Gli urli di Juanita si sentivano
fin dopo l’incrocio

Nel barrio non c’era nessun bambino a cui piaceva giocare alle barbi o alle bambole, ma con Juanita Banana facevamo quello che volevamo. Gli davamo sempre la barbi più brutta coi vestiti più buzzurri e lui la prendeva come chi trova un antico tesoro, e diceva ciao, sonochaxiraxiesonomoltocarina, con la voce da uccellino. Juanita Banana moriva dalla voglia di essere invitato a giocare con le barbi perché lui a casa non ce le aveva. Il nonno di Juanito diceva che i ragazzi di oggi tirano tutti al finocchio. Ecco perché, quando veniva a giocare con noi, Juanita Banana portava il pallone, perché nessuno sapesse cosa facevamo davvero. A nonna non importava che Juanito giocasse alle bambole con noi, a volte ci giocava perfino lei, anche se il suo modo di giocare era diverso. Lei le lavava e le puliva perché erano più sudice dei bastoni di un pollaio a forza di strusciarle sui mucchi di sabbia dei cantieri che c’erano fuori dalla casa di nonna, e alla fine ce le lasciava sui gradini all’entrata, più pulite dei sassi del torrente, belle e benvestite.

Con Juanita Banana giocavamo anche a biglie. Quello che aveva più biglie era lui, perché ai bambini regalavano sempre più soldi per le biglie e le altre raccolte di giochini mentre noi avevamo solo quattro o cinque stronzate in tutto. Juanita Banana aveva una biglia bianca coi glitter meravigliosa a cui io e Isora facevamo da tanto tempo la posta. Isora non sapeva giocare a biglie ma si inventava le regole e essendo attaccabrighe e pure una testa dura alla fine vinceva sempre. Diceva buca!, anche se non era vero. Un giorno, quando Juanito si alzò per andare a pisciare dietro un cespuglio di acetosa, Isora gridò ho fatto buca, stronzo! E quando Juanita arrivò di corsa coi pantaloni tutti pisciati dalla fretta, Isora si era già presa la biglia bianca glitterata che non si rivide mai più. Altre volte giocavamo al ghemboy per ore. Juanita aveva la advans, e ce l’avevo anch’io, ma la protagonista restava Isora, perché la cartuccia piratata era la migliore. Mentre Isora vinceva e passava tutti i livelli, Juanita e io ci piazzavamo dietro di lei, a guardare attentamente da sopra le spalle, magari l’omino annegava o prendeva fuoco, però non moriva mai. Isora s’inventava le regole di tutti i giochi, perfino quelle del ghemboy. Se qualcosa non gli riusciva diceva solo che toccava di nuovo a lei perché il gioco era suo, che anch’io e Juanita avevamo un ghemboy, e la discussione finiva lì. Io desideravo giocare a Hamtaro come le patate desiderano la pioggia.

Era mercoledì e il vulcano si vedeva a pezzi dietro i fiocchi di nuvole che scivolavano piano in mezzo ai pini. Lo strato di nubi era spesso, ma c’era vento e a volte il sole scappava fuori dalle fessure del bianco e ci accarezzava le spalle. Eravamo sui gradini d’ingresso della casa di nonna. Sopra le nostre teste c’era una buganvil gigante rosa con cui a volte m’inventavo la storia che vivevo in un castello con giardini e leoni. Juanito stava giocando con Chaxiraxi, la barbi che aveva la faccia in dentro, la barbi più brutta di tutte. Chaxiraxi aveva addosso un vestito che aveva fatto nonna con la stoffa del copriletto, perché Isora e io avevamo dato fuoco ai vestiti veri che erano troppo orrendi. Isora e io avevamo le solite barbi. La sua quel giorno si chiamava Jennifer López e la mia Saray, come la bambina che faceva la cacca da tutte le parti. Le nostre barbi erano le due superbelle e avevano uno scignon tiratissimo. La barbi Chaxiraxi ci stava raccontando che l’aveva data a un uomo che puzzava di vino dietro il bar di Antonio. Isora mise la faccia di Jennifer López accanto a quella di Saray e gli disse pianino senti, mi sa che questa Chaxi si dedica alla prostituzione e Saray rise ihihih, coprendosi la bocca con la mano. A volte eravamo davvero crudeli con Chaxi, ma a Juanita Banana piacevano da morire le nostre stupidaggini e si pisciava addosso dal ridere. Chaxiraxi si mise a volare nuda sopra i vasi di palme che nonna aveva messo in cima ai gradini d’ingresso. Isora diventò una belva perché Juanita alla fine incasinava sempre tutti i giochi. Non si accontentava di fare cose realistiche, alla fine volava, sfracellava le barbi in un burrone o sputava fuoco dalla bocca. Juanita, porcoddio, disse Isora, o fai le cose bene o non giochi più! E propio allora sentimmo dei passi sulla strada, una voce buia come una grotta, raschiata, antica. Juan, vieni qui immediatamente! Era il nonno di Juanito, e aveva la cinghia in mano. Arrivò da noi e gli tolse Chaxiraxi di mano. Dalla paura mi venne una fortissima voglia di pisciare. Isora disse che Juanito ci stava solo aiutando a sistemare le barbi, ma fu uguale. Il nonno lo prese per un orecchio e glielo strizzò come fosse uno straccio da cucina bagnato, poi lo trascinò sulla strada e lo spinse in casa. La barbi rimase lì buttata per terra a gambe spalancate. Sul suo corpo nudo cadeva l’ombra della buganvil. Isora mi tappò gli orecchi con i diti. E io li tappai a lei. Ci guardammo negli occhi senza muoverci per un pezzo. Dentro gli orecchi cominciai a sentire un battito forte, come se avessi un cuore dentro la testa, tuntuntun, il mio battito premeva i diti schiacciati contro le pareti del mio corpo. Mi concentrai, ma sulla punta dei miei diti invece non c’era nulla. Non c’era battito, come se dentro il suo corpo non ci fosse cuore, solo budella.

Togliemmo i diti. Gli urli di Juanita si sentivano fin dopo l’incrocio.