Hania non poteva usare i topi per sapere cosa succedeva nella città, nemmeno i gabbiani che con il loro volo avrebbero aiutato molto. L’Oscuro Signore, come lei, aveva capacità di controllo sulle menti degli animali, e non aspettava altro per stanarla, localizzarla e presentarsi di persona, e quello non era il momento. Un animale da solo poteva sfuggire al suo sguardo, come forse era sfuggita la cicogna almeno agli inizi, ma un gruppo di animali che eseguiva un ordine sarebbe stato percepibile dalla mente dell’Oscuro, gli avrebbe segnalato la presenza esatta di Hania.
Avevano i folletti.
Suo padre era straordinariamente astuto e straordinariamente stupido. Astuzia e intelligenza non sono la stessa cosa. L’intelligenza consiste nel capire dove bisognava andare, quale fosse la meta. L’astuzia è la capacità di trovare scorciatoie. Lui non aveva calcolato i folletti.
I folletti però erano bimbi piccoli, li avevano ammazzati da neonati: la capacità di intelligere, comprendere e capire era quella che era. Ancora più incapaci e irragionevoli di Roa, erano in completa balia del sentimento dell’istante: se si arrabbiavano dimenticavano tutto per andare a sollevare onde, se vedevano una farfalla le correvano dietro. In compenso, essendo immateriali, non sbavavano e non era necessario pulirli perché non puzzassero dei propri escrementi.
Certo, i topi sarebbero stati un’altra cosa. I topi arrivavano ovunque, eseguivano qualsiasi ordine, potevano anche ballare al suono di un flauto, erano dotati di denti ed erano anche buoni da mangiare.
I topi erano la perfezione del mondo, e nel campo della loro perfezione brillava ancora di più la magnificenza della pantegana, con i suoi denti micidiali, ma le battaglie si combattevano con quello che si poteva, non con quanto sarebbe stato bello avere a disposizione.
I folletti erano comunque qualcosa ed erano tanti. Ascoltando i loro cicalecci inconcludenti e i piagnucolii addolorati e affliggenti, Hania non ebbe nemmeno una zoppicante idea di dove fossero le donne rapite, ma seppe che gli uomini erano scappati nelle grotte, che i pirati erano nei magazzini dei moli, che erano armati molto e male, soprattutto di pochi archi.
Con infinita pazienza, Hania riuscì a inviarli nel palazzo del Governatore. Era un luogo che non amavano, che non apparteneva a nessuno di loro, e che sentivano particolarmente gelido e ostile.
Finalmente qualcuno tornò con l’immagine di miriadi di donne rinchiuse nei sotterranei e con la confusa immagine del detentore della carica, Tirpe della Colonna. Hania aveva pensato che a quell’ora sarebbe già stato un avvilito cadavere che penzolava da qualche trave, e invece era ancora pasciuto e arzillo e se ne stava seduto a una gigantesca tavola di rovere intarsiato a conversare con il capo dei pirati, un tizio enorme e biondastro, con le braccia nude piene di tatuaggi.
Geno quindi era stata venduta. Era stata sempre venduta, era evidente, ma questa volta il costo era stato più alto e il danno definitivo.
«Andiamo a raccogliere gli uomini che combatteranno per noi e con noi» comunicò al fratello.
«Come fai ad essere così certa che combatteranno per noi?» chiese Rois. I suoi non erano i dubbi del sottoposto recalcitrante, ma oneste richieste di chiarimento dell’allievo volenteroso.
«Diciamo loro la verità» rispose Hania.
Anche se Rois poteva sentire la sua voce, lei fece il gesto: uno solo, quello che indicava la parola “verità”, mano destra verso l’alto con le dita spalancate, perché non potessero esserci dubbi. Era un segno che non poteva essere frainteso.
«Quale? Ci sono molte verità. Che una mela è più grossa di una ciliegia è una verità. Che essere sani è meglio che essere morti, o feriti, storpiati è anche questa una verità, è inoppugnabile ed è proprio questa la verità che li tiene in quei buchi».
