla, e sentire il respiro dei progenitori tra gli alberi, il potere della gratitudine in ogni alito di brezza. Avrebbe voluto dire tutto questo e tanto altro a Randie, ma lei si era chiusa in se stessa; la postura rigida, il mento proteso in avanti, arroccata in uno sdegno che non poteva reggere a lungo. Darren temeva il momento in cui quel muro sarebbe crollato e il dolore l’avrebbe investita in pieno.
Tutto riconduceva al Geneva’s, qualunque speranza Darren avesse di fermare una caccia alle streghe razziale per la morte di Missy Dale. Tornare là era la sua migliore chance per ottenere giustizia per Michael Wright, e trovare risposte sulle sue ultime ore di vita.
Michael era stato alla caffetteria, aveva detto Wendy.
Darren seguì quella pista, dalla casa di Wally dritto al parcheggio della caffetteria dall’altra parte dell’autostrada. Aveva appena posteggiato in uno spazio oltre la pompa del gasolio quando il suo telefono prese a suonare. Sul display apparve l’immagine di Lisa, una foto scattata durante una vacanza in Messico quando lei aveva conseguito la laurea specialistica in giurisprudenza. I suoi occhi contornati dal kajal lo scrutavano da sotto la tesa ampia di un cappello di paglia. La vide anche Randie, e il suo sguardo indugiò un attimo di troppo, poi annuì quando lui le chiese di scusarlo per un minuto. Scese per rispondere alla chiamata, appoggiato contro il cassone del pick-up, il piede destro su una delle gomme posteriori.
“Che stai facendo, Darren?” La voce di Lisa suonava stanca in un modo che non prometteva niente di buono: la sua pazienza si stava esaurendo. Quel po’ di benevolenza che gli aveva concesso se lo era bruciato non tornando a Houston la sera prima.
“Wilson mi ha dato un incarico.”
“Hai consegnato il distintivo, Darren.”
“No, non l’ho fatto.” Rifiutò di aggiungere un ambiguo non ancora.
“Credevo che tu e Clayton aveste parlato,” disse Lisa. “Per la scuola.”
“Se vuoi chiedermi qualcosa, fallo e basta, Lis. Non c’è bisogno di mettere di mezzo mio zio.”
Lei sospirò. “Non voglio tornare daccapo.”
“Nemmeno io,” concordò Darren, pensando che intendesse non voglio litigare di nuovo per questo. “Ho due morti ammazzati, qui. E delle persone che contano su di me per avere delle risposte.” Lanciò un’occhiata a Randie attraverso il finestrino posteriore: guardava dritto davanti a sé, fissando le tendine arricciate alle finestre della caffetteria e il cartello vicino all’entrata che proponeva patatine fritte.
“E hai una moglie viva qui.”
“Mi hai sbattuto fuori. Cosa ti aspettavi che facessi?”
“Be’, adesso ti sto chiedendo di tornare a casa.”
“No.”
La risposta fu immediata e convinta, ma questo non gli impedì di sentire che aveva superato un confine oltre il quale stentava a respirare; l’aria attorno a lui era rarefatta e inutile, non riusciva a prenderne abbastanza da far espandere i polmoni. “Lisa…” Lei chiuse la comunicazione nello stesso istante in cui Randie aprì la portiera e scese dal pick-up.
Wendy era seduta su una seggiola da giardino gialla e blu, di quelle con le strisce di tessuto incrociate, gli orli sfilacciati tremolanti nella brezza autunnale. Stava sgusciando noci pecan sopra un sacchetto di carta. Ai suoi piedi, un piccolo assortimento di oggetti esposto su una coperta: una macchina per cucire, bottiglie di Coca impolverate, una vecchia chitarra accompagnata da un cartello che avvisava CORDE NON INCLUSE, una manciata di barattoli di latta e qualche portapillole di madreperla. Sul tetto di una Mercury parcheggiata poco distante c’era un altro cartello: PORTATEVI A CASA UN PEZZO DI TEXAS. Randie stava esaminando l’improvvisato bazar quando Darren sbucò da dietro il pick-up. Wendy lo riconobbe e gli rivolse un cenno di saluto, poi notò il distintivo sul suo petto. “È vero, quello?” domandò. “Se non lo è, glielo pago trenta dollari.”
