Vi racconto un aneddoto. Durante l’autunno, al mare, nel giardino di casa, ho fatto piantare degli oleandri. A mano a mano che i mesi passavano avevo, però, l’impressione che le piante soffrissero, sino a temere che non avessero attecchito. Le foglie erano scolorite e cadenti, di fiori in estate nemmeno l’ombra…

A quel punto chiamo il vivaista. Arriva, con occhio esperto guarda le piante, stringe i fusti con la mano, come se dovesse provargli la pressione, e poi dice: “Stanno vegetando, ma sono più che vive. Dobbiamo solo potarle, alleggerirle, eliminare le foglie morenti e tagliare i rami sino a che si arriva alla linfa”. “Cioè?” gli chiedo. “È semplice” mi risponde lui. “Taglio i rami sino a sentire che esce qualcosa di appiccicoso. A quel punto vuol dire che lì sgorga la linfa, cioè che lì la pianta è viva. Vedrà che, al momento giusto, gli oleandri inizieranno a fiorire benissimo.”

Provate a immaginare la linfa come una specie di aqua permanens che zampilla di continuo da una fonte interiore, la fonte dell’eterna giovinezza: in tutte le forme vitali (piante, animali, esseri umani) questa fonte è sempre attiva, noi dobbiamo solo evitare di ostruirne i canali e non disperderla in troppi rivoli inutili che finiscono per esaurirla.

E se, per favorire questo processo, fosse necessario anche per noi eseguire delle “potature” cicliche, al fine di permettere alla linfa di fare bene il suo lavoro e di aiutarci a “fiorire” a tutte le età? Pensiamo che il nostro corpo (e in modo particolare il cervello) sia per così dire “a bagno” in questa linfa vitale che lo rigenera costantemente. Significa che è in grado di fare come quegli alberi maestosi e non più giovani che a ogni stagione gettano fuori cascate di fiori nuovi. La convinzione sbagliata è che il cervello sia giovane solo nei primi decenni di vita; in realtà, non si tratta di un problema anagrafico, si tratta di attingere a quella “fonte permanente” di cellule staminali che, come oggi confermano le neuroscienze, si trova nelle strutture cerebrali profonde. Nelle varie età della vita i fiori saranno differenti, forse non se ne produrrà lo stesso quantitativo ma, come le piante, anche il cervello è fatto per rinnovarsi di continuo: basta potarlo abitualmente.

Allora rifletti, il tuo malessere non è legato all’età o a motivi ormonali: tu soffri perché stai intasando la tua anima (e la tua esistenza) con un eccesso di abitudini, di gesti automatici, di ricordi, di rancori…

Il paradosso è che abbiamo in noi una sorgente inesauribile di “linfa” in grado di farci rifiorire, ma restiamo prigionieri della paura di invecchiare. Guardiamo alla vecchiaia come a un mostro che sta per inghiottirci e non vediamo la “forza ringiovanente” che il cervello sta producendo e che proprio adesso, nel pieno della maturità, può raggiungere la sua pienezza. Con il nostro maledetto vizio di non fidarci, di non accogliere i tesori che vengono da dentro, finiamo per credere che non esistano neppure. Tutta la mente di quest’epoca è centrata, come ricorda Hillman, sul “durare” il più a lungo possibile.

Più ci sforziamo di durare, più aumenta la paura, perché ci stiamo opponendo all’innata intelligenza della natura umana.1

Il problema non è durare di più, vivere fino a 150 anni: il tema di fondo è vedere i tesori che adesso, tramite quella linfa, possono comparire finalmente nella nostra coscienza e guidarci verso la nostra natura.

La cosa pazzesca è che alla nostra età, nella seconda parte della vita, possiamo essere “giovani” come mai prima. Ma noi, ossessionati dall’idea di prolungare la “gioventù”, ci ostiniamo in atteggiamenti, abitudini e pensieri che bloccano quella linfa senza tempo.

