L’esercito vittorioso liberò le donne ostaggio dei pirati, rinchiuse nei sotterranei del palazzo del Governatore, terrorizzate e lacere, con i segni di violenze terribili. I calabroni avevano impedito ai pirati di far loro del male in attesa che arrivassero gli uomini, e si dispersero immediatamente non appena non ci fu più bisogno di loro, guidati fuori dalle ombre diafane dei folletti.
Le donne erano silenziose e dolenti, e stupite per quella nuvola di calabroni che le aveva terrorizzate senza sfiorarle. Gli uomini si inginocchiarono davanti a loro e giurarono che, qualsiasi cosa fosse successa, le avrebbero amate con tutto il cuore e che chiunque fosse giunto nelle loro famiglie sarebbe stato accolto.
Geno ammainò le bandiere nere che mai più avrebbero sventolato. La città divenne azzurro e oro.
Tutti avevano molte cosa da dire al Governatore, e stavano già nascendo dispute su chi dovesse avere la precedenza nell’incontrarlo, ma il dignitario fu introvabile.
Ogni casa ancora in piedi, ogni cantina, i sottotetti: tutto fu minuziosamente esplorato, ma di lui nessuna traccia.
Trovarono Soglo e Ferruo, i sovrintendenti alla pesca e alla caccia della città. Li ritrovarono rincantucciati nelle cucine, nascosti sotto le scorte di cipolla e di aglio, e sarebbero passati inosservati se non fosse stato per l’abitudine di Soglo di schiarirsi la voce.
Furono messi su una barca con una borraccia di acqua e abbondante scorta di cipolla e aglio, visto che li amavano così tanto, con l’ordine di non mostrare mai più la loro faccia in nessun punto del territorio.
I cadaveri dei pirati furono decapitati e le loro teste messe su una picca al sole, che da quel giorno tutti sapessero che chi attaccava Geno sarebbe stato massacrato. I corpi furono buttati in mare a nutrire i gamberi.
I pochi sopravvissuti, quelli che si erano arresi, furono messi anche loro su una barca a remi con una fiasca di acqua, che andassero a dire al mondo che Geno combatteva e che nessuno avrebbe più potuto avvicinarla con un’arma in mano.
Le teste rimasero lì qualche giorno sotto le mosche, poi Rois andò a protestare.
Hania si ricordò di sua madre, quando aveva ucciso un uomo per proteggere lei e poi gli aveva dato una sepoltura degna, perché il rispetto del corpo del nemico era la prima regola del Cavaliere di Luce.
Sua madre le mancò moltissimo. Avrebbe voluto averla ancora, sentirne di nuovo la voce.
Hania dette ordine di seppellire quello che restava dei pirati. Tirarono giù le teste e recuperarono i cadaveri che ancora galleggiavano. Si rassegnarono per i gamberi che non sarebbero più aumentati a dismisura.
I pirati furono seppelliti in una piccola insenatura della spiaggia, perché a un certo punto le contese dovevano finire e i morti trovare pace.
Gli uomini morti nella battaglia furono ricordati in un lungo canto che Hania accompagnò con il flauto.
Un’unica lapide, fatta con una lunga e lucida pietra bianca, fu messa sul porto in ricordo dei bimbi uccisi. Le madri dissero qual era il nome che avrebbero scelto: questo fu inciso e fiori furono posati.
Finalmente i folletti ebbero pace, e la montagna dell’Aria Grigia si alzò nel cielo limpido.
Hania pensò che Haxen ne sarebbe stata contenta.
Hania e Rois decisero di andare a prendere Roa. Sarebbe tornata trionfante a Geno, insieme a Madama Tara, da allora eletta per sempre sua balia. L’avrebbe guardata fino alla maggiore età, anche oltre, se le faceva piacere: avrebbe pulito tutto quello che c’era da pulire, cucinato quello che c’era da cucinare, cucito quello che c’era da cucire e tutti sarebbero stati contenti.
Sarebbero stati gli eroi della città, non era escluso che avrebbero eletto a dimora il palazzo del Governatore, con il giardino fatto di zampilli e alberi di limoni. Avrebbero provato l’incredibile e sconosciuta ebrezza di essere ovunque amati.
Furono necessari una decina di giorni prima della partenza. Martilo il fabbro fu eletto nuovo Governatore. L’uomo decise di fare il suo discorso sulla tomba del figlio che aveva appena seppellito.
«Coraggio, fratelli, ora ricostruiamo la nostra città e il nostro onore. E mai ci dimenticheremo di questa battaglia e di questi morti che sempre porteremo nel cuore. E sempre ricorderemo. Non si può sempre essere senza macchia, ma si può sempre decidere di essere senza paura».