“È vero,” le rispose. “Ranger Darren Mathews, signora.”
“Bella rogna.” Si girò e vide che Randie stava guardando un barattolo tondo e basso con l’etichetta verde, un po’ arrugginito. “Era di mia mamma, quello.”
“E lo vende?” si stupì Randie.
“E che me ne faccio di un barattolo di brillantina del 1949?” ribatté Wendy, cacciandosi in bocca un gheriglio di noce. Era vestita di rosso dalla testa ai piedi, e il rossetto cremisi le aveva macchiato gli incisivi. “La settimana scorsa è passata una signora che mi ha dato dieci dollari per una lattina uguale a quella. Cacchio, mia mamma l’avrà pagata dieci centesimi…” Attaccò un’altra noce, spaccando il guscio con uno schiaccianoci d’argento. “Se vede qualcosa che le piace, me lo dica.”
“Siamo qui per Michael Wright,” spiegò Darren.
“Chi?”
“Il nero che è stato ucciso.”
“Oh, no,” mormorò Wendy, squadrando Randie. “Lei sarà mica sua parente?”
“Era mio…”
Darren la interruppe: voleva divulgare informazioni solo quando e come lo riteneva opportuno. “Lo ha visto quando è stato qui? Ha parlato con lui?” chiese a Wendy.
“Io no. Geneva.” Proprio allora qualcosa sull’autostrada attirò la sua attenzione. I muscoli della faccia si afflosciarono, lasciando ricadere pieghe di pelle vuota, e Darren si rese conto che doveva essere anche più vecchia di quanto gli fosse sembrato. Vide la sua espressione passare dallo spavento all’indignazione. “Eccolo di nuovo,” disse Wendy, mentre Darren si girava a seguire il suo sguardo. Un pick-up Dodge blu stava passando davanti alla caffetteria a neanche sessanta chilometri orari; per una highway, quella era una velocità da stalker. Il conducente era bianco, ma a parte quello non gli riuscì di vedere molto della sua fisionomia. “È già la terza volta.”
“Il pick-up?”
Wendy annuì. “Keith Dale.”
“Quello è Keith Dale?” Randie si voltò giusto in tempo per vedere i fanalini di coda del Dodge, che aveva accelerato appena superata la caffetteria. “Era alla birreria ieri sera.” Guardò Darren, cercando di capire cosa significasse la sua apparizione lì. Niente di buono, questo lui avrebbe potuto dirglielo con certezza.
“E non è l’unico,” aggiunse Wendy. “Continuano a farlo, quelli là che girano da Wally: arrivano dalla birreria e guardano. Si fanno vedere. Vogliono far sapere a Geneva che ci tengono d’occhio. Le ho detto che posso prestarle la mia pistola finché questa storia non sarà finita, ma lei ha il suo fucile a pallettoni sotto il registratore di cassa.”
Darren guardò nella direzione in cui il veicolo era scomparso lungo la 59, chiedendosi se sarebbe tornato indietro.
Perché Keith Dale non è sotto interrogatorio in questo momento?
Afferrò Randie per il braccio. “Andiamo dentro.”
Le aprì la porta e si girò verso Wendy: anche lei, intendeva. Ma la risposta dell’anziana signora al suo interessamento stava sotto una piega della gonna, che lei sollevò a mostrare la piccola .22 sul suo grembo. Non si sarebbe detto potesse uccidere una zanzara, ma era tutto ciò che le serviva per affermare: Nessuno mi caccerà dal mio posto di lavoro. Non avrebbe ceduto il suo angolo nel parcheggio del Geneva’s senza combattere. Darren sperò intensamente di riuscire a risolvere quel caso prima che a Lark ci fosse un altro omicidio.
