Capitolo otto
I miei primi anni di vita erano per la maggior parte avvolti in una nebbia. La zia mi aveva sempre detto che ero stata allevata da persone incapaci che mi avevano poi data ai papisti quando il mio comportamento infantile era peggiorato al punto tale che anch’esse lo considerarono insopportabile. Di tanto in tanto mi sembrava di ricordare di aver vissuto con uomini e donne che parlavano molto, litigavano, e ridevano spesso. E avevo strani ricordi di animali, un orso, una volpe, un gufo, che sembravano a volte essere presenti. Naturalmente doveva trattarsi di fantasie. Mia zia mi diceva così ogni volta che le raccontavo di questi miei ricordi. E opponeva resistenza alle mie domande sulla nostra parentela. ‘Eri la sorella di mia madre o di mio padre?’ le chiesi una volta.
Lei esitò. ‘Di nessuno.’
‘Ma io ti chiamo zia.’
‘È un titolo di cortesia.’ Si mise al livello di una persona della famiglia reale. E io non sapevo se sentirmi sollevata perchè non eravamo parenti di sangue o preoccupata perché non ci univano dei veri legami familiari.
Al mattino del secondo giorno di punizione mi trovai ad indugiare di più su questi ricordi che sulla strana e terrificante serata che era terminata col mio soccorso da parte di Molly.
Martin aveva considerato la mia assenza e il mio ritorno tutta disordinata, in una carrozza, così grave da giustificare la visita di mia zia. Lei arrivò molto presto la mattina seguente e decretò che la reclusione nella mia camera da letto sarebbe stata il modo più adatto di farmi comprendere la gravità del mio reato. Martin aveva già portato i suoi abiti fuori dalla stanza e dormiva nella nostra camera degli ospiti. Quella parte della punizione mi piaceva e faticai a nascondere questa emozione.
‘Mia madre apparteneva alla famiglia con cui ho vissuto in Italia prima di andare al convento?’ le chiesi, quando venne al piano di sopra per salutarmi e farmi la ramanzina finale prima di ritornare a Wimpole Street.
‘Perchè mi fai queste domande adesso, Alice?’
‘Perchè non dovrei?’
‘Dovresti pensare invece alla tua trasgressione.’
‘Che strano.’ Mi sedetti sul letto. ‘Pensavo di essere la vittima, non il carnefice.’
‘Il crimine è stato commesso per la tua sciocca abitudine di andare in giro per le strade non accompagnata, un’abitudine dalla quale sia io che tuo marito abbiamo da lungo tempo cercato di distoglierti.’
‘Per tornare a mia madre,’ giocherellavo con la frangia della trapunta. ‘Ho mai vissuto con lei?’
Tacque per un attimo. ‘No.’
‘Non ha obiettato quando la sua bambina è stata chiusa in un convento?’
‘Non era in grado di opporsi.’ E l’argomento fu chiuso, insieme alla porta della camera da letto. Emily, pallida e silenziosa, salì prima con la mia colazione su un vassoio, e dopo poco con una bacinella di acqua calda perchè mi potessi lavare. E quanto avevo bisogno di lavarmi per ripulirmi dal contatto con quelle persone in quell’orribile posto. Desideravo una vasca da bagno piena di acqua calda, ma non osavo chiederne una.
‘Il padrone era in un tale stato di agitazione…’ sussurrò Emily mentre portava via la bacinella.
‘Dimmi cosa è successo.’
‘Ha minacciato di uccidere chiunque avesse preso parte al vostro sequestro.’
Quando mi aveva fatto l’interrogatorio la sera prima, avevo inventato di essere rimasta scioccata dopo aver assistito al salvataggio del manovale da parte di John Osborne e di aver avuto bisogno di prendere un po’ d’aria. Avevo attraversato ciò che rimaneva dei campi dietro la nostra casa, dissi, e una banda mi aveva aggredito. Non osavo ammettere di essermi inoltrata così a sud verso la città. Ora però temevo che i manovali sarebbero stati sospettati di aver commesso la rapina. Chiunque parlasse con un accento irlandese veniva considerato colpevole di tutti i reati che fossero stati commessi entro un raggio di quindicimila chilometri. I poliziotti avrebbero magari trascinato qualche povero irlandese in cella. Sperai che non succedesse.