Non siamo noi ad andarcene, bensì tutta una serie di atteggiamenti e di interpretazioni riguardanti il corpo e la mente che sono sopravvissuti al loro periodo di utilità; e alla loro giovanilità. Adesso, qualcosa ci obbliga a lasciarceli alle spalle. Non possono più sorreggerci, non perché noi siamo vecchi ma perché sono vecchi loro.2

Non possiamo ringiovanire portandoci dietro risentimenti, vendette di anni, rabbia repressa, fallimenti… Il peggior veleno è la convinzione che le cose non possano più cambiare, che siamo destinati alla “solita vita” senza alcuna via d’uscita. Così teniamo in vita rapporti logori, ci arrendiamo all’impotenza e viviamo nell’aridità o, peggio ancora, nel rancore, o nel senso di fallimento.

Se invece si riesce a eliminare tutti questi “cascami” emotivi, si viene travolti da un’incredibile leggerezza che fa sentire più giovani, forti, vitali.

Come fare? A ogni inizio di stagione, libera dal superfluo gli armadi, la scrivania, i cassetti… Deve restare a portata di mano uno “strato” funzionale di oggetti, quello che usi d’abitudine, e non deve essere soffocato dall’inutile. Riordina, archivia, se proprio vuoi, e metti qualcosa in cantina, ma alla fine – è la cosa migliore – butta via. Ti sentirai molto meglio e con la mente più leggera. Prova a farci caso: con lo spazio pulito intorno a te, avrai più voglia di fare e ti sentirai più energico e creativo. Il pensiero cinese, secondo François Jullien, dà un’importanza decisiva alla ripulitura del mondo interiore e suggerisce di fare con se stessi come fa un contadino con la propria terra. Ripulirsi dai pensieri, dagli sforzi inutili, dalle persone sbagliate e aspettare.

“Perché la crescita può essere indotta, stimolata, assistita, ma nel suo corso si fa da sé”3 e i germogli si rivelano. Cosa sono i germogli? Le nostre attitudini, magari soffocate da anni, che solo nella maturità possono fiorire.

Quindi, così come per una pianta non ha senso tenere in vita le vecchie foglie se ne vuole produrre di nuove, anche tu cerca di risolvere le vecchie questioni, dai un taglio a tutto ciò che ti trascini dietro da tempo come malumori, ripensamenti, conti in sospeso. Ogni cosa irrisolta produce un consumo energetico ed emotivo molto elevato: la mente, per essere fresca (come accade ai computer), ha bisogno di “chiudere i file” del passato, altrimenti si “imballa”. La pulizia della mente è fondamentale per incontrare l’energia della fonte della giovinezza.

Un’altra analogia, quella tra cervello e intestino, aveva colpito profondamente il pensiero antico e soprattutto gli alchimisti. L’intestino evacua ogni giorno tutto ciò che non deve essere assorbito, ma gli scarti, le tossine della mente non ci preoccupano… Così accumuliamo ricordi inutili, compiamo azioni che ci portano via energie, frequentiamo persone che assorbono le nostra potenzialità e ci lasciano svuotati.

Ripulire la mente è il vero compito della maturità. Ripulire per spostare lo sguardo non sul passato, ma sulla energia creativa, che è la vera fonte che ringiovanisce, l’acqua perenne della rigenerazione del cervello e da qui, a cascata, del corpo e della mente.

Dedica uno spazio fisso (almeno un’ora al giorno) a un’attività creativa, quella che preferisci, a patto che in quei momenti la tua mente sia totalmente assorbita da ciò che più ti sta appassionando: cucito, cucina, bricolage, giardinaggio… Come l’olio nel motore, creatività e manualità sono indispensabili per consentire al tessuto nervoso di rigenerarsi.

E poi torna a essere curioso, come lo eri da bambino: non c’è modo migliore per “ripulire” il cervello dalla polvere del passato che farsi attrarre dalle novità. “Cosa c’è di nuovo, oggi, che mi attrae, di cui ho voglia, che mi interessa?” Questo deve diventare il tuo mantra mattutino. Essere desiderosi di scoprire cose nuove stimola nuove sinapsi, nuovi collegamenti tra le cellule nervose: vale a dire che la curiosità ci rende più semplici, naturali, più intelligenti e capaci di risolvere problemi che il pensiero razionale e la logica non sono in grado di affrontare.

