Copernico, Brahe e Keplero formarono il Trio Astro del Cinquecento. Del primo abbiamo appena parlato, quanto al secondo, Tycho (in danese Tyge) Brahe, possiamo dire che nacque in Danimarca nel 1546, tre anni dopo la morte di Copernico, e che morì in Polonia nel 1601.

Il sovrano di Danimarca, re Federico II, appassionato di astronomia come pochi altri a quell’epoca, prese sotto la sua protezione il giovane scienziato e gli regalò un’isola, quella di Hveen nello stretto di Copenaghen. Gliela regalò perché potesse scrutare il cielo nella più assoluta tranquillità. Sull’isola, infine, gli costruì un castello, una stamperia e un osservatorio astronomico tutto per lui.

Una volta preso possesso dell’isola, Tycho Brahe suddivise il cielo in trecentosessanta quadratini e, grazie a una decina di assistenti che lo veneravano come un santo, catalogò le posizioni dei corpi celesti, fino ad avere una mappa stellare della massima precisione. E non basta: stretto tra le due teorie del momento, quella tolemaica predicata dai religiosi, e quella copernicana sostenuta dagli scienziati, proprio per non dispiacere a nessuno, ipotizzò una terza teoria secondo la quale il Sole e la Luna ruotavano intorno alla Terra e i pianeti ruotavano intorno al Sole.

A lui, in effetti, l’unica cosa che importava era che la Terra non si muovesse. A tale scopo si fece regalare dal sovrano un cannone per poi sparare due colpi, uno verso ovest e uno verso est. Se durante il viaggio dei proiettili la Terra si fosse mossa, anche di poco, le due distanze sarebbero risultate diverse. Essendo, invece, rimaste uguali, ebbe la prova che la Terra non si era mossa nemmeno di un millimetro.

Morto Federico II (1588), Tycho Brahe venne licenziato dal suo successore. Lui, però, non si scoraggiò per così poco: si trasferì a Praga alla corte dell’imperatore Rodolfo II e in un libro intitolato De mundi aetherei scrisse il seguente pensiero:

images

Giovanni Keplero (1571 - 1630)

Avendo compreso che sia la teoria di Tolomeo che quella di Copernico non davano risultati esatti, presi a meditare tra me e me se mai esistesse una terza ipotesi che non fosse in contrasto con la matematica e con la fisica.

Da questa riflessione venne fuori il sistema tychonico, quello cioè che aveva come primo centro la Terra (intorno alla quale ruotavano il Sole, la Luna e le stelle) e per secondo centro il Sole (intorno al quale ruotavano Mercurio, Marte, Venere, Giove e Saturno). Di Plutone, all’epoca, non si conosceva nemmeno l’esistenza.

Sul letto di morte Brahe consegnò il sistema tychonico al suo allievo prediletto, il giovane Keplero. Questi, però, era troppo legato alle simmetrie di Copernico per poter accettare la teoria dei due centri. Lì per lì non disse nulla, anche perché il moribondo Tycho non lo avrebbe sentito, poi, dopo aver calato il maestro nella tomba, tirò fuori il suo nuovo sistema e lo pubblicò.

Giovanni Keplero (1571-1630), al secolo Johannes Kepler, era nato a Weil nei dintorni di Stoccarda. Il suo maggior merito sta nell’aver scoperto che le traiettorie dei pianeti non sono delle circonferenze ma delle ellissi. Una volta nominato dall’imperatore Rodolfo II «matematico di corte», si stabilì anche lui a Praga e rimise al suo posto il Sole. Dopodiché, avvalendosi di tutti gli appunti presi dal suo maestro Tycho Brahe, ridisegnò una per una le orbite dei pianeti. Ebbene, bisogna ammettere che il suo modello è rimasto immutato per quattro secoli.

Come già Pitagora, anche Keplero paragonò i rapporti tra i corpi celesti alle note musicali. Lui «sentiva» che nel cosmo esisteva una specie di armonia divina che accomunava la musica alla matematica. All’inizio delle sue ricerche pensò addirittura che l’Universo avesse una specie di anima, da lui definita anima motrix; poi ridimensionò le sue ipotesi e lo vide come un orologio che, una volta messo in moto (si spera da Dio), non si può più fermare.

Keplero esercitò la sua genialità nei campi più disparati. Basti pensare che elaborò una formula matematica per calcolare con esattezza quanti litri contenesse una botte conoscendo solo tre misure: la base, l’altezza e la circonferenza al centro. Ci scrisse sopra un saggio intitolato Nova stereometria doliorum vinariorium. Inoltre studiò l’ottica fisiologica, e adottò per primo l’uso delle lenti convesse nei cannocchiali. Infine lasciò ai posteri un gigantesco trattato di astronomia suddiviso in sette volumi.

Come carattere era un bonaccione: cercò di aiutare gli allievi e soprattutto la propria mamma accusata di stregoneria dai preti. Avvalendosi delle sue amicizie altolocate, riuscì a evitarle il patibolo. Morì a Ratisbona, a cinquantanove anni.