Dartred e Haxen dormivano nella torre, Hania aveva preferito il nido delle cicogne. Le piaceva raggomitolarsi tra i grossi, caldi corpi piumati, le piaceva l’aria, le piaceva il cielo, quel colore magico che aveva prima dell’alba, ma soprattutto voleva lasciare in pace quei due, in qualche maniera sentiva che quel tempo sospeso era l’unico e l’ultimo tempo di pace che avrebbero avuto.
Nelle sue lunghe notti insonni guardava le costellazioni, ricordandone il nome, osservava il tragitto pallido della luna fino a quando un sonno breve senza sogni non veniva a prenderla.
L’inverno era ormai finito quando le grandi ali della cicogna si stagliarono contro il cielo pieno di stelle e la povera bestia crollò di fianco a lei distrutta dalla fatica.
Portava al collo una pergamena e un sacchetto di velluto azzurro. Il peso le aveva lasciato un solco rossastro tra le piume. Hania le posò una mano sulla testa per ringraziarla e per consolarla di tutta quella fatica, e mentre faceva il gesto vide il viaggio accuratamente conservato nella memoria della grande creatura del cielo.
Vide il castello, molto più malandato di come lo ricordava, vide i cardini arrugginiti, i rampicanti e i rovi che invadevano i camminamenti di guardia.
Lo aveva visto neonata meno di due anni prima, come era stato possibile quel disastro? Racchiusa nella grossa testa piumata c’era l’immagine di sua nonna, rinsecchita, vestita di nero, terrorizzata. Percepì la paura con cui la vecchia dama aveva risposto a chi, mentre lei si intratteneva con la cicogna, era venuto a bussare alla sua porta, chiedendole, con grandissima scortesia e con il tono di chi gli ordini li dà, non li riceve, a chi accidenti stesse parlando.
Sua nonna sembrava più una prigioniera che una regina, una piccola figura incarcerata in una reggia in rovina. L’Oscuro doveva essere più forte che mai. Il Regno delle Sette Cime era finalmente caduto. La sciatteria e la crudeltà regnavano acconciamente appaiate. Lei e sua madre avevano trovato l’ingiustizia di funzionari corrotti e il caos insanguinato seminato dai briganti lungo la strada. I bracieri di segnalazione che proteggevano la Porta del Cielo dal rischio di essere attaccata giacevano dimenticati sopra torri ormai disabitate.
Hania restò a lungo a carezzare la testa della cicogna, per ringraziarla: era stata brava, aveva volato veloce ed alta, aveva portato in salvo quella lettera, il sacchetto di velluto, e, dentro la sua memoria, l’immagine della regina spaventata e reclusa. Quando finalmente il cielo si riempì di quell’azzurro speciale che precede l’alba, andò a chiamare sua madre e il guerriero.
Il sacchetto conteneva gioielli e monete d’oro.
«Fortuna che non abbiamo mandato un piccione, non sarebbe nemmeno riuscito ad alzarsi in volo» disse Dartred.
Haxen prese la pergamena, la srotolò e cominciò a leggere.
Mia adorata figlia,
la gioia mi riempie il cuore nel saperti viva, viva e al sicuro, lontana da qui. Mi riempie il cuore sapere che siete riuscita a portare la bimba da voi concepita sulla via della luce, e anche mi consola non sapervi sola, che al vostro fianco ci sia uno scudiero fedele. Sfortunatamente la notizia che avrebbe dovuto restare celata si è risaputa. Voi adorata figlia siete ovunque ricercata, l’odio contro di voi cresce ad ogni istante, qualsiasi normale disavventura dell’essere vivi, da una moria di polli ai sogni cattivi, viene attribuita alla malefica influenza della vostra bambina e alla vostra crudele dabbenaggine nel lasciarla viva. Vi ringrazio del prezioso avvertimento: vigilerò e userò tutte le mie forze per rendere inoffensive le persone di cui mi avvertite, ma mi è necessario sapervi fuori dal regno per potermi muovere con sicurezza ed efficacia, con la libertà di poter fare ogni scelta mi sembri valida senza avere ad offuscarmi il timore di essere accusata di parzialità e partigianeria a proteggervi. Capite figlia come sia fondamentale il sapervi lontana ed è questo allontanamento che io vi ordino, con la mia sempre intatta autorità di madre e regina. Vi mando una manciata di ricchezza, una manciata di gioielli, perché possiate usarne, sia pure con prudenza e parsimonia, perché nulla di ciò che farete possa attirare l’attenzione di chiunque su di voi. Non vi mando di più per non affaticare questa meravigliosa creatura che mi ha portato notizie di voi. Addio, adorata figlia, che la consolazione della vostra vita mi accompagni per sempre. Vi prego giuratemelo. Non avrò alcuna difficoltà a governare il regno, a perseguire i due personaggi che mi avete segnalato, purché vi allontaniate. Non nel deserto meridionale, non su una delle torri, ma fuori dal regno. Se qualcuno vi scoprisse al suo interno, tutta la mia autorità crollerebbe.