Ecco il segreto di chi non invecchia.

Come ci ha insegnato il giardiniere degli oleandri, dentro una vita spenta, appiattita, o piena di dolore, c’è sempre una linfa vitale che scorre dentro di noi, un elisir di giovinezza. È pronta ad affacciarsi, a condurci, a portarci verso la nostra terra, verso il nostro destino.

L’anima sa sempre come tornare a casa. Più volte abbiamo parlato di come le scelte migliori, decisive, avvengono senza ragionarci su, senza riflessioni, e di come capitano quasi sempre nella seconda parte della vita. Contrariamente a quello che si pensa, abbiamo molte più opportunità dopo i 50 anni: solo che invece crediamo di aver perso il treno… e non le vediamo.

Il vero antiage è entrare bene nella maturità, ricordarsi che quella linfa, quell’acqua perenne, quell’elisir di giovinezza è sempre presente nelle aree più nascoste e profonde del cervello.

Così anche dalle situazioni difficili, dalle relazioni tormentate si può uscire più facilmente proprio in prossimità dei 50 anni, quando siamo più maturi: sì perché la saggezza arriva solo con la maturità, e bisogna imparare ad aspettarla… Il nucleo, il Sé, il centro continua a “irradiare” la nostra mente, anche se non lo vediamo. Se smettiamo di ragionare sul problema, le nostre radici antiche producono soluzioni inaspettate. Anche quando ci sembra non vi siano vie d’uscita dai tormenti.

La storia di Paola, di cui ha parlato in modo esemplare Andrea Pasqualetto sul “Corriere della Sera” con una lunga intervista,4 può aiutare tutte le donne a trovare la strada della gioia di vivere al di là di rapporti che sembrano uccidere la loro dignità e la loro femminilità.

Sono tante le donne che subiscono la violenza tra le mura di casa e, prima o poi, scivolano nella rassegnazione. “Le cose sono così e non potranno mai cambiare” dicono spesso le vittime dell’aggressività del partner.

Paola, 48 anni, ha una relazione tormentata da anni. Le parole per lei più umilianti sono: “Tu non vali niente, non ce la farai mai a combinare qualcosa di buono”. Paola ha già due figli da un precedente matrimonio e con il nuovo compagno arriva Francesca. Non sto a soffermarmi sulle violenze subite, dopo lunghe sofferenze comunque si decide a chiedere la separazione. Seguono anni di battaglie legali in cui tenta senza riuscirci di ottenere l’affido della piccola Francesca.

A Los Angeles Paola ha una sorella, che le è sempre stata vicina, da cui potrebbe andare ad abitare almeno per un po’: bisogna convincere il giudice a lasciarla partire con la figlia. Il tribunale acconsente a patto che lei dimostri di poterla mantenere. A Paola sono sempre piaciute due cose: stare con i bambini e cucinare. In Italia aveva trovato un lavoro come educatrice e, arrivata in America, diventa babysitter a tempo pieno di una bambina di 3 mesi presso una famiglia benestante di Los Angeles. I soldi sono pochi, ma in sei mesi dimostra al giudice che può mantenere la sua bambina e quindi può restare negli USA.

Le scelte radicali, improvvise, di rottura, hanno la funzione di allontanarci da una relazione dolorosa e di far rifiorire il cervello. Potati i rami secchi, la linfa nascosta comincia a scorrere e produce effetti sorprendenti. È importante comprendere che vivere nel disagio, nel tormento, annebbia le capacità creative del cervello. Basta un atto deciso di allontanamento dalla relazione aggressiva per vedere all’improvviso la fioritura e poi, a sorpresa, l’arrivo di frutti inaspettati.

