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Disse a Randie che doveva fare una telefonata e aggiunse qualcosa di vago a proposito del tenente Wilson, un pretesto qualunque per allontanarsi a leggere il referto della perizia. Non poteva concentrarsi sulle informazioni e al tempo stesso proteggerla da esse. Dopo le avrebbe riferito l’indispensabile, non una parola di più. Si avviò all’uscita, mentre il juke-box caricava un disco di John Lee Hooker; Randie si sedette avvilita sulla panca sotto la chitarra, fissando la Les Paul. Bluebird, bluebird, take this letter down South for me*, cantava Hooker quando Darren aprì la porta per uscire, salutato dal tintinnio della campanella. Esposto alla temperatura esterna, sentì il sudore pungergli la fronte. Entrò nell’abitacolo del pick-up, riscaldato dal sole di mezzogiorno. Il messaggio di testo che accompagnava il file del referto di Michael Wright diceva che l’indagine autoptica sul corpo di Missy Dale era ancora in corso presso l’ufficio del medico legale della contea di Dallas.

Darren aprì l’allegato.

Le immagini erano impressionanti. La pelle appariva cerosa, color grigio violaceo, il corpo talmente gonfio che era difficile riconoscervi un appartenente alla specie umana. I due giorni in acqua – prima che un agricoltore bianco lo avvistasse dalla riva opposta del bayou, all’altezza della birreria – avevano devastato il cadavere e distrutto buona parte delle evidenze fisiche, come era annotato sulla prima pagina della relazione scritta. Ma al momento dell’esame esterno era stato comunque possibile riscontrare lesioni traumatiche sul lato destro della testa, una lacerazione con vistosa ecchimosi vicino all’occhio e un taglio profondo sopra l’orecchio. Michael era stato colpito con violenza, tanto da fratturare il cranio in due punti, usando un oggetto contundente che si ipotizzava fosse largo circa quanto una mazza da baseball, ma con spigoli definiti: abbastanza tagliente da fendere la pelle, abbastanza duro da spaccare l’osso. La patologa forense, Aimee Kwon, aveva individuato fibre di legno nei tessuti attorno alle ferite, penetrate tanto in profondità che, sebbene il corpo fosse rimasto immerso nell’acqua per giorni, era servita la pinza chirurgica per estrarle. Si sarebbe detto lamellare di pino grezzo, ma solo le analisi di laboratorio avrebbero potuto confermarlo. Lo stato di decomposizione all’interno della cavità cranica aveva impedito di stabilire con certezza se il colpo alla testa lo avesse tramortito all’istante, o l’uomo potesse essere ancora in grado di camminare da solo fino alla riva del bayou. L’alcolemia era a 0,2, quindi aveva bevuto un solo bicchiere, forse non l’aveva nemmeno finito. Darren non pensava che l’alcol fosse un fattore rilevante, e anche la patologa lo aveva escluso. La quantità di acqua nei polmoni era sufficiente per concludere che era annegato. Ma se fosse caduto nel bayou per conto suo oppure vi fosse stato trascinato mentre era privo di conoscenza, esulava dalla portata della valutazione autoptica. In assenza di ulteriori elementi forniti dagli investigatori a Shelby County, le modalità del decesso erano riportate come “imprecisate”. A livello ufficiale non si poteva parlare con certezza né di morte accidentale né di omicidio. Darren, che era scivolato in quell’acqua bassa e fangosa, credeva che qualcuno avesse trascinato il corpo inerte di Michael nel bayou. E, adesso più che mai, era convinto di sapere chi fosse quel “qualcuno”.

Espose a Randie i risultati dell’autopsia con tutta la delicatezza possibile. L’accompagnò lungo il percorso verso la verità evitandole i passaggi più ostici, e si guardò bene dal mostrarle le fotografie. Lo sorprese che si fidasse abbastanza da non insistere per leggere il referto lei stessa. Era quieta come non l’aveva mai sentita. Lo ascoltò recitare a memoria, e per sommi capi, stralci della relazione; annuì di tanto in tanto, ma fece poche domande. A un certo punto pianse, la testa appoggiata al vetro del finestrino sul lato del passeggero. Non disse nulla, eccetto che doveva vomitare, ma quando aprì la portiera e si sporse sul selciato grigio non venne su niente. Si ritrasse nell’abitacolo e asciugò con la mano un filo di saliva sul labbro inferiore. La nausea continuò a montarle dentro senza trovare sfogo. Tirò su le gambe e puntò i tacchi degli stivaletti neri sul sedile per abbracciarsi le ginocchia, facendo del proprio corpo un’ancora contro gli scossoni del dolore. Darren la chiamò a bassa voce. “Randie.” Fece per toccarle la spalla, ma si fermò. “Lasci che me ne occupi io da adesso in avanti, d’accordo? Non c’è motivo che lei si sottoponga a tutto questo. Porti suo marito a casa, gli dia riposo. Prometto che troverò la persona che gli ha fatto questo.”