Emily si precipitò di nuovo al piano di sotto. Rimasi seduta da sola, provando per metà risentimento per la mia reclusione e per metà sollievo per il fatto che ero stata lasciata da sola a riflettere su ciò che mi era accaduto. Gli eventi nel Rookery non occuparono però a lungo la mia mente perchè i miei pensieri tornarono a mia madre. Quante volte mentre indugiavo nel salotto della nostra casa di Edinburgo pensavo alla donna che aveva consegnato la sua bambina a degli sconosciuti. Si era mai chiesta cosa fosse successo a sua figlia? La sera, prima di addormentarsi, pensava a me e pregava che io fossi felice? Cosa avrebbe detto se avesse saputo che mio marito mi aveva chiusa a chiave in camera da letto per punizione?
‘Perchè mi hai presa dal convento?’ avevo chiesto alla zia una volta alcuni anni fa, non comprendendo il motivo per cui mi avesse portata via dall’Italia, visto che sembrava sempre trovare la mia compagnia così fastidiosa.
Strinse le labbra. ‘Che razza di domanda è mai questa, Alice? Non avresti mica voluto rimanere in quel posto dove regnava l’idolatria? Sicuramente devi essere contenta di essere stata messa in salvo!’
‘In salvo?’ Immaginai che si riferisse alla salvezza dottrinale.
‘La malattia si era diffusa tra le suore. Molte morirono di tifo.’
Ammettevo di esserle grata per aver fatto in modo che io fossi risparmiata dalla malattia. Era comunque strano che mia zia mi avesse presa con sè. Il suo affetto sembrava essere tutto per Martin, probabilmente perchè la madre di Martin era una sua cugina. Lui la chiamava zia come facevo io ma non aveva mai vissuto con lei.
A volte, quando giacevo nella mia fredda cameretta di Edimburgo, in procinto di scivolare nel sonno, immaginavo di sentire suor Perpetua cantare per me: non una parte della liturgia in latino, ma il canto di un gondoliere che aveva imparato da bambina a Venezia. Mentre ascoltavo mi vedevo su una gondola, l’acqua scura intorno a me, voci sommesse che mi raggiungevano dalle case. La zia mi aveva però detto che non avevo mai vissuto a Venezia, ma in una villa in campagna. E poi nel convento.
Avevo solo cinque anni quando fui tolta a suor Perpetua e a stento riuscivo a ricordarla. Rammentavo solo la canzone, dal tono molto profondo e basso, probabilmente in modo che nessuno potesse ascoltarla e punirla perchè cantava delle sciocchezze profane. Era giovane, suor Perpetua, mi sembrava di ricordare, e poteva essere considerata carina, anche se era tutta coperta di nero. La sua pelle non aveva rughe e i suoi occhi erano molto chiari. Si pensa che gli Italiani siano scuri, ma ciò non è sempre vero nelle zone settentrionali. In effetti suor Perpetua rappresentava la persona più vicina ad una madre che io avessi. Pensavo di riuscire a ricordarla mentre mi chiamava, ma il nome sulle sue labbra non era Alice, era … E la memoria mi abbandonava.
Quando la zia mi portò in salvo, come aveva detto lei, mi condusse in Svizzera. Ricordavo la Svizzera. Neve sulla cima delle montagne. Un grande lago, di un blu molto profondo, attraversato da barche a vela, il vento che scompigliava le bandiere sui loro alberi. L’aria era molto tersa. In particolare ricordavo le punizioni che ricevevo ogni volta che facevo il segno della croce o pronunciavo qualche esclamazione in latino o in italiano rivelando la mia educazione papista. Credo che alloggiavamo nella casa di un ministro calvinista e di sua moglie. Questo soggiorno costituiva parte del mio indottrinamento al Protestantesimo, e neanche ad un Protestantesimo qualsiasi, ma alla sua forma più austera che ha le sue radici a Ginevra e si sposa così bene col freddo granito di Edinburgo. La zia era una seguace di John Knox: una presbiteriana del tipo più rigido.
