9

Qualche ora più tardi Marcus era in sala da pranzo, intento a divorare un'abbondante porzione di riso, uova e pesce, quando Niniver entrò nella stanza.

Si fermò e i loro sguardi si incontrarono, poi lei gli rivolse un sorriso radioso. «Buongiorno.»

Lui rispose con maggiore cautela. A giudicare dagli occhi sgranati e dal sorriso eccessivo, lei non sapeva bene come comportarsi ora che erano stati a letto insieme. «Come va la caviglia?» le chiese.

Niniver pareva in grado di muoversi con scioltezza.

«Molto meglio.» Si diresse verso la credenza, dove erano disposti i piatti per la colazione. «La benda è un bell'aiuto. Riesco a camminare normalmente e non mi fa male.»

Mentre lei si serviva Marcus concentrò l'attenzione sul proprio piatto. Si era costretto a lasciare il suo delizioso calore e a tornare in camera propria prima che si svegliasse per risparmiarle un momento di imbarazzo e anche per evitare ogni tentazione. Ora che aveva sperimentato la meraviglia di unirsi a lei, il solo pensiero della stretta ardente del suo corpo era sufficiente a provocargli un'eccitazione quasi dolorosa. Quando si trattava di Niniver la sua forza di volontà si indeboliva. Se lei avesse insistito e preteso, lui l'avrebbe assecondata.

Proteggerla però era un compito dai molti aspetti e uno di questi comprendeva la protezione da ogni sofferenza inutile, perfino se provocata da lui.

Inoltre non era sicuro del modo in cui lei considerava le loro attività notturne. Per lui quei momenti appassionati erano stati più intensi di qualsiasi altra esperienza. Visto che Niniver era la sposa a lui destinata la cosa non lo aveva sorpreso, anzi quell'intensità era stata una piacevole conferma. Lei però era una giovane inesperta, nonostante la natura passionale. Marcus era sicuro di averle dato piacere, ma non sapeva se la realtà della loro unione era stata all'altezza delle sue aspettative.

Una parte di lui era inorridita all'idea di poter dubitare della propria prestazione a letto e se Niniver fosse stata una donna esperta quel pensiero non gli sarebbe mai venuto in mente. Non lo era, però, e non aveva misure di paragone con cui confrontarlo.

Mentre Niniver si avvicinava al tavolo e un domestico si faceva avanti per scostarle la sedia, Marcus studiò il suo viso e dovette ammettere con se stesso di sentirsi incerto quanto lei. Ora che aveva avuto il tempo di riflettere e valutare, era soddisfatta della loro intimità... o no?

In tutta la sua vita adulta non aveva mai provato una simile insicurezza, un'analoga, dolorosa vulnerabilità. Con qualsiasi altra donna la questione non sarebbe stata così importante, ma con lei era cruciale.

Inoltre aveva l'impressione che una risposta a quella domanda non sarebbe arrivata tanto presto.

Niniver sistemò il pane tostato sul piatto. Sentiva lo sguardo di Marcus su di sé, ma non lo incontrò. Come ci si comportava con un uomo con cui si era passata la notte, restando nudi e avvinti per ore? Lui lo sapeva di certo, ma lei no. Quando si era svegliata e aveva scoperto che Marcus se ne era andato dal suo letto e dalla sua stanza, la cosa più saggia le era sembrata non cambiare nulla nel loro comportamento esterno. Ora che si ritrovava con lui in sala da pranzo, però, le pareva un'impresa impossibile. Qualcosa di fondamentale era cambiato fra loro e lei lo sapeva con ogni fibra del suo essere.

«Ecco qua.»

Niniver sollevò la testa. Marcus le stava porgendo la marmellata d'arancia. Prese il vasetto e lo ringraziò.

Le loro dita si sfiorarono. Al posto della fitta acuta degli ultimi giorni, questa volta sentì un rassicurante calore. Niniver posò il vasetto di marmellata, trasse un respiro profondo e passò con lo sguardo dal proprio piatto al suo. «Magari potrei provare un po' di riso e pesce.» Di colpo si rese conto di avere una fame tremenda.

Lui abbassò lo sguardo sulla pila di cibo che stava demolendo. «È eccellente. La vostra cuoca – Gwen, giusto? – sa come cucinare le aringhe affumicate.»

Niniver spostò la sedia all'indietro, si alzò e tornò alla credenza. «Credo che le piacciano, dunque si mette d'impegno.»

Un minuto più tardi tornò a sedersi e provò una forchettata di riso, pesce e uova. «Avete ragione, è buonissimo» decretò. «Le aringhe sono affumicate al punto giusto.»

Marcus la guardò mangiare per un momento: era la sua immaginazione o si stava divertendo? «Immagino che Gwen prepari spesso questo piatto» mormorò poi. «Non l'avevate mai assaggiato?»

