Sono stato molto indeciso se inserire o meno in questa breve storia della filosofia moderna Francisco Suárez (1548-1617) e Luis de Molina (1535-1600). Si tratta di due filosofi cosiddetti minori. Definizione questa che non mi è mai piaciuta. Poi ho pensato che non nominarli affatto avrebbe potuto dispiacere qualche mio lettore spagnolo e allora li ho aggiunti. Per gli spagnoli, non trovarli, sarebbe stato come per me, napoletano, non trovare Giordano Bruno nato a venti chilometri da Napoli.
Ora, però, per capire a fondo Suárez e de Molina bisogna aver frequentato almeno una volta i gesuiti. A Napoli i gesuiti avevano un convento dove organizzavano tutte le domeniche un torneo di calcio. Noi ragazzini degli anni Quaranta andavamo da loro a giocare e l’unica cosa che ci chiedevano in cambio era di assistere a una messa prima della partita. La messa non finiva mai, era lunghissima, eterna. Ma la nostra voglia di giocare era altrettanto eterna, per cui si resisteva in attesa dell’Ite missa est.
Mi sembrava, allora, di avere a che fare con una setta di fanatici. Mai e poi mai sarei andato a confessarmi da un gesuita. Sono sicuro che almeno gli atti impuri non me li avrebbe perdonati. Racconto queste cose perché sia Suárez che de Molina erano gesuiti.
La Scolastica, a quei tempi, non contava più niente, o quasi, e la Fede era stata messa sotto dalla Ragione. A questo punto, però, proprio grazie ai Suárez e ai de Molina, nacque il tomismo, ovvero una specie di nuova Scolastica che riconosceva sia il potere ecclesiastico che il potere temporale. Il primo, secondo loro, dipendeva da Nostro Signore e il secondo dal popolo. E il re? A sentire Suárez e de Molina non contava più niente. Dio, infatti, era superiore al popolo che a sua volta era superiore al re. Il duo, però, credeva nell’ortodossia cattolica e nel libero arbitrio, e fu per questo motivo che prese le distanze da Lutero e dai calvinisti.
Francisco Suárez scrisse le Disputationes metaphisicae, un saggio sulla Dottrina politica e il De vera intelligentia.
A Luis de Molina si deve un’opera intitolata Accordo tra il libero arbitrio e i doni della Grazia, tenendo conto della divina prescienza, della provvidenza, della predestinazione e del castigo. Per capirne il succo basta leggerne il titolo.