Te lo Ricordi
Q uel giorno là.  Anche tu te lo ricordi, Igor?
Io ho aspettato quel pomeriggio per mesi, l'ho immaginato così tante volte anche se non avrei mai potuto sapere come sarebbe andata per davvero. Ho indossato i miei jeans migliori, quelli che mi fanno un culo da urlo, e la t-shirt nera dei Metallica che da sempre mi porta fortuna, o almeno così credo. Ero nervosa, mi sudavano i palmi delle mani, su quel maledetto treno ero già andata a fare pipì almeno dieci volte, l'ultima poco prima che entrassimo in stazione. Con la borsa stretta al petto a far l'equilibrista dentro a quel minuscolo cesso, col cuore a mille a pensare a quello che poco dopo sarebbe successo.
Il treno si è fermato, in orario come pochi, ed io mi sono guardata in quello specchio sbeccato. Mi tremavano le mani e la nausea mi stringeva lo stomaco. Ho pensato “ora posso scomparire? Perché se posso allora questo è il momento giusto” .
E lo sapevo dal principio che sarebbe stato meglio evitare, sarebbe stato meglio scappare e non tornare, ma proprio in quell'attimo mi è arrivato il tuo messaggio.
“Ti aspetto qui fuori dalle scale” con un cuoricino rosso finale che mi ha annebbiato definitivamente il cervello. Ho chiuso gli occhi inspirando a fondo poi mi sono presa di coraggio e sono scesa da quell'Intercity vecchio stampo.
L'aria pesante di Milano Centrale mi ha riempito i polmoni mentre camminavo a passo svelto verso quello che, già si sapeva, sarebbe stato l'errore più grosso della mia vita. Non che me ne fregasse davvero qualcosa, lo avevo messo in conto che avrei sbagliato. Che avremmo sbagliato entrambi, perché oggi sono certa l'avessi messo in conto pure tu quell'errore madornale. Ma ce l'eravamo detti spesso, “se tutto questo ci rende felici allora facciamolo” e alla fine lo stavamo facendo per davvero. Volevamo entrambi capire se quella felicità fosse reale, non solo virtuale. Era giusto così o almeno ci sembrava.
Ti ho visto subito. Non che spiccassi poi così tanto, eri un uomo normale in mezzo a un sacco di altri uomini normali, ma io ho impresso in testa ogni tuo singolo lineamento e ti avrei riconosciuto fra mille. L'espressione un po' agitata sul tuo volto che nell'incrociare il mio sguardo si è trasformata in un sorriso, quel tuo bellissimo sorriso, è stata la conferma definitiva. Ho ridacchiato anch'io nel guardarti quella prima volta dal vivo sentendomi ancora più stupida del normale.
Dopo tutti quei mesi e tutti quei chilometri di distanza ci siamo ritrovati così, di colpo, a pochi centimetri l'uno dall'altra. L'imbarazzo di quel momento è stato grande. Ci hai pensato tu a rompere quel sottile muro di disagio fra noi tirando fuori una sigaretta.
«Smezziamo?»
Io avrei dovuto dire di no a quel vizio che mi ero tolta anni e anni prima ma a te non avrei saputo negare niente, così ho annuito. Tu hai acceso quella Marlboro e ce la siamo fumata insieme, un tiro tu e uno io, senza dirci nulla, solo guardandoci. E quello è stato il primo momento in cui ci siamo sfiorati, quello è stato il primo momento in cui le nostre salive si sono mischiate, passandoci una tua sigaretta che io di certo non avrei dovuto fumare.
Poi mi hai fatto un cenno con la testa verso la metro, che eri uno di poche parole d'altronde lo avevi sempre detto. Complici la calca di persone, le luci soffuse, i volti poco raccomandabili che si vedevano qua e là ci siamo ritrovati ancora più vicini. Alla fine mi hai preso per mano, io non te l'avrei voluta mollare più. In quel momento ho pensato a quanto fosse grande la tua dentro la quale la mia si perdeva, uno dei tanti dettagli che non dimenticherò mai .
Siamo scesi a quella fermata di cui ora neanche ricordo il nome, davanti a noi l'insegna luminosa di un albergo senza troppe pretese. C'eravamo.
