Dartred e Haxen non tornarono, né il mese dopo né il mese successivo.
Hania si chiese se doveva informare Rois che probabilmente erano orfani. Decise che era meglio essere sicuri e, anche se sapeva quanto era pericoloso, inviò ancora una volta la cicogna.
L’uccello era improvvisamente invecchiato nel giro di una luna, aveva tutte le piume grigie, Hania lo salutò carezzandolo a lungo e dolcemente. Fu un addio più commosso di quello con sua madre. Era evidente che con gli animali la sua mente frastornata riusciva a intrattenere rapporti più completi e meno spigolosi che con le persone, e tra le persone il rapporto più problematico restava quello con sua madre.
Solo Rois era una parziale eccezione a quella regola, forse perché la sua mente di bimbo le aveva permesso un potere che le altre menti avrebbero trovato un’intollerabile intrusione, eppure anche così Rois non era mai stato in suo potere. Semplicemente, era in grado di accogliere più degli altri. In un certo senso lui sapeva già il colore di quello che lei stava per dire, se era azzurro di contentezza o nero e rosso di collera, e quindi aveva imparato con una rapidità eccezionale il linguaggio dei segni. E a volte il miracolo succedeva: una mezza frase, o anche una intera, passava da una mente all’altra, e Hania usciva dal silenzio che le era stato imposto come un sudario di piombo. Poi, però, la legge della natura che le parole dovessero risuonare per essere comprese, riprendeva il sopravvento.
Forse quello che aveva per Rois era ciò che si chiama “voler bene”. Provava qualcosa del genere anche per Dartred. E in qualche maniera le era dispiaciuto per la morte del nano Rastrid. Il fatto di non averlo mai conosciuto, di non averne cioè mai dovuto tollerare né la presenza né la conversazione, aveva reso più genuino il dispiacere.
Voler bene significava “voglio il tuo bene”. Amare, una volta scomposta la parola nei suoi minimi termini, voleva dire “non volere la morte”, c’era la a, che era una negazione e poi c’era mor, morte. “Io ti amo” voleva dire “non voglio la tua morte”. In questo senso lei amava un pochino gli altri, alcuni almeno, non voleva la loro morte, ma in realtà era un impasto di senso del dovere e imitazione del Cavaliere di Luce. Guardava i morti uccisi dalla lebbra o dalle ondate e tutto scivolava via. Già dopo pochi istanti lei si distraeva a guardare le iridescenze delle ali delle mosche che si spaparanzavano felici sui loro occhi lasciati spalancati nella morte. La felicità delle mosche valeva il dispiacere del cadavere? O di quelli che lo stavano piangendo?
Rois era il bambino di Dartred e Haxen. A Rastrid sarebbe piaciuto. Doveva proteggere Rois. Il dovere era comunque qualcosa, non era spazzatura. Era una guida, un’armatura, un senso dato alle cose. Quando il tempo era senza senso si giocava a scacchi, cioè ci si creava un inventato dovere di vincere un’inventata battaglia.
Doveva giocare come in una scacchiera.
I suoi poteri erano poco più di nulla.
Non poteva sbagliare nemmeno una mossa, se voleva restare in vita e che vivo restasse Rois.
La cicogna si alzò in volo. Era mattina prestissimo, il momento magico subito prima dell’alba quando il cielo a est era pieno di rosa e di oro e un vento lieve riempiva con il ricordo dell’erba quelle lande aride. Questa volta Hania si concentrò sulla mente dell’uccello con tutta la sua forza, con uno sforzo che la spossò, così da riuscire a seguirne tutto il lungo volo che impiegò due giorni e due notti.
Lei se ne restò immobile, rincantucciata all’ombra di una ciclopica pietra, insensibile a ogni richiamo, senza mangiare nulla, quasi rinunciando a bere, perché se si fosse distratta avrebbe perso quel legame che diventava sempre più esile con l’aumento della distanza.
Attraverso gli occhi della creatura alata, Hania vide l’altopiano di Geno che si prolungava nel Deserto delle Torri Perdute, che erano sempre più sperdute, sempre più polverose, sempre più abbandonate, in un’incuria folle che lasciava il Regno delle Sette Cime serenamente esposto a chiunque avesse deciso di prendersi il disturbo di invaderlo. La cicogna si fermò una notte sulla sua torre, la più alta meridionale, poi riprese il volo e Hania la seguì fino alla Valle degli Zampilli. Le aveva dato ordine di volare molto alta, fuori dalla portata di qualsiasi freccia, ma il vecchio maschio era veramente molto vecchio e ormai l’altitudine lo spaventava, poi lei non aveva calcolato le balestre nel dare l’ordine.
Gli aveva detto di volare al di sopra della gittata delle frecce, aveva immaginato l’altezza giusta nella sua mente, così che l’uccello lo sentisse nella sua, ma le balestre avevano una gittata maggiore e l’altezza non era stata sufficiente.
La cicogna fu colpita e cadde, vorticando nell’aria. Riuscì ancora a vedere per qualche istante il gruppo di balestrieri stranamente grossi e tutti biondi che evidentemente la stavano aspettando con le balestre. Il volo precedente della cicogna non doveva essere passato inosservato e ora erano in allerta.
Era molto probabile che tutto fosse stato una trappola, e allora voleva dire che Haxen e Dartred erano caduti, come era caduta la cicogna. Hania sentì il dolore della freccia nel collo, e l’aria dentro cui le sue ali cercavano di volare e poi non sentì più nulla, perché la cicogna era morta.
