Hania era stanca. I generi di conforto con cui traversarono il deserto erano: vettovaglie contate, acqua centellinata, e anche la speranza che potessero bastare era pochina, ma in compenso abbondava la speranza che tanto se la sarebbero cavata. E poi, in fondo dovevano arrivare solo alla Valle degli Zampilli.

Avevano una borraccia a testa, una forma di pane non troppo giovane ma comunque commestibile, e del formaggio di capra. La giovinezza che mancava al pane ce l’aveva il formaggio, che era in effetti una specie di ricotta, e questo era un guaio perché il formaggio vero durava tempi lunghissimi, mentre la ricotta, se non la si mangiava in fretta, cominciava a cambiare odore, sapore e colore, e non in meglio. Avevano anche un pezzetto di carne secca, di aspetto incerto, accompagnato da qualche piccolo striminzito verme, che avevano deciso di tenere come ultima risorsa. Erano avanzati cinque soldi, che Haxen conservava gelosamente.

Hania si rese conto nell’incredibile bellezza del deserto, che era da sempre un luogo di vuoto, di erranti, e di desideri: desiderio di acqua, desiderio di una tavola imbandita, di un letto pulito sotto una volta solida, desiderio di essere altrove. Il desiderio era un elemento fondamentale: dove non c’era desiderio, non c’era movimento, quindi il movimento nasceva da una mancanza. Desiderio conteneva la parola “sidero”, stella. La mancanza spingeva verso le stelle. Se l’uomo fosse stato completo, pasciuto, intero, avrebbe perso il desiderio, il movimento verso le stelle. Però sarebbe stato più contento e con meno male ai piedi.

Capì di avere una nuova capacità che da sempre le era ignota, e che era comparsa quando aveva spezzato il legame con l’oscurità di suo padre. Era come se un muro grigiastro fosse crollato. Ogni giorno che passava, la sua capacità di vedere la bellezza aumentava. Da sempre percepiva le cose, ne conosceva la posizione, ne valutava l’eventuale utilità, ma non era mai riuscita a comprendere la bellezza di un colore, di una luce.

Quando finalmente il sole calava, si sedeva su una duna e guardava le altre dune, in quel mondo fatto di pietre, di sabbie, di sole, di sogno, di nuvole, di cieli implacabili e c’era qualcosa che risplendeva in quel silenzio. Anche i boschi erano magnifici, ora se ne accorgeva, anche l’erba, persino l’acqua, la neve, la pioggia, la rugiada.

Nel deserto, però, si aveva l’impressione di affondare nel cielo stellato. Le stelle non erano solo sopra, erano anche davanti, dietro e di lato, in un silenzio commosso che permetteva di sentire anche il movimento lieve delle bisce, lo squittio infinitesimale dei minuscoli topi del deserto, tutte creature estremamente buone da mangiare. Questo rendeva il deserto un luogo di crudele magnificenza e spietata tenerezza, sempre in bilico sul baratro della morte per sete o per inedia, dove il minimo errore, il più banale incidente poteva farla precipitare e dove la vita brillava in tutto il suo splendore. Un sorso d’acqua diventava felicità assoluta, un topo abbrustolito sul fuoco nella frescura della notte era ben più prezioso di un banchetto regale. Oltretutto dannatamente più buono dei vermi, della carne secca e della muffa della ricotta.

Finalmente giunsero all’oasi dell’Acqua Sacra: racchiusa dentro uno scrigno di argilla infuocata bianca ed arida si spalancò la valle, con i suoi stagni e i suoi zampilli, il verde smeraldo della palme, quello argenteo degli olivi, le file ordinate delle viti.

La valle era davanti a loro e la brezza fresca che si alzava dagli zampilli, le palme, i limoni, i melograni vennero a dare sollievo alle loro facce polverose e madide. Haxen di nuovo espresse la speranza, anzi la certezza, che quel luogo avrebbe potuto accoglierli.

