Ho sentito raccontare la storia d’un radioamatore di Gallarate, provincia di Varese, il quale s’era messo in contatto con qualcuno che abitava su un’isola in mezzo all’Atlantico. I due comunicavano in inglese, lingua che il radioamatore italiano capiva poco. Capiva però che l’altro aveva sempre voglia di descrivergli il luogo in cui abitava e di parlargli delle coste battute dalle onde, del cielo che spesso era sereno benché piovesse, della pioggia che su quell’isola scendeva orizzontalmente per via del vento, e di ciò che vedeva dalla sua finestra.
Per capire meglio, il radioamatore italiano ha cominciato a registrare le loro conversazioni e a farsi poi tradurre i nastri dalla sua fidanzata, che sapeva l’inglese meglio di lui.
L’uomo desiderava solo parlargli dell’isola. Con lui il radioamatore non riusciva mai a scambiare notizie tecniche o notizie su altri radioamatori sparsi nel mondo, come di solito avviene. E quando a volte tentava di chiedergli chi era, cosa faceva, se era nato lì o c’era arrivato da poco, quello evitava le domande come se non volesse sentirle. Di lui il ragazzo di Gallarate era riuscito soltanto a sapere che si chiamava Archie, che viveva con la moglie, e che ogni giorno percorreva l’isola in lunghe passeggiate.
Riascoltando più volte i nastri registrati e parlandone con la fidanzata, a poco a poco è successo che il radioamatore italiano cominciasse a immaginare quell’isola come se l’avesse vista con i propri occhi.
Era come se la vedesse là fuori, che si stendeva concava sotto la casa di Archie, posta in un punto sopraelevato. Una strada faceva una lunga curva tra prati dove pecore e vacche pascolavano senza recinti, e a destra un promontorio non molto alto era tutto coperto d’erica. A sinistra coste rocciose interrotte a tratti da spiagge sopraelevate a picco sul mare, fino a un piccolo altopiano che sbarrava l’orizzonte; e laggiù si distinguevano alcune fattorie sparse.
Guardando a sinistra, verso il mare, nei giorni sereni sembrava si potesse scorgere la curvatura della terra, arrivando con l’occhio alla forma indistinta d’un faro che, secondo Archie, era il punto più lontano ad ovest del continente, in mezzo all’Atlantico.
Neppure il nome di quell’isola era mai pronunciato da Archie, il quale invece gli parlava ogni volta delle sue passeggiate, dando per scontati molti aspetti del luogo, come se il ragazzo di Gallarate abitasse nella casa accanto. Ma esisteva una casa accanto? ed esisteva quell’isola?
Riascoltando un nastro assieme alla fidanzata, e dopo una delle sòlite descrizioni del luogo, un giorno il radioamatore sentiva questa frase pronunciata a bassa voce da Archie: “Tutto questo non lo vedrò più.”
Ormai quel contatto, le parole del corrispondente lontano e le immagini dell’isola, occupavano molto i pensieri dei due fidanzati. Ma il contatto era anche imbarazzante per il giovane radioamatore, perché lui continuava a non sapere niente d’un uomo con cui parlava da mesi, e ormai non osava più fargli domande. E dopo aver ascoltato quella frase non se la sentiva di chiedergli spiegazioni, immaginando che l’altro come al solito non gli avrebbe risposto.
In quel periodo gli è stato regalato un piccolo apparecchio con cui poteva localizzare i suoi contatti radio. Così è riuscito a localizzare l’isola al largo delle coste scozzesi. Almeno adesso sapeva dove fosse la casa di Archie, ma cosa stava per accadere a quell’uomo?
Se per qualche motivo i suoi occhi non avrebbero più potuto vedere l’isola, allora il suo desiderio di parlarne finché riusciva a vederla era comprensibile. Ma il giovane radioamatore, non potendo fare domande, era sempre più imbarazzato con Archie. Così negli ultimi contatti non lo ascoltava neanche più, accendeva il registratore e lo lasciava parlare da solo.
Per questo motivo s’è accorto soltanto un mese dopo, dopo che per un mese non aveva più ricevuto segnali dal suo corrispondente né l’aveva cercato, che nell’ultimo nastro Archie lo salutava, lo ringraziava di averlo ascoltato, e diceva che avrebbe lasciato l’isola l’indomani.
