Quanto ti Vorrò
« …e quanto ti vorrò per sempre, Maya.»
Stava arrivando il momento di salutarci. Ho pensato a Lei, a casa coi nostri figli, di certo li stava facendo addormentare entrambi fra le sue braccia nel lettone. Mi sono sentito un pezzo di merda per quello che le stavo facendo, per quello che dopotutto non si meritava. O forse sì. Ti ho guardata negli occhi, erano lucidi.
«Non ti dispiace?»
«In che senso?»
«Per Lui.»
Hai sospirato e hai scosso la testa. Lo sapevo bene com’era la tua situazione, quella dalla quale saresti volentieri scappata ma nella quale eri dentro fino al collo. Per te non era solo un matrimonio, per te quello era tutto. Lui era tuo marito, il tuo capo, la tua vita. Il tuo grande amore, anche, e la tua rovinosa disgrazia. E tutto ciò che c’era di contorno, quante volte me lo avevi raccontato? Com’era possibile che tu, così riservata, fossi riuscita ad aprirti proprio con me che ero un totale sconosciuto ?
“Perché mi fido di te, Igor, e mi sembra sempre che tu non abbia nessun interesse a farmi sentire sbagliata o peggio inadeguata, mi sembra sempre che tu a me ci tenga per davvero.”
Quelle tue parole mi rimbombavano spesso nelle orecchie, avevo riascoltato quel tuo messaggio vocale milioni di volte, lo avevo imparato persino a memoria. Ogni volta quello che dicevi mi era sembrato sensato. Magari avremmo dovuto parlare di cose serie in quell’unica opportunità che la vita ci stava concedendo. Magari faccia a faccia avremmo potuto risolvere, capire, mettere i puntini sulle giuste i. Invece avevamo finito per scopare, come volevamo entrambi fare, alternando discorsi stupidi fatti già mille altre volte. Forse, oltre all’assaporare i nostri corpi e al dare libero sfogo ai nostri cervelli, sarebbe servito a entrambi scoprire anche i nostri cuori ma non lo abbiamo fatto. In ogni caso, non me ne pento.
Mi hai messo le mani sul bavero della camicia e mi hai tirato verso di te, hai cominciato a sbottonarmela e poi sei scesa a leccarmi il collo e il petto mentre mi spogliavi. Lenta e seducente, non avevo bisogno di pensarci, mi era già diventato di marmo. Era l’effetto che mi facevi tu, tu e nessun’altra in quel periodo. Una delle tante cose assurde che a te mi legavano, dal primo momento in cui ti avevo vista mi era bastato pensarti che già ero pronto per volerti. Ti sei alzata in piedi, ti sei tolta i pochi vestiti che ancora avevi addosso e sei rimasta nuda davanti a me, con le mani sui seni e lo sguardo un po' corrucciato. Ti sei morsa il labbro inferiore, hai sorriso.
«Sesso d’addio?»
Io non ti ho detto niente, ho solo annuito. Quelle parole mi riecheggiavano potenti dritte come fitte dentro al cuore. Inutile negarlo, facevano male. L’addio era qualcosa di definitivo, qualcosa che io e te non ci saremmo meritati di vivere così presto. Eppure lo sapevamo che sarebbe andata a finire così, lo sapevamo che ci eravamo messi a giocare a una roulette russa del cazzo, lo sapevamo che avremmo finito per rimanerci secchi entrambi. E nonostante lo sapessimo, avevamo voluto comunque rischiare. In quel momento era stato chiaro che, però, avevamo entrambi perso.
Mi sono alzato in piedi e ho sfilato anche io i vestiti rimanendo nudo a pochi passi da te, ti ho presa per mano e ti ho trascinato addosso a me. Abbiamo cominciato a baciarci, gli occhi chiusi, gustandoci l’un l’altro come se fosse la prima volta, come se fosse anche l’ultima. Ti ho tirato su di peso, ti ho spinto verso il muro, tu hai intrecciato le gambe al mio torace. Avrei potuto prenderti così, con forza e cattiveria, avrei voluto. Ma non ci sono riuscito. Se doveva essere sesso d’addio allora volevo che fosse un bel momento da ricordare in futuro, qualcosa che avesse sì il retrogusto amaro dell’ultima volta ma principalmente il gusto dolce dell’esserci quantomeno stato.
Mentre ci baciavamo ci siamo guardati, nei tuoi occhi c’era l’eccitazione dell’attesa, quasi mi stessi implorando di scoparti, ma c’era anche un barlume di tristezza. Mi hai fatto tenerezza. D’altra parte ero parecchio triste anche io.