Niniver ci pensò su senza sollevare la testa. «Lo mangiavo da piccola, ma non credo di averlo mai provato da quando Gwen è diventata cuoca.» Ne prese un altro boccone. «Il suo è diverso.»

Marcus riprese a mangiare. «Immagino che ogni cuoca abbia la sua versione.»

Niniver agitò la forchetta. «Be', se pensate alle differenze che ci possono essere in un piatto semplice come le uova strapazzate...»

«È vero. Una volta le ho mangiate con i tartufi. Avevano un sapore piuttosto strano.»

Continuarono a scambiarsi aneddoti su colazioni del passato. Niniver scoprì con una certa sorpresa che il tempo passava con maggiore facilità di quanto si aspettasse. Quando si alzarono da tavola non era ancora sicura di aver trovato il modo giusto di comportarsi dopo l'intimità della notte, ma aveva la distinta impressione che non lo fosse neanche lui.

Quell'osservazione attenuò un po' il suo nervosismo. Si avviarono a fianco a fianco verso l'atrio. Non trasaliva più agitata alla sua vicinanza, ma le pareva quasi di fare le fusa.

Niniver si costrinse a ricordare ciò che l'aspettava quel giorno. Si fermò e gli lanciò uno sguardo. «Ci sono alcuni affari della tenuta di cui devo occuparmi» annunciò. «Sarò in biblioteca.»

«Fate strada» la invitò Marcus con un cenno.

Lei obbedì e lui la seguì con passo quasi languido. Una volta arrivati in biblioteca Niniver aprì la porta e si diresse verso lo scrittoio in fondo alla grande stanza. Come avrebbe fatto a concentrarsi su rapporti, conti e lettere se Marcus fosse rimasto nei paraggi?

D'altra parte, come poteva sbarazzarsi di lui? L'unione di quella notte gli dava nuovi diritti, o almeno nuove aspettative?

Niniver fece il giro della scrivania, si fermò davanti alla vecchia sedia e abbassò lo sguardo sulla pila di documenti in attesa di essere esaminati. Marcus si era fermato sul lato dello scrittoio e li osservava a sua volta, quando qualcuno bussò alla porta che lui aveva chiuso alle loro spalle.

«Avanti.»

Ferguson entrò nella stanza. «Se avete un momento, milady, ci sono diversi membri del clan che vorrebbero parlarvi.»

«Sì, certo.» Niniver si chiese se sedersi o no e decise di restare in piedi. Era già abbastanza piccola e, di qualsiasi cosa volessero parlarle, l'avrebbe affrontata meglio così. «Per favore, fateli entrare» disse poi a Ferguson.

Mentre il maggiordomo andava a chiamare quelli che aspettavano in corridoio, con la coda dell'occhio Niniver notò che Marcus si era mosso, mettendosi appena dietro alla sua spalla sinistra. Non era più rilassato e anzi appariva alquanto formidabile, con un accenno di minaccia pronta a manifestarsi.

Prima di riuscire a decidere come si sentiva davanti a quel chiaro segnale di sostegno, la sua attenzione venne attirata dalla piccola processione di uomini che stava varcando la porta della biblioteca.

Li riconobbe subito. Jed Canning era seguito dal fratello minore Stewart. Poi venivano John Brooks, Ed Wisbech, Jem Hills, Liam Forrester, Martin Watts, Camden Marsh e Clement Boswell, tutti quelli che le avevano reso la vita un inferno negli ultimi mesi.

Niniver si trattenne a fatica dall'alzare gli occhi al soffitto.

«I vostri aspiranti corteggiatori?» chiese una voce profonda alle sue spalle.

Lei annuì brusca, ma senza guardarsi intorno. Marcus aveva parlato troppo piano perché gli altri lo sentissero. Gli uomini si disposero per tutta la biblioteca. Sean entrò per ultimo, chiuse la porta e si fermò lì davanti.

Niniver lanciò un'occhiata interrogativa a Ferguson.

«Vogliono dirvi una cosa.» Il maggiordomo fissò gli uomini, che gli restituirono lo sguardo. Sembravano tutti molto a disagio.

Poi Liam Forrester sollevò la testa e si schiarì la gola. «Ecco... volevamo dirvi che ci dispiace per tutte le sciocchezze che abbiamo fatto per cercare di indurvi a scegliere uno di noi.» Chinò il capo. «Vorremmo scusarci e promettere che non vi infastidiremo più.»

«Sì.» Jem Hills si torse nervoso le mani. «Non verremo più a cantare sotto la vostra finestra di notte.»

«Non strapperemo più i vostri fiori» aggiunse Stewart Canning.