«È un luogo sicuro, il più certo al mondo, contro le trame dell’ombra, ed è ancora all’interno del regno. Gli zampilli cureranno Dartred, i limoni ci disseteranno, i melograni ci nutriranno. Possiamo fermarci qui, riprendere fiato, rasserenarci, poi certo, ce ne andremo dal regno, ma con calma».

Peccato che la valle fosse diventata uno dei luoghi più affollati che si fosse mai visto. Persino la strada centrale di Kaam il giorno del mercato al confronto era luogo di solitudine e silenzio praticamente disabitato. Tutti erano venuti a prendere l’Acqua Sacra: funzionari, armigeri, mercanti, contadini, pastori, famiglie intere, vecchi signori macilenti, nugoli di bambini, carrettieri, e un’intera confraternita di lavandai, che avevano portato cesti di panni così da bagnarli e poi rivenderli a un prezzo maggiorato, come spiegarono anche nel momento in cui si incrociarono. I mandriani erano venuti ad abbeverarci gli animali, che avrebbero aumentato il loro valore a dismisura, mentre i contadini volevano portare via qualche otre così da irrigare i frutteti e poter vendere mele e albicocche che preservassero dall’oscurità.

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Hania quindi non era l’unica ad avere avuto l’idea: sembrava che tutto il Regno del Sette Cime si fosse dato appuntamento lì, solidamente intenzionato a trasformare il sacro in oro, possibilmente tanto. Ovunque c’erano capannelli di viandanti, accampati attorno al fuoco e a una tenda, che aspettavano il loro turno per avvicinarsi alla valle, il cui accesso era controllato da un numero di armigeri che avrebbe potuto fare una guerra, tanto erano numerosi e armati fino ai denti. Guardando con attenzione si accorse che la parte verde della valle era più piccola: gli stagni più esterni erano stati talmente depredati che erano diventate macchie di fango circondate da giunchi spezzati e calpestati tante di quelle volte da essere ridotti a sterpaglia marcia.

Una famigliola che aspettava con ordinata pazienza il suo turno, accampata insieme a quattro otri, all’ombra del melograno nato dalla magia di Hania due lune prima, spiegò loro che tutti erano venuti a prendere Acqua Sacra. L’informazione che la principessa Haxen, figlia del mai abbastanza compianto re Cavaliere, avesse generato una creatura demoniaca e, contro ogni logica, ogni giustizia, ogni decente aspettativa si fosse rifiutata di sopprimerla, ma anzi la portasse in giro, era giunta ovunque.

Gli armigeri erano lì perché si era diffusa l’ulteriore agghiacciante notizia che la principessa Haxen, diventata folle e preda dell’Oscurità, volesse avvicinarsi alla valle per distruggerla, dare fuoco alle splendide piante, bloccare le sorgenti con pietre e malefici, insudiciarle, riempirle di veleno.

Comunque bisognava spicciarsi, perché ormai tutti gli stagni erano stati esauriti, i laghetti ridotti a pozzanghere, resisteva solo la sorgente, che però era minuscola. Aveva creato tutto quel verde e tutto quell’azzurro impiegandoci secoli e, tra non molto, sarebbe diventata di un’uniforme color marrone, cosa che avrebbe ulteriormente aumentato il valore dell’acqua che era stata raccolta.

«Stanno rendendo il mondo pieno di Acqua Sacra» mormorò Haxen. «Tanto di guadagnato. Terrà fuori dai piedi l’Oscuro Signore. Hanno cominciato a rendersi conto che c’è una guerra, una guerra molto più grande di quanto abbiano mai potuto immaginare, anche nei peggiori incubi. Peccato che considerino noi tra i peggiori nemici. Credevamo l’Oscuro scomparso. È più potente che mai. Dobbiamo scappare fino a che siamo in tempo» riconobbe infine.

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Hania riuscì a indicare gli otri e poi l’orrendo bozzo che campeggiava sulla faccia di Dartred.

