La vita di Dartred era un curioso impasto di una felicità immensa, un sottile imbarazzo e il terrore assoluto che, prima o poi, l’equilibrio su cui tutto si reggeva sarebbe crollato.
Ogni attimo della sua vita era pieno di una gioia sontuosa. La presenza di Haxen, che amava sopra ogni cosa, di Hania, bimba oscura che aveva girato le spalle alle tenebre e che mischiava dentro di sé asprezza e valore, e ora il suo bambino, suo e di Haxen: la sua principessa lo aveva accolto dentro di sé e insieme avevano concepito Rois. Dartred restava a guardare i piccoli pugni, i piedini, la testolina ricoperta di una peluria dorata.
Rois era una persona, aveva gli occhi, provava gioia e dolore. Un anno prima Rois non esisteva in nessun punto dell’universo e ora era lì, con loro, con il suo piccolo corpo tiepido e umido, e il suo pianto che riecheggiava tenerissimo nella piccola casa.
E gli dava le vertigini pensare che esisteva perché lui e Haxen si erano amati, era il loro figlio. Quella parola lo sconvolgeva nella sua magnificenza. Era il padre di Rois, esattamente come re Ari era stato il padre di Haxen.
Ari era stato il comandante di Dartred, il suo re, per cui lui avrebbe dato la vita e di cui aveva vendicato la morte. Detto questo, se Ari avesse mai sognato uno sposo per sua figlia, non sarebbe stato certo uno come lui. In termini plebei e concreti, che la figlia principessa sposasse il figlio del fabbro non era, in genere, in testa alle ambizioni di un re. Certo dovendo scegliere tra lignaggio e onore si preferiva il secondo, ma altrettanto certo era che il sogno di re Ari era qualcuno che li avesse entrambi. Comunque, era andata così e lui era in quella città con il compito magnifico e terribile di proteggere Haxen e i bambini. Forse re Ari non sarebbe stato troppo severo a patto che Dartred dimostrasse un valore senza eguali nel proteggere Haxen e i suoi bambini. Non doveva fallire. Non poteva sbagliare mai.
Anche se lì viveva la sua felicità, Dartred non amava del tutto Geno. Nemmeno lo splendore del mare, la luce, i gabbiani, lo sciabordio dolce che accompagnava le loro notti riuscivano a stemperare dentro di lui il rancore per quella città che avrebbe potuto essere ricchissima e invece pullulava miseria, avrebbe potuto essere splendida e restava avviluppata nell’orrore dei suoi drappi neri.
Vendere il pesce era un’impresa difficile e dolorosa. Avrebbe dovuto essere estremamente semplice conquistare qualche moneta dando in cambio della buona merce, ma per Geno era un concetto troppo semplice e lì tutti odiavano la semplicità.
Soglo, il mercante, era l’unico che poteva acquistare. Il ruolo di mercante era unico, perché se ce ne fosse stato più di uno si sarebbe creata una competizione e si sarebbe creato il rischio di arrivare ad un prezzo decente per i pescatori. Il posto unico di mercante si otteneva per censo, era cioè venduto dal Governatore in una specie di asta che si svolgeva il primo giorno di primavera.
Il mercante di turno quindi aveva un anno di tempo per recuperare l’oro investito nell’acquisto della carica, e i pescatori erano gli eletti, i prescelti dalla buona sorte che dovevano rendergli l’impresa possibile.
Nemmeno un’acciuga poteva essere venduta direttamente a un aspirante acquirente e nemmeno regalata, pena il sequestro della barca e il taglio delle reti. Avrebbe fatto disordine, per usare le parole del Governatore, e Geno era una città ordinata. Sotto nugoli di mosche, in mezzo a nugoli di bambini laceri, donne accovacciate per terra si contendevano le interiora dei pesci con i gatti randagi, i gabbiani e i sorci.
I pescatori dovevano attendere l’arrivo di Soglo il mercante, a volte fino a sera, a volte fino al giorno dopo. Nei mesi torridi dell’estate il tempo poteva essere sufficiente perché il pesce perdesse la sua freschezza, e quindi la costante accusa che lui faceva ai pescatori di vendere merce scadente e priva di ogni qualità e ogni freschezza, diventava vera.