Deciso a non farsi superare dal fratello minore, Jed Canning lanciò uno sguardo a Clement Boswell, che annuì incoraggiante. «E io e Clem vogliamo scusarci per avervi spaventato con la nostra rissa. Non volevamo farvi paura e neanche dire quello che abbiamo detto.»

«Ci siamo lasciati trasportare» borbottò Clement.

Marcus ascoltò immobile e impassibile ogni uomo che presentava le sue scuse a Niniver e prometteva di non disturbarla mai più. C'era dell'altro, però.

Dopo aver finito, ogni uomo gli lanciò uno sguardo eloquente. Ferguson e Sean lo avevano fissato per tutto il tempo, per verificare che stesse cogliendo il vero messaggio che erano venuti a trasmettere.

Marcus lo capiva benissimo. Si stavano tirando indietro, lasciandogli, per così dire, il campo libero e assicurandogli in silenzio che lo avrebbero sostenuto nella sua campagna per conquistare Niniver.

Era tutto molto rincuorante, ma Marcus si sentiva anche un po' snervato. Non si era reso conto di essere tanto trasparente, eppure pareva proprio che le sue intenzioni nei riguardi di Niniver fossero state capite e divulgate in tutto il clan. Ciò che lo agitava di più però era l'idea che ora i membri del clan avrebbero osservato ogni sua mossa mentre la corteggiava.

Si consolò con l'idea che almeno adesso nessuno di loro lo avrebbe intralciato. Anzi, se avesse avuto bisogno di aiuto, tutti si sarebbero precipitati a fornirglielo. Inoltre Niniver non sarebbe più stata infastidita dalle attenzioni moleste dei membri del clan. Tutto sommato pareva che il fato si fosse di nuovo mosso per spianargli la strada.

Ignorò così il fremito di cautela e sospetto che gli percorse la spina dorsale.

Niniver rimase dietro alla scrivania a fissare quegli idioti dei membri del clan e lottò per nascondere i propri pensieri. A ogni borbottio di scuse si sentiva più sconsolata. Maledizione, non potevano aspettare ancora qualche giorno?

Aveva appena scoperto e assaporato i piaceri che poteva trovare fra le braccia di Marcus e ora loro eliminavano in modo sistematico le sue ragioni per rimanere a Carrick Manor, in modo da poter continuare a esplorare il paesaggio meraviglioso scoperto quella notte.

Prima l'avevano fatta impazzire con le loro azioni ridicole e ora rovinavano di nuovo tutto. Aveva voglia di mettersi a urlare, ma naturalmente non poteva farlo. Doveva mantenere il controllo ed evitare scenate.

L'ultimo a scusarsi fu Clement Boswell, che in effetti l'aveva importunata più di tutti gli altri. Alla fine di un lungo elenco di azioni deprecabili, il giovane lanciò uno sguardo agli altri uomini. «Sapevo che non avremmo dovuto ascoltare quel tipo.»

Gli altri annuirono cupi e contriti.

«Quale tipo?» chiese Marcus brusco.

Niniver trattenne a fatica un sussulto. Era stato così silenzioso durante tutta la scena che si era quasi dimenticata della sua presenza.

Clement si guardò intorno cauto. «Un gentiluomo, penso, anche se un po' malandato. Veniva spesso a bere alla taverna del villaggio.»

«Sì» confermò Jed Canning. «È stato lui a darci tutte quelle idee sul modo di corteggiarvi, milady.» Scrollò le spalle. «Ci è sembrata una buona idea seguire i suoi consigli, visto che era un gentiluomo e probabilmente sapeva meglio di noi cosa vi piaceva.»

Niniver li fissò allibita. Prima che potesse recuperare la voce, Marcus intervenne con una secca domanda. «Che aspetto aveva questo gentiluomo? Conoscete il suo nome?»

Gli uomini si guardarono. «Abbastanza alto, anche se non come voi» rispose Jed. «Capelli scuri.»

«Occhi scuri» aggiunse Liam Forrester. «E i suoi vestiti erano un po'... logori.»

«Gli occhi erano nocciola» lo corresse Ed Wisbech. «L'unico nome che ho mai sentito è Doug. Mr. Doug, lo chiamava il taverniere. Comunque è da qualche settimana che non lo vedo in giro.»

Marcus conosceva bene il taverniere; se avesse avuto bisogno di altre informazioni, le avrebbe ottenute facilmente. Annuì rivolto agli uomini. «Grazie. Credo di sapere chi vi ha mal consigliato. Se lo rivedete da queste parti avvertitemi.»

«Oh, se si farà rivedere avremo parecchie cosette da dirgli» borbottò Clement Boswell minaccioso. Tutti gli uomini parevano d'accordo.