Quando dobbiamo prendere una decisione che ci cambierà la vita e stiamo tentennando, spesso arriva un sogno. Nel caso di Paola compare l’immagine onirica di sua mamma, scomparsa da qualche anno, che le dice: “Vai via, scappa! Ti aiuto io!”. Paola fa questo sogno quando giunge al culmine della disperazione, quando il dolore si è fatto insopportabile. Le vengono in mente le parole di sua madre a proposito del compagno: “Te l’avevo detto, io!”. Il Sé appartiene a un regno invisibile che sa più cose del nostro Io e, anche se spesso non lo ascoltiamo, vede meglio di noi, soprattutto quando il pericolo arriva al culmine. E ce lo comunica in sogno con l’immagine più efficace, in questo caso quella della madre.

“Se volevo vivere, dovevo venir via da lui, non credevo più a quello che mi diceva. Io sapevo quello che volevo, anche se non avevo un mio spazio, un’autonomia economica che lui mi impediva di realizzare, e vivevo senza dignità.”

Se scatta l’azione del cambiamento, arrivano veri e propri miracoli. Paola non chiede consiglio a nessuno, tranne che a sua sorella, con cui ha un rapporto speciale, e si trasferisce a Los Angeles. La maturità estrae da noi passioni nascoste: oltre al fare la babysitter, per Paola c’era la cucina. Da sua nonna aveva imparato a tirare la pasta, a cucinare gnocchi speciali. Così, consigliata dall’altra sua figlia Giorgia, che era arrivata a Los Angeles dopo la laurea, porta due piatti di gnocchi a un ristorante di West Hollywood. Vengono così apprezzati che i due piatti diventano 10 chili e via via aumentano fino a 80 chili al giorno di pasta fatta in casa. Fa la babysitter di giorno e cucina di notte.

Poi la famiglia dove lavora come babysitter l’aiuta economicamente ad aprire un piccolo ristorante. “Era un buco, non avevo i soldi per pagare le macchine per fare la pasta e gli gnocchi.” La famiglia benestante le presta i soldi, anche se Paola ha spiegato “che forse non sarei mai riuscita a restituirglieli”. Le hanno risposto che vedevano in lei una tale grinta, che erano certi che ce l’avrebbe fatta. Un parente in Italia raccoglie altri soldi da amici: chi manda 3000, chi 5000, chi 10.000 euro…

Come sempre accade, quando siamo convinti di potercela fare, il Sé attira le energie che ci aiutano, che ci proteggono, che ci fanno realizzare i nostri sogni.

Paola fonda una società, Pasta Sisters, che ora ha ben 70 dipendenti. Oggi, a 55 anni, ha due ristoranti e un’attività di catering diretta dalla mamma della bambina alla quale faceva da babysitter, con clienti come Paramount, Sting, Grammy Awards, Warner Bros, a cui ha fornito per Natale più di cinquemila coperti. Arrivano richieste per aprire ristoranti in tutta l’America, in Australia, nei Paesi baltici e in Corea.

Ci siamo sentiti al telefono: mi ha detto che non pensava a tutto questo successo, mi ha parlato dell’affetto per sua sorella, che è stata la compagna dell’anima, che l’ha sostenuta nei momenti più difficili e che è sempre stata al suo fianco.

Ognuno ha un mentore, una figura protettiva intorno a sé, che scende in campo quando abbiamo bisogno: si tratta solo di innescare il processo, di decidersi, poi qualcuno che ci aiuta arriva sempre.

Quando Paola ha compreso che il suo compagno era un uomo che l’avrebbe distrutta ha avuto la forza di andare via, il resto è venuto da sé.

Ho sempre detto e scritto che il lavoro è la vera realizzazione di una persona: più dei figli, del matrimonio, dell’amore. Ognuno deve realizzare le sue inclinazioni, così va incontro al proprio destino.

“Ora ha un nuovo compagno?” ho chiesto a Paola.

“No” mi ha risposto, “avevo una storia, ma mi sono accorta che lui beveva. Sono scappata via…”

Non dobbiamo permettere a nessuno di ostacolare le nostre inclinazioni, le nostre attitudini, le nostre passioni, le nostre qualità lavorative.

Ho raccontato questa storia per due motivi: il primo è mostrare che a 48 anni, quando la maturità si manifesta, le scelte possono avvenire con maggior facilità se la mente si convince.