Geneva era dietro al banco ad avvolgere un piatto nella carta stagnola. Lo sistemò in una scatola di cartone posata sul piano di lavoro, le parole HEINZ KETCHUP stampate in bella vista. Pulì le mani nel grembiule dal motivo a raggiera in giallo e arancione, poi sollevò il coperchio dell’espositore delle paste. Nel locale si diffuse profumo di burro, zucchero e frutta sciroppata. Pesche e pere. Huxley era seduto al solito posto con il giornale. Accanto a lui, una ragazza nera sui vent’anni. Aveva la pelle chiara, color caffelatte con un sottotono giallo, e il naso affondato in una rivista di abiti da sposa. Mentre Geneva incartava qualche fried pies nella stagnola, la ragazza indicò un vestito di sartoria sulla rivista e domandò: “Nonna, che ne dici di questo?” Geneva diede uno sguardo di sfuggita e alzò le spalle.
“Più che una sposa, sembra una donna sandwich con due cartelloni bianchi.”
La ragazza fece una smorfia e voltò pagina.
Quando Geneva vide Randie chiese: “Cosa posso servirle?”
La ragazza si girò a guardare e la nuova arrivata destò in lei un immediato interesse. Studiò Randie dalla testa ai piedi, i jeans neri, la t-shirt grigia di lino con le maniche lunghe arrotolate fino ai gomiti, i piccoli orecchini d’oro a cerchio. “Bello il tuo taglio di capelli.”
Randie annuì con aria distratta, Darren non era nemmeno sicuro che l’avesse sentita. Stava fissando l’interno della caffetteria. Le illustrazioni natalizie sui calendari, le targhe automobilistiche arrugginite. Il juke-box era illuminato di blu. Lightnin’ Hopkins faceva piangere la sua chitarra mentre all’estremità del pavimento di linoleum il barbiere – il nero di mezza età dalla pelle chiara – rifiniva con il rasoio elettrico il taglio di un adolescente. L’odore di pomata per capelli si mischiava a quello del bacon che proveniva dalla cucina, e Darren sentì la bocca impastarsi. Quasi percepiva il grasso suino foderargli il palato. Per ragioni a lui incomprensibili, Randie aveva ancora la macchina fotografica a tracolla; la vide cercare l’apparecchio con la mano, come per un tic nervoso, e intuì il suo bisogno istintivo di porre un filtro tra sé e la scena di fronte a lei, distanziarsi in qualche modo dalla gente del Texas rurale. Sembrava una turista, ma Geneva non si lasciò ingannare.
“Sei di Dallas?” domandò la ragazza con curiosità avida.
“No, Faith, non è di Dallas,” le disse Geneva, guardando non Randie, ma l’uomo che era entrato dietro di lei. “Non è vero, ranger?”
Darren abbozzò un inchino. “Signora.”
“Non so a che gioco sta giocando, ma non mi piace essere presa in giro, giovanotto. Per giunta nel mio locale.”
“Sto solo facendo il mio lavoro, signora. Come meglio posso.”
“Poteva presentarsi ieri, allora. Invece no, è venuto qui senza distintivo, e non ha detto niente di nessun ranger tal dei tali, sapendo che l’avevo presa per un normale cliente. L’hanno mandata loro apposta per spiarci, pensando che davanti a lei avremmo detto qualcosa che non potevamo dire davanti a Van Horn.”
“Non mi ha mandato nessuno, signora,” le assicurò Darren. “E, se volesse rispondere a qualche domanda, forse potrei aiutarla con lo sceriffo. Tenerlo a bada.”
“Di Missy Dale qui non si è vista neanche l’ombra, domenica sera, e Van Horn lo sa. Questa è la mia dichiarazione, punto.”
