Nacque una nuova bambina, le dettero il nome di Roa.
Per lei Hania all’inizio provò una gelosia feroce, demoniaca, un desiderio costante di torturarla, di obbligare la sua mente al dolore come aveva fatto per i topi e le rane quando aveva imparato a uccidere, o più semplicemente di dare un calcio alla culla e guardarla mentre si rovesciava: la piccolina sarebbe finita con la faccia e il nasino che si laceravano sulle assi del pavimento, sarebbe stato bellissimo, ancora meglio del vento sulla faccia quando era in mare. Non lo fece mai, lo sognò solo, ma sempre dovette ricorrere a tutta la sua forza per trattenersi e limitarsi a fantasticare.
La potenza del suo odio la sconcertò. Ma riuscì a non farne nulla. La sua capacità di distruzione l’avrebbe riservata al nutrito numero dei suoi nemici, poteva anche risparmiarsi di prendere a calci una neonata. Non era aggredendo i disarmati e gli implumi che si salvava l’onore e si mostrava il valore.
Il peggio era che ora sapeva di essere disarmata. I suoi poteri se ne stavano andando, uno dopo l’altro e questo significava che quelli dell’Oscurità aumentavano. Era andata da Madama Tara con la precisa idea di soffocarla, era riuscita a farle venire la tosse. Era la strega della raucedine. Le ballate avrebbero parlato di lei: la tremenda fattucchiera della bronchite che i suoi nemici dovettero combattere con decotti di papavero ed eucalipto. Con un po’ di addestramento, forse, sarebbe riuscita a fare una maledizione veramente tremenda: far venire i calli o i sogni cattivi. Hania aveva avuto la capacità di rendere le cose incandescenti fino a creare il fuoco. Scoprì che con una fatica che la stroncava riusciva a riscaldare un filo d’erba abbastanza da infastidire una coccinella. Gli eserciti di coccinelle avrebbero tremato davanti a lei. Gli altri non si sarebbero scomposti così tanto.
Aveva pensato di essere molto forte e un buon cavaliere, qualcuno che non avrebbe mai avuto la tentazione di uccidere innocenti. Era una bambina muta travestita da maschio, assordata dai folletti, che odiava con tutta l’anima una neonata e non era riuscita a uccidere una vecchia per pura ed elementare incapacità, non per corretto spirito di cavalleria. Dentro di lei la potenza si era stemperata, e in compenso viveva florida e robusta una radice oscura che lei credeva di aver estirpato e distrutto il famoso giorno in cui aveva affrontato e vinto suo padre, in quella che, a quanto pareva, era stata solo una qualsiasi scaramuccia di una guerra che ora lei stava perdendo.
Forse perché Rois era maschio, quindi più simile a Dartred, ma la sua esistenza al mondo le era da sempre sembrata una fortuna, l’arrivo di un possibile alleato, perlomeno di un possibile scudiero.
Roa era una bambina, quindi più simile a Haxen e tutto sommato il rapporto con Haxen era sempre stato non del tutto liscio, non del tuto limpido. L’antico astio aveva comunque lasciato una memoria. O forse perché somigliava a lei, Hania, e questo in qualche maniera creava una competizione.
Finalmente le venne in mente che a fare la differenza poteva essere il luogo. Rois era stato concepito in una torre che portava ancora il segno di uno spirito benevolo, che l’aveva abitata e impregnata, mentre Geno apparteneva a suo padre, anche se non era ancora uno dei regni maledetti.
Hania portò istintivamente la mano al collo per toccare la piccola pietra verde, ma non c’era più: l’aveva data a Madama Tara. Era stata una bella idea, aveva messo tranquilla la vecchiaccia per sempre, ma ora lei ne era priva. La pietra le mancava maledettamente. Ora se ne accorgeva.
Che la sua anima oscillasse come uno stendardo al vento a causa della presenza o l’assenza di un mozzicone di materia come un ciondolo la allibiva. Era Hania, la strega muta, terrore delle coccinelle, signora della raucedine, odiatrice di neonate.