Andare via dal dolore è sempre la strada maestra: a questo punto, a cascata, arrivano i regali della vita. Se ci si ferma a lamentarsi, i dolori diventano alibi e si cronicizzano. I rami secchi soffocano la linfa vitale che invece potrebbe offrirci soluzioni inaspettate.

Il secondo motivo è che le nostre inclinazioni sono sempre presenti in noi, fin dagli albori della nostra vita.

L’individuazione è un processo complesso in cui ogni essere vivente diviene ciò che fin dall’inizio è destinato a divenire.5

Anche nel caso di Paola, il centro, il Sé, era in attesa, pronto a risvegliare le capacità che erano presenti sin dall’infanzia, come il suo rapporto con il cibo e con i bambini. È andata a Los Angeles per salvare se stessa e la figlia Francesca, e ha finito per far emergere prima la babysitter, poi la cuoca di valore, erede dei preziosi insegnamenti della nonna. I suoi talenti sono emersi come voci del Sé.

Dopo i 40 e i 50 anni, le inclinazioni si manifestano con maggior fluidità: la vita matura apre le porte a occasioni che la giovinezza non immagina minimamente. Prendere le distanze dai dolori, dalle relazioni che ci feriscono è il miglior antiage. È bastato allontanarsi da una relazione infelice, umiliante per riprendere a nutrirsi della “linfa” rigenerante del Sé. È così che Paola è ringiovanita e ha portato alla luce i suoi tesori. Molte volte le donne, raggiunta la maturità, possono rapidamente allontanarsi dai disagi, cambiando l’atteggiamento mentale. E in poco tempo ottengono risultati inimmaginabili.

Quando una persona che sta male viene da me per un colloquio, la invito a chiudere gli occhi e a cercare la sua pianta preferita. In pochi istanti tutti la trovano. Nella stessa seduta faccio quindi immaginare l’animale per cui sente maggior affinità e poi un luogo in cui costruire la propria tana, dove nascondersi. Il sollievo arriva subito…

Sentite cosa mi scrive Michela:

Caro dottor Morelli,

la seguo da molti anni, ho praticamente letto tutti i suoi libri, ma è con la sua ultima opera, La vera cura sei tu, che sono riuscita a uscire in un attimo da un periodo molto difficile che ormai durava da più di un anno. La morte improvvisa della mia adorata mamma, avvenuta due anni fa, pensavo fosse la causa del mio comportamento “assurdo” e autodistruttivo inscenato poco dopo la sua partenza. All’epoca ero in coppia con un ragazzo più giovane di me, io 46 anni lui 40, con sani e ferrei principi, desideroso di costruire una vita insieme. Ebbene l’ho tradito, con un uomo che fisicamente mi piaceva moltissimo, ma completamente indifferente, lui, a ogni tipo di sentimento più profondo e tanto più a progetti futuri, perlomeno con me. Sono stata scoperta, mi è stata data ancora una possibilità, che la mia anima non è riuscita a cogliere. È iniziato un periodo tremendo, fatto di sensi di colpa e rimpianti per ciò che avevo commesso e allo stesso tempo per ciò che avevo perso, senza avere la forza e la volontà di trattenerlo. La mancanza di mamma, del compagno perduto e dell’altro, che non vuole saperne di una vita a due, mi hanno fatta sentire completamente senza radici, fino a oggi, fino alla lettura del suo libro. Mentre leggevo le sue pagine ho scorto la mia pianta, il larice, il mio animale, un gatto selvatico, il mio fiore, il papavero rosso e il nome del mio Io sconosciuto: Rebecca. Con la mente sono andata nella mia tana, un bivacco in alta montagna che esiste davvero, e dove vado a volte. Mi sono arresa al nulla, mi sono detta che la mia vita va bene così, ho chiuso gli occhi e mi viene naturale aspettare senza aspettarsi niente, come suggerisce lei.

Le parole di Michela sono esemplari: uscire “in un attimo da un periodo molto difficile” è più semplice di quello che si pensa e una buona psicoterapia è tale se produce risultati immediati o quasi.