Marcus lanciò un'occhiata a Sean e Ferguson e annuì. Sean aprì la porta della biblioteca e Ferguson fece cenno ai membri del clan di dirigersi da quella parte. Con inchini e goffi saluti rivolti a Marcus e a Niniver, gli uomini uscirono, seguiti dal capo stalliere e dal maggiordomo.

Quando la porta si richiuse Niniver si girò verso Marcus. «Ramsey McDougal?» I suoi occhi azzurri sfolgoravano di collera.

«Penso proprio di sì.» La sua mente balzò a diverse altre conclusioni, ma per il momento non aveva prove in quel senso.

Niniver lo aveva osservato con attenzione, anche se lui non capiva bene che cosa cercasse, ma ora tornò a girarsi verso la scrivania, fissò la pila di carte e sedette. «Almeno adesso non seguiranno più i consigli di McDougal.» Cominciò a passare in rassegna i documenti. «A volte mi chiedo se riuscirò mai a liberarmi del retaggio di Nigel e Nolan» borbottò tra sé e sé.

Marcus rimase fermo a poca distanza dalla scrivania, colse la frustrazione nel suo tono e si chiese... Ma no, per il momento non poteva ancora insistere perché lei si confidasse e gli fornisse spiegazioni.

A giudicare dalle labbra contratte, Niniver non sembrava propensa a offrirgliene.

Ormai era sicuro che ci fosse qualche problema più complicato riguardante la tenuta o le finanze del clan, ma non poteva aiutarla se lei non gliel'avesse chiesto.

Era quello il momento giusto per introdurre l'idea del matrimonio, ora che i membri del clan si erano tirati indietro? Marcus cominciò a passare in rassegna diversi modi di affrontare l'argomento.

Niniver sbatté un foglio sulla scrivania e ne prese un altro. «Letame!» sbottò disgustata. «Chi avrebbe mai pensato che si potesse litigare per del letame?»

La voce stridula e la violenza dei gesti tradivano la sua collera. Marcus decise che quello non era il momento adatto per una proposta di matrimonio.

«Ho diverse lettere da scrivere. Vado nello studio» annunciò.

«Mmh...» Lei chinò la testa per mostrare che aveva sentito, ma non sollevò lo sguardo.

Marcus si diresse verso la porta. La sua proposta poteva aspettare. Ora doveva occuparsi di McDougal. Proteggere Niniver veniva prima di qualsiasi altra considerazione.

Marcus tornò in biblioteca un'ora più tardi. Niniver era sempre seduta alla scrivania ed esaminava i documenti sparsi su di essa.

Sollevò lo sguardo quando lui chiuse la porta e lo guardò attraversare la lunga stanza. Aveva un'espressione guardinga e tesa e allo stesso tempo lo divorava con gli occhi, come se lui fosse pronto a partire il giorno dopo.

Non sapeva cosa l'avesse indotta a un simile pensiero, ma Marcus non intendeva andarsene e tanto meno accettare un congedo, soprattutto dopo la notte passata insieme.

Si fermò davanti alla scrivania e le mostrò due delle lettere che aveva passato l'ultima ora a scrivere. Aveva già dato quella per la sua famiglia nella valle a Sean, perché la consegnasse. «Vi sarei grato se poteste convalidarle.»

Ancora corrucciata, Niniver prese le lettere ed esaminò i destinatari. «Glencrae? È un vostro parente, vero?»

«Sì. Ha sposato una delle cugine di mio padre. Vivono nelle Highlands.»

Lei scrisse il proprio titolo sull'angolo della busta, poi passò alla seconda lettera.

«Gli Hemmings di Glasgow sono parenti di Thomas» spiegò Marcus.

Niniver convalidò anche quella lettera scrivendovi il proprio nome.

«Grazie.» Marcus prese le buste e le lasciò cadere sul vassoio in un angolo della scrivania, accanto a diverse missive coperte dalla sua grafia ordinata.

Niniver tornò a esaminare le carte sparse sulla scrivania. Si mordicchiava il labbro inferiore e aveva un'espressione quasi... sconfitta.

Marcus represse a fatica l'impulso di chiederle quale fosse il problema, esitò un attimo, trascinò la poltrona più vicina davanti alla scrivania, sedette e attese.

Lei sollevò lo sguardo lentamente, sempre corrucciata, e lo studiò per un momento. «Vi serve qualcosa?» gli domandò poi.

