Haxen si tirò su faticosamente e si affacciò all’inferriata. Nella piccola piazza una vecchietta domandava la carità. Era l’unica che stesse dando al suo tempo un utilizzo: tutti gli altri lo stavano perdendo, chi seduto sui gradini, chi appoggiato al muro.
Haxen desiderò con tutte le sue forze di avere in mano una di quelle lampade di cui si favoleggiava nelle fiabe per bambini: un oggetto magico che avrebbe lasciato fuoriuscire un genio in grado di compiere miracoli. Avrebbe chiesto che le potesse essere donato tutto il tempo inutilmente smarrito nella noia da tutti coloro che, avendo avuto il dono della vita, lo stavano sprecando.
Desiderò con tutto il cuore di poter avere un po’ di quel tempo che gli stolti sperperavano. Se avessero potuto esserle consegnate tutte le ore che le massaie dilapidavano nei mercati a dire malevolenze sulle vicine, sulla vita, sui figli e sui mariti, non avrebbe chiesto altro. Avrebbe voluto avere tutto il tempo che gli uomini scialacquavano a stordirsi con la birra o con il gioco dei dadi per consolarsi dell’essere vivi. Avrebbe voluto avere almeno il tempo che aveva sprecato lei in doglianze e malumore. Tutto insieme avrebbe forse fatto qualche anno, forse un decennio o forse tre, il tempo per veder crescere i suoi bambini, Roa la piccolina dal faccino tondo come la luna, Rois, il saggio, e lei, Hania, la sua maggiore, la bambina fatta di tenebra, che non aveva ceduto al buio.
La piccolina stava imparando a dire “mamma”, ora non lo avrebbe più detto a nessuno. Sarebbe cresciuta senza che lei potesse insegnarle come sorridere e essere viva. La sua bimbetta come avrebbe mai potuto capire perché era stata abbandonata, come avrebbe mai potuto sapere quanto lei l’aveva amata? Quanto lei la amava!
Hania ora restava sola, aveva dodici anni, la lasciava con il compito di proteggere i fratelli e il mondo. L’Oscuro stava attaccando su tutti i fronti. Mai come in quel momento loro due erano necessari. La speranza aveva bisogno di Haxen e di Dartred, erano gli unici due che potevano salvare la giustizia, e stavano per morire.
Però c’era Hania.
Haxen pensò a sua madre, morta di dolore, di freddo e di stenti, e si accorse di quanto le era mancato non averla vicino. Non averle nemmeno potuto dire di Rois e Roa. Almeno aveva saputo di Hania, che era salva dalle tenebre, che Dartred era con lei a proteggerla.
Sporse la mano fuori dall’inferriata, la sposto il più possibile verso la cella del suo sposo. Sapeva che era lì, e finalmente la mano di lui riuscì a sfiorarla.
«Come state?» chiese. «Le vostre ferite?»
«Con un po’ di aiuto riuscirò a trascinarmi fino alla forca, non temete, non vi farò fare brutta figura, sono al momento il vostro unico campione» rispose Dartred. «Non temiate principessa» le disse ancora. «Andrà tutto bene. Morire sarà veloce. Cadiamo dall’alto, un colpo secco. Sono stati gentili, si sono limitati alla forca, e poi saremo sempre insieme, saremo di nuovo insieme. Troveremo i vostri genitori e i miei, spero che non saranno imbarazzati per un matrimonio così inusuale. Ritroveremo il nano, in fondo è lui che ci ha sposato».
«I nostri figli» cominciò lei.
«I nostri figli hanno Hania. Insieme ad Hania i nostri figli fermeranno l’Oscuro. Ricordate, signora: alla fine andrà tutto bene e se non sta ancora andando tutto bene è perché non siamo ancora alla fine. Signora, se esiste l’Oscuro, è questo che non abbiamo mai pensato, esiste anche la Luce, mia signora, mia principessa e mia sposa, non temiate, che la paura non lordi il vostro cuore. Lo riempia invece la certezza che chi si è battuto perché la tenerezza trionfi sulla barbarie e la verità sulla menzogna si è sempre battuto nell’esercito vincitore. I nostri figli vinceranno, signora, e quindi noi ora moriamo da vincitori, e come noi, tutti i morti giaceranno come vincitori, perché noi siamo destinati a vincere, l’Oscurità è destinata a perdere. Mia signora, vi prego, sorridetemi, anche se non posso vedere il vostro viso, regalatemi l’ultima grazia del vostro sorriso. Non posso vedervi, ma lo capisco dalle vostre parole se state sorridendo, quindi sorridete. Abbiamo conosciuto l’amore, abbiamo messo al mondo figli invincibili, come possiamo non donare al boia il nostro sorriso, come possiamo non fargli sapere che ha perso la sua battaglia di renderci disperati?»
Con il viso rigato di lacrime, Haxen riuscì a sorridere.
La notte venne e una luna enorme sparse la sua luce pulita sul mondo. Haxen tenne più a lungo che poteva la sua mano a sfiorare quella di Dartred, fino a che la stanchezza infinita delle sue membra malnutrite non la costrinse a terra. Il boia sarebbe arrivato la mattina dopo, aveva poco tempo e lo sapeva.