«La verità è che sono dei vili, loro si credono saggi, ma sono dei vili, ed è questo che dovrai dire. Essere dei vili ha dato la loro città in mano ai lupi, ha reso le loro donne le assassine dei loro stessi figli, ha reso loro carnefici della loro stessa vita».
Erano forti e sicuri, perfetti, l’unico comandante possibile: la strega muta e il giovanissimo fratello che era la sua voce.
«No, non diremo questo» rispose Rois. «Diremo che possono essere dei guerrieri, che possono diventare degli eroi. È questo il compito di un comandante».
Si arrampicarono tra gli alberi, superarono le sentinelle dei pirati e finalmente, guidati dai folletti, trovarono la piccola grotta completamente nascosta da una doppia fila di salici e arbusti di sambuco, che era e sarebbe rimasta introvabile se i folletti non avessero protetto e guidato i loro passi.
Non c’erano sentieri per arrivare fin lì, dovettero passare tra bassi cespugli di mirto e finocchio selvatico, e solo con molta attenzione riuscirono a vedere le poche tracce di un precedente passaggio che doveva essere stato estremamente cauto.
La grotta era enorme. Aveva un piccolo ingresso che si spalancava in saloni fiabeschi, illuminati da torce che permettevano alle stalattiti di proiettare ombre che ondeggiavano lievi sui muri grigi e rosati. Centinaia di uomini se ne stavano accatastati in una grotta minuscola, stringendo le stesse roncole e gli stessi forconi che avevano cercato di usare contro Hania.
Lei li guardò, cercando tra di loro i volti che conosceva. Martilo, il fabbro, che era venuto a riparare i cardini della porta della sua casa, e Rollo, il falegname, che aveva riparato la sua palafitta e il tetto.
Non li aveva mai veramente incontrati in vita sua, ma li aveva intravisti nascosta nell’ombra, mentre davano forza alla casa che la proteggeva. Di Martilo c’erano anche i tre figli maschi. Sapeva che erano tutte figure benigne, ed erano anche tutta gente abituata a lavorare di martello e di ascia, ognuno di loro sembrava non dovesse avere troppi problemi a prendere in braccio un bue.
Hania e Rois vennero in origine accolti quasi con gioia, perché i loro passi avevano destato terrore e scoprire che non erano pirati dette consolazione, ma quando qualcuno li riconobbe si scatenò la collera.
Ci fu una rivolta contro di loro.
«Sei la strega. È colpa tua. Tutto quello che sta succedendo è il tuo malocchio».
«Se mia sorella Hania, nata dalle tenebre, erede delle Sette Cime, ti avesse lanciato il malocchio, ora saresti orbo e con una gamba di meno. Tutto quello che sta succedendo lo stanno facendo i pirati. Ma oggi combatterete, oggi rovescerete la vostra sorte».
«Se ti ammazzavamo questo non succedeva. Se vi ammazziamo adesso tutto andrà a posto».
«Mia sorella Hania, nata dalle tenebre, erede delle Sette Cime, è l’unico condottiero di cui disponete ed è venuta a salvarvi».
«Condottiero? Contro quale spigolo hai battuto la testa, moccioso? Quelli delle Sette Cime possono crepare. Voi siete imparentati? Quale onore! E quello lì che sembra un maschio e insieme una femmina è la strega muta. È molto bella, tra l’altro, la consegniamo ai pirati e tutto andrà a posto».
Hania allungò leggermente il braccio, con la mano aperta: un gesto tranquillo, appena accennato. La roncola dell’uomo che aveva parlato si staccò dalla panca su cui si trovava e andò nella sua mano.
«Mia sorella Hania, nata dalle tenebre, erede delle Sette Cime, tra le sue numerose doti non ha la tolleranza all’idiozia, quindi vi prega di tacere, perché i limitati confini della sua angusta pazienza stanno per essere raggiunti e superati».
«E che vuol dire?» chiese qualcuno.
«Che se non stai zitto ti fa a pezzi. È una strega, no?» intuì qualcun altro.
Rois poté riprendere.
«La verità è che è stata la vostra passata viltà, non i pirati, non le mareggiate, quello che ha distrutto questa città. Alla viltà siete stati spinti da comandanti indegni, ma oggi il momento del vostro riscatto è arrivato».