Lei lasciò andare le ginocchia e si mise a sedere composta, la schiena dritta. “Io non vado proprio da nessuna parte.”

“Randie, ho bisogno che mi lasci fare il mio lavoro.”

“Non me ne andrò finché non ci sarà un arresto. Non abbandonerò mio marito,” affermò, quasi credesse che l’anima di Michael sarebbe rimasta a Lark in eterno, se lei non fosse restata ad accertarsi che il suo assassino venisse consegnato alla giustizia. Si era di nuovo indurita, aveva smesso di tremare; l’ira la rendeva più calma e determinata.

“Bene. Ma ci sono cose che devo fare da solo.” Randie gli scoccò un’occhiata, la domanda implicita nel sopracciglio inarcato. “Voglio tornare alla birreria,” spiegò Darren. “E non è un posto per lei.”

“Nemmeno per lei.”

“Infatti non ho intenzione di entrare.”

Avevano lasciato l’auto a nolo al motel – dove lui non era più il benvenuto – quindi Darren lasciò che si mettesse lei alla guida del pick-up, chiedendole di andare a riprenderlo appena ricevuto un suo messaggio, o dopo un’ora esatta se non si fosse fatto vivo prima. Randie lo fece scendere sulla FM 19, al margine della macchia boscosa tra la strada rurale e la birreria. Darren si inoltrò tra querce rosse e bianche, insinuandosi tra i rami bassi che gli strusciavano contro e spargevano a terra foglie al suo passaggio, finché emerse in una radura alle spalle della birreria. Della musica country filtrava attraverso i muri del locale: Waylon Jennings cantava con voce nasale di un nuovo inizio a Luckenbach, Texas. Tese l’orecchio cercando di cogliere il suono del pick-up che si allontanava, ma non riusciva a sentire niente oltre lo strimpellare della canzone d’amore. Aspettò un tempo ragionevole perché Randie fosse a buona distanza.

Sul retro della birreria c’erano una bombola di propano, un generatore di corrente e un affumicatore con la sommità ricoperta di aghi di pino e anni di ruggine stratificati nella camera di combustione. Accanto a una sedia di plastica, un secchio di vernice rovesciato reggeva un portacenere di vetro scheggiato, il margine abbastanza tagliente da ferire la pelle. Così vicino al bosco, il profumo dei pini era dolce, ma combatteva una battaglia persa contro il puzzo di spazzatura e birra stantia nelle bottiglie ammassate in un enorme bidone nero. Darren infilò una sigaretta nel taschino della camicia, e attese. Erano quasi le tre del pomeriggio e il sole si era spostato sull’altro lato dell’autostrada. Dietro Jeff’s Juice House, una folata di vento sollevò alcuni scontrini che nessuno si era disturbato a raccogliere dalle chiazze d’erba. Per terra c’erano anche piccole buste di plastica a chiusura ermetica – alcune vecchie e pressate nel terreno – di dimensioni adatte a contenere bottoni, spiccioli o cristalli di metanfetamina. Dove era presente la Fratellanza, di solito arrivava anche la droga. Darren si chinò a raccoglierne una con il fazzoletto, recuperando una potenziale prova. Tenendo d’occhio la porta sul retro, continuò ad aspettare.