Haxen si interruppe per asciugarsi una lacrima.
Hania era quasi contenta del suo essere muta, che le permetteva di non dire nulla, di non porsi il problema se rivelare o tacere.
Era tutto falso. La regina non aveva calcolato quanto oro potesse affaticare la cicogna. Aveva dato tutto quel poco che ancora aveva nella stanza che ormai le faceva da cella. La regina era già priva di qualsiasi potere. L’Oscuro e i suoi emissari erano già arrivati. Il male si travestiva da bene per trascinarlo nel baratro. La paura che l’Oscuro agisse attraverso Hania era stata distribuita come il seme gettato da un gesto ampio dal seminatore, così che arrivasse ovunque, poi il seme era stato innaffiato con l’indignazione per la principessa che li esponeva tutti a pericoli terribili: il tutto era diventato un vento di bufera che tutto aveva travolto.
Restava alla regina la volontà di salvare la figlia nell’unica maniera possibile: allontanandola.
E quello che era peggio: Hania non aveva nemmeno la speranza della buona fede di coloro che si stavano muovendo contro di loro. I gendarmi armati fino ai denti che avevano blindato la Valle degli Zampilli mentre veniva distrutta non lasciavano dubbi. Era stato fatto da qualcuno che sapeva che loro erano contro l’Oscuro, che quell’acqua sarebbe loro servita per battersi.
Hania passò a lungo le mani sul piumaggio della cicogna, carezzandola sulla testa, così che ogni particolare che i suoi occhi avevano incontrato affiorasse. Vide i campi più poveri di quando li aveva attraversati, sentì voci più colleriche nei mercati e poi, guardando bene con attenzione, vide lei, la contadina con il bambino, il suo dannato fratellastro, accucciata per terra nel cortile davanti alla cucina della reggia, sempre povera, sempre pezzente, sempre una povera donna, l’ultima creatura da cui ci si aspettava l’attacco mortale, che parlava gesticolando con le cuoche e le altre donne della reggia, con il suo bambino in braccio. Ormai non era più in fasce e nella mente della cicogna Hania poté vederlo bene e guardare la faccia piccola, la bocca amara, un’espressione di eterno scontento. A pensarci: come era stata la sua. Il bimbo aveva alzato lo sguardo e aveva incontrato quello della cicogna; per un istante il suo faccino si era contratto per l’odio. Quindi il piccolo l’aveva riconosciuta, aveva riconosciuto il suo potere nella cicogna. Erano stati scoperti. La prigione della regina sarebbe stata ancora più serrata. Il nemico era già dentro le porte, penetrato fin nel ventre del piccolo regno ostinato. Il bambino era stato reso indistinto ai suoi occhi, come il sorcio e il tafano erano stati resi invisibili. Solo cercandone traccia nella mente e nella memoria di un’altra creatura, la percezione di loro e della loro essenza era giunta. Hania sentì la sua mente riempirsi di amaro, la sua anima contrarsi in un grumo sotto quello sguardo. Tolse la mano dalla testa tiepida della cicogna per distogliersene.
Erano due.
L’Oscuro e il suo dannato figlio.
Ne aveva contro due.
Non ce l’avrebbe fatta mai.
Non ce l’avrebbero fatta mai.
Il mondo era alla fine.
Hania si chiese se doveva avvertire, fare in modo che Dartred e Haxen sapessero che la regina era prigioniera e disperata, poi si rese conto che la vecchia regina aveva scritto la verità.