Con il tempo l’odio contro Roa si attenuò, lasciando il posto a un astio opaco privo di desideri di morte, che si riacutizzò solo verso i sei mesi della piccola, quando Haxen ebbe l’idea di fabbricarle una piccola bambola, idea assolutamente idiota, che solo a un’idiota poteva venire in mente.
Roa era un qualsiasi infante dotato della qualsiasi e quindi già deficitaria intelligenza umana, ulteriormente ridotta dall’età, e quindi era evidente che non fosse in grado di distinguere la bambola da un pesce bollito.
Hania ebbe anche la tentazione di scaraventare in mare il giocattolo dopo aver legato un sasso alla vezzosa gonna fatta di panno rosa, ma poi desistette, perché sarebbe stato veramente da mocciosa, indegno di lei, e poi ricordava maledettamente il gesto che aveva creato i folletti, bimbi gettati in mare. E poi c’era il rischio che ne scatenasse le ire, con una nuova mareggiata, o peggio che esaltasse la loro spettacolare capacità di lagna continua, di piagnisteo ininterrotto, di lamentazione perpetua, roba che riusciva ad andare avanti per giorni. E poi la disturbava. Un cavaliere non faceva cose di nascosto e non buttava i giocattoli dei bambini, anche se detestabili e detestati.
Da quando Roa aveva avuto la bambola, Hania era scivolata sempre di più verso la collera per qualsiasi cosa, e la ripugnanza contro Haxen riaffiorò.
Quando sua madre allattava la piccola, doveva fare uno sforzo eroico per non chiudere la gola della mocciosa, farla tossire; magari si sarebbe anche strozzata e il problema si sarebbe risolto da solo.
Quando la bimba ebbe un anno, finalmente fu svezzata. Troppo idiota per imparare a camminare, continuava a procedere gattoni, trascinandosi dietro ovunque andasse la sua stupida bambola, che essendo sotto una mano in un’andatura dove le mani servivano a poggiarsi per terra, era sudicia fino all’inverosimile.
Hania non aveva mai gattonato e lei una bambola se la sarebbe tenuta pulita.
I folletti continuavano ad assordarla e detestava sempre di più le nenie che riuscivano a tenerli buoni. Tutto scivolava nel nero, c’era qualcosa in Geno che tirava verso il basso, come cadevano verso il fondo i corpi pesanti buttati in mare, il corpo di un bambino piccolo legato a una grossa pietra tanto per fare un possibile esempio, o quello di una bambola legata a un piccolo sasso.
Forse per compensare la bambola data a Roa, Dartred, che restava il più intelligente dei due, ebbe l’idea di regalare a Hania e Rois una scacchiera e degli scacchi, acquistati a una piccola fiera di piccole cose utili, che potevano rallegrare la vita se le mareggiate duravano giorni, mentre gli scrosci di pioggia martellavano i tetti.
Hania conosceva ovviamente regole e strategie, e sempre batteva Rois con infinita facilità. Eppure anche così il gioco fu utile. Doveva fare uno sforzo eroico per alternare i colori e giocare una volte su due con gli scacchi bianchi, resistendo alla tentazione di chiedere di avere sempre i neri. E poi, in un certo senso, imparò una qualche ammirazione per l’ostinazione del fratello, che continuava valorosamente a giocare pur sapendo di andare verso la sconfitta.
Era primavera e fu allora che la duratura anche se precaria pace finì.
La disgrazia arrivò come i fulmini che all’improvviso spezzano la quiete delle notti d’estate, distruggendo l’illusione che la vita potesse anche essere tenerezza e pace. La notizia fu portata da un mercante di ossa che Dartred incontrò al mercato, dove era andato a cercare delle esche. Le ossa erano quanto avanzava dalla macellazione delle bestie del Regno delle Sette Cime ed erano buone esche, per cui arrivavano sul mare in carri particolarmente sgradevoli che si muovevano all’interno di un’unica compatta nuvola di mosche, seguiti da un tanfo pestilenziale. In passato erano stati una lunga ininterrotta fila, ora erano diminuiti perché le bestie, nel Regno delle Sette Cime, si erano diradate come la buona sorte. A quanto si diceva una mandria di tre vacche striminzite era considerata una ricchezza fantasmagorica, avere un pollaio un lusso fiabesco.