Gli vennero in mente diverse risposte, ma le scacciò tutte. «Ecco, mi chiedevo se potrebbe servirvi qualcosa che ho da offrire. Ho lavorato con mio padre per gestire le terre della valle negli ultimi dieci anni. Ho mandato avanti la tenuta da solo quando i miei genitori erano in viaggio, prima dell'arrivo di Thomas, e ora mi occupo delle mie terre. Conosco le imprese agricole locali e ho contatti commerciali a molti livelli.» Inclinò la testa e studiò la sua espressione cauta e ansiosa. «È chiaro che avete qualche difficoltà» aggiunse nel tono più gentile possibile. «Se posso aiutarvi, anche solo per ascoltare idee e preoccupazioni, sono qui, a vostra disposizione.»

La sua espressione si rischiarò. Niniver lo fissò in silenzio, con aria combattuta, e Marcus si chiese per l'ennesima volta che cosa stesse nascondendo. E non solo a lui, ma a tutti e da parecchio tempo.

Alla fine Niniver trasse un sospiro lento e profondo. Continuando a guardarlo, strinse le labbra e poi le dischiuse. «Quando ho esaminato per la prima volta i conti della tenuta, dopo la morte di Nolan, non riuscivo a capire perché fosse sempre così... agitato. Negli ultimi mesi pareva addirittura disperato, sull'orlo del panico. Non sapevo bene che cosa cercare, ma so far di conto e ho vissuto qui per tutta la vita. Avevo qualche idea, ma tutto quello che riguardava i conti – i pagamenti, gli ordini, le provviste, le rese dei raccolti – sembrava indicare se non proprio una situazione prospera, più o meno quello che mi aspettavo...» Continuò a fissarlo negli occhi, si interruppe un momento e poi riprese a parlare con voce sommessa. «Quelli non erano i veri registri contabili. Nolan teneva i libri falsi qui, nel caso qualcuno li volesse controllare, e quelli reali in camera sua. Quando li ho trovati ed esaminati...» Si fermò e trasse un altro respiro, usando quella breve pausa per rendere ferma la propria voce. «Quando ho finalmente compreso la reale situazione del clan... ho capito il panico e le sfuriate di Nolan.»

«Era davvero così tremenda?»

«Da come stavano le cose allora, il clan non sarebbe durato un altro anno. Mi sono chiesta se sia stato questo a spingerlo nell'abisso della follia. Aveva commesso un omicidio per diventare laird e una volta assunta quella posizione aveva fallito.»

«Voi no, però. Cosa avete fatto?»

«La sorella maggiore di mio padre era un tipo eccentrico e mi ha lasciato una piccola fortuna. Inoltre avevo ereditato dei fondi dalla famiglia di mia madre. Li ho trasferiti quasi tutti nei conti del clan.» Niniver si fermò un attimo. «Non lo sa nessuno, dunque vi prego di essere discreto.»

Marcus annuì. «Dunque i vostri fondi hanno tenuto a galla il clan, facendogli superare una prima tempesta, ma non è questo che vi preoccupa adesso.»

«No» confermò Niniver. Lanciò un'occhiata ai documenti che ricoprivano la scrivania. «Ora temo che anche utilizzando tutti i miei fondi non riuscirò a salvare il clan.»

Marcus non fece commenti per un lungo momento, ma quando lei si limitò a mordicchiarsi il labbro inferiore senza aggiungere altro, si appoggiò allo schienale della poltrona, accavallò le gambe e puntò lo sguardo sugli scaffali dietro alla scrivania. «Una cosa che mio padre ha martellato nella mia testa e in quella di tutti i miei fratelli e sorelle è che quando hai bisogno d'aiuto devi chiederlo. La vecchia usanza di fare tutto da soli non è una forza, ma una debolezza.» Si interruppe un attimo, poi proseguì. «La famiglia Cynster è considerata a ragione una delle più ricche e potenti del Paese e parte di questa ragione – e la vera fonte della sua forza – consiste nel fatto che né la ricchezza né il potere appartengono a un uomo solo o a un solo ramo della famiglia. Per esempio, se sorge un problema legato alla politica o al governo, le persone a cui rivolgersi sono mio zio il duca e sua moglie, la duchessa, con tutti i loro contatti altrettanto influenti. Se il problema riguarda i frutteti, conviene coinvolgere il cugino di mio padre, Spencer Cynster. Per i cavalli i maggiori esperti sono Demon Cynster e sua moglie Felicity. Per gli investimenti finanziari bisogna rivolgersi a Ruper Cynster; per i gioielli, gli oggetti di antiquariato o le case ad Alasdair Cynster e così via.» Riportò lo sguardo su di lei e continuò. «Insomma, il punto centrale è chiedere. Se hai un problema in un campo che non conosci, chiedi a qualcuno di esperto e, se questo non ti sa rispondere, conosce senz'altro qualcuno in grado di aiutarti.» Accennò alle lettere che aveva lasciato sul vassoio. «Volevo saperne di più su Ramsey McDougal e così ho scritto a Glencrae. McDougal viene dalle Highlands e Glencrae è un conte nella posizione ideale per fornirmi l'informazione che mi serve: cosa ci fa ad Ayr il figlio di un laird delle Highlands. Che io sappia, non ha contatti e amicizie locali e questo è il motivo della mia seconda lettera. Gli Hemmings sapranno se McDougal ha degli interessi d'affari legittimi ad Ayr o nelle sue vicinanze. E, se loro non lo sanno, avranno senz'altro qualcuno a cui domandare.» Marcus si fermò ancora una volta, poi riprese a dire: «Ayr è piuttosto lontana dalle Highlands e con tutte le navi che vanno e vengono dal porto, costituisce anche una comoda via di fuga».

