Nella Taverna della Chiocciola in Guazzetto la produzione della birra cominciò. Il problema era il luppolo, poco e caro. I due fratelli si dissanguarono, e dando fondo a tutti i loro pochi risparmi ne ottennero abbastanza per qualche pinta.

Gari aggiunse l’artemisia gialla e la voce si sparse che lì dentro si vendeva la birra migliore della città, un liquido ambrato che annullava il dolore, moltiplicava i sogni, faceva sì che la disperazione di disperdesse in una nebbia vaga e dorata.

La birra fu razionata e centellinata.

Fortunatamente avevano ancora una pinta intera quando il boia si presentò alla loro soglia. Era un uomo enorme con la faccia segnata dal vaiolo, e uno sguardo duro, che però celava una certa tristezza.

Lo fecero accomodare, gli fornirono le migliori chiocciole, ma troppo salate, così che la sua sete aumentasse. Gari fu mandato davanti all’entrata, a fermare tutti i possibili avventori, così che la piccola taverna restasse deserta. Un boccale dopo l’altro, tutta l’ultima preziosissima pinta scomparve dentro all’uomo, insieme a tutte le chiocciole della dispensa. Alla fine non c’era più nulla. L’omone restò seduto sulla sua sedia, silenzioso e chiuso.

Finalmente, crollò al suolo rovesciando la sedia. Si precipitarono su di lui. Il boia chiuse gli occhi, ma aprì la bocca in un sorriso beato.

«Non li ho ammazzati» bofonchiò felice. «Ho ammazzato tutti, ma loro due no. Io il boia non lo volevo fare. Volevo fare il carpentiere, come mio padre e suo padre prima di lui. Non è stata colpa mia. Sono tutti morti, ma loro due no. Mi hanno fatto mettere una botola sotto la forca, e la corda era tagliata. Si teneva solo per un filetto piccino piccino, che si è spezzato subito. Sono nei sotterranei. Lei, la carogna, li vuole vivi. Lei odia la principessa Haxen. Non le basta che muoia. Vuole farla strisciare. Ha avuto notizia che i due hanno avuto una bimba da poco, vuole prenderla e farla torturare davanti alla madre e al padre. Vuole farla strisciare» mormorò ancora il boia, strascicando sempre di più le vocali, fino a quando ogni parola si disperse in un quieto russare. Restò a dormire fino al mattino, riverso sul pavimento vicino al fuoco che si spegneva.

La mattina successiva se ne andò imbarazzato.

I fratelli chiusero la locanda. La birra era finita e le chiocciole pure. Poi, con pazienza, aspettarono un temporale, uno di quei giorni pieni di tuoni e grandine, in cui gli armigeri se ne stavano nelle loro garitte e il fracasso del cielo poteva coprire quello del martello, e fabbricarono una spada. Usarono l’acciaio dei coltelli da cucina e aggiunsero nella fusione la pietra verde, che giudiziosamente si sciolse come aveva fatto l’artemisia nella birra, e un profumo di menta selvatica e di bosco riempì l’aria.

Alla fine, una spada nacque e fu messa a freddare. Sull’impugnatura arrotolarono del cuoio.

La spada aveva un aspetto rozzo, ma fu subito evidente, nel momento in cui Gari la impugnò, la sua potenza. Si sentiva anche al solo tenerla in pugno.

«Coraggio, il momento di combattere è arrivato» disse Tori, il maggiore dei due fratelli di Dartred il Temerario.