Ora posso dire: finalmente sono arrivato qua… In che cosa consiste l’essere arrivato? E in quale luogo posso riposare? E cosa c’è di diverso da prima? Quanto tempo abbiamo vissuto in attesa di cambiare le cose e aspettando che si avverassero i nostri sogni? O che si rimettessero a posto le cose: relazioni che non funzionano, capiufficio che ci tormentano, lavori che troviamo insoddisfacenti… Quante autocritiche ci siamo fatti, quante volte ci siamo detti che avevamo sbagliato? Adesso no… Ci stiamo avvicinando a casa, alle radici di ciò che siamo… Finalmente possiamo lasciar fare a loro.
Mi scrive Guglielmo, 72 anni:
Ma sa quanti viaggi ho fatto? Caraibi, Parigi, New York, Maldive, Europa… Lei non ci crederà, ma oggi invece la mia vita si svolge tutta in una decina di chilometri. Non è che allora in realtà non mi piacesse viaggiare, anzi…! Cercavo sempre qualcosa di nuovo, sognavo che accadesse uno stravolgimento, un incontro; insomma, veder nascere nuove prospettive, nuove vie… Ora non cerco niente di nuovo, faccio le cose che mi interessano, i miei giri in bicicletta, le camminate in compagnia e il mio lavoro, che mi appaga profondamente. Da quando non cerco più niente, arrivano gioie inaspettate.
Quello di cui parla Guglielmo assomiglia all’ostinazione delle radici. Finalmente possiamo parlare, dire ciò che vogliamo, scegliere quale cammino possiamo fare.
Non devo più sforzarmi di essere come mi vogliono gli altri. E così trovo le persone con cui sono a mio agio. Adesso è la vita che mi conduce. Sono molto abitudinario, ma contemporaneamente sono pronto a tutte le cose nuove che arrivano.
Farsi guidare dall’età matura: ai nostri giorni non è certo un’idea molto diffusa. Prima, nella giovinezza, non avevamo la pazienza per farci condurre dalla vita: il nostro Io ci intralciava e, soprattutto, volevamo le stesse cose di tutti gli altri, ci sforzavamo di essere come tutti gli altri. Adesso dobbiamo imparare a stare con noi stessi, così come siamo, con le nostre contraddizioni. Non ci sono più vie d’uscita: noi siamo proprio quelli lì, permalosi, irascibili, magari aggressivi.
Mi dice Lucilla, 58 anni: “Per molto tempo ho sentito una ferita nel petto quando mi criticavano”.
Quanto abbiamo sofferto per le definizioni che gli altri davano di noi! Magari avevano ragione, ma noi stavamo male. La verità è, come ricordava Celine, che vivevamo troppo sul palcoscenico e il parere degli altri diventava decisivo.
“L’altro ieri ho detto a un uomo: ‘Se ti volti a guardare ancora una volta un’altra al ristorante prendo e me ne vado, oppure ti do uno schiaffo’” mi ha raccontato Lucilla.
Adesso è sicura del suo carattere permaloso, geloso, accentratore: “Prima gli altri mi dicevano che dovevo cambiare, ora io mi dico che sono gli altri a dover cambiare”.
Così facendo Lucilla ha scoperto che il suo modo di essere, contrastato per una vita intera, è diventato una certezza, l’amico di cui non può che fidarsi: “L’unico amico vero che non mi delude mai”.
Star bene con quelli che chiamiamo “i nostri difetti” è l’arte della maturità. Impariamo a convivere con i nostri peccati, con le nostre tentazioni mai così forti, considerandoli come compagni di viaggio, piuttosto che come nemici. Non si può, a questo proposito, non citare Hillman, quando riporta i versi del grande poeta Yeats:
A te sembra orribile che lussuria e ira
ancora corteggino la mia vecchiaia;
da giovane, non erano un tale assillo;
ma adesso, che altro potrebbe spronarmi al canto?1
La creatività, la poesia, la letteratura sono i veri antiage dell’anima, che trasformano tutto il corpo. La bellezza e la giovinezza vengono dalla forza creativa, che attiva le sostanze chimiche della rigenerazione e della rinascita. La creatività è il vero lifting.