Dartred tornò a casa correndo, per portare la notizia. La regina del Regno delle Sette Cime era stata condannata a morte per altro tradimento e connivenza con il male. La sentenza sarebbe stata eseguita da lì a un mese e la morte sarebbe stata per rogo, così che il mondo finisse per essere purificato dalla sua presenza. La madre di Haxen sarebbe stata uccisa, quindi, con l’esecuzione più tragicamente dolorosa, che mai era stata usata nel piccolo regno, mai in tutta la sua storia. Il Regno delle Sette Cime era in fermento per l’indignazione e ovunque stavano scoppiando rivolte brutalmente soffocate.
Haxen si lasciò scivolare seduta per terra, bianca come un cencio.
«Vado io» disse Dartred. «È sicuramente una trappola, è evidente che è una trappola. Hanno preso così tanto tempo per essere certi che andremo a cercare di impedirlo. Aspettano voi, non aspettano me. Non so cosa, ma sicuramente qualcosa potrò fare. Qualcosa farò. Male che vada, se non riesco a salvarla, posso sempre tirare una freccia e ucciderla. Vostra madre non morirà bruciata. Ve lo giuro».
Haxen rimase seduta a lungo in silenzio.
«Certo che è una trappola, e sono arrivati a questo perché il loro potere sta vacillando. Ci sono rivolte dappertutto, dicono. Piccoli gruppi si stanno ribellando, sono tumulti disperati destinati alla sconfitta perché sono disuniti, improvvisati, ma se io fossi presente, forse riusciremmo a dare la spallata».
«La gente vi odia, è stata messa contro di voi per anni».
«Questo è quanto hanno riferito i pochi mercanti con cui avete scambiato qualche parola. In più da queste parti detestano il Regno delle Sette Cime, è una specie di vezzo raccontarne sempre il peggio, quando di peggio ce ne è a sufficienza, o inventarlo quando ce ne è di meno. Se venissi io, potremmo dare la spallata, recuperare il regno».
«È una trappola. È voi che vogliono. Se veniste voi potreste farvi ammazzare e i nostri figli resterebbero orfani» obiettò Dartred.
Haxen si era alzata in piedi e misurava la piccola stanza a grandi passi.
«Lo so, ma le notizie della sofferenza del mio regno riempiono il mio animo di angustia, e ora a questo si aggiunge l’orrore della morte atroce preparata per mia madre. Ho la certezza che tutto si possa risolvere, ora, in poco tempo, così che finalmente i miei figli possano vivere in sicurezza, il mio regno ritrovare la pace, l’abbondanza, la giustizia e la benevolenza. Ci basterebbero una cinquantina di uomini per prendere il palazzo, forse anche meno. Conosco i passaggi nascosti e le segrete. Ho ancora la chiave maestra di tutte le serrature. Sicuramente alcuni degli uomini sono rimasti fedeli a me, o se non a me, alla mia casata, a mio padre. Io conosco tutti i passaggi, io sono l’erede della mia casata. So che avete ragione. L’idea di lasciare i figli mi è insopportabile, l’idea di poterli lasciare orfani anche. Ma se ci fossi io, potremmo con assoluta facilità prendere il palazzo, e quello basterebbe a riprendere il regno. Salveremmo mia madre e salveremmo il mio popolo. Sappiamo tutti che l’Oscuro sta per attaccare. Che il Regno delle Sette Cime sia messo in grado di combattere, pacificato sotto la regina della sua casata. I tempi dell’oscurità sono terminati, i tempi dell’esilio sono terminati».
«Signora, voi non verrete. Non vi permetterò di correre questo rischio».
«Signore, sono la vostra sposa, e ne sono felice, ma resto Haxen delle Sette Cime e non necessito del permesso di nessuno» rispose lei.
«Voi non verrete» disse Dartred.