“Se non parla con me dovrà farlo con lui.”
“Preferisco il diavolo che già conosco,” disse Geneva.
Gli bruciò, non poteva negarlo, essere considerato così male da una donna alla quale non intendeva fare che del bene. Il grembiule, l’odore di cibo che le aleggiava attorno, lo sguardo giudizioso: era un affresco di calore materno afroamericano che stuzzicava in lui il desiderio di compensare un vuoto del quale di solito neanche si ricordava. Il massimo che sua madre gli avesse mai servito dalla propria cucina era qualche lattina di birra Pearl. Era con lei che aveva assaggiato la sua prima bevanda alcolica, seduto sugli scalini della roulotte. Aveva tredici anni, e Clayton aveva iniziato a insegnare diritto costituzionale alla University of Texas, perciò stava ad Austin per buona parte della settimana. Lasciato da solo per giorni di fila, Darren inforcava la bici e andava da sua madre, qualcosa che lo zio non avrebbe approvato. Bell gli concedeva una birra ogni quattro o cinque che ne beveva lei, e parlavano; della scuola, ma lei faceva solo finta di ascoltare, e di ragazze, argomento che le interessava molto di più. Bell era una romantica e voleva che suo figlio imparasse a essere galante. “Portala fuori a cena, prima,” raccomandava sempre, addestrandolo in vista di una futura innamorata che all’epoca era quanto di più lontano dai pensieri del ragazzo. Clayton lo aveva mandato alle superiori a Houston, tanto per assicurargli una buona istruzione quanto per allontanarlo il più possibile dall’influenza di sua madre. Ma i suoi insegnamenti gli erano rimasti impressi. La sera in cui aveva fatto sesso per la prima volta – con Lisa, allora la sua ragazza – aveva speso tutti i propri risparmi nel ristorante di una grande catena nel centro commerciale West Oaks. Prendi tutto quello che vuoi.
Udì una voce strozzata alle sue spalle: “Quella è mia!”
Era stato quasi un grido, e veniva dalla bocca di Randie. Darren e Geneva si girarono entrambi. Lui era confuso: non aveva idea di cosa fosse successo, perché Randie avesse l’aria di chi ha visto un fantasma, perché il suo respiro fosse alterato.
“Quella è mia,” ripeté la donna. Guardava fisso verso il tavolino più lontano dalla porta, decorato in un modo tutto suo. La parete era tappezzata di locandine di concerti blues risalenti a cinquant’anni prima. Lightnin’ Hopkins all’Eldorado Ballroom di Houston. Albert Collins come attrazione principale di un varietà nel quartiere nero di Third Ward. Bobbie “Blue” Bland sul palco con una nuova band a Dallas. Uno spettacolo al Club Pow Pow con la partecipazione di Joe “Petey Pie” Sweets. E, al posto d’onore su una mensola, una Gibson Les Paul del 1955, il legno biondo graffiato e un po’ sbiadito da una parte. Era stata quella a mettere Randie in agitazione, tanto da farle tremare le mani.
“Come dice, scusi?” chiese Geneva.
“Quella viene da casa mia. È mia. Voglio dire, era di Michael.” Raggiunse il tavolino e fece per allungarsi a prendere la chitarra dalla mensola.
“Non si azzardi.”
Qualcosa nella voce di Geneva la bloccò con la mano a mezz’aria.
“Era di mio marito,” aggiunse. “E di lì non si muove.”
Lasciò cadere alcune bustine di condimento nella scatola, poi la prese e uscì da dietro il bancone. Domandò a Huxley se avesse posta da spedire, e mentre andava alla porta diede una voce a Faith. “Che fai, vieni?”
Faith alzò gli occhi al cielo. “Quanta buona roba sprecata,” borbottò.
“È sempre tua mamma,” disse Geneva. Faith fece come se non avesse sentito.