Un sommesso ringhio si alzò dalla piccola folla. Rois non si scompose e continuò serenamente.
«Voi siete qui mentre il corpo delle vostre donne e dei vostri figli subisce il dolore e l’oltraggio in attesa del momento in cui arriverà il vostro turno di essere scannati. Voi siete qui a sperare che, dopo aver fatto quello che vogliono, i pirati se ne vadano lasciandovi qui vivi, come è successo tutte le altre volte. Un patto non scritto tra voi e loro. Questo patto non funziona più. I pirati sono venuti in numero ben più grande che in passato perché sono venuti per restare. Dovete diventare un esercito. E combattere. E vincere. Per voi. Per le vostre spose. Sapete cosa sono le mareggiate che periodicamente abbattono i vostri moli?»
«Il malocchio…»
«La sfortuna…»
«Ci hanno fatto una fattura…»
«Quelle mareggiate sono causate dalla furia dei piccoli spiriti che voi chiamate folletti».
Rois non riuscì a continuare, le risate di scherno lo interruppero.
«Bimbo, sei venuto a dirci che a te ti ha portato la cicogna? Quella che avevi sopra la casa?»
«Queste sono superstizioni di vecchie zie nubili, di vecchie nonne, di vecchie balie!»
Le vecchiette sapevano dell’Oscuro? Allora forse erano più intelligenti degli uomini e invecchiando miglioravano ulteriormente, se erano le uniche che avevano intuito la verità, che c’era uno scontro tra il bene e il male e che il male lasciava una traccia indelebile sul mondo, una traccia di sangue rappreso su cui avrebbero banchettato le mosche. Il signore dell’iniquità era il padrone del sangue rappreso sui cadaveri, il Signore delle mosche.
Rois sospirò.
«Perché volevate uccidere mia sorella?» chiese quietamente, con il tono di voce cortesemente cantilenante con cui ci si rivolge ai bambini.
«Perché è una strega!» rispose uno.
«Bravo. E perché è una strega?»
«Perché è la figlia dell’Oscuro!» risposero i molti.
«Eccellente! Vedete che quando vi impegnate ci arrivate!» approvò contento Rois, e poi ritornò bruscamente serio. «E l’Oscuro quindi non era una superstizione di donnette, se per il suo timore eravate disposti a sterminare una famiglia. Credete che mia sorella sia una strega, e quindi sapete che c’è un Oscuro che ha dichiarato guerra al mondo. E dato che lei ne è la figlia, Hania è l’unica che può tenere testa all’Oscuro. Veramente credevate che il crimine che periodicamente questa città ripete, la vigliaccheria di non combattere i colpevoli, e uccidere gli innocenti, non vi avrebbe lasciato segni? Ogni innocente ucciso è un piccolo spirito, e tutti insieme formano l’aura grigia che incombe sulla città nei giorni in cui non c’è la brezza che li disperde. E quando la loro angoscia sale, loro formano le ondate che distruggono tutto quello che trovano sulla loro strada. Voi siete gli artefici di ogni vostra disgrazia. Questa volta l’attacco è totale. I pirati sono molto più numerosi e hanno pattugliato le strade che si allontanano dalla città. Siete intrappolati qui. Questa non è la solita piccola scorribanda. Geno sarà conquistata e tenuta, perché da qui comincerà l’ennesima guerra al Regno delle Sette Cime, ma questa volta non sarete voi a farla, perché voi sarete già morti. Avete forse pensato che nascondendovi vi sareste salvati? Allora dovete avere una segreta capacità di raccontare fiabe e una ancora più fiabesca capacità di credervi. Il predatore, il pirata, il lupo da sempre esistono e sempre esisteranno. È l’uomo che deve proteggere la sua casa con la potenza del coraggio!»