Se ho la pazienza di stare con le mie contraddizioni, di accettarmi così come sono e aspettare, allora possono compiersi veri miracoli, possono accadere cose che a 30 anni erano sogni irrealizzabili. La saggezza, che arriva solo in età matura, non è la santità, che appartiene ai mistici, agli idealisti, a coloro che vivono a un passo dalla follia. I santi hanno fretta, i saggi vivono nel Senza Tempo e aspettano.
Maturare come l’albero, che non incalza i suoi succhi e sta sereno nelle tempeste di primavera senz’apprensione che l’estate non possa venire. Ché l’estate viene.2
Solo per chi è capace di aspettare qualcosa che non sa cos’è, solo per chi si affida all’interiorità, rispettandola così com’è, arriva l’estate dell’anima.
Ma viene solo alle persone pazienti, che attendono e stanno come se l’eternità giacesse avanti a loro, tanto sono tranquilli e vasti e sgombri d’ogni ansia. Io l’imparo ogni giorno, l’imparo tra i dolori, cui sono riconoscente: pazienza è tutto!3
La maturità è l’arte di saper aspettare e di lasciare le cose come sono, in primis il proprio carattere. La maturità è la vera gravidanza dell’anima: adesso sta per portare i suoi frutti, sta partorendo i saperi che le intense passioni giovanili nascondevano al nostro sguardo.
In questo libro vorrei indicare le regole del saper aspettare se stessi, che ci mettono in grado di vedere e raccogliere i doni che solo lo scorrere del tempo ci porta.
Finalmente posso stare con me stesso senza assomigliare a nessuno. Tra un amore e l’altro, tra delusioni, sconfitte, situazioni spiacevoli e dolori immensi, il mio viaggio è andato avanti, portando con sé un modo di essere unico e irripetibile: il mio. Forse tutti i disagi mi sono capitati per ricordarmi che nell’universo non c’è nessun altro come me.
Ciascuno deve sapere e ricordare che, nel modo in cui è fatto, è unico al mondo, e che mai è esistito un suo uguale, perché se ci fosse stato un suo uguale non gli occorrerebbe essere.4
È questo che la maturità ci porta, ci regala un altro sguardo su noi stessi, un altro modo di sedersi nella nostra interiorità: se non lo impariamo siamo perduti, perché restiamo eterni bambini, sottomessi alle convenzioni e sopraffatti dalle banalità del senso comune.
Non c’è nulla di più ridicolo di una donna o di un uomo di 70 anni che si veste come un ragazzino e più miserevole di chi a 70 anni ripete la parola “ormai”. Nel primo caso si vive fuori tempo, si disprezza l’età adulta e si perde l’energia della saggezza, senza la quale possiamo solo star male. Nel secondo caso, continuando a dire “ormai… alla mia età…” ci si condanna all’impotenza e alla rassegnazione.
Certe cose si possono imparare non prima dei 40 anni, certi saperi si sviluppano soltanto dopo i 50, 60 anni e prima dei 70 anni non possiamo dire di saper vivere davvero. Dopo i 40 anni bisogna incominciare a cambiare lo sguardo: è necessario, se si vuole ascoltare la propria vocazione. Da giovani non avevamo gli strumenti per ascoltare la nostra “voce interiore”, eravamo troppo condizionati da un lato dalle passioni che ci incalzavano e dall’altro dalle convenzioni che ci facevano credere di essere bravi solo se eravamo come tutti gli altri.
Il fatto che le convenzioni in un modo o nell’altro continuino a prosperare, dimostra che la stragrande maggioranza degli esseri umani sceglie di seguire non la propria strada, ma le convenzioni; essi di conseguenza non sviluppano sé stessi, bensì un metodo, e quindi una dimensione collettiva, a spese della propria interezza.5
Questa interezza è il vero programma terapeutico del nostro diventare adulti. La saggezza, che si conquista con gli anni, è il regno del diventare completi. Completi, non perfetti. Solo nella maturità impariamo a espellere il vero veleno dell’anima: la perfezione. “Completo” significa aver cura anche dei sentimenti, delle emozioni che non ci sono mai piaciuti. Il carattere introverso che abbiamo criticato per anni diventa un alleato prezioso, che ci porta a scegliere cose che ci appartengono… Le battaglie che abbiamo fatto con il nostro lato oscuro cominciano a diradarsi. La vera saggezza è stare con se stessi, così come si è.