Niniver sbatté le palpebre. «Pensate che McDougal sia... un criminale?»

«Forse non arriva a quel punto, ma come avete notato era un compare dei vostri fratelli, il che non fa pensare a un cittadino modello.»

Niniver fece una smorfia e abbassò lo sguardo sulle carte. «In effetti no» convenne.

«Comunque, come dicevo prima, questo è il modo in cui funziona una famiglia ampia e potente. Ci chiediamo aiuto a vicenda e lo otteniamo sempre. Una famiglia che capisce che la sua vera forza consiste nell'assistenza reciproca non conosce rivali.»

Niniver sollevò lo sguardo su di lui. «Io non ho quel tipo di famiglia.»

«No, ma io sì. E voi avete me.»

Era davvero così? Niniver lo guardò negli occhi e vi scorse la forza salda e incrollabile che associava sempre a lui. Marcus le stava suggerendo di chiedergli aiuto. Non aveva bisogno di implorare, soltanto di chiedere, e lui glielo avrebbe subito concesso.

Gli aveva già detto tanto; perché non raccontargli anche il resto? E se fosse stato davvero in grado di assisterla? Allora, per il bene del clan, doveva accettare la sua offerta.

Niniver stava arrivando al limite delle forze ed era pronta ad aggrapparsi a qualsiasi cima di salvataggio le venisse gettata, ma rivelargli la vera fonte della sua ansia non significava anche tentare di legarlo a sé, trattenerlo là e fornirgli un motivo per rimanere? Un motivo che lo avrebbe fatto restare a Carrick Manor almeno per un po', in modo che potessero continuare la loro relazione.

Era quello che voleva, su questo non c'erano dubbi.

Quando era entrato in biblioteca e si era seduto in poltrona, lei aveva pensato che fosse venuto a dirle che intendeva partire e tornare a Bidealeigh, visto che non c'era più bisogno della sua protezione.

E ora invece era tentata di fare appello al suo lato nobile e protettivo. Marcus la stava invitando a chiedergli aiuto e pareva apprezzare quella sfida. Vista in quella luce, la sua manipolazione poteva avvantaggiare entrambi.

Niniver abbassò lo sguardo, esaminò varie pile di carte e ne scelse due. «A quanto pare la difficoltà sta nel mantenere un equilibrio tra i vari affari della tenuta» spiegò.

Marcus prese i rapporti che lei gli tendeva. Mentre lui li esaminava Niniver intrecciò le dita sulla scrivania e gli descrisse i problemi finanziari del clan, un argomento che non aveva condiviso con nessuno.

Il sollievo fu... enorme.

Lui le rivolse delle domande e lei rispose. Ora che aveva aperto le chiuse, non vedeva ragione di trattenere il flusso dirompente delle acque. Se Marcus era davvero in grado di aiutarla, doveva condividere con lui tutto ciò che sapeva.

«Una delle ragioni per cui ero così arrabbiata con i miei aspiranti corteggiatori era che io stavo lottando con tutte le mie forze per il clan e loro mi rendevano la vita ancora più difficile.»

Lui annuì comprensivo, poi le chiese informazioni sulla resa dei raccolti.

Passarono in rassegna ogni aspetto. Marcus la interrogò sulla necessità di diversi pagamenti e quando lei gli spiegò la situazione l'uomo capì e non avanzò obiezioni. Niniver scoprì sollevata che l'ascoltava e coglieva il nucleo di ciò che cercava di comunicargli. Come suo padre – e a differenza dei suoi fratelli – Marcus pareva comprendere l'importanza di tenere conto delle persone coinvolte. In fondo la base di un clan era la sua gente. Alla fine, lui concordò con la sua valutazione: tutte le spese che si potevano ridurre senza danneggiare il clan erano già state tagliate.

Su suo suggerimento, separarono i vari affari del clan e li valutarono separatamente. Per questo dovettero consultare i registri contabili attuali e quelli degli anni precedenti, in modo da poterli paragonare. Marcus prese altri due tavoli dall'altro capo della biblioteca e li sistemò ai lati della scrivania, così da poter appaiare tutti i documenti e avere sott'occhio la situazione completa.