«Non è vero! Sono di più, hanno pattugliato tutto, d’accordo, ma non resteranno. Se restassero, prima o poi dovrebbero lavorare, raccogliere qualche patata, tagliare un albero. Loro sono pirati. Noi ce ne stiamo qui buoni buoni, loro tra qualche giorno se ne vanno. Allora noi recuperiamo le nostre donne un po’ ammaccate, ma vive. Tra nove mesi se nasce qualcosa lo buttiamo in mare, mettiamo uno straccetto nero sul tetto in memoria, e va bene così» disse un tipo in fondo con la faccia quadrata.
Ma ormai qualche stilla di vergogna su quell’assemblea era scivolata e si stava infiltrando nelle fessure di quelle anime. Sommesse ondate di mugugni cominciarono a sollevarsi, ma nessuna divenne grande abbastanza perché le parole “vogliamo batterci” riecheggiassero.
A quel punto successe il cataclisma. I folletti che riempivano la grotta si infuriarono. Erano venuti a combattere per gli uomini, pieni di buona volontà e spirito di collaborazione, ma erano appunto spiritelli neonati, immersi nell’emotività più assoluta. I folletti impazzirono a sentirsi negati, a udire derisa la loro esistenza, disdetto il loro soffrire, smentita la loro disperazione di rifiutati e dimenticati. Uscirono a stuolo dalla grotta e la loro furia si ingigantì in nuvole nere, pioggia scrosciante, fulmini e tuoni e, soprattutto, in enormi ondate che si alzarono a spazzare i moli deserti, travolsero i poveri resti delle barche bruciate e spinsero i grandi velieri dei pirati contro i moli con tutta la violenza possibile. Gli alberi si spezzarono, gli scafi si incrinarono pericolosamente, e poi si aprirono.
Tutto successe in pochissimo tempo, poi quell’incredibile furia come era cominciata cessò, e i folletti si misero a piagnucolare in mezzo alle vele abbattute. Le grandi navi dei pirati, con gli ottoni lucenti e le vele nere, colarono dolcemente a picco, restando appoggiate sul basso fondo del porto con gli alberi, o quello che ne restava, che uscivano obliqui e sbilenchi a disegnare folli geometrie sul cielo grigio e tranquillo.
Con il cielo tornato limpido, gli uomini uscirono dalla loro tana e assistettero dall’alto allo scempio.
I folletti erano stati molto meglio dei sorci, Hania li aveva sottovalutati. I sorci mai sarebbero riusciti, nello spazio di meno di un’ora, a fare tutta quella geniale distruzione.
Ora gli uomini erano finalmente con le spalle al muro. I pirati non potevano più andarsene. Gli uomini se combattevano sarebbero stati ammazzati, ma se non combattevano, prima o poi sarebbero stati uccisi lo stesso, e in tutti i casi sarebbero finiti a nutrire anche loro i gamberi della baia. Tanto valeva combattere.
Con la violenza della loro disperazione, i folletti avevano semplificato le scelte: il coraggio era rimasta l’unica possibile. Hania apprezzò: detestava le complicazioni, le piacevano le cose semplici.
Un pigolio sommesso e dolente si alzò dal mucchio.
«Sono più forti di noi, la battaglia è persa».
«Noi siamo mercanti, pescatori, non certo soldati o alabardieri».
«Certo, gli alabardieri, era loro compito proteggerci. Si sono fatti vigliaccamente ammazzare tutti».
«Il Governatore che avrebbe dovuto difendere la città chissà dove è fuggito».
Il Governatore non era fuggito da nessuna parte. Se ne stava dove era ovvio che fosse, seduto nella sua casa con davanti del buon vino e due calici. Di fronte a lui, altrettanto comodo, il capo dei pirati.