Per passare il tempo, tirò fuori il telefono e cercò informazioni su Joe Sweet, il cui nome era stato menzionato tre volte dal suo arrivo in città. Trovò una pagina di Wikipedia dedicata a Joseph Sweet, noto come Joe “Petey Pie” Sweet, nato nel 1959 in una fattoria fuori Fayette, Mississippi. Il fratello maggiore – Nathan, il primo di undici figli – gli aveva insegnato a suonare la chitarra, e a dodici anni si esibiva in locali dove non era grande abbastanza per bere. Aveva lasciato il Mississippi con due dei fratelli nei tardi anni cinquanta, trasferendosi prima a Gary, Indiana, e in seguito a Chicago, la mecca del blues del Delta, dove confluivano i ragazzi del profondo Sud che portavano la loro musica su al Nord. Joe si era trovato ben presto a frequentare Muddy Waters e un giovane Buddy Guy, aveva suonato in una band con Little Walter, ed era diventato un turnista di fiducia dei fratelli Chess, i quali lo convocavano regolarmente per sessioni in studio di registrazione. Aveva partecipato anche a qualche tour, unendosi al gruppo di Bobby “Blue” Bland, ma non era arrivato a sfondare come solista. Aveva abbandonato la carriera di musicista nei tardi anni sessanta ed era stato ucciso in una rapina a Lark, Texas, nel 2010, all’età di settantun anni. Era sposato dal 1968 con Geneva Sweet. La coppia aveva avuto un solo figlio, deceduto nel 2013.

Incuriosito, Darren aprì qualche altra pagina e visualizzò immagini di un nero dalla pelle molto scura che portava cravatte sottili e i capelli in stile afro tagliati corti. Qualcosa continuava a girargli per la mente. Qui intorno non succedeva una cosa del genere da quando è morto Joe. E Huxley, provocatorio: Quale dei due? Ecco di chi stavano parlando: il marito di Geneva e loro figlio, il padre di Faith.

I due Joe di Geneva, entrambi morti.

La porta di servizio della birreria si aprì all’improvviso e Darren vide uscire la stessa barista della visita precedente. Lei si accese una sigaretta, prima di alzare gli occhi e notarlo. Senza scomporsi, sbuffò il fumo dal naso e disse: “Non dovrebbe stare qua dietro. Se la vede Brady sono cazzi suoi, e poi anche miei.”

“È il suo capo?”

“Il capo è Wally. Brady è solo il gestore.”

“E Brady sa che tipo di gente gira in questo bar?”

“Di sicuro non vuole che ci giri lei.”

“Mi riferisco alla Fratellanza, signora,” disse Darren, immaginando che una donna come quella – stavolta indossava una maglia a rete sopra una canotta bianca ingrigita, la cui scollatura metteva in mostra altre pustole e piaghe – non dovesse essere troppo abituata a sentirsi chiamare “signora”, e mostrarle un po’ di riguardo forse l’avrebbe ammorbidita. “Mi riferisco agli uomini con i tatuaggi della ABT là dentro, a cominciare da quello grosso che ci ha cacciati via ieri sera.”

“È lui Brady.”

La donna girò la testa a sbirciare oltre una spalla. La porta di servizio era socchiusa, fermata con un sasso.

Darren poteva udire l’acciottolio di piatti nella cucina.

“E Wally lo sa?” La domanda suonò ingenua alle sue stesse orecchie.

“Non è che Wally ha fatto la marcia su Washington,” rispose la donna. Si riferiva alla manifestazione per il lavoro e la libertà del 1963, a sostegno dei diritti degli afroamericani; quella del celebre discorso I have a dream di Martin Luther King Jr. Darren si domandò quanti anni avesse. Non c’era modo di stabilire fino a che punto fosse stata la crystal meth a incidere quei solchi sulla sua faccia, ma di certo quella roba faceva invecchiare molto prima del tempo. La osservò aspirare una lunga boccata di fumo mentre scrutava il distintivo sul suo petto. Le faceva paura, forse anche più di Brady.

“Se vuole chiedermi qualcosa si sbrighi, la mia pausa sta finendo.” Lanciava occhiate nervose verso la porta, spostava il peso da un piede all’altro ogni due secondi, si toccava i capelli o portava la mano alla bocca per mordicchiare l’unghia del pollice. I piedi erano infilati in un paio di Keds senza lacci, troppo sudicie per intuirne il colore originario, dalle quali emergevano caviglie bianchicce e spellate.

“Keith Dale,” disse Darren. “È nella Fratellanza?”

“Non sono la segretaria del club.”

Darren le rivolse uno sguardo scaltro e piantò i tacchi degli stivali nel terreno, dando a intendere che non si sarebbe liberata di lui con tanta facilità.