Passò un altro mese e finalmente nelle strade di Geno e sui suoi moli affollati di uomini che riparavano reti e donne che vendevano sardine, portata dai mercanti e piena di letizia, arrivò la notizia che la principessa Haxen e un altro tizio, lo straccione che aveva sposato, erano stati impiccati. Erano stati impiccati di nascosto, però lo sapevano tutti perché lo avevano visto le cuoche, ognuna delle quali poi aveva rivelato il segreto a una mezza dozzina di vicini, ognuno dei quali, a sua volta lo aveva detto ad un’altra mezza dozzina di vicini e la notizia era volata più veloce che se fosse stata portata dai banditori. E con quello il malocchio avrebbe dovuto diminuire, per finire solo quando fosse stata ammazzata anche la strega muta.
Alcuni mercanti lo dissero agli armigeri e uno di loro lo comunicò anche alla comunità dei lebbrosi, così che la notizia rimbalzò e rimbalzò fino ad arrivare anche a Rois, che fu quello che la udì per primo. Andò a riferirla a Hania, con voce incerta e piena di speranza, in attesa evidente che lei lo contraddicesse, segnalasse con un qualche movimento delle mani che, no, certamente no, la cicogna le aveva permesso di vedere Haxen e Dartred vivi, oppure i topi, oppure i gabbiani, i falchi, le coccinelle, qualcuno.
Rois restò a lungo davanti a lei, nella speranza che diventava ogni istante più piccola e sfrangiata che lei gli dicesse che no, non era vero, che la madre e il padre erano ancora vivi, poteva capitare che false notizie si creassero e poi circolassero sbattendo ovunque come i girini in una pozza troppo piccola.
Hania restò in silenzio, chiusa con la faccia verso il basso e le braccia conserte, perché tanto non c’era niente da dire e niente da fare.
Rois si mise a piangere. Un lungo pianto silenzioso che durò tutta la notte.
Il giorno successivo, accompagnati da una brezza tesa che spirava dal mare e che era riuscita a superare la cima della montagna dell’Aria Grigia, giunsero fino a loro i carrettieri che una volta al mese portavano pesce, cipolle, cavoli e fave. Raccontarono dei festeggiamenti della città alle notizie che arrivavano dal regno vicino. Non che a loro delle vicende delle Sette Cime importasse veramente qualcosa, ma qualsiasi disgrazia di qualsiasi vicino tendeva a riempirli di letizia. Inoltre si trattava di una notizia che rincuorava il mondo intero: il malocchio sarebbe diminuito, i campi sarebbero rifioriti, il vino sarebbe venuto migliore, i mercanti di ossa sarebbero aumentati e le ragazze brutte avrebbero trovato marito. Con la morte della principessa delle Sette Cime si era fatto il primo passo perché un mondo di prosperità e giustizia nascesse per non finire mai più. Quanto all’infernale bambina, la principessa aveva giurato sul suo onore che fosse morta, anzi che si fosse dissolta in una nuvola di fumo dorato cadendo in una pozza di Acqua Sacra.
Qualcuno ci aveva creduto e qualcuno no, per stabilire chi avesse ragione si era deciso di affidarsi alla malasorte: se continuava, voleva dire che la piccola strega era ancora in giro e che bisognava cercarla per ammazzarla.
La malasorte continuava come non mai, quindi la piccola strega era da qualche parte. Gli abitanti di Geno avrebbero fatto meglio a darsi da fare, controllare che non fosse ancora nei paraggi, altrimenti la pestilenza, il dolore e l’abominio della desolazione sarebbero caduti sulla loro incauta testa come i fiocchi di neve sulle pendici dei monti.
Le ricerche sarebbero state più attente e accurate e soprattutto si sarebbero espanse a tutto il territorio di Geno: le pendici della montagna dell’Aria Grigia, la valle del lebbrosario e dei bambini salvati, le lunghe valli laterali fatte di vigneti e piccoli villaggi, la grande arida piana fino al Deserto delle Torri Perdute.
Il nano venne a cercarli.
«Vi chiedo di allontanarvi. Il pericolo è eccessivo, troppo grande. Ormai tutti sanno che la principessa Haxen e il suo scudiero, sempre che non fosse il suo sposo, venivano da Geno, perché qui per anni si erano rifugiati e nascosti. Notizie di un ragazzo, che però potrebbe essere una bambina camuffata, di grande bellezza e incapace di parlare si sono ovunque diffuse. Alcuni mercanti hanno notato una cicogna, forse l’ultima vista da anni, volare sul lebbrosario un paio di lune fa. Tutti sanno di voi. Verranno a cercarvi qui, e se il minimo dubbio li coglierà, c’è il rischio che il nostro rifugio sia attaccato. Tutto quello che ci protegge è la paura del contagio, ma non ci vuole molto a chiudere un lebbrosario: basta qualche fascina di legno molto secco e tutto è fatto. Nulla possiamo contro il fuoco. Vi prego di allontanarvi, per sempre, e subito: partirete accompagnati dalle nostre benedizioni. So che la madre e il padre che avete perso erano persone buone, con la capacità e il coraggio di combattere il male. Li ricorderemo insieme ai nostri morti, come numi tutelari del mondo. E ora vi prego, andate, e che ovunque siano benedetti i vostri passi, e sia benedetta la vostra mano».