Hania decise di intervenire, prima che sua madre andasse a cacciarsi in un qualche disastro, con l’ulteriore aggravante di lasciare a lei, Hania, a balia di sua sorella minore.
Indicò il soffitto, al di sopra del quale, sul tetto, dormiva serafica la vecchia cicogna e poi il nord, la direzione del Regno delle Sette Cime.
«Mandare la cicogna?» chiese Dartred.
«Può guardare cosa sta succedendo e Hania può vederlo poi nella sua mente. Impiegherà pochi giorni» tradusse Rois.
«È una perdita di tempo. Qualsiasi cosa vedrà la cicogna, la situazione resta la stessa. Io andrò, perché la regina sta per essere bruciata viva e qualcuno deve cercare di evitarlo, e voi resterete qui perché siete la madre di tre figli di cui la più piccola di un anno. E poi le cicogne le cacciano proprio perché sanno che vengono da noi. Quella povera bestia finirà a spezzatino con i chiodi di garofano, e loro sapranno che li stiamo spiando. E poi mi dispiace anche per lei. Mi è costato una fortuna salvarla e mi seccherà saperla spezzatino insieme alle patate».
«Hania manderà la cicogna, ordinandole di volare alta e al di sopra di ogni minaccia» ordinò Haxen. «Se non vedrà rivolte, se vedrà solo un mondo annegato nell’ingiustizia, andrete solo voi. Se vede qualcosa di diverso, se ci sarà la possibilità di risanare il mio regno e di salvarlo, andremo insieme».
Almeno le discussioni sarebbero terminate. La cicogna sarebbe ricomparsa con nella testa il nulla, se l’avessero fatta a spezzatino si sarebbe risparmiata di morire di vecchiaia, sua madre sarebbe rimasta a fare la madre a Roa. Dartred forse sarebbe morto, o forse sarebbe tornato, Hania certo sperava molto nel ritorno, ma, nel caso, non ci sarebbe stata troppo male, perché così era la vita e bisognava adattarsi.
La cicogna si alzò in volo, e tutti cominciarono a guardare il cielo e a contare i giorni, tutti meno Roa e la sua stupida bambola.
Dopo la prima settimana Dartred partì, dando per scontato che la cicogna doveva essere passata a miglior vita, e che era un peccato, ma così andava il mondo e se voleva arrivare in tempo non poteva aspettare ancora. Si accomiatò da Hania tenendole una mano sulla spalla e guardandola a lungo.
«Che tu sia sempre un cavaliere» le disse.
Salutò i figli abbracciandoli.
«Che io sia sempre fiero di te, come sempre di te sono stato fiero» disse a Rois. La piccolina la strinse a lungo, e poi si inginocchiò davanti ad Haxen.
«Mia signora e mia sposa, non sono in grado di trovare le parole per dirvi quanto sia stato un onore ogni singolo istante della vostra presenza e quanto me ne consideri indegno. Io salverò vostra madre e userò ogni forza per riuscirci, ogni astuzia e tutto il mio coraggio. Addio mia signora, farò ogni cosa per tornare vivo e poter rivedere il vostro sorriso».
Rois si mise a piangere, Haxen pure. Dartred alla fine se ne andò. Portava con sé la sua ascia. Se si fosse fatto ammazzare, quindi, avrebbero perso anche l’ascia che era una delle armi speciali che contenevano la speciale pietra della potenza dei nani. Una catastrofe. Hania doveva riconoscere che il rogo della regina annunciato con congruo anticipo era stato un colpo di genio. Se era stata un’idea del suo altro fratello, gli doveva riconoscere un’abilità di stratega.
Il giorno dopo la partenza di Dartred finalmente ritornò la cicogna. Hania ormai la pensava in spezzatino e scoprì in sé una certa gioia nel vederla.
La grande bestia era stanchissima, si posò sul suo nido sul tetto e lì Hania la raggiunse, seguita da Rois. Dietro di loro arrivò Haxen con la piccola Roa in braccio. La palafitta era nel sole e nella brezza, il mare calmo brillava sotto di loro.