«Potrebbe guarirmi, quindi. La vostra ipotesi era giusta. È per quello che sono così debole? Certo, è ovvio. La puntura è stata un dolore terribile: una ferita procurata dall’Oscuro. Per questo non guarisce. Per questo tutto sembra amaro, grigiastro, dannatamente pieno di fatica».

Restarono a distanza. Guardarono con tanta simpatia tutto quel verde alla cui ombra non si sarebbero riposati, tutti quei melograni che non avrebbero nemmeno sfiorato, tutte quelle carovane, e soprattutto tutti quegli otri.

«Dobbiamo avere uno di quegli otri» disse Haxen, con tono fermo, perentorio, il tono di una regina che parla ai sudditi.

«È vero. Potrebbe farmi guarire, lo sento anche io, ma andare a prenderla potrebbe portarci all’impiccagione, quindi lasciamo i potrebbe fuori dalla nostra vita. Io non guarirò e loro non ci impiccheranno. Certo: dopo essere guarito sarebbe sufficiente versarne un po’ in terra, attorno a noi, così da fare un cerchio per dormire tranquilli, ma ne faremo a meno. Quegli armigeri sicuramente vi conoscono. Basta che un’unica persona vi riconosca per perderci tutti. Tutti cercano una bambina muta e basterà chiedere ad Hania di pronunciare il suo nome per scoprirla. La frescura è magnifica, i melograni sono buoni, gli zampilli affascinanti, l’Acqua Sacra risolverebbe tutti i nostri problemi, ma non c’è niente da fare e adesso ce ne andiamo. Non possiamo sbagliare nemmeno una mossa. Siamo gli unici difensori rimasti, noi contro tutti» rispose Dartred, con il tono cantilenante del maestro che parla a un bambino: bisognava riconoscere che anche quando diceva qualcosa di sensato riusciva a essere irritante.

«Possiamo comprarne» suggerì Haxen. «Tutti la stanno vendendo».

«Può essere pericoloso».

«No, non lo è. Non sono armigeri, ma persone comuni. Molti conoscono me, ma certo non conoscono voi. Tenete i cinque soldi, zoppicate fino a qualcuno di coloro che vengono via, inventate che avete disagio a raggiungere voi stesso la fonte perché avete un terribile dolore al ginocchio, oppure perché un asino vi è montato su un piede, oppure vi siete ferito al calcagno con un aratro, quello che preferite, e chiedete di acquistare un po’ di acqua. Non è difficile. Ce la farete. Io e Hania vi attendiamo qui» concluse Haxen, anche lei parlando con il tono e la lentezza perfetti per la conversazione con un bambino molto piccolo.

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Dartred si incamminò, raggiunse uno dei carri che partivano pieno di otri, e tornò poco dopo con una specie di minuscola ciotolina fatta con un sasso cavo, sul cui fondo giaceva un po’ di acqua fangosa.

«Fosse stato il più caro dei profumi, ce ne sarebbe di più» commentò Haxen.

«Ho fatto notare anche io che se fosse stato il migliore dei vini la ciotolina sarebbe stata piena, ma mi hanno risposto che posso curarmi il ginocchio e poi andare a prendere quello che manca. Erano molto allegri ma poco concilianti. Non so perché, ma non sono sicuro che funzionerà. È tutto così sguaiato e sgradevole» disse Dartred mettendosi la fanghiglia sulla fronte.

Se il ponfo fosse rimasto identico, avrebbero potuto semplicemente concludere che non funzionava, ma aumentò leggermente e questo fu la prova che un’azione c’era. Haxen capì.

«Se l’Acqua Sacra è stata venduta, e sicuramente venduta anche con disonestà, non solo perde il suo potere, ma ne acquisisce anche uno inverso, diventa leggermente malefica» disse boccheggiando.

Era così. Niente piantagione di melograni. E soprattutto niente più Acqua Sacra.