La morte di una madre, un tradimento, un uomo che non ti ama non sono mai le cause del protrarsi di un disagio. Perché stiamo male, allora? Perché stiamo perdendo l’anima, la psiche, il luogo segreto da cui veniamo partoriti ogni istante. Ci sono radici dentro ognuno di noi e hanno bisogno che ci avviciniamo al loro modo di “ragionare”, di vedere il mondo.

Immaginare il larice e il papavero rosso ha riportato Michela vicino ai suoi codici naturali, alle Immagini antiche del suo mondo interiore, che è fatto prima di tutto di energia naturale. Se chiudo gli occhi e immagino il larice e vedo i fiori del papavero rosso, divento l’energia del bosco, del prato… e in quell’istante fioriscono anche le aree antiche del mio cervello. Lo stesso accade quando compare un gatto selvatico. I problemi perdono di consistenza, quando prende il sopravvento il lato naturale del cervello. Per questo gli antichi avevano sacralizzato gli animali, gli alberi, i fiori e i profumi: sapevano che, distraendosi dai traumi, l’anima ci cura con la psiche che immagina la natura.

E poi, il cambio del nome… Dirsi: “Sono Rebecca” attiva un’altra entità, un altro personaggio dentro di noi. Il solito Io, con le sue abitudini mentali, i suoi sensi di colpa, i rancori, i rimpianti, non può farcela.

L’altro “esercizio” – così lo chiama Michela –, è quello della tana, del nascondersi in un rifugio e aspettare, affidandosi al nulla, l’energia più antica e più curativa dell’anima, così cara al pensiero taoista.

Noi crediamo, sbagliando, che non ci sia saggezza in quelli che chiamiamo “errori”: per esempio un tradimento, un amore coinvolgente ma senza futuro, come racconta Michela. Ma il nostro Sé tradisce perché ha bisogno di quell’energia per evolvere, per spingerci a una vera metamorfosi che ci liberi da un rapporto consolidato, che però non ci fa sentire vivi e quindi non fa maturare il femminile.

Dirsi, come ha fatto Michela, “La mia vita va bene così”, senza aspettarsi nulla, ha effetti prodigiosi nella cura delle nostre sofferenze. Allora nasce lo “sguardo contemplativo”, dove si impara a vedere l’insieme e non il particolare. La donna che ha tradito accanto alla donna fedele, al larice, al papavero, al volto della mamma tanto amata, a un nuovo nome sconosciuto dell’Io, all’animale che ci fa sentire la sua vicinanza, alla donna che si nasconde nella tana, e che sta in questo modo maturando come il pulcino nell’uovo. Molte delle cose che ci accadono non sono errori, ma preparativi per il compimento del nostro destino. Se impariamo a stare con noi stessi senza commenti e a immaginare, tutto si rimette a posto.

Ciascuno ha il suo disegno interiore che lo sta guidando, anche con quelli che a prima vista ci sembrano errori o fallimenti. La metamorfosi è diversa da persona a persona: per qualcuno un rapporto affettivo duraturo è necessario per un tratto della sua evoluzione, per qualcun altro no.

Sono sicuro che le cose che sono accadute a Michela l’hanno aiutata a diventare la donna, o meglio la dea, che abita tutti i femminili del mondo. Certe cose si possono capire meglio nell’età matura, quando siamo pronti a sederci dentro noi stessi senza dirci niente, senza giudizi, semplicemente aspettando che il Sé ci porti a casa. Allora anche la mamma che se ne è andata diventa un’Immagine, come un fiore, una presenza dentro di noi, una compagna di viaggio, come dicevano i Greci.

1. James Hillman, La forza del carattere, Adelphi, Milano 2001, p. 98.

2. Ibid.

3. François Jullien, Cinque concetti proposti alla psicoanalisi, Editrice La Scuola, Brescia 2014, pp. 125-126.

4. Andrea Pasqualetto, Da baby sitter a regina degli gnocchi a Los Angeles, in “Corriere della Sera”, 4 agosto 2018.

5. Marie-Louise von Franz, Il mito di Jung, Bollati Boringhieri, Torino 1997, p. 70.