I nostri corpi erano ancora legati insieme, ci siamo sdraiati nel letto, sui fianchi, faccia a faccia per poterci godere il viso l’uno dell’altra durante questa nostra ultima scopata. Volevo guardarti negli occhi mentre venivi, volevo ricordarmi della tua faccia eccitata e ansimante per sempre. Ho fatto scivolare la mano sulla tua pelle liscia fino a entrarti dentro con due dita, era già così bagnata e calda, non ci ho perso molto tempo, non ce n’era bisogno, te l’ho spinto subito dentro con forza.
Hai emesso un gemito sospirando, mi hai messo le mani sulle spalle e ti sei allontanata un po' da me sorridendo. Io ti ho stretto le mani sul seno e tu hai cominciato a muoverti piano, lenta ma con l’impellente necessità di avermi, senza lasciarti sfuggire niente di me. Con le tue gambe ancora attorcigliate alla mia schiena ti davi la spinta, gemevi e ti contorcevi affondando le unghie nel materasso. Avevi la testa buttata all’indietro, gli occhi chiusi, i denti scavavano un solco sul tuo labbro inferiore. Eri straordinaria.
La nostra prima volta, il giorno precedente, era stata violenta, sofferta, cattiva, arrogante, troppo veloce. Non ci eravamo detti quasi niente, avevamo semplicemente scopato come non vedevamo l’ora di fare da tempo. Mi ero preso tutto di te e tu ti eri presa tutto di me, ci eravamo arresi all’evidenza, avevamo bisogno l’uno dell’altra. Quella notte invece, quella che sarebbe stata quasi certamente la nostra ultima volta, il sesso cattivo e necessario si era trasformato. Sì, Maya, era diventato amore. Dolce, sospirato, ritmato, caldo. Avrei voluto non venire mai, avrei voluto guardarti in viso mentre ansimavi ancora per ore. Avrei voluto godere e farti godere così per sempre.
Ti ho messo le mani sui fianchi, ti ho costretta a fermarti. Hai spalancato gli occhi e mi hai guardato arrabbiata, avevi il fiatone e le guance arrossate, lo sguardo accigliato e le labbra arricciate.
«Non ti stava piacendo?»
«Mi stava piacendo troppo. »
«Allora continuo?»
«Voglio che duri il più possibile.»
Hai schiuso le labbra, sono certo volessi fare qualche battuta delle tue, ma alla fine non hai detto niente. Ti sei trattenuta, la cosa più difficile per te, hai sorriso mentre annuivi, mi hai lasciato libero della stretta delle tue cosce e ti sei avvicinata a me. Mi hai preso il viso fra le mani, i nostri nasi lunghi si sono sfiorati, ho sentito il sospiro del tuo sorriso sugli zigomi, mi sono messo a ridere anche io. Ti ho abbracciato forte, più forte e poi più forte ancora. Ti ho stretta a me con una mano sulla schiena e una sulla testa, ho chiuso gli occhi e ho fatto entrare nelle mie narici il tuo profumo, quello che non avrei voluto e non avrei neanche potuto scordare mai.
In quel momento non mi importava del sesso, del mio cazzo duro, del tuo corpo nudo e splendido incollato al mio. Non mi importava dei miei figli, della mia casa, del mio lavoro, della mia vita. Non mi importava neanche dei miei sbagli, dei miei tradimenti, dei miei futuri rimorsi. Non mi importava di Lei.
C’eravamo solo io e te, in quell’attimo, ed era perfetto anche così. Avrei voluto fossimo entrambi liberi da qualsiasi impegno e da qualsiasi legame, se fosse stato così ti avrei chiesto subito di stare con me. Per sempre. Ma il nostro incontro era stato inopportuno sin dall’inizio. Erano sbagliati i tempi, erano sbagliati i modi, era sbagliata le fottuta necessità che continuavamo a sentire entrambi. Era sbagliato il nostro dire spesso adesso basta senza riuscirci mai per davvero.
Eravamo sbagliati noi due insieme.
Però cazzo, lasciamelo dire, io mi ero innamorato di te senza sapere né come, né perché, né quando. Era successo e basta. E faceva male, certo, però allo stesso tempo era anche magnifico.
«Tornerai alla tua solita vita stanotte stessa, Igor, ed io ci tornerò domattina.»
«Lo so, Maya.»
«E quindi forse è meglio fingere, no?»
«Fingere? In che senso?»
«Fingere che siano solo scopate, che sia solo sesso, che non ce ne freghi niente l’uno dell’altra, che sia tutto solo un modo per passare il tempo e avere una qualche soddisfazione fisica.»
«Ed è così?»