Ferguson venne a informarsi riguardo al pranzo. Niniver gli chiese di portare dei piatti freddi e lei e Marcus li consumarono continuando a lavorare.

Nel corso del pomeriggio abbozzarono elenchi con le spese e le entrate di ogni attività del clan, concentrandosi su quelle dove a breve termine le prime superavano le seconde. Alla fine Marcus spinse via tutte le carte tranne gli elenchi; seduto nella poltrona che aveva trascinato davanti alla scrivania, tracciò una cronologia con entrate e uscite settimana per settimana.

Niniver sbirciò dalla sua sedia ciò che stava scrivendo. La grafia di Marcus non era chiara come la sua, ma si trattava soprattutto di cifre e questo facilitava la lettura.

Alla fine lui tracciò un cerchio intorno a tre pagamenti, si appoggiò allo schienale della poltrona, fissò la cronologia per diversi secondi e poi sollevò lo sguardo sul suo viso. «Questi sono i pagamenti problematici. Per la fine dell'anno sarete in vantaggio, anche se di poco, ma abbastanza da non dovervi preoccupare troppo» spiegò indicando la cifra in fondo al foglio. «Abbastanza da far superare al clan l'anno prossimo e la prossima stagione. Dopodiché, le cose dovrebbero migliorare.»

Niniver attirò a sé il foglio e lo studiò. I pagamenti in questione erano notevoli e superavano i fondi di scorta di cui disponeva. Fece una smorfia, poi ricordò la sua dichiarazione ottimista e lo guardò. «Come farò a superare questi tre problemi?»

Marcus le rivolse un fuggevole sorriso, poi tornò serio. «Per come la vedo io, avete tre scelte. Potete chiedere un prestito a una banca o a un investitore, potete ipotecare le terre del clan, tutte o solo alcune, oppure...» Si interruppe. Non era il caso di suggerire un prestito da parte sua o della sua famiglia; ogni clan aveva il suo orgoglio. D'altra parte dubitava che una banca avrebbe concesso un prestito a un clan capeggiato da una donna e ipotecare le terre era complicato. Marcus si concentrò sul foglio coperto dalla propria scrittura, corrugò la fronte e allungò una mano. «Fatemelo rivedere.»

Lei gli porse il foglio.

Lui esaminò le due colonne, notando il flusso di cassa. «Se riuscirete a uscirne in positivo, si potrebbero alterare i tempi di pagamento, in modo da aiutare il clan a restare a galla.» Osservò il foglio con una smorfia. «Dobbiamo tornare ai nostri primi calcoli e capire che cosa va in ognuno di questi pagamenti e anche se si possono dividere in somme più piccole, da estendere per periodi più lunghi.»

All'inizio Niniver non riuscì a capire che cosa avesse in mente, ma quando lui le mostrò ciò che intendeva si gettò nell'ardua impresa di dividere le somme in precedenza consolidate. Marcus lavorò sulle spese e lei sulle entrate.

Passò un'altra ora. Ferguson li rifornì di tè e grosse fette di torta alla frutta secca e loro consumarono tutto distratti. Spazzarono via le briciole dalla scrivania e continuarono a scrivere e a calcolare. Marcus gettò un'occhiata alle cifre da lei fornite e rimase impressionato dalla sua accuratezza. Niniver era molto più affidabile dei fratelli.

Stava calando la sera quando finalmente riposero i registri contabili, riordinarono la pila di appunti e misero insieme le previsioni di entrate e uscite, divise in pagamenti settimanali.

Marcus appoggiò i palmi sulla scrivania, si puntellò sulle braccia ed esaminò le cifre. Niniver si mise vicino a lui e fece la stessa cosa, mordicchiandosi il labbro inferiore.

Lentamente si fece strada dentro di lui un senso di trionfo. Prima di abbandonarsi a false speranze si costrinse a controllare tutto per due volte, ma alla fine si convinse che potevano farcela. Le rivolse uno sguardo in tralice e indicò quattro nomi, corrispondenti a quattro ingenti pagamenti distribuiti nel corso dell'anno. «Se comunicate a questi mercanti che il clan desidera versare regolarmente una somma mensile, pareggerete i pagamenti in modo da non ritrovarvi mai a corto di fondi.»

Niniver esaminò i quattro nomi e corrugò la fronte. «Dite che accetteranno?»

«Sì.» Marcus si raddrizzò con una risatina. «Preferiscono accordi del genere, perché così si sentono più sicuri di venire pagati con versamenti regolari e affidabili che aiutano il loro flusso di cassa. In questo modo il clan effettuerà i primi pagamenti prima che sia necessario versare il denaro. Ora di agosto e poi qui e qui...» Marcus indicò le date sui fogli. «... il clan si troverà in arretrato, ma solo per quel mese. I mercanti però non lo vedranno come un problema, perché ormai si sarà instaurata l'usanza dei pagamenti mensili.»

