Haxen, principessa del Regno delle Sette Cime, aveva portato avanti la gravidanza di una bambina fatta di tenebra, concepita nel suo ventre da un demone perché sia lei che il mondo fossero dannati, e aveva vinto una guerra che sembrava disperata. Aveva affrontato quello stesso Oscuro Signore in un folle duello pochi giorni prima, e aveva sfiorato la morte, e alla fine aveva vinto, aveva vinto perché la sua bambina aveva combattuto con lei. Lei aveva vinto. E Dartred con lei.
Haxen rimpianse la voce di suo padre, che l’avrebbe riempita con la sua fierezza, se fosse ancora appartenuto al mondo dei vivi. Sua madre ne faceva ancora parte e anche lei ne sarebbe stata lieta, quando lo avesse saputo, da lì a poche settimane, il tempo di riattraversare il regno.
Certamente lieta. Ovviamente lieta. Senza alcun dubbio lieta. Un po’ perplessa forse per quella figlia che tornava a casa abbronzata come un contadino, con dei muscoli che avrebbero fatto invidia a un carrettiere, tirandosi dietro lo scudiero, già figlio del fabbro, che prima o poi, e più prima che poi, si sarebbe trovato nel ruolo di principe consorte.
Lieta senz’altro sua madre, e perplessa, anche, ma forse la peggiore non sarebbe stata lei, ma la balia. E la cuoca. Alle dame di compagnia preferiva non pensare nemmeno, ma lei aveva deciso di concedersi al guerriero più valoroso che avesse incontrato sulla sua strada e questi era il figlio del fabbro. Quindi alla reggia che se ne facessero una ragione.
E comunque le principesse aumentavano di valore quando erano candidamente prive di ogni conoscenza della vita. Dopo che erano state costrette da un demone a concepire una bambina muta con un marchio di odio sul polso, impalmarle diventava meno appetibile, quindi alla reggia si sarebbero adattati.
Haxen era una principessa, un cavaliere, certo, ma era anche una donna che, mentre era braccata e in pericolo, era stata soccorsa da un uomo che aveva messo ai suoi piedi la sua vita e la sua forza, e questo era più importante della casta, della differenza delle famiglie e degli antenati. Tra l’altro, tutte le case regnanti erano nate generazioni prima da un qualsiasi guerriero particolarmente energico che aveva vinto qualcosa.
Sapeva che sua madre era stata talmente straziata dal temerla morta, che il saperla viva l’avrebbe riempita di gratitudine per l’uomo che aveva permesso il miracolo al punto da perdonarne le origini, ma, dato che era anche una persona di buon senso, sapeva che a ogni dama e cavaliere della piccola corte si sarebbero drizzati tutti i capelli sulla testa, per quanto straordinario fosse il valore del guerriero.
Sarebbe stato grazioso, una estrema forma di cortesia, offrire qualcosa di cui spettegolare, un argomento di discussioni fatte sottovoce e negli angoli. Quelli delle Sette Cime erano una casata che a volte esagerava con il coraggio e la lealtà, rischiavano di risultare antipatici a furia di essere straordinari, di tanto in tanto bisognava fare la gentilezza di presentarsi un po’ sgualciti, con una macchia di erba sulla veste chiara, una macchia di fango sui calzari nuovi, soprattutto se il fango e l’erba erano legati all’essere vivi e all’essere lieti. O all’essere giusti. Subire la violenza di un demone, non uccidere la figlia che ne era nata, e anzi trasformarla in un guerriero della giustizia era come presentarsi pieni di sangue per aver combattuto e protetto il castello, mentre gli altri usavano il tempo per danzare e mangiare dolcetti. Sposare il figlio del fabbro era come presentarsi con le macchie di fango sui calzari, l’erba sulla veste, innocui peccati che davano qualcosa da dire a chi non aveva avuto in sorte la capacità di pensare.
Haxen sarebbe tornata alla sua reggia, trionfante, vittoriosa. La regalità, le lenzuola pulite, i grandi camini a riscaldare le notti, le grandi tavole imbandite a riempire le giornate di pioggia e di freddo. I suoi terribili mesi di fuga e miseria erano finiti come finita era l’angoscia. Lei era Haxen delle Sette Cime e aveva vinto l’Oscurità e le Tenebre, e ora stava salvando il suo scudiero, il suo cavaliere, il padre dei suoi futuri figli, in principe consorte del regno.