“Keith viene qui spesso,” ammise la barista. Spense la sigaretta, dopo un’ultima tirata e un colpo di tosse, poi si strinse nelle spalle. “Ci viene un sacco di gente. È un buon locale. Keith è un cliente come gli altri.”

“Era qui mercoledì sera?”

Io non l’ho visto.” La donna levò lo sguardo oltre la testa del ranger, verso le cime dei pini, evitando in modo palese di guardarlo in faccia. Darren intuì che c’era dell’altro, appena sotto la superficie. Ma, non avendo più niente da fumare, lei si girò per tornare dentro.

Le offrì la sigaretta sciolta che aveva nel taschino, e insieme alla carota sfoderò il bastone. “Brady gestisce anche un giro di crystal meth, oltre al bar?” chiese a bruciapelo. “Può darsi che Van Horn volti la testa dall’altra parte, ma io, come ranger, non posso; tanto più con i federali che ci pressano per avere informazioni. Lei potrebbe averne addosso in questo stesso momento, per quel che ne so.” Esaminò in modo ostentato le linee del suo corpo, come volesse individuare protuberanze sospette sotto i jeans attillati. Lei impallidì e scosse la testa, portando le mani davanti a sé in un gesto difensivo, la Camel ancora spenta tra le dita. Darren si avvicinò per darle da accendere e guardò dritto nei suoi occhi nocciola mentre il fumo le usciva dalla bocca e si disperdeva in volute attorno a loro. Aveva accusato il colpo. La vide soppesare le opzioni. Dall’altra parte del bayou qualcuno stava affumicando selvaggina, con una settimana di anticipo sull’apertura della caccia. L’odore dolce di legno di noce pecan bruciato arrivava fin lì. “Sa, rischia l’incriminazione anche lei, se li sta aiutando a nascondere un giro di droga là dentro.”

“Io non ne so niente,” disse con foga. Passò una mano tra i capelli radi e unti, e infine esalò un sospiro di resa. “Guardi, Keith di solito arriva dalla segheria in tempo per farsi una birra e portare Missy a casa quando smonta. Ma se fa tardi a Timpson, lei va a piedi. Abitano sulla FM 19, la strada che passa dietro quegli alberi.” Indicò la macchia attraverso la quale era venuto lui. “Davvero, lo giuro sui miei figli: non ho visto Keith Dale quella sera.”

“Chi ha servito il forestiero?”

“Chi?”

Ma sapeva bene di chi parlava.

“Qual è il suo nome, signora?” le domandò. Stava usando un tono diretto senza mai arrivare a essere brusco, ma non intendeva farle dimenticare che lui era un rappresentante delle forze dell’ordine. Non tutto in quel colloquio si sarebbe svolto su base volontaria. Lei esitò, e lui insistette. “Ho chiesto il suo nome.”

“Lynn.”

“Lynn, mi dica chi ha servito il cliente nero.”

Lei sospirò di nuovo, poi sputò il rospo. “Missy.”

Studiò la sua sigaretta, come potesse calcolare il tempo trascorso in base alla nicotina. Una sigaretta e mezzo significava che la pausa era finita. “Senta, non posso stare ancora qua fuori. Senza offesa, ma mi faranno un culo così per avere parlato con uno sbirro.”

“Non ha già parlato di tutto questo con lo sceriffo?”

“Non ha fatto domande su quel nero, fino a dopo che è morta Missy.” Spense la seconda sigaretta. “È stato qui proprio stamattina.”

Ecco perché era arrivato in ritardo a casa di Wally, pensò Darren. Stava recuperando gli arretrati, per far credere di aver lavorato all’omicidio di Michael Wright fin dall’inizio. “E cosa gli ha detto?” le chiese.

“Quel che ho detto a lei: che lo ha servito Missy.”

“Il nero? Michael?” volle precisare Darren.

Lei annuì. “A tanti non è piaciuto vedere quei due che parlavano.”

“Si sono parlati?” La stessa cosa che aveva detto Van Horn.

“Per almeno un’ora. Missy si è pure seduta al suo tavolo, per un po’. Ho dovuto dirle che era ora di andare. Il suo turno era finito da venti minuti e ancora non aveva smontato.”

“È andata via da sola?”

Michael aveva affittato una camera nella roulotte di Geneva, ma non era più tornato.