Non c’è un altro momento in cui il destino ci guida come quello in cui viene meno il richiamo delle sirene, in cui svaniscono le illusioni del mondo esterno. Adesso, che ci avviamo al tramonto, adesso possiamo via via raggiungere la pienezza delle nostre radici, la certezza di essere come siamo, che vuole dire il rispetto delle nostre caratteristiche. L’arte di stare con noi stessi è quello che dobbiamo imparare.
Adesso entriamo nel regno della metamorfosi, non abbiamo tempo di dedicarci alle persone che ci disturbano, alle liti inutili…. Entriamo nel regno della sapienza antica che ci abita: le tradizioni che ritenevamo del tutto inutili, vere e proprie perdite di tempo, ora diventano parte essenziale della nostra vita. Le fiabe, i riti, il sacro, l’inconoscibile, acquisiscono significato: il mistero non ci chiama mai più di adesso, dopo i 50 anni. Invecchia male chi perde di vista il lato oscuro, chi crede solo nella realtà, nei fatti, chi vive troppo all’esterno, chi non si concede spazi silenziosi.
Un altro sguardo sta per affacciarsi, un altro modo di vedere il mondo. Come nel bambino, la mente matura è attratta dal sogno, dal Senza Tempo, dal meraviglioso. Tutte cose che appartengono al sacro.
Scrisse Jung che l’incredibile può verificarsi e che la nostra Immagine del mondo corrisponde alla realtà solo se vi trova posto anche l’incredibile.6
Si entra nel regno dei mondi sottili: solo con la mente matura possiamo esplorare nuovi territori che appartengono al mistero, a un’altra concezione del tempo, del divenire.
Ma per scoprire le cose del “pomeriggio” di cui parla il proverbio svedese ci vogliono altri occhi, altri modi di stare con se stessi. La vita in palestra alla ricerca di muscoli ipertrofici, l’attenzione ossessiva al cibo, le fissazioni del tipo “devi dimostrare meno anni di quelli che hai” non solo non ci aiutano a ringiovanire, ma ci tengono sempre in ansia. Lottare contro il tempo che avanza è autolesionistico, è lottare contro ciò che ci genera, contro il nostro nucleo. Invece, l’età dei 50-60 anni e oltre è quella della ricerca, della scoperta di mondi dimenticati, di modi di essere che abbiamo soffocato nella nebbia della giovinezza. Si tratta di scoprire i doni del “pomeriggio” e smetterla di cercare i fantasmi della giovinezza acerba. Le persone mature conoscono la vera, autentica felicità se seguono la mente dei mondi sottili, se sono disposte a esplorare nuovi mondi.
T.S. Eliot ha scritto: “I vecchi dovrebbero essere esploratori”; per me questo significa: segui la curiosità, indaga idee importanti, rischia la trasgressione.7
Amelia, 59 anni, mi dice che ora è contenta perché può fare quello che finalmente le viene facile. “Niente nipotini, li vedo solo ogni tanto. Tutti mi dicono di fare la nonna, io invece vado a fare le camminate tra i rifugi. Le migliori sono quelle che faccio da sola, senza amici. Solo nei rifugi scambio qualche parola con gli altri ospiti. Mentre un tempo ero una gran chiacchierona, adesso adoro il silenzio.”
Il silenzio è una delle chiavi dei mondi sottili che si affacciano solo verso il tramonto della vita. Occorre capire che mai come adesso si sta verificando la nostra vera metamorfosi. Il tema è molto chiaro a Patrizia che scrive al nostro giornale “Riza AntiAge”.