«Nessuna battaglia è persa fino a quando c’è ancora un solo guerriero in vita. E voi siete ben più di uno, e se guardate dentro di voi, nel vostro cuore troverete la vergogna e, di fianco, il coraggio. Oggi voi combatterete, e domani di nuovo, se sarà necessario, e poi di nuovo. E vincerete, anche. E anche se fosse inutile, vi batterete, se anche servirà solo alla vostra morte, vi batterete, perché non volete morire con nelle orecchie il pianto di coloro che non avete soccorso. I cavalieri si battono sempre, anche quando la battaglia è persa, perché non combattere li leverebbe dal numero degli uomini per metterli in quello dei cani. Non trovereste più decente morire combattendo? Se anche doveste scampare alla morte, cosa ne farete di una vita dove avete sentito l’urlo delle vostre donne e dei vostri figli e non siete intervenuti? Sarà solo un fila infinita di giorni inutili che termineranno nella polvere. Se anche la battaglia fosse persa, è meglio combatterla che trascinarsi nell’orrore del ricordo e nel terrore che in ogni ombra si celi il nemico che vi insegue. Venite oggi a morire con noi. Avete radunato forconi e roncole per massacrarci, quindi ora avete le armi. Non c’è una grande differenza tra un forcone e una lancia, tra una roncola e una spada. E poi, siete così certi che la battaglia sia persa? Hania è una creatura delle tenebre, e le tenebre possono fermare le tenebre, lei ha la potenza di opporsi al male. Voi siete armati, avete un capo. Che, però, pretende un pagamento. A ogni incursione sono rimasti segni nei ventre delle vostre spose, bambini sono nati e sono stati assassinati e ora questa città di drappi neri è piena dei loro spiriti, quelli che chiamate folletti, che vogliono una tomba e un nome. Una tomba e un nome. Quindi voi ora giurate su quello che di sacro avete al mondo che i figli che nasceranno tra nove mesi saranno accolti come figli legittimi. E ora giurate che insieme a noi combatterete con tutta la vostra forza, con il coraggio che non avete mai avuto, che non vi è mai stato insegnato, ma che può nascere negli uomini quando nascono la dignità e l’onore. Ora potete scegliere. Noi andiamo a combattere. Chi viene con noi combatterà e vincerà. Chi resta qui morirà, se non ucciso dai pirati, ucciso dalla paura delle ombre. Venite a riconquistare l’onore di questa città maledetta».
Suo fratello univa la capacità diplomatica di sua madre e il sarcasmo del padre. Non era un caso, se ne rese conto. Glieli avevano insegnati apposta, sapendo che lui sarebbe stata la sua voce.
Haxen e Dartred avevano creato una coppia di guerrieri. Potevano vincere.
Ci fu un lungo silenzio. Poi uno degli uomini disse:
«Vabbe’, non è che ci credo che possiamo vincere, però morto per morto, tanto vale che mi diverto a scannarne qualcuno di quei cani. Io vengo».
Era uno dei figli di Martilo, il più grosso, verosimilmente i maggiore. Dopo qualche istante, scuotendo la testa, il padre grugnì un assenso, e fece segno con la testa agli altri due figli che si andava.
Dopo di lui fu la volta di Rollo il falegname, che aveva un’ascia, e fece scorrere le dita sul manico, lentamente, mentre pronunciava una specie di giuramento.
«Hanno ragione loro. Adesso andiamo avanti e combattiamo e non succederà mai più che piombino su di noi come lupi sulle pecore. Adesso facciamo lupi contro lupi. Usiamo le asce, i picconi e il badili».
«Abbiamo lasciato che queste cose succedessero. Adesso combattiamo. Coraggio uomini, non sempre si può essere senza macchia, ma si può sempre decidere di essere senza paura» aggiunse Martilo.
Uno dopo l’altro gli uomini sussurrarono la loro decisione di vivere e forse morire da eroi, o perlomeno non da vili. Furono all’inizio voci sommesse, che però divennero sempre più forti.
C’era un gruppo di contadini, armati con le loro zappe. Non era un’arma maggiore in un combattimento vero, ma poteva avere una potenza strategica.
«Sotto l’attacco delle faine e dei lupi, le talpe si salvano scavando. Voi create delle trincee, la terra è fradicia, non sarà difficile e non ci vorrà troppo tempo, così che possiamo aspettare i pirati nascosti e invisibili».
Quando il temporale cessò, le trincee erano scavate, e nascoste da fitti rami di quercia e di abete, così che i combattenti fossero invisibili. Altre buche, invece, profonde e vuote sotto una volta di felci e terra poggiate su un graticcio di rami sottili, erano trappole.