Il tipo alla reception ci ha guardato credendoci una coppia come tante, non che avesse poi tutti i torti nel crederlo, i cerchietti d'oro agli anulari sinistri ce li avevamo entrambi. Ci ha chiesto i documenti, ci ha dato le chiavi, ci ha persino detto “buona permanenza” . Chissà se quel ragazzo ricciolino si è anche chiesto perché non avessimo bagagli, perché io fossi così agitata, perché tu fossi così dannatamente rilassato.
Ma a ripensarci adesso, chi cazzo se ne frega.
Per salire al nostro piano abbiamo preso l'ascensore senza sfiorarci, poggiati alle due pareti opposte. Non te l'ho detto mai ma a guardarti in quel piccolo spazio chiuso mi veniva da ridere, per questo evitavo i tuoi occhi verdi, mi mordevo il labbro e tenevo le mani dietro la schiena a torturarsi l'una con l'altra.
345, il numero della camera non me lo potrò scordare mai. Tu che armeggiavi imprecando con la chiave in quella vecchia serratura senza riuscire ad aprirla mi hai fatto un po' di tenerezza. Ti ho sorriso.
«Dai Igor ti prego lascia stare, faccio io!»
Ti ho sfilato la chiave dalle mani e mi sono messa davanti a te, per la prima volta così vicini, il tuo petto praticamente poggiato sulla mia schiena. Sì, decisamente, c'eravamo.
A quel punto tu mi hai scostato i capelli e hai cominciato a baciarmi sul collo fino a farmi venire i brividi, quelli che da tempo non vedevo l'ora di provare. Di colpo mi sono passate tutta l'agitazione e tutta l'ansia e tutto l'imbarazzo, mi è tornato in mente quanto in tutti quei mesi di messaggi e chiamate ti avevo desiderato da impazzire. E l'ho capito. Se ti posso avere anche solo per un'ora allora devo approfittarne, togliermi lo sfizio e non pensarci. Andrà bene anche così.
Dopo aver aperto la porta mi sono girata e ti ho preso per la giacca trascinandoti dentro alla stanza con me mentre ti baciavo con foga. Avrei voluto essere più romantica in quel nostro primo bacio ma la realtà è che ti bramavo e basta. Ti ho messo tutta la lingua in bocca, non che la cosa ti abbia fatto schifo, io posso dirlo con sincerità che nonostante tutto non me ne sarei pentita mai.
E mentre ci baciavamo con passione ci siamo spogliati, i nostri vestiti lanciati alla rinfusa ovunque nel buio di quella camera che mi rimarrà in testa per sempre come per sempre mi rimarrai dentro pure tu.
Ti ho spinto verso il letto e ti sono salita sopra con in mente l'idea di scopare e basta, un po' come nei peggiori film porno, ma invece alla fine è andato tutto un po' così, a caso. Perché mentre io ero a cavalcioni su di te di colpo fra noi è diventata una questione fin troppo romantica fatta di baci, di lingue, di saliva e di mani che esploravano curiose l'altro. Ed eravamo pelle contro pelle così vicini che il rumore del mio cuore faceva fatica a distinguersi dal tuo.
E sì che me l'ero ripromesso e ripetuto come un mantra, solo sesso niente amore , invece dopo poco più di mezz'ora tutti i miei progetti stavano già andando a farsi benedire.
Ma alla fine a pensarci adesso meglio così.
Tu quel giorno era come se non volessi perderti niente di me, in quel momento sembravi l'unico uomo sulla terra a conoscermi per davvero, di certo meglio di chiunque altro fosse passato lì prima di te. Le tue mani mi perlustravano centimetro per centimetro la pelle nuda, la tua lingua mi carezzava il collo e le tue dita mi entravano dentro lentamente. Io ero eccitata da morire, a dirla tutta solo l'idea di viverlo quel momento con te mi aveva già fatto bagnare molte volte. E finalmente stava succedendo davvero.
Tu mi hai preso così, con una mano sulla schiena e una sulla coscia mentre mi leccavi il seno, io che mi muovevo lenta sopra di te e ti sentivo tutto dentro di me. Eri mio, ero tua. E mi piaceva da andarci fuori di testa, da andarci sotto per sempre. E alla fine non mi è servito neanche troppo tempo, in quella posizione e con tutto il desiderio di te che mi portavo dietro da mesi sono venuta molto in fretta, un orgasmo difficile da dimenticare. Il primo. Fra gli ansimi e i gemiti sentivo il mio piacere che ti colava addosso, magari un po' mi sarei anche dovuta vergognare ma non me n'è fregato niente.
Mi sono staccata da te velocemente guardandoti negli occhi, tu un po' perplesso mi hai chiesto
«Maya tutto ok?»