Hai allontanato di poco la testa, mi hai guardato, hai sorriso mesta poi hai chiuso gli occhi e sospirato. Non hai detto niente, non ce n’era bisogno, lo sapevamo entrambi. Tu avevi già cominciato a fingere. Lo avevo fatto anche io.
Ti ho messo una mano dietro al collo e ti ho baciato con foga, le nostre lingue che sbattevano e invadevano la bocca dell’altro con insistenza. Ti ho fatta sdraiare e ti sono salito sopra, ho preso un cuscino e te l’ho messo sotto la schiena, poi ti ho preso le gambe e le ho tirare su, sulle mie spalle, e ti ho fatta mia. Quella era la posizione preferita di entrambi, era stata una delle tante cose che avevamo scoperto di avere in comune, ed era anche la posizione in cui, quella prima volta mesi prima, avevamo immaginato di farlo insieme. Forse è anche un po' per quella sensazione amarcord che mi suscitava che ti ho scopata così, con più rabbia di quella che provavo davvero.
Mentre ti sbattevo i tuoi seni facevano su e giù eccitandomi più del normale, tu avevi gli occhi chiusi e le mani all’indietro strette al cuscino, gemevi e sospiravi. Ti ho leccato i polpacci e poi i piedi tatuati, prima a destra poi a sinistra, ho notato solo in quel momento le unghie smaltate di rosso intenso. Ho spostato entrambe le tue gambe s’una mia spalla mentre continuavo a fare fuori e dentro di te, tu ti sei poco poco inclinata di lato. Il tuo respiro secondo dopo secondo diventava sempre più affannato. Ti volevo tutta per me. Ti ho tirato uno schiaffo sul culo per poi stringerlo con una mano, non volevo lasciarti il segno ma invece l’ho fatto.
Hai imprecato, ci siamo fermati un attimo e ci siamo squadrati, ho pensato mi avresti spinto via con un calcio invece sei scoppiata a ridere. Ti ho leccato la gamba fin dove riuscivo ad arrivare, ti ho morso le cosce e poi ho ricominciato a scoparti forte davanti mentre dietro ti infilavo un pollice. Hai ansimato, a metà fra un gemito soddisfatto e un grido di dolore, mi hai piantato le unghie nella coscia e io ho continuato così. E quando hai cominciato anche tu a muoverti, avanti e indietro strusciandoti addosso al mio cazzo, io mi sono eccitato ancora di più. Stavo per venire, lo sentivo ingrossarsi dentro di te e pulsare, ma non volevo godere senza prima far godere anche te, non quella nostra ultima maledetta volta, così mi sono fermato e ho lasciato a te il movimento, tenendoti le gambe strette con un braccio e continuando col mio dito a lavorarti dietro. Non sono passati neanche due minuti, ti sei portata le mani sul seno e hai sussurrato uno “sto venendo” strozzato ed estremamente sensuale. E sei venuta. Mi sono goduto il tuo viso che si modificava. Tu eri accaldata e arrossata, hai chiuso gli occhi mentre tremante ti mordevi il labbro inferiore e mugolavi col respiro affannato, con le mani ti sei stretta il seno e hai smesso di muoverti, il petto che andava su e giù e il cuore che ti esplodeva, ti sentivo pulsare attorno a me bagnata e bollente. Eri un sogno. E non ce l’ho più fatta a trattenermi. Ho dato ancora qualche colpo, forte e profondo, e poi sono venuto anche io dentro di te, un fiume caldo di voglie che avevo da mesi e che di certo queste troppe poche ore insieme non avrebbero sopito. 
Solo in quel momento mi sono ricordato che tu non prendevi nessun anticoncezionale. Me lo avevi detto così tante volte. Mi sono sentito un adolescente alle prime armi, uno scemo come tanti. È proprio per questo che mi sono staccato da te di colpo, imbarazzato e imbranato. Tu hai aperto gli occhi, mi hai preso per un polso e mi hai tirato accanto a te per farmi sdraiare, mi hai preso il viso fra le mani, mi avevi già letto dentro.
«Non ti preoccupare, domani risolvo.»
«Mi dispiace io non…»
«Devi andare.»
«Quindi questo è il nostro addio?»
«Sapevamo che sarebbe successo.»
E avrei voluto dirti un sacco di cose in quel momento, parole dolci, sviolinate, cose non troppo da me, di certo non da te. Mi sono sentito stupido. E così non ho detto niente. Ti ho sfiorato le labbra con le dita, ti ci ho stampato sopra un altro bacio, poi mi sono  rivestito. E poi mi hai colpito dritto al cuore. L’hai sussurrato, forse neanche volevi, io però l’ho sentito.
«Ti vorrò per sempre, Igor.»