Per la terza volta nella sua vita Dartred se ne stava accoccolato sul pavimento gelido e fetido di una cella ad aspettare di essere impiccato. Era un’esperienza che in una vita decente non avrebbe dovuto mai accadere, e la rendeva ancora più aspra il fatto che nel suo caso fosse anche ripetuta. Questa volta nessuno sarebbe venuto a salvarlo e, quello che era peggio, questa volta Haxen moriva insieme con lui.
E lui non aveva nemmeno l’onore di aver custodito la sua vita tenendola al sicuro. “Al peggio non c’è mai fine” diceva suo padre, lo ripeteva in continuazione quando lui era bambino, ora che ci pensava doveva essere la frase che Dartred aveva sentito più spesso.
Riconosceva che ogni frase di suo padre conteneva la verità e la conteneva nel modo in cui la verità doveva essere: nuda e cruda e comprensibile. Per diventare acciaio, una spada doveva passare dal fuoco; se una fusione si interrompeva a metà, poi veniva uno schifo, e al peggio non c’era mai fine.
Dartred si era trascinato in una trappola, trappola che aveva attirato anche la sua principessa e la sua sposa. L’esca era stata preparata bene, doveva riconoscerlo, stava per essere ammazzato con in più la sofferenza e l’angoscia che i suoi figli sarebbero stati abbandonati in un mondo di lupi, e questo era l’ultimo colpetto del peggio verso il peggio, l’ultima pennellata dell’affresco.
Gli armigeri che lo avevano arrestato erano stati reclutati tra i barbari del regni del nord, il meglio del meglio nel campo della barbarie, il fior fiore della distruzione, l’aristocrazia dell’odio folle.
Gli uomini giovani non avevano niente di meglio da fare nel regno che crepare di fame, stare accoccolati sui loro deretani e giocare a dadi.
Se volevano reclutare armigeri, di qualsiasi tipo, alti bassi, intelligenti, cretini come un gallina, con i capelli biondi o neri o rossi, avevano solo l’imbarazzo della scelta.
Eppure avevano permesso ai loro peggiori nemici di vivere nel regno armati fino ai denti. Dartred pensò a tutti gli uomini che erano morti per combatterli, per tenerli fuori, a tutto il sangue, a tutto il dolore, e ora loro erano lì, armati a spadroneggiare sul suo popolo disarmato, già al loro posto, quando il momento sarebbe venuto, ed era evidente che prima o poi sarebbe venuto, di una nuova guerra, una nuova invasione.
E questa volta lui non ci sarebbe stato a proteggere la frontiera. Questa volta, per gli invasori, annientare il Regno delle Sette Cime sarebbe stata una passeggiata tra le margherite in fiore, con il popolo delle Sette Cime disarmato e succube, e un gruppo di invasori con la divisa da armigero giudiziosamente messo in ogni città.
L’unica risibile consolazione era che per prima cosa avrebbero tagliato la gola a chi li comandava, a cominciare da quella falsa regina povera, che era viva perché lui e Haxen l’avevano salvata.
E mentre la disperazione stava per sommergerlo, dalle parole stesse della sua afflizione, rinacque esile e ostinato il filo della speranza.
Le parole erano Rois, Roa e ovviamente Hania. Li lasciava orfani in un mondo atroce, ma altrettanto vero era che esistevano e erano vivi: ognuno di loro era una vittoria.
Dartred si ricordò della notte in cui aveva ucciso la tigre, l’enorme tigre maschio che a sua volta aveva assassinato il suo re Ari, bestia che, ora lo capiva, era uno degli emissari dell’Oscurità. L’Oscurità quindi poteva essere battuta.
«Ari, mio Signore» mormorò nel buio della cella. «È con infinita vergogna che mi rivolgo a voi, perché non sono riuscito a salvare vostra figlia, mia sposa e mia regina, che salirà sul patibolo insieme a me, e la sua morte pesa sulla mia anima come un macigno. La sua morte, che lascia orfano il mondo del suo più grande cavaliere, e orfani della loro madre le tre persone che più amo al mondo e che certamente più amereste voi, se la vostra vita non fosse stata stroncata con tanta crudele malizia. E insieme è con infinita fierezza che posso dirvi che sono stato il vostro scudiero, sono diventato un cavaliere e ho addestrato i miei successori, sire, i vostri eredi, Hania e Rois».
Dartred si interruppe, perché la sua voce non riuscì a continuare. Le lacrime gli erano arrivate agli occhi, al pronunciare quei nomi, ma lui le ricacciò.
Non avrebbe addestrato la piccolina. Lui non le avrebbe insegnato l’uso della spada e Haxen non le avrebbe insegnato come si fanno i biscotti con l’uvetta e nemmeno senza. La piccolina sarebbe cresciuta senza la loro presenza, il loro ricordo si sarebbe perso in una indistinta sensazione di vuoto e di abbandono. Sempre che la sua tenerissima vita non finisse stroncata. Dartred cacciò il pensiero. Non sarebbe successo.
«I vostri nipoti maggiori, mio signore, sono degni di voi. Hania ha il temerario coraggio di resistere ogni giorno alle tenebre che l’hanno generata e Rois ha la saggezza di trattenerla da questa parte del mondo. I vostri nipoti vi piacerebbero, Mio signore, anche la piccolina. Ha imparato quasi a camminare, e sta imparando a dire “mamma”» di nuovo la voce di Dartred si interruppe. Lui non l’avrebbe sentita dire la parola “padre”. «Sta imparando a dire “mamma”, e i suoi fratelli la proteggeranno. La proteggeranno da tutto e da tutti e lei diventerà grande, anche senza il ricordo di noi, lei ce la farà, lei diventerà grande».
Dartred si interruppe di nuovo. Riprese fiato.
«Bene mio signore, c’è la guerra, sempre la stessa, quella che c’è sempre stata, la guerra tra l’Oscurità e la vita. L’Oscurità, nella sua protervia di poter essere un creatore, ha invece dato vita al suo più grande nemico. Hania li fermerà, mio signore, Hania salverà tutti. Non so come, mio signore, ma vostra figlia salvando la bambina maledetta, ha salvato il mondo. Io non ho salvato vostra figlia, mio signore, e di questo vi chiedo perdono. Al peggio non c’è mai fine, e io ho perso la battaglia della vita di vostra figlia, ma la guerra la vinceremo, mio signore. Non so come, ma sono certo che un sentiero esiste e i vostri nipoti cavalieri lo troveranno e lo percorreranno fino alla fine».
Dartred si prese il volto tra le mani, e restò così a lungo. Poi, però, si alzò, aggrappandosi alle sporgenze delle pietre sui muri e, nonostante le ferite fresche e mal medicate, riuscì a trascinarsi in alto, dove c’era la piccola feritoia chiusa da un’inferriata, per fortuna larga abbastanza da farci passare una mano.