«Uomini» urlò Rois con la sua voce ancora di bambino, che però non era stonata, perché risuonava come la voce dell’innocenza perduta. «Uomini, mostrate il vostro coraggio al mondo, mostrate alle stelle quanta può essere la vostra collera. Non si combatte per odio, si combatte per amore: pensate a chi amate e combattete. Tutti insieme. Urliamolo. Devono sentirci. Sanno già che siamo da qualche parte, sanno già che stiamo per attaccare. Devono avere paura. Dovete fare paura. Più forte!» urlò Rois.
E gli uomini risposero. Un urlo si alzò a invocare il coraggio e scosse i cespugli e le cime degli alberi.
«Ehi, quale sarebbe il piano?» chiesero infine.
«Questo. Attirati dal vostro urlo avranno la sfrontatezza di venire qui, e questa è la loro trappola. Sono furiosi per le loro navi distrutte, ma anche spaventati. Sono scomposti, vengono alla spicciolata. Vi disprezzano talmente che non si sono nemmeno presi il disturbo di fare un piano. Appostatevi tra i cespugli, e quando li avrete a tiro, ognuno pensi a cosa aveva di più caro al mondo che loro hanno distrutto».
«Fratelli, pensiamo a nostra madre» disse il figlio di Martilo, quello che aveva parlato per primo.
Gli uomini ebbero la meglio, in quella prima battaglia. L’imboscata funzionò perfettamente. I pirati caddero nelle trappole, rimasero presi dalla furia di guerrieri che sembravano uscire dalla terra come le talpe, persero la loro arroganza e quell’arroganza era tutto il loro coraggio. La paura invase i loro cuori e divenne veleno per la forza del braccio che reggeva la spada. E poi c’era Hania, che correva da un duello all’altro, intervenendo quando i pirati, più armati e più addestrati alla guerra, rischiavano di prevalere.
La pattuglia di pirati, pieni di vino e di arroganza, che fu mandata a scovare quei chiassosi e imprudenti imbecilli, fu aggredita tra i cespugli e abbattuta.
Mentre la battaglia infuriava, alta risuonò la voce di Rois. Il canto che Dartred gli aveva insegnato da bambino, la cui melodia aveva sentito riecheggiare anche nel lebbrosario, sia pure con parole diverse, si alzò forte e nitido.
La forza della terra, dell’acqua la misericordia,
col nostro il cuore del mondo batte in concordia,
il nero della notte che i nostri sogni custodisca,
il rosso del coraggio, che la giustizia non perisca
il bianco della purezza, come neve distesa
perché alle tenebre mai daremo la resa.
Nel cielo e nelle acque forte risuona il nostro canto,
le terre emerse e quelle infere della nostra fierezza il vanto
saranno riunite nella luce: noi vinceremo il mostro.
Il cuore del mondo batte con il nostro.
Gli uomini non conoscevano la canzone, ma cominciarono a impararne le strofe. Ne urlavano smozzicati i versi tra un duello e l’altro. Ogni paura era scomparsa mentre i pirati, stupefatti e increduli, ripiegavano respinti e inseguiti da fabbri, falegnami, pescatori, padri di famiglia che avevano sempre considerato poveri stolti, prede, e che ora erano micidiali guerrieri.
Il sangue impregnò la terra. Neri si abbassarono i corvi. Il figlio maggiore del fabbro era caduto, e il padre disperato lo piangeva, e il cuore di Hania riuscì a sentire il dolore di quella ferita. E con lui molti caddero e altri li piansero, ma alla fine gli uomini ebbero il sopravvento, e provarono la cruda e aspra felicità della vittoria.
I pochi sopravvissuti tra i pirati furono legati nella caverna, avvolti nella rete da pesca.
«Ehi, idioti, vi faremo a pezzi. Un esercito di bifolchi comandati da un bamboccio e una ragazzetta. Sapete chi avete di fronte?»
«Certo! Abbiamo di fronte dei poveri cialtroni che fino ad ora hanno mostrato il loro valore solo affrontando gli inermi» rispose Rois.
«Sei un marmocchio» sibilò uno di loro.
«E vi ho già battuto adesso, figurati quando sarò grande» rispose sempre più serenamente Rois.