Gentilissimo dottore, come ringraziarla per tutto quello che ha fatto per me con i suoi libri? Con la sua bellissima sensibilità, che non hanno tutti gli psicoterapeuti… Grazie, dottore, grazie, perché la mia metamorfosi è cominciata con il libro Non siamo nati per soffrire! Una vita piena di dolore e di violenza, un matrimonio come tanti e io che rischiavo di ammalarmi di cancro… Poi, poi ho capito che dovevo lasciar morire il bruco e diventare farfalla. E così è stato! Non è stato facile volare senza rischiare voli pindarici… Ma pian piano la mia bella anima mi ha fatto scoprire tutte le virtù che sapevo di avere… Non ho più pensato a quello che gli altri potevano pensare! Esistevo solo io, il mio bene! L’amore per me stessa, la voglia di vivere come non avevo mai fatto, il desiderio di fare l’amore liberandomi dagli sciocchi sensi di colpa, scoprire che potevo essere meravigliosamente femmina e donna, sapendo pretendere ciò che il mio corpo desiderava. Così l’incontro con l’altro sesso diventa strumento di crescita, di conoscenza di me stessa attraverso l’altro! Un mondo meraviglioso mi si spalanca, divento donna come sento di voler essere, mi sento felice di essere così femmina, con un sentire altamente spirituale che non mi crea imbarazzo quando il mio corpo reclama il piacere… Sento dentro di me la forza delle antiche sacerdotesse, lo dico con grande umiltà! Sento una energia straordinaria che mi connette a tante forze antiche! Che bello essere donna in questa fase della mia vita. Il corpo pian piano mostra il passare del tempo. Ma la mia anima, la mia anima, caro dottore, vola sempre in alto nello spazio tra le nuvole, un volo imprevedibile con ascese velocissime, con codici di geometria esistenziale, come canta Battiato… Questa parte della mia vita è meravigliosa. Fare l’amore con consapevolezza, sentendo il corpo, mettendoci l’anima e il cuore… Dottore, sono felice di essere la donna che sono! Ringrazio Dio, l’universo, lei, ma soprattutto me stessa, perché ho voluto fare il capolavoro che da sempre ero, ma non lo sapevo… Grazie di cuore!
Per scoprire i nuovi mondi che si affacciano nella maturità, per sapere che stanno nascendo nuovi modi di essere, abbiamo bisogno di guardare cosa viene dalla nostra interiorità. Per potere fare tuo il raccolto, devi vedere la spiga matura. Non può accadere a chi è ossessionato dall’idea di restare giovane. Scoprire quali desideri stanno nascendo dentro di noi, quali sorprese l’anima sta portando alla coscienza, richiede che guardiamo noi stessi con occhi liberi, senza buonismi né moralismi.
Allora la donna matura partorisce il punto più alto della femminilità, scopre capacità erotiche inaspettate e le vive senza sensi di colpa, come dice Patrizia. Questa è veramente l’età della scoperta, dello sguardo non più accecato dai pregiudizi, che ci hanno inibiti per anni. Patrizia si è vista, si è salvata da una vita spenta, malata, insoddisfacente.
Non posso non citare Roberto Calasso, quando tratta del guardare con gli occhi della percezione, della coscienza libera, non più identificata nei modelli esteriori.
Si salva chi ha visto: così dice l’Inno a Demetra, giunto al suo culmine. Non già chi è buono o ha fatto cose buone si salva, se non ha visto. E neppure è escluso chi ha fatto cose cattive, purché abbia visto.8
Il “vedere” apre nuovi destini: questo è successo a Patrizia.
Se penso a quante donne, nella maturità, spengono il fuoco, le passioni, la femminilità semplicemente perché non la vedono più, o meglio la guardano con gli occhi omologati di chi considera la menopausa come la fine della donna e non come una nuova era. Cambiare lo sguardo è decisivo: allora la dea che abita ogni donna regala il piacere proprio nel “passare del tempo”.
Prendersi cura di sé, farsi carico delle proprie caratteristiche, incontrare il femminile e seguirlo è il modo migliore per entrare nel regno dei mondi sottili. La metamorfosi, il bruco che diventa farfalla, si realizza solo quando la coscienza è pronta a vedere cose che fino a quel momento non immaginava neppure… Patrizia rivela quanto l’eros possa esprimersi e farci volare, se il nostro atteggiamento mentale muta. Una vita spenta diventa così una vita in cui il desiderio fa volare la psiche, la farfalla. Riconoscere il proprio erotismo soffocato per anni è un altro dei codici del regno dei mondi sottili, che appartiene all’età matura.