Io sorniona e maliziosa ti ho sussurrato uno shhh mentre mi mettevo un dito sulla bocca e poi mi sono inginocchiata davanti a te, fra le tue gambe. Te l'ho preso in bocca senza pensarci due volte, tu sapevi di me, quel qualcosa in più che mi è piaciuto da morire. Lo so che è piaciuto pure a te, l'ho capito mentre te lo succhiavo e tu ti bagnavi riempiendomi la bocca, una cosa che normalmente mi avrebbe dato fastidio ma non con te, non quella prima volta, probabilmente forse mai. Allora l'ho preso tutto dopo averlo leccato, mi ci sono quasi strozzata mentre con la lingua giocavo a farti impazzire e con le mani ti sfioravo lentamente l'interno coscia. Tu hai iniziato a respirare sempre più veloce, mi hai sussurrato di non smettere ed io ho cominciato ad andare più veloce, sempre più veloce. A quel punto tu mi hai preso per i capelli allontanando di prepotenza il mio viso da te .
In quella stanza in cui non ci siamo preoccupati di niente era quasi buio, ma d'altronde non c'era bisogno di luce per sapere cosa volessimo entrambi. Ci siamo guardati negli occhi sapendo bene tutti e due che era arrivato il momento di farlo, di scoparci forte. L'urgenza di sentirci una di proprietà dell'altro era diventata all'improvviso impellente.
E così io mi sono messa in piedi, piegata a novanta sulla scrivania, le gambe ben aperte, umida e desiderosa come mai prima. Senza neanche bisogno di dirti niente tu me lo hai infilato dentro con forza per poi finalmente scoparmi con frenesia, veloce e fino in fondo, quasi violento. Una cattiveria che comunque mi è piaciuta molto, d'altra parte era un qualcosa che desideravo da così tanto. E tu in quel momento mi hai affondato le unghie nelle natiche digrignando i denti, il rumore inconfondibile delle pelle nuda di entrambi che sbatteva diventando un suono quasi magico per noi. Io mi sono aggrappata a quel tavolo da quattro soldi, per ogni colpo un gemito e uno strillo, avrei voluto dirtelo che mi stavi facendo un po' male ma alla fine non era così importante.
Perché lo volevo, lo volevo tantissimo, e mi piaceva, mi piaceva tantissimo.
Poi mi hai detto sospirando “sto per venire” ed io ti ho fermato, ti ho chiesto di aspettare, ti ho implorato di trattenerti. Volevo essere presa da dietro, volevo farti venire dentro di me. Lo sentivo fin dentro alle ossa quel bisogno di averti per intero, in un modo o nell'altro. Non ti stavo guardando in faccia ma non serviva, mi immaginavo il tuo sguardo eccitato, da porco, ed era proprio quello il mio intento.
Tu senza pensarci due volte mi hai soddisfatta. Dopo esserti fatto strada prima con una poi due poi tre dita, sei uscito da me per rientrare al posto giusto, quello che ti ho supplicato io di colmare. Me lo hai messo dentro piano ma per intero, una sensazione così bella che non sono riuscita a pensare ad altro, non mi ha neppure fatto male. Mi sono tirata su con la schiena fin quasi a essere parallela a te, ho stretto il mio seno fra le mani e tu hai messo le tue sopra alle mie per poi scoparmi così, meno veloce ma comunque prepotente e smanioso.
Ed è bastato proprio poco. L'ho sentito che stavi per venire, il respiro affannato e le dita che sprofondavano nella mia carne morbida alcune prove evidenti, quindi ho cominciato anche io a muovermi lenta, colpi decisi e profondi. Tu mi hai stretto ancora più forte mentre col viso poggiato nell'incavo del collo mi sussurravi
«Cosa sei Maya? Dimmelo.»
«Sono la tua troia, Igor»
E a quelle mie parole sospirate tu sei venuto di getto dentro di me. Mentre il tuo piacere mi colava fra le cosce mischiandosi con il mio mi sono girata verso di te e ti ho baciato stringendoti il viso con una mano. Tu sei uscito da me e mi hai abbracciato, mi hai stretto forte a te, mi hai passato le dita fra i capelli, mi hai leccato i tatuaggi e il sudore sul petto per poi tirarmi su di peso e portarmi a letto. Ci siamo sdraiati a cucchiaio, tu dietro di me, la mia testa poggiata sul tuo braccio, le nostre mani intrecciate sul mio petto.