La campanella sulla porta tintinnò, ma prima che Geneva potesse uscire Darren la prese per il polso. Sentì l’osso, sotto la pelle sottile come carta velina.
“Una cosa soltanto, signora. Ci dica se Michael Wright è stato qui.”
Geneva lo guardò dritto negli occhi. “Be’, avete visto la chitarra, no?”
Lo scansò e uscì. La campanella tintinnò di nuovo quando la porta si richiuse alle sue spalle, e dopo un momento Darren sentì la Pontiac mettersi in moto. Seguì Geneva con lo sguardo mentre manovrava quel barcone di macchina fuori del parcheggio e sull’autostrada. “Dove sta andando?” domandò. Huxley alzò un sopracciglio, ma non disse niente. Faith sospirò e chiuse la rivista di abiti da sposa.
“Gatesville,” disse.
“Gatesville?”
Darren non aveva mai saputo di nessuno che andasse a Gatesville per una ragione diversa dal fare visita a qualche ospite del dipartimento di giustizia penale del Texas. La città aveva otto carceri, cinque delle quali femminili.
“Sta andando a trovare qualcuno che è dentro?”
Faith si alzò. “Mia mamma. È alla Hilltop Unit da due anni.”
Andò al grande specchio in fondo al locale, sgusciando oltre la poltrona da barbiere e l’uomo intento a tagliare capelli, e contemplò il proprio riflesso. Sollevò i capelli ondulati e li raccolse sulla sommità della testa, poi si rivolse a Randie, la donna alla moda che veniva da fuori. “Che ne dici? Magari intrecciati con qualche rametto di fiorellini bianchi? Rodney ha promesso di farmi fare l’acconciatura da una professionista a Timpson, prima delle nozze.”
In assenza di Geneva, Randie puntò di nuovo la chitarra. Tornò al tavolino, si infilò tra quello e la panca e appoggiò un ginocchio sull’imbottitura per arrivare alla Les Paul sulla mensola. “Non lo farei, fossi in lei,” disse Huxley, e di nuovo Randie si bloccò. Guardò Darren, il quale scosse appena la testa. Avevano bisogno di Geneva. Huxley chiuse il giornale e lo mise sotto il braccio. “Betty mi farà la pelle se non pranzo a casa almeno un giorno, questa settimana,” disse.
“Lei era qua mercoledì, signore?” chiese Darren.
“Io sono sempre qua.”
“Ha visto mio marito?” domandò Randie.
Huxley si alzò dallo sgabello e la guardò. “Mi dispiace per suo marito, signora. Ma non è qui che troverete risposte su quel che è successo. Per quel che so io, è arrivato verso sera, saranno state le cinque o le sei, e ha mangiato qualcosa. Mercoledì c’è pesce gatto. Lui e Geneva hanno parlato un po’, ma stavo giocando a carte con Tim e non ci ho fatto tanto caso. Ho sentito che lui voleva una stanza nella roulotte qua dietro, però poi è andato via e non è più tornato. E adesso dicono che era in quel locale più avanti. È là che dovete cercare, tutti quanti.”
“Ma perché?” Darren rivolse la domanda tanto a Randie quanto al vecchio. “Per quale motivo Michael ha preso ed è andato alla birreria?” Certo, Darren aveva fatto lo stesso il giorno prima, in cerca di qualcosa di più forte di una bibita.
“Non lo so,” disse Huxley. “Ma Lil’ Joe andava sempre in quel bar, e guarda cosa gli è successo.”
“Non tirare in mezzo mia mamma, adesso,” lo rimbeccò Faith.
“Chi è Lil’ Joe?” chiese Darren.
Dallo specchio, Faith rispose: “Mio papà.”
Darren era curioso di sapere cosa fosse successo al padre di Faith, e in che modo c’entrasse sua madre, ma la suoneria del telefono richiamò la sua attenzione dalla tasca dei pantaloni. Era un messaggio di Greg. Mandata autopsia.