«Geniale, hanno massacrato tutto per portare via degli otri di una cosa che non solo non li proteggerà da nulla, ma sarà a loro sfavore» continuò Haxen. «Hanno tolto al Regno delle Sette Cime la sua unica difesa e lo stanno riempiendo di facilitatori per l’Oscuro. Per fortuna resta ancora l’acqua della sorgente. Quella non possono profanarla».

«Certo che possono. Basta venderla» osservò Dartred.

«E pensare che fino a qualche giorno fa credevo che la guerra fosse finita e vinta».

«La mia ammirazione è per il vostro intrepido coraggio, mia signora. Il raziocinio, invece, non genera il mio entusiasmo».

«Avevate detto che avreste fatto uno sforzo per la cortesia».

«Cercherò di tenere la bocca chiusa. Non ci sono altri luoghi dove si conservi l’Acqua Sacra, che voi sappiate?»

«Gli eremiti, quelli che vivono nelle Torri Perdute, pare che ne tengano presso di sé, per benedire il mondo e i loro visitatori. Così almeno c’era scritto sulle pergamene su cui ho studiato la geografia del regno. Ce ne sono sette a sud della valle. Il confine con il Regno dei Mercanti è dopo la settima torre, l’ultima, la più alta, da cui si dice che nei giorni in cui il cielo è limpido, spazzato dal fresco vento di tramontana, si veda l’azzurro del mare. E si ripone il problema di dove vivremo, forse vivere è una parola grossa. Sopravvivere potrebbe essere più adatta a quello che faremo noi, andare avanti di giorno in giorno, facendo attenzione a ogni scricchiolio. E in una di queste torri forse potremo trovare riparo».

Vivere in una torre in un deserto. Questa certo era un’idea brillante. Hania mimò con la mano il segno di “lontano” in direzione del meridione.

Ripetuto tre volte: “molto lontano”.

«Fuori dal regno e lontano dai suoi confini» tradusse Dartred. «Dall’altra parte del Deserto delle Torri Perdute».

Hania annuì.

«Fuori dal regno?» si indignò Haxen. «No, questo regno esiste perché mio padre lo ha salvato. Io ne ho la responsabilità: io appartengo al trono, il trono appartiene a me. Dovere e servire fanno parte della mia eredità, un peso cui non posso sottrarmi. E per questo regno io potrei combattere, se necessario. Se fosse attaccato, chi lo difenderà? Mia madre? Sono l’unica erede. Io sono Haxen delle Sette Cime».

«Sì, è così. Siete l’unica erede, siete Haxen delle Sette cime, siete la figlia di vostro padre. Non è stato possibile all’Oscuro annientare questo regno uccidendo vostro padre, non gli è stato possibile annientarlo con gli eserciti perché incredibilmente anche orfani del re lo abbiamo fermato, un pugno di uomini male armati su delle montagne, un piccolo esercito con un vecchio re in una gola. Li abbiamo battuti. E ora la soluzione: occorre colpire voi. Siete l’unica erede e il vostro popolo imparerà a temervi e a odiarvi. Il vostro popolo si spaccherà in due: coloro che credono in voi e coloro che credono che l’unica salvezza sia uccidere vostra figlia e voi che la difendete e le due fazioni combatteranno e riusciranno dove gli eserciti stranieri hanno fallito. Fuori da questo regno sarete una donna qualsiasi con una qualsiasi bambina. Il regno forse sarà attaccato dall’esterno, o forse no, ma almeno non crollerà squassato da una guerra civile, diviso tra quelli che credono in voi e quelli che travolti dal terrore vorrebbero la testa di Hania. Ce ne andiamo, signora, a sud vedremo il mare. Dicono che sia una visione straordinaria».

Mare, navi, porti, confusione. A nessuno sarebbe venuto in mente che la principessa Haxen avesse abbandonato il suo regno. Nemmeno a suo padre l’Oscuro. Dovevano batterlo essendo imprevedibili. Lui era stato imprevedibile. Hania doveva riconoscerglielo. Non aveva ancora capito come avesse potuto sopravvivere. Non c’era più alcuna parte di lui, nemmeno una briciola, dopo che lei aveva versato l’Acqua Sacra, e la terra se ne era riempita, inebriata, dopo aver dovuto sostenere l’orrore del peso dell’Oscuro Signore.