Patrizia dice: “Sento dentro di me la forza delle antiche sacerdotesse… un’energia straordinaria che mi connette a tante forze antiche”. Questo è maturare: farsi guidare dalle forze primordiali dell’anima senza interferire. Da giovani è più difficile, perché lottiamo sempre con noi stessi, adesso abbiamo imparato: possiamo “fare l’amore con consapevolezza”… Prima l’eros era ginnastica, adesso è la casa del mistero, del sacro, del piacere. Ecco la sacerdotessa sacra che si affaccia in Patrizia.
Maturare significa vedere tramontare i sensi di colpa e stare con se stessi, lasciandosi guidare dall’energia del “pomeriggio”. Sono le energie antiche, adesso, che ci conducono… Le abbiamo sottovalutate per anni, perse di vista, eppure adesso sono riapparse e hanno preso il timone: ci dimentichiamo di tutto quello in cui eravamo identificati, delle omologazioni che ci hanno sottratto tanta felicità. Ora invece seguiamo il cammino che le radici ci indicano. Stanno nascoste, eppure agiscono; non si vedono, ma indicano la strada. Ecco perché compaiono il sacro, il mistero, l’indicibile. Solo una donna-sacerdotessa può comprenderlo, trasformando la sessualità in un rito dell’eterno.
Mai come dopo i 50 anni possiamo vedere il divino sparso nelle cose. L’incontro con un fiore, un animale, un amore, non hanno più il senso della durata, ma rappresentano l’incontro con le maschere eterne dell’esistenza. Adesso non siamo più protagonisti, non ci sforziamo più di far durare gli amori: ce li godiamo come sono, e così una cena con gli amici, un viaggio… È l’eterno che ci chiama, che avanza dentro di noi e, di volta in volta, siamo Afrodite quando amiamo, Artemide quando camminiamo tra i fiori, Dioniso quando il fuoco della mente ebbra ci incalza. Non lottiamo per far durare le cose piacevoli che ci capitano, lasciamo fare alla vita.
E così entriamo nel regno dell’incontro: tutto quello che ci succede è un momento della magia universale di cui ci sentiamo parte. Le nostre intenzioni, i nostri progetti non contano più: sappiamo che dobbiamo lasciar fare alla vita. E impariamo a fare la cosa più preziosa: non cerchiamo più di diventare migliori e men che meno di migliorare chi incontriamo. Guardiamo senza intervenire le nostre emozioni, i nostri sentimenti, i nostri desideri, come fossero onde che percorrono il nostro mare.
Si chiama “età matura” perché c’è una forza del frutto che sta compiendo la sua missione. Noi siamo i danzatori che ballano alla musica che il nucleo, il Sé, il sapere innato sta suonando per noi. Cosa accadrà domani? Durerà? Finirà presto? Sono domande della mente giovane, che è tutta centrata sulle foglie, sui fiori, sull’esterno, sul vento, sulla pioggia… Adesso siamo seduti sulle radici: sono loro il nostro navigatore. Ci fanno incontrare le persone che servono in questo momento alla pianta che siamo, non sono interessate a come vanno a finire le storie, le vicende esistenziali, il lavoro che stiamo facendo. Senza saperlo siamo diventati dei mandala che una radice misteriosa sta tracciando per noi. Il nostro compito è percepire che stiamo entrando in un altro regno, quello dei mondi sottili, dove esistono energie (gli dei) che ci guidano a nostra insaputa disegnando il nostro destino.
“Faccio le cose perché mi vengono da sole” mi dice Alberta, 58 anni. “Se sapesse quanto ci ho messo a non ostacolare le mie aspirazioni, la mia naturalezza, la mia spontaneità…”
Sedersi su se stessi e aspettare, senza commenti… Così il Sé ci guida dalla parte delle radici. Solo adesso possiamo impararlo.