Sono passati otto mesi. I due fidanzati hanno finito il liceo e sono andati a fare un viaggio. Hanno raggiunto Glasgow e di lì, con un trenino, la piccola città di Oban sulla costa occidentale scozzese. Da Oban un battello li ha portati sull’isola di Archie.
Quando sono sbarcati hanno subito ritrovato la lunga strada che faceva un percorso circolare attorno al promontorio coperto d’erica. Riconoscevano quasi tutto e riuscivano ad orientarsi come se ci fossero già stati. Riconoscevano un punto in cui la costa era mangiata dal mare, e le rocce ignee sparivano con l’alta marea. Al di sopra di quel punto il terreno s’innalzava in un piccolo promontorio erboso, sul quale doveva sorgere la casa di Archie.
C’era infatti un cottage, e dietro il cottage una vecchia casa in pietra grigia con porta molto bassa. Nel cottage ci abitava un uomo biondo con una moglie bionda. Non sapendo come affrontare il discorso su Archie, i fidanzati hanno chiesto se lì c’erano case da affittare, e l’uomo biondo ha offerto loro la vecchia casa in pietra grigia che aveva appena finito di rendere abitabile.
Si installavano dunque in quella casa i fidanzati; e, giorno dopo giorno, vagando per l’isola ritrovavano i punti descritti da Archie. Ritrovavano la città dei conigli selvatici, una duna piena di tunnel che sembrava una metropoli sotterranea. Ritrovavano il sentiero lastricato sul promontorio coperto d’erica, dove un giorno Archie aveva visto le ossa e il vello d’una pecora aggredita da uno sparviero e dove altre volte aveva visto le capre selvatiche, alte un metro e mezzo, che abitano quel promontorio. Ritrovavano una vasta spiaggia sopraelevata sulla costa orientale, che l’anno prima era per metà crollata in mare.
Alla sera andavano a guardare la televisione nel cottage dei coniugi biondi. Lei si chiamava Susan e lui si chiamava Archie.
Parlando parlando con Susan e Archie sono riusciti finalmente ad affrontare l’argomento che stava loro a cuore. E allora, quando il padrone di casa ha saputo che il ragazzo era quel corrispondente lontano, gli ha raccontato la storia di Archie.
Archie era un poliziotto di Glasgow, che una notte aveva sparato a un ragazzo colpendolo al cuore. Era stato un incidente, ma Archie si considerava colpevole di sciatteria nei propri gesti, per poca attenzione a ciò che gli stava attorno, per disprezzo di ciò che vedeva in quegli infami quartieri della periferia di Glasgow.
Quella notte era stato sorpreso sul fatto da un altro poliziotto, suo amico. Archie s’era riconosciuto colpevole, ma aveva anche detto all’amico di non essere pronto ad affrontare il carcere. Gli aveva chiesto di lasciarlo andare per cinque anni, a vivere con sua moglie da qualche parte; dopo di che sarebbe tornato a farsi arrestare. L’amico aveva acconsentito.
Così l’uomo era venuto ad abitare su quell’isola. Erano trascorsi cinque anni, durante i quali egli aveva imparato a osservare ciò che gli stava attorno per rendere attenti i propri gesti e pensieri, ed era tornato a Glasgow a farsi arrestare.
I fidanzati a questo punto erano confusi: chi era Archie? E chi era il loro padrone di casa che sapeva tutta quella storia e si chiamava anche lui Archie?
Non subito, solo qualche sera dopo, il loro padrone di casa ha spiegato che lui era l’altro poliziotto, quello che aveva permesso ad Archie di andarsene per cinque anni. Dopo quell’episodio, e dopo l’arresto di Archie, non aveva più voluto fare il poliziotto e s’era messo in pensione, venendo ad abitare nel cottage di Archie. Per una coincidenza, si chiamava anche lui Archie.
L’inverno successivo i fidanzati di Gallarate ricevevano una lettera. Il loro padrone di casa li informava che Archie era stato assolto e stava per tornare sull’isola. I suoi superiori gli avevano impedito di dichiararsi colpevole, e quell’omicidio era stato considerato un semplice incidente sul lavoro, come tanti altri omicidi senza importanza in quei quartieri di Glasgow.
Adesso i due amici, Archie e Archie, si sarebbero messi ad allevare pecore. Se i fidanzati capitavano da quelle parti, sarebbero stati sempre i benvenuti.