«Vi ho riportato la vostra ascia» disse Haxen euforica a Dartred. «Era nella stanza degli armigeri di guardia. Li abbiamo ridotti all’impotenza con una facilità estrema, Hania ha scatenato contro di loro migliaia di topi. È stato divertente, sapete? Abbiamo recuperato l’ascia e li abbiamo rinchiusi dentro le loro stesse sale di guardia. Purtroppo non ho idea di dove sia la vostra spada. Venite, ce la fate a camminare?»
Dartred grugnì qualcosa. Era irriconoscibile. Non era solo un ammasso di ossa, pelle scorticata, sudiciume e tanfo: c’era qualcosa di spento, qualcosa di malato.
Si trascinò dietro di lei. La bambina trotterellava davanti a loro. Le porte si aprirono una dopo l’altra. Hania posava la sua manina sul chiavistello e con immediata precisione arrivava il clank del meccanismo che si apriva.
Finalmente arrivarono all’ultima: fuori di lì la libertà, il restare vivi.
Hania posò la mano sul chiavistello e non successe niente. Corrugò la fronte e provò di nuovo e poi ancora di nuovo, ma la serratura rimase ottusamente immobile e in silenzio.
«È stanca» spiegò Haxen. «È stravolta, non ne può più».
Dartred confermò con un assenso. Aveva ancora in mano la sua ascia: scostò con un gesto cortese la bambina, ma non riuscì a sollevare l’arma. Restò lì qualche istante, poi abbassò il braccio, scuotendo la testa. Haxen prese l’ascia e colpì con tutte le sue forze. La porta si frantumò quasi sotto quel colpo: l’ascia, come la spada di Haxen, era stata fatta con un acciaio speciale nella bottega del fabbro di suo padre. Si ritrovarono all’esterno dei cortili delle prigioni, senza più nulla che li separasse dalla piccola strada che da un lato si arrampicava in alto verso il centro della città e dall’altra scivolava verso la grande porta che apriva Kaam all’esterno. Ovunque si potevano vedere armigeri. C’era l’imbarazzo della scelta. In più Dartred puzzava, in maniera insopportabile.
«Come pensavate di uscire? Avete un piano per andarcene vero?» chiese Dartred acido. «Questi sono piuttosto irascibili, se ci beccano che stiamo scappando saranno incivili e sgradevoli, ancora più di quanto erano prima. Piuttosto che essere riacciuffato, avrei preferito non spostare mai le terga dal sotterraneo. Oltretutto l’unica consolazione che avevo era di aver salvato voi. Ora siete venuta a cacciarvi in trappola da sola come una gallina. Magari siamo fortunati e ci ammazzano tutti qui, onestamente di spada».
Haxen sussultò allibita, per l’aggressività livida del linguaggio. C’era qualcosa di spento in Dartred, qualcosa di spezzato, qualcosa di marcio, di stupidamente sprezzante, qualcosa di corrotto.
«Speravo in Hania, un qualche sortilegio che ci proteggesse da tutto, qualcosa del genere, ma la bambina è troppo stanca» si giustificò incerta.
«Avevo sperato in qualcosa di meno stupido» bofonchiò Dartred. «Avrei preferito non spostarmi dalla cella, ormai mi ero abituato, e creparci da solo, sapendo che almeno voi due eravate salve».
Raggiunsero uno dei giardini della città dove zampillava una fontana e lì Dartred si levò un po’ del sudicio che riempiva i suoi stracci e il suo corpo, perché il suo odore non attirasse troppo l’attenzione, non lo indicasse come prigioniero in fuga, poi si ricoprì con il mantello di Haxen, che in origine era stato suo. Infine si avviarono verso la grande porta che da un momento all’altro si sarebbe aperta per i traffici del giorno.
Haxen era confusa. L’Oscuro era stato abbattuto, battuto, annientato. Il mondo ormai avrebbe dovuto essere solo facilità e gioia. Sentì la stanchezza arrivarle addosso. Si era trascinata per strade e contrade, aveva combattuto contro nemici terribili, era stata ostaggio del Signore Oscuro, ne aveva sostenuto lo sguardo, aveva sentito sulla carne il suo fuoco ed era stata salvata dalla bambina che avrebbe dovuto dannarla e che lei aveva condotto al bene. Aveva combattuto e aveva vinto, ma dove era la sua vittoria? Perché si perdeva in quella fuga difficile, con il guerriero ridotto a un astioso ammasso di desolazione, il tanfo di escrementi che annegava tutto?