Dartred pescava moltissimo, tutto quello che voleva, grazie ad Hania. Questo garantiva che la sua casa fosse sfamata, certo, ma non potevano mangiare solo pesce arrostito, con il pesce arrostito non potevano fabbricare né vesti, né calzari, quindi doveva trascinarsi a quella penosa operazione. Puliva il suo pesce con grandissima generosità, così che alle interiora restassero attaccati filetti interi, ma anche quello necessitava di guardinga circospezione. Soglo era piccolo, con i capelli rossastri, rideva sempre, si schiariva continuamente la voce, saltellava da un piede all’altro pieno di facezie, ma era dannatamente attento. Quando improvvisamente smetteva di ridere, serrava le labbra e strizzava gli occhi come per vedere con maggiore precisione dove doveva colpire, e Dartred non poteva attirare su di sé l’attenzione per eccesso di baldanza, lui non poteva fare nemmeno un errore, mai.
Anno dopo anno, Soglo riusciva a riconquistarsi la carica, esattamente come Ferruo, alto e allampanato, forse il termine esatto era scheletrico, pochi e radi capelli biondastri sul cranio, legati in fondo da un cordino.
Ferruo presiedeva alla caccia. Anche per cacciare un sorcio occorreva passare da lui e pagargli un obolo.
Dartred doveva andare ogni luna per comprare l’uccisione della cicogna, per evitare cioè che la licenza di uccidere la cicogna che gli viveva sulla casa fosse venduta a qualcuno.
La cicogna era un altro spinoso problema. Hania cercava spesso di allontanarla, ma appena il suo pensiero si distraeva in una qualsiasi incombenza, la cicogna tornava. In un mondo dove restare invisibili e anonimi era un requisito essenziale, avere una cicogna che dormiva sul tetto di casa, e pagare per averla, era una follia.
Dartred inventò di appartenere a una bizzarra religione che considerava la cicogna un inestimabile simbolo di benevolenza, l’unica speranza di avere soccorso e risolvere la tragedia del primo figlio muto e idiota, e spiegò come, per la salute del figlio, la sua stessa sposa avesse fatto voto di non uscire mai dalla piccola casa.
Geno era una città stramba che amava gli strambi. La storia piacque. Il pesce di Dartred era buono. Non discuteva mai con le autorità. Teneva sempre gli occhi giudiziosamente verso il basso. Lo lasciarono in pace.
A Geno nulla poteva essere venduto se non all’autorità costituita, ma era permesso lo scambio in natura e c’erano anche alcune figure benevole: Margra, una vecchia signora che vendeva mele; Martilo, il fabbro, che gli aveva venduto i cardini della porta di casa, e che lavorava con onestà insieme ai tre figli in una piccola fucina che Dartred guardò pieno di nostalgia. E infine c’era Rollo, il falegname, che aveva riparato la sua palafitta e periodicamente veniva a controllare il tetto. Dartred ricambiava i loro servigi inondandoli di pesce.
Non capitava mai, però, che lui, Martilo e Rollo festeggiassero una sera d’estate particolarmente fresca, un cielo d’inverno particolarmente limpido con un boccale di birra. Lui era quello strambo, aveva una cicogna che gli viveva sul tetto, una moglie e dei figli che nessuno aveva mai avvicinato, non era un uomo di cui si desiderasse la presenza.
«Mio signore» mormorava Dartred, quando era certo che nessuno riuscisse ad ascoltarlo, rivolgendosi al suo re. «Non sbaglierò, ci riuscirò. Li terrò al sicuro».
Avrebbe protetto Haxen, e Rois e la piccola strega nata dal ventre della sua sposa, che aveva la sua bellezza e una forza oscura che valorosamente teneva a bada. Lei, Hania, nata dalle tenebre, che forse era il Cavaliere di Luce. Anche lei affidata a lui.
Non poteva sbagliare mai.