Sentì un rumore alle sue spalle, troppo lieve per essere una persona. Si girò lentamente. Il Signore Oscuro era davanti a lei. Era fatto di tenebre e stava nelle tenebre, eppure lo vedeva.
«Finalmente ti ho avuta, alla fine» sibilò l’ombra. Era enorme, riempiva la minuscola cella. La sovrastava. Haxen sentì una strana esultanza. Non aveva più nessuna paura, aveva già pianto tutte le sue lacrime. Ora quasi le piaceva l’idea di poterlo affrontare. Lei era nell’esercito vincitore.
«Non mi risulta di aver mai condiviso con voi un pomeriggio di passeggiata o una coppa di vino, quindi quando vi rivolgete a me abbiate la compiacenza di usare un linguaggio degno e di evitare di rendervi ridicolo. Io sono Haxen delle Sette Cime».
L’ombra vacillò. Il sarcasmo lo esasperava. L’accusa di essere ridicolo era il suo veleno, esattamente come per Joffa.
«Tu non sai chi sono io veramente» sibilò.
«Ma no, lo so benissimo: un piccolo demone squallido pieno di invidia per il mondo, di cui non sarebbe stato capace di creare un solo sasso, una sola stilla di fango. Sei tu a non sapere chi sono io, non ne hai nessuna idea!»
«E chi pensi di essere? Una donnetta che sta per essere giustiziata di nascosto insieme al suo straccione. Io posso farti urlare di dolore, posso infuocare questa stanza così che tu muoia bruciata».
«Povero piccolo demone insulso, puoi bruciare il mio corpo. Il mio corpo sta per morire: o domani su una forca ucciso dal boia, o qui dentro, ucciso da te. Non posso scegliere di non morire, di non essere ammazzata. Un punto per te, te lo concedo, ma posso scegliere di morire senza paura, di morire senza rimpianti e senza rimorsi e anche senza rancori. Ho avuto una vita magnifica, demone, ho avuto l’uomo che volevo, ho combattuto una guerra che so che sarà vittoriosa. Dovevi farmi paura? Allora hai perso, demone, sei un miserabile, un povero cialtrone. I corpi percepiscono il dolore e provano paura, e tutto quello che tu sai fare è torturare i corpi. Te l’ho detto, demone, tu non sai chi sono io».
L’Oscuro vacillò, si ridusse e si stinse. Hania aveva ragione. Non reggeva lo scherno.
«E chi saresti, donnetta?» domandò di nuovo.
«Vuoi veramente che te lo dica? Sei sicuro di essere capace di ascoltarlo? Sono la figlia del re che ti ha fermato, sposa del guerriero che ti ha tenuto testa, che già una volta ti ha sconfitto, e soprattutto sono la madre di chi ti distruggerà, di chi ti sconfiggerà, sono la madre della tua stessa figlia e lei è il mio più grande guerriero. Hania è mia, demone, è la mia bambina; lei combatterà per il mondo e lo proteggerà, lei distruggerà i tuoi eserciti, lei distruggerà te. Non so cosa farà di te, forse ti rinchiuderà in una bottiglia, come si raccontava nella vecchie storie, o ti ridurrà a un pugno di cenere in un vulcano, non ho idea di come si sconfiggano i demoni, ma so che Hania è in grado di farlo, già una volta lo ha quasi fatto ed era una bimbetta».
Il demone vacillò. Haxen aveva colpito nel segno.
«Io ammazzerò i tuoi figli» sibilò l’Oscuro. «Non so come tu sia riuscita a concepire ancora, eppure avevo stregato il tuo ventre, ma porrò fine a questo errore, che i tuoi figli siano vivi. E Hania, la annienterò!»
Haxen sentì una lama di gelo trafiggerle l’anima all’idea della morte dei suoi bambini, risentì la voce di Rois, rivide il faccino della piccolina, gli occhi senza paura di Hania, e si riprese immediatamente. Rise.
«Sono loro che distruggeranno te. Quei figli sono nati da me e dal mio sposo, noi ci siamo amati, io ho accolto il suo corpo nel mio ed ora siamo padre e madre, ci siamo fusi nei nostri figli che hanno la sua potenza e la mia. E poi c’è Hania, la mia bambina che tu hai creato perché vivesse nell’odio e nel dolore e ha imparato altre vie. Ha imparato altre vie perché io gliele ho insegnate, perché quello che tu chiami lo straccione gliele ha mostrate. Hai ucciso mio padre, hai fatto morire mia madre di stenti, stai per uccidere me eppure noi ti sconfiggeremo. Sono i miei figli che distruggeranno te».
Ne era certa, semplicemente perché era ovvio. Era ovvio che alla fine la luce vincesse sul buio, la gentilezza sulla barbarie. Alla fine avrebbero vinto.
Lei aveva vinto. Si guardò intorno.
Il demone era scomparso dalla sua cella.
Un’euforia indicibile la prese. Le parole che aveva pronunciato risuonarono dentro di lei: avrebbero vinto, una vittoria dopo l’altra avrebbero riconquistato il mondo.