“Non erano fatti miei,” tergiversò la donna.

“Bisogna che me lo dica, Lynn.”

Si grattò una crosta sotto il mento. “Va bene. Sì, l’ho vista uscire con lui.”

“Ne è sicura?”

Fece segno di sì.

Darren scrollò la testa. Non avrebbe voluto crederle: stentava a immaginare in quale mondo un uomo tanto fortunato da avere l’amore di una donna come Randie potesse impegolarsi con un’estetista mancata che faceva la cameriera in un buco sperduto nella provincia texana. E di certo non voleva sobbarcarsi il compito di comunicare a Randie questo risvolto del caso.

“E Keith?” domandò. “Ha detto che non si è visto al bar, quella sera.”

“No. Ho detto che io non l’ho visto. Ma potrebbe avere messo la testa dentro. Se non la vede, a volte la raggiunge sulla strada di casa. In quel caso sarebbe andato a cercarla.” All’improvviso prese un’aria disgustata, e le sue parole successive suonarono acide. “Certa gente non impara mai.”

Sul momento, Darren non afferrò cosa intendesse. Ma adesso aveva un quadro, una teoria. Keith poteva aver raggiunto la moglie solo per trovarla insieme a uno sconosciuto, un nero. Lynn gli aveva fornito un indizio che permetteva, per la prima volta, di collocare Keith vicino a Michael Wright. Ma doveva andare via da lì con qualcosa di concreto in mano – una prova documentale, possibilmente – se voleva convincere Wilson a insistere nell’indagine e guardare a Keith Dale come il sospettato numero uno.

“Brady ha un calendario cartaceo dei turni, da qualche parte?” chiese. “Voglio dire, non ho bisogno di sapere che altro c’è nel suo ufficio,” agitò con disinvoltura lo spettro di un’indagine per droga, tanto per mantenere gli ingranaggi bene oliati, “ma mi serve quel calendario, Lynn. In particolare la tabella di mercoledì. È molto importante.” Omise di dirle che avrebbe dovuto rilasciare una dichiarazione giurata, perché quanto aveva appena detto avesse efficacia probatoria. Lei stava annuendo mentre rientrava nel locale, e per il momento non volle farle ulteriori pressioni. Scrisse un messaggio a Randie per dirle di tornare a prenderlo. Se era rimasta ad aspettare nel parcheggio della caffetteria, come d’accordo, sarebbe stata lì in pochi minuti.

La porta sul retro della birreria si riaprì.

Troppo presto, pensò. Troppo presto.

Seppe di essere nei guai prima ancora di alzare lo sguardo e vedere non le dita ingiallite dalla nicotina di Lynn porgergli con sollecitudine la prova richiesta, ma il pugno di Brady arrivare come una palla da baseball lanciata a tutta velocità. Non poteva essere così facile. Il pensiero si frantumò in un’esplosione di scintille quando il primo colpo lo raggiunse al mento.

Volò all’indietro, rovesciando il bidone della spazzatura in fase di atterraggio. Slacciò la fondina e si rialzò con la Colt in pugno. Ma quando prese la mira, Brady già gli puntava contro una .357. E non era venuto da solo. Gli ci volle un momento per riconoscere l’uomo bianco con il berretto da baseball macchiato di sudore al fianco del gestore del locale. Era Keith Dale. Brady gli offrì il colpo mortale con totale freddezza, e un fiotto di adrenalina bruciò come acido nelle vene di Darren. “È tuo se lo vuoi, Keith.” C’era una calma sinistra nel sogghigno sbilenco di Brady. “Dopo questo, sarai dei nostri.”

Darren si sentì mancare il fiato a quelle parole, cogliendo la chiara allusione al rito iniziatico della Fratellanza. Brady guardò di sbieco il suo pupillo, per accertarsi che afferrasse la solennità del momento, il valore del dono che gli offriva. Keith rise sguaiato. Brady si fece serio e disse: “Fallo per Ronnie Malvo.”

Il nome rimbalzò nella scatola cranica di Darren.

Ronnie “Redrum” Malvo: l’uomo che un mese prima aveva violato la proprietà di Mack, e dopo due giorni era stato trovato morto. Attraverso i canali social della Fratellanza – pagine Facebook o sezioni tematiche di Reddit – la voce dell’implicazione indiretta di Darren nella morte di Malvo doveva essere arrivata fino a Shelby County. Era ufficialmente nel mirino della ABT, e se non avesse agito alla svelta sarebbe stato molto presto un bersaglio abbattuto.