Hania posò le mani sulla testa della cicogna. Vide il regno ancora più triste e miserabile dell’ultima volta.
La Valle degli Zampilli era solo fango e sabbia, tutto era stato lordato, tutto era seccato, anche il melograno che lei aveva piantato negli istanti in cui pensava di aver sconfitto l’oscurità e averne liberato in mondo. Più a nord c’erano segni indiscutibili di distruzione. Fattorie erano state distrutte, gente impiccata.
Ovunque grandi cartelli indicavano il crimine: aver combattuto per la principessa Haxen. Più ci si avvicinava alla capitale, più aumentavano.
Il Regno delle Sette Cime era diventato un luogo di morti impiccati che marcivano al sole dondolando nella brezza.
«Ci sono fattorie bruciate, città decimate dalle forche, ovunque morti che sono stati puniti per aver ricordato il vostro nome, madre» sussurrò Rois.
Haxen annuì, strinse le labbra, poi si alzò in piedi e restò lì, con la brezza che le faceva gonfiare lo scialle e il mare limpido sotto di lei.
«Devo lasciarvi, adorati figli. Sono Haxen delle Sette Cime e il mio popolo ha bisogno di me. C’è una responsabilità tremenda nell’essere un re. È un peso che resta sempre, anche quando siamo esuli e ignoti. Ho giurato a mio padre che sarei stata il suo erede. Miei adorati figli, lasciarvi mi spezza l’anima, sento il dolore nelle viscere che vi hanno portato, ma devo andare, non ho altra scelta».
Haxen partì il giorno dopo. Anche lei si portò la sua spada. Abbracciò Rois e lo tenne stretto a lungo, poi fu la volta di Roa. Era evidente che stava ricorrendo a tutta la sua forza per trattenere le lacrime. Finalmente fu davanti a Hania.
«Non oso abbracciarti, non perché non lo desideri con tutta la forza della mia anima, ma perché ho imparato quanto possa irritarti. Sono tua madre da dodici anni, ancora non so come posso toccarti senza crearti noia. Ma posso dirti il mio amore nella mia la voce. Io ti amo, mia figlia primogenita. Alla tua forza e al tuo coraggio affido i miei figli. Quando ho scoperto che tu eri nel mio ventre l’ho considerata la peggiore delle sciagure, ora so che è stato un altissimo onore. Ho tenuto il mio amore per te nascosto dentro la mia anima, ma non pensare che per questo sia stato meno enorme di quello per i tuoi fratelli. Hania, tu sei il Cavaliere. Tu hai una potenza che nessuno sospetta, nemmeno tu, tu hai una forza che può essere infinita, e sei tu la prescelta per questa guerra. Addio adorata figlia».
Haxen si asciugò il viso rigato di lacrime con l’orlo della manica e valorosamente sorrise.
«Adorati figli, andrà tutto bene. Passerete il prossimo inverno a casa vostra, non più rinchiusi in questa palafitta, con il terrore costante di essere riconosciuti e perseguitati. Non posso permetterlo, ora che so che la vittoria è vicina, a portata di mano, che il mio popolo è con me nella ribellione contro l’usurpazione e la barbarie. Nella reggia che vi appartiene, accanto al fuoco, mangiando castagne insieme a vostra nonna, che non sarà uccisa e che conoscerete. Conoscerete la neve, gli immensi boschi di quercia nera, le grandi tigri bianche che vivono solo sulle nostre cime. Una di loro, la più terribile, ha assassinato vostro nonno, ma vostro padre l’ha uccisa. Conoscerete la vostra storia e quella del vostro regno».
Haxen si girò e uscì di corsa, per evitare di mettersi a piangere di nuovo.
Hania pensò che se non fosse tornata, avrebbero perso anche la spada.
Se fosse riuscita nell’impresa, se fossero riusciti a tornare, lei si sarebbe liberata dei folletti.
Comunque la storia, tutta, quella del mondo e quella del regno, lei già la sapeva.
Roa si mise a piangere e Rois la consolò. Per fortuna in quello era bravo.