Rois era un bravo bambino. Qualche volta gli era capitato di pensare se mai avrebbe potuto essere qualcosa di diverso da quello che era; un bravo bambino, appunto. Tanto per essere qualcuno.

Sua madre era la principessa delle Sette Cime, mitico regno di tigri bianche e querce nere, di onestà e rettitudine, al momento però infrequentabile per una serie di catastrofici eventi, che facevano comunque parte della contesa tra bene e male che da sempre straziava il mondo e che da sempre vedeva la sua stirpe con le armi in pugno e il coraggio nel cuore.

Suo padre era stato uno dei capitani, il più imprevisto e il più impavido, in quella guerra spietata, era stato l’eroe, il comandante, e il vendicatore anche dell’assassinio del re suo nonno.

Poi c’era Hania, sua sorella, figlia della stirpe delle Sette Cime e del Signore Oscuro, che aveva la potenza delle tenebre che si mischiava con il potere della luce.

Sua sorella era la sua forza, la sua luce, ma era anche un gigante incombente sulla sua pochezza di bambino più piccolo e molto più “qualsiasi”.

Lui era solo Rois, un bravo bambino, perché essere un bravo bambino era comunque qualcosa e lui qualcosa doveva pur essere, visto che aveva sempre l’impressione di non essere nessuno, un’ombra poco più spessa dei folletti che sciamavano fastidiosi e inutili nella loro dolente inconcludenza, e che non erano nulla.

Rois non aveva patria. Non apparteneva al Regno delle Sette Cime, che non aveva mai visto in vita sua, e se era per quello non apparteneva nemmeno a Geno, dato che nemmeno Geno l’aveva mai vista in vita sua.

Abitava una palafitta, la più isolata ed esterna, la più lontana dalla città, che lui aveva solo guardato stando appollaiato sul tetto o sulla terrazza. Appollaiato sul tetto guardava le case di pietra che erano il cuore di Geno, quello posato sulla terra e non sul mare; di lì indovinava la piazza del mercato e guardava i bambini sui moli e intuiva le regole dei giochi, quelli dove ci si rincorreva e quelli invece dove bisognava nascondersi, mentre la brezza gli scompigliava i capelli biondi.

A Rois era stato vietato di accompagnare il padre al mercato, era stato vietato di giocare con un altro bambino, non poteva nemmeno avvicinarlo, perché era impossibile una qualsiasi sia pure piccola intimità, senza che si arrivasse alle domande e alle osservazioni inevitabili: come si chiama tua madre, ti piacciono le frittelle, perché tuo fratello non gioca, non sorride e non dice niente, e sta a suonare un flauto vicino a una cicogna, vuoi giocare a chi fa pipì più lontano, perché tua madre non esce mai di casa, sai nuotare, preferisci il gioco di acchiapparsi o quello di nascondersi, buffo che l’unica cicogna della regione abbia casualmente fatto il nido su casa tua, buffo che non migri nemmeno, dovete piacerle molto.

In tutta la sua solitaria infanzia, Rois non rivelò mai a nessuno che gli piacevano le frittelle e che sapeva nuotare, e non seppe mai se gli altri la facevano più lontano di lui o no. Potendo scegliere, gli sembrava più divertente il gioco del nascondersi, forse perché era già abituato, in un certo senso, alla capacità di rendersi invisibile.

Peraltro non c’era scelta. La loro straordinaria discendenza, Principi delle Sette Cime imparentati con un demone, non avrebbe attirato su di loro né simpatie né auguri di longevità; quindi se la longevità ci tenevano a raggiungerla, l’unica soluzione era una riservatezza granitica come le rocce che sovrastavano il golfo.

In effetti la palafitta che abitavano differiva da una cella perché era aperta sul mare e perché i carcerieri erano loro stessi, e solo per questo. Per Rois, andare sui moli a giocare a rincorrersi o a nascondersi era impossibile e impensabile, come per un prigioniero incatenato alla sua cella uscire di tanto in tanto per andare ad acchiappare farfalle.

Nella loro ringhiosa solitudine, quello che li aiutò a tenere tutti a distanza fu la cicogna. La sua presenza sul loro tetto era assurda, e la famiglia era bollata come stramba. Avere a che fare con loro sarebbe stato disonorevole come farsi vedere in pubblico a mettersi le dita nel naso, quindi tutti li evitarono come degli appestati, limitandosi a ridere di loro quando li vedevano da lontano.

Hania e Rois si capivano al volo. Quella comprensione immediata e assoluta, però, funzionava solo tra loro due. Per il resto la comprensione era un’operazione farraginosa che tendeva a inciampare a ogni angolo.

Per fortuna c’erano le armi.

Suo padre aveva fabbricato per lui e Hania robuste e pesanti spade di legno, che li abituassero anche al vero peso, e in bilico sulla barca da pesca Rois imparò l’armoniosa e spietata danza del duello.

Lui amava Geno.

La città lo aveva sempre rifiutato e rideva di lui. Prima o poi, però, lui le avrebbe mostrato il suo valore, si sarebbe battuto per lei e la città alla fine lo avrebbe amato.

E anche lui avrebbe avuto una patria.