Sferrò un calcio. La .357 saltò via dalla mano di Brady e cadde a un passo da lui, sulla sinistra. L’uomo fece per raccoglierla, ma in un attimo si trovò la Colt di Darren puntata alla testa. Il distintivo gli dava il diritto di sparare. Ma se aiutare Mack gli era costato una sospensione, sparare a un uomo dopo averlo disarmato avrebbe messo fine alla sua carriera. In sostanza si teneva sotto scacco da sé. Era imbarazzato e furioso per la propria indecisione.

Brady rimproverò Keith. “Gli dovevi sparare intanto che potevi.” Ma adesso era Darren a condurre il gioco, tenendoli entrambi sotto tiro. Squadrò Keith dal berretto agli scarponi da lavoro. Aveva le nocche escoriate, un livido sul dorso della mano destra e un altro sulla guancia sinistra, appena sotto l’occhio, color giallo ranuncolo con tracce di viola al centro. Vecchio di qualche giorno. “Come ti sei fatto quei lividi, Keith?”

L’altro lo guardò sprezzante e sputò a terra davanti ai suoi piedi. “Fanculo.”

“Non dire un’altra parola,” lo ammonì Brady. “Arriva Van Horn.”

Solo allora Darren sentì le sirene. Erano a qualche centinaio di metri, e si stavano avvicinando.

A faccia in giù nella polvere, il suo telefono vibrava con insistenza. Randie lo stava aspettando, ricordò Darren. O almeno così sperava.

Ma no: eccola lì, alla guida del pick-up.

Non era tornata alla caffetteria; invece, era rimasta ad aspettarlo al margine del parcheggio della birreria. E adesso stava arrancando oltre il fianco dell’edificio, in difficoltà a manovrare il grosso veicolo sul terreno sconnesso. La frenata fu così brusca da sollevare nuvole di terra rossa. Darren le scorgeva a malapena la faccia dietro il volante.

Quando lei vide le armi, strillò.

Il suo panico innervosì Brady. Darren lo vide occhieggiare la pistola ai suoi piedi. La situazione rischiava di precipitare da un momento all’altro, e non voleva che la donna si trovasse in mezzo a una sparatoria. Doveva portarla via da lì, subito. Tenendo sempre sotto tiro i due uomini, raccattò il telefono e corse verso il pick-up. Le sirene erano vicinissime quando saltò a bordo accanto a Randie. Brady raccolse la .357 e Darren gridò: “Via!” Lei era così agitata che schiacciò l’acceleratore prima di mettere il cambio in posizione di marcia, mandando il motore su di giri, e il pick-up diede un balzo in avanti. Qualche metro ancora e sarebbero finiti dritti nel bayou. Randie sterzò e ingranò la retro per fare inversione, e al termine dell’arco, con il muso del Chevrolet rivolto alla birreria, si trovarono faccia a faccia con Brady, parato di fronte al pick-up, la canna della pistola puntata verso di loro. La donna lo fissò attraverso il parabrezza, paralizzata dal terrore nel mezzo della manovra a tre tempi.

“Togli il piede dal freno, Randie,” la istruì Darren, cercando di riscuoterla mentre strattonava il volante per girare le ruote verso l’autostrada. “Ora va’,” disse. “Guida.” Lei diede gas e partì con una sgommata, Darren puntellato contro il cruscotto. Curva sul volante, infilò il pick-up nello stretto spazio tra il terreno alberato e il fianco della birreria.

Dietro di loro, Darren udì due rimbombi inconfondibili.

Il primo sparo mandò in pezzi lo specchietto retrovisore sul lato del passeggero.

Il secondo colpì uno degli pneumatici posteriori.

Attraversando il parcheggio incrociarono la macchina dello sceriffo, che arrivava dall’autostrada. Mentre rallentava sulla ghiaia, Van Horn guardò Darren dritto negli occhi. Randie esitò, ma lui le disse di andare, prima che Brady mettesse a segno un colpo utile. Prima che li uccidesse entrambi.

* “Pettirosso azzurro, porta questa lettera giù al Sud per me.” (N.d.T.)