Si andava a vivere sul mare. E da poveri. Se bisognava fare attenzione a ogni scricchiolio, non sarebbe stato possibile dare ordine ai pesci di farsi catturare in quantitativi tali da erigere qualcosa di meno modesto della capanna di pescatori che probabilmente li aspettava. Hania odiava l’idea di essere povera, ma onestamente essere impiccati era peggio. Al momento per il broccato e l’oro non si poteva fare nulla, ma se riusciva a restare in vita in futuro si poteva vedere, quindi il programma era restare in vita.

Hania annuì, per dare il suo assenso. Il Cavaliere di Luce si rialzava dopo ogni batosta, a ogni ostacolo cercava una nuova strada. Guardarono ancora per qualche istante tutto quel verde e quell’azzurro, tutti quegli zampilli che avrebbero risolto ogni loro angustia e malore se solo avessero potuto metterci le mani sopra, e che tra non molto sarebbero scomparsi, e poi si avviarono, verso sud, trascinando i piedi nella polvere, mentre la magnificenza del deserto si estendeva da tutte le parti e il cielo restava azzurro e implacabile.

E, mentre guardava, finalmente, Hania si accorse che gli annoiati armigeri non erano poi così annoiati. Ora che ci faceva attenzione era evidente che, mentre fingevano di parlare l’uno con l’altro, di controllare il contenuto di un carro, di cacciare un capra, guardavano verso di loro. Hania li contò e li localizzò; quattro sotto la palma grande, due sul prato vicino allo zampillo impantanato, tre tra le capre e uno molto vicino a loro, nascosto dentro un cespuglio di sambuco, circondato e celato dai fiori bianchi come la luna quando spuntava tra le nuvole. I fiori erano così fitti che Hania dovette fissare il soldato con molta attenzione per accorgersi che era piccolo, un ragazzo, forse un bambino.

Il marmocchio aveva un arco sulla schiena e una faretra. Hania lo vide prendere l’arma e incoccare una freccia. Calcolò la geometria della traiettoria: stava mirando a Dartred. Era un ragazzino beneducato, stava mirando alle gambe, ma non avrebbe di molto cambiato la situazione.

Hania trovò tre api, punsero il piccolo soldato alle mani e al viso e morirono subito: le api erano guerrieri valorosi, ma limitati. Potevano colpire una volta sola. Le dettero il tempo però di scatenare un formicaio di formiche rosse. Con le minuscole intelligenze inondate dal suo odio marciarono come un esercito compatto per addentare ogni briciola della pelle del dannato bambino, che dopo pochi istanti aveva mollato l’arco e le frecce e si rotolava per terra.

Hania pensò un istante al piacere di vederlo morire, con le formiche che invadevano il naso e la gola fino a soffocarlo, poi però si fermò. Sarebbe stato bello, ma il Cavaliere di Luce non lo faceva, un cavaliere non infieriva. Era così e basta. Dette ordine alle formiche di mollare la presa. Il ragazzino era troppo intento a rotolarsi per terra: tutto quello che riusciva a fare era gemere. Era stato ridotto a una specie di mostro dolente di bubboni rossastri. Due degli uomini si staccarono dalla palma per andare verso di lui.

Hania li mostrò a Dartred e Haxen e finalmente si avviarono.

Tutti i calabroni e le vespe della regione furono sollevati per proteggere la loro fuga. Hania salvò solo le api dall’arruolamento: ci lasciavano la vita e poi producevano il miele.

Un cavaliere non uccideva se poteva farne a meno, ma chiunque avesse provato a inseguirli e braccarli avrebbe dovuto prepararsi all’insopportabile dolore del fuoco sotto la pelle. E oltretutto era difficile grattarsi e contemporaneamente usare una spada o un arco.