L’unica speranza per evitare il disastro era la loro fuga, ma non avrebbe tenuto il segreto. Erano un’armata troppo piccola per potersi permettere la menzogna.
Haxen si lasciò cadere, seduta su un grosso sasso e rimase lì a guardare quello che si vedeva del suo regno. Lacrime scesero sul suo bel viso.
Dartred si inginocchiò di fianco a lei e in quel momento Hania si accorse della piccolissima vita che era nata in una di quelle notti, e che ora era abbastanza grande perché lei lo sentisse. Portò la mano al ciondolo verde che portava al collo e la sensazione divenne nitida.
Un fratellino, un maschietto, se ne stava cieco e felice nel ventre di Haxen, cullato dai suoi passi e dal suo respiro.
Un fratello. Avrebbero condiviso lo stesso ventre, avrebbero entrambi chiamato madre la stessa donna. Un bambino figlio della principessa delle Sette Cime, e del suo scudiero, Dartred, il figlio del fabbro che già una volta aveva sconfitto il male.
Un fratellino, una presenza che veniva a controbilanciare l’altra, come in un gioco di simmetrie.
Di nuovo Hania sentì scheggiarsi la sua abituale sensazione di solitudine.
Anche il fratellino, sicuramente, l’Oscuro non lo aveva previsto.
«Due pari» mormorarono le sue labbra, in silenzio assoluto, certo, senza alcun suono, ma, per la prima volta, la sua bocca articolò le sillabe.
Non era del tutto vero. Non erano proprio pari. Gli altri erano un demone e il suo erede, loro erano una bambina e un aspirante neonato. Ma erano due anche loro. Ed erano insieme. Quando toccava il suo amuleto di pietra verde poteva sentire il cuoricino del fratello battere velocissimo. E, da quando lo sentiva, le sue labbra potevano articolare le sillabe. Nel suo corpo perfetto mancavano le corde vocali, ma la parola non le era più vietata. L’incantesimo del Maledetto era stato rotto.
Si inginocchiò nella polvere, posò una mano sul ciondolo e con il dito provò a scrivere: Hania.
H A I N I A
No, una I di troppo.
H A N I A
Haxen piangeva, Dartred la stava consolando. La loro tenerezza se ne stava racchiusa in quel pianto quieto e nella voce bassa che lo consolava. Il cuoricino del fratello batteva con il suo.
«Due pari» sillabò di nuovo. «E il mondo non è ancora perduto».
Poi scrisse altro. La guerra continuava. Ora bisognava combattere.
LA REGINA MADRE È PRIGIONIERA
IL BAMBINO E SUA MADRE SONO GIÀ LÌ
Il pianto di sua madre nel frattempo stava diventando convulso, e Hania si rese conto di come, confusamente, anche il fratellino ne era intristito.
La disperazione della mamma l’avrebbe addolorato, l’avrebbe travolto mentre era così piccolo.
Non doveva succedere. Non doveva succedere che Haxen avesse la tentazione di tornare indietro, cadere nella trappola, fare qualcosa di diverso dal portare il fratellino lontano da lì, al sicuro, sul mare: a Geno, porto e principale città del Regno dei Mercanti.
Certo, la verità era una cosa preziosa, come l’acqua nel deserto e come la generosità, ma come l’acqua nel deserto e la generosità andava centellinata.
Doveva proteggere Haxen. Non era menzogna, ma l’elementare saggezza di un capo militare.
Dovevano fuggire fuori dal regno.
Dopo la settima torre c’era la frontiera, segnata da una profondissima spaccatura che sembrava arrivare fino alle viscere della terra, su cui torreggiava un ponte di legno, antico e solido. I soldati delle Sette Cime controllavano l’inizio del deserto, all’altezza della Valle degli Zampilli e quelli del Regno dei Mercanti presidiavano il confine del deserto, oltre la settima torre. La pace durava quasi da due decenni e i guardiani della frontiera restavano a dormire sereni, cacciando le mosche.
Hania cancellò l’ultima scritta con la mano. Lasciò solo il suo nome. Che sua madre sapesse che anche se non era in grado di parlare, la parola non le era più impedita. Un altro incantesimo dell’Oscuro si era rotto.
L’Oscuro poteva essere battuto.