Si interruppe un momento, poi proseguì. «Loro otterranno sicurezza e certezze e voi supererete tre movimenti di denaro difficili e potrete tranquillamente guidare il clan attraverso quest'anno.»

Niniver si lasciò cadere nella sedia dietro alla scrivania. Marcus fece il giro e prese posto nella poltrona che le stava davanti.

Alla fine Niniver sollevò lo sguardo. I suoi occhi color fiordaliso erano colmi di emozione. «Grazie» mormorò con sincera gratitudine. Poi tornò a guardare le carte che rappresentavano un vero e proprio piano di salvataggio.

Marcus sapeva che il clan contava molto per lei, che prendeva sul serio il suo ruolo di guida, eppure dietro le sue parole avvertì un livello più profondo di impegno.

«Niniver?» Non sapeva bene come chiederglielo e non era sicuro di ciò che percepiva, ma doveva capire come stavano le cose. Quando lei sollevò lo sguardo indicò con un ampio gesto tutto ciò su cui avevano lavorato per gran parte della giornata. «Perché?»

Lei lo studiò per un lungo momento, poi parlò con voce sommessa. «Il giorno del funerale di mio padre ho indugiato per un po' davanti alla sua tomba.»

Marcus ricordò quel momento e annuì.

«Io...» Il suo sguardo divenne distante. «Si potrebbe dire che lo capivo, di certo meglio di Nigel, Nolan e Norris» continuò aggrottando le sopracciglia. Trasse un profondo respiro, lo sguardo ancora perso nel vuoto. «Sapevo che era stato assassinato e che con Nolan come laird le cose non sarebbero andate bene. Non nel modo che mio padre voleva o aveva pianificato.» Si interruppe ancora, poi riprese a parlare, come inseguendo quel ricordo. «Sapevo che non mi vedeva mai davvero, che non avrebbe mai immaginato che potessi realizzare qualcosa per il clan. Eppure mentre me ne stavo là, davanti alla sua tomba, ho sentito... ecco... ho sentito che cosa significava essere una Carrick.» Tornò a concentrarsi sul viso di Marcus. «Quel giorno ho fatto un voto a mio padre e ai Carrick venuti prima di me: ho giurato che avrei fatto tutto il possibile per riparare ai torti commessi dai miei fratelli e che avrei riportato il clan alla prosperità.»

Era per questo che aveva versato i suoi fondi personali nei conti del clan e che ora cercava di sistemare le cose senza curarsi del prezzo da pagare.

Niniver sollevò il mento risoluta. «Considero quel voto una promessa sacra, un obbligo indistruttibile nei confronti di mio padre e del clan e farò tutto quello che devo per realizzarlo» dichiarò solenne e sincera.

Il suo sguardo era quasi di sfida, come se temesse che lui si prendesse gioco del suo impegno.

Niente avrebbe potuto essere più lontano dai suoi pensieri e dalla sua reazione istintiva. Marcus incontrò lo sguardo di Niniver e inclinò la testa. «Grazie per avermelo detto. Ora per me è più facile capire cosa volete fare.» Ed era anche più facile aiutarla.

Niniver aveva tante sfaccettature; una vita intera forse non sarebbe stata sufficiente a scoprirle e a esplorarle tutte. Rivedendo la situazione alla luce di quel giuramento, Marcus poteva capire l'impegno profuso nel riportare a galla il clan e la fonte da cui scaturiva la sua indomabile forza di volontà.

L'impegno era qualcosa che lui capiva. Dire che era rimasto impressionato da quella giovane donna era un eufemismo: ogni volta che gli pareva di averla capita, Niniver rivelava un altro elemento del proprio carattere che non solo lo attraeva, ma gli toccava l'anima e risuonava con tale chiarezza da lasciarlo incantato.

Il gong che ricordava di vestirsi per la cena riecheggiò in tutta la casa. Entrambi lanciarono d'istinto uno sguardo verso la porta, tornarono a fissarsi e poi abbassarono gli occhi sulla quantità di documenti sparsi dappertutto.

«Dovremmo metterli via.» Niniver si alzò e raccolse i fogli che rappresentavano il piano di salvataggio del clan.

Felice che avesse usato il noi, Marcus si alzò a sua volta e indicò una pila di appunti. «Teneteli dove potete consultarli rapidamente e controllate le somme a mano a mano che vengono versate» le consigliò.

Niniver annuì, infilò le carte nel primo cassetto della scrivania e si mise a riordinare la stanza insieme a lui.