E non mi sono neanche resa conto di quanto tempo fosse passato. Un'ora? Due? Forse anche un po' di più, non mi importava proprio, stavo troppo bene lì con te addosso a scaldarmi e sussurrarmi parole dolci nell'orecchio. Con la mano libera tu mi accarezzavi il corpo nudo, io che in vita mia non avevo mai amato essere toccata ma da te invece mi sarei fatta toccare anche per sempre. E a quel punto io non ero più la solita tipa di molte parole, strano ma vero, mi è scappata solo qualche risatina nervosa che tu mi hai dato segno di aver capito ridendo insieme a me.
Eravamo felici? Credo proprio di sì.
In quel momento solo nostro non mi importava più di sembrare la pessima persona quale invece probabilmente sono sempre stata. Tu sapevi di piacermi, perché mi piaci davvero, ed io sapevo di piacerti, perché ti piaccio davvero. Di tutto il resto che cazzo ce ne poteva fregare? Mi sarei potuta pure addormentare mentre tu mi abbracciavi e mi accarezzavi così e per una come me, una che non dorme quasi mai, quello sì che era qualcosa di speciale.
Poi di colpo però sono tornata alla realtà.
Ho pensato all'assurda situazione in cui ci eravamo cacciati, a tutto ciò che entrambi avevamo da perdere, a tutti quelli che avremmo potuto ferire e far soffrire per un nostro neanche troppo semplice sbaglio. E allora te l'ho chiesto.
«Quanto durerà tutto questo, Igor?»
«Il tempo che deve durare, Maya.»
«E ci farà stare male?»
«Mi fa già star male solo l'idea di lasciarti ma…»
«Ma deve andare così.»
Mi hai infilato il viso fra i capelli annusandomi mentre mi stringevi ancora un po' di più a te. Io ho chiuso gli occhi già umidi per quell'inganno orrendo che era stato il nostro conoscersi, desiderarsi, volersi, trovarsi, cercarsi, scoparsi e forse anche un po' amarsi.
Sapevamo già dal principio com'era ovvio sarebbe andata a finire ma c’eravamo comunque caduti dentro entrambi, giù a picco come due pazzi che si buttano da un aereo senza paracadute. Ed è stato bellissimo, certo, un momento estremamente felice che però ci ha portati poi sul baratro della malinconia. E mentre accarezzavi dolce le mie mani fredde con le tue dita lunghe io ho sentito il tuo cuore battere veloce sulla mia schiena.
In quel momento mi sono immaginata una vita con te accanto, qualcosa di così impossibile da realizzare, mi sono persa nei flash di momenti che non sarebbero mai stati davvero nostri e ho realizzato quanto tutto quel nostro pomeriggio insieme fosse sbagliato, quanto fosse solo una stronzata, gigantesca e senza senso, dolorosa e a tempo perso.
Allora mi sono alzata di scatto slacciandomi dalla tua presa, mi sono chinata a raccogliere i vestiti per buttarmeli addosso, le lacrime mi stavano già rigando il viso ed io volevo solo andare oltre. Volevo semplicemente andarmene.
Tu sei rimasto sdraiato nel letto a guardarmi senza dire niente, senza fare niente. Avrei voluto sentirti dire “no non farlo, resta qui, troveremo una soluzione!” ma lo sapevo bene che il tuo ennesimo silenzio era meglio di qualsiasi inutile bugia.
Mi sono messa sulle spalle la giacca di pelle e mi sono avviata alla porta, sarei dovuta uscire in quell'istante per andarmene per sempre invece non ce l'ho fatta. Non ce l'avrei fatta più.
Sono tornata indietro e ti ho baciato, un bacio carico di disperazione e dolore che non riuscirò mai più a ricacciarmi dentro. Un bacio, solo uno ancora. Forse l'ultimo, forse no.
«Ci rivedremo, Maya.»
«E farà sempre così male, Igor?»
Mi hai preso il viso fra le tue grandi mani screpolate, hai poggiato la tua fronte sulla mia poi hai preso un respiro profondo e con quel tuo marcato accento milanese che tanto mi aveva sempre fatto eccitare me lo hai sussurrato all'orecchio
«Meglio una vita felice con te che ne fai parte in questo modo sfigato piuttosto che una vita infelice sapendo che esisti ma io non posso averti. Me lo hai scritto proprio tu, te lo ricordi Maya?»