Quando potè essere finalmente sicura che nessuna Ave Maria sarebbe stata emessa dalle mie labbra e l’avesse fatta vergognare e che io sapessi recitare testualmente ampie parti delle Scritture, mia zia mi riportò di nuovo in Gran Bretagna. Ricordo lunghe giornate in carrozza, non essendovi ferrovie in Europa all’epoca. Andammo a Parigi e a Lille, credo. Sceglievamo hotel con letti piccoli e stretti e poca luce. Ascoltavo lo strano chiacchiericcio della gente in francese, una lingua che non parlavo ma il cui significato potevo in qualche modo discernere, essendo io così padrona dell’italiano, che proviene dallo stesso ceppo. La zia guardava sdegnata le signore con i loro abiti luminosi e le bambine con i capelli arricciati e le definiva papiste ed eretiche. E queste donne e le ragazzine guardavano me nei miei abiti scuri e con i capelli tirati sulla fronte e mormoravano a denti stretti ‘la pauvre fillette anglaise’.
Scappai via una volta, a Lille, convinta che da qualche parte dovesse esserci il sole e che avrei potuto trovarlo se fossi riuscita ad evadere dai confini dell’albergo. Le case in quella città erano alte e le strade strette. Il sole mi sfuggiva. Un negoziante mi prese e informò l’albergo poichè ben sapeva dove alloggiavano le rispettabili ragazzine inglesi. Quando ci ricongiungemmo la zia non esitò a percuotere il palmo della mia mano con una cinghia. Forse era andata in ansia perchè temeva per la mia incolumità ma sembrava più che fosse arrabbiata. Ricordo poi che ero sdraiata sul letto e parlavo tra me e me in modo sommesso in italiano, trovando conforto nelle dolci sillabe. Se solo fossi potuta ritornare da suor Perpetua e al giardino del convento con i suoi cespugli di ribes, i filari di piante di fagioli e le gabbie di conigli! E alla cappella con la campana dal dolce rintocco e il canto delle preghiere delle suore!
Attraversammo la Manica e le onde mi causarono un gran mal di stomaco e la sensazione di una morsa alla fronte. Mia zia mi prestò assistenza con calma ed efficienza e mi fu di conforto come avrebbe potuto esserlo un estraneo. Piansi per la mancanza delle suore e mi rifiutai di parlare in inglese. Quando vedemmo le scogliere del sud dell’Inghilterra mi sarei buttata a mare per raggiungerle. La zia si chinò verso di me. ‘Questa è l’Inghilterra, Alice, dove imparerai a comportarti come una vera bambina cristiana. Devi dimenticare l’Italia.’
‘Si,’ non potei evitare di rispondere così. ‘Perchè non mi chiama col mio vero nome, signora?’
‘Hai dimenticato che adesso sei Alice? Alice sei e Alice resterai fino al Giorno del Giudizio.’ Ogni volta che menzionava il mio nuovo nome era come se mi conficcasse un dito nel petto.
Il volto di suor Perpetua mi tornò in mente, e con esso la campana della cappella, e il pezzo di cucito che avevo iniziato al convento e che ora non avrei più finito. Non avrei mai voluto dirle addio. La domestica di mia zia mi aveva presa dal convento un pomeriggio in cui la suora era occupata a raccogliere il rosmarino e il timo per appenderli nelle celle delle suore che avevano contratto la malattia. Non ebbi neanche il tempo di prendere la bambola dalla mia camera. Quando diventai più grande e più consapevole, sospettai che la zia sapesse quanto sarebbe stato facile prelevare una bambina da un convento devastato dalla malattia e dalla preoccupazione, i cui membri rimanenti che stavano bene erano presi dalla necessità di prestare assistenza, di mettere fuori i morti e di pregare per le loro anime nella cappella.
Ma… il mio vero nome. Quale era stato il mio vero nome?
Queste riflessioni furono interrotte dal suono di una carrozza che veniva su per la strada. Mi alzai in piedi per guardare fuori dalla finestra. Davanti alla porta c’erano Caroline Osborne con suo cognato. Il mio cuore sobbalzò alla vista dei loro volti allegri. Cosa avrebbe detto Emily quando avrebbero bussato alla porta? Sicuramente mio marito le aveva ordinato di dire che ero indisposta. La mia irritazione di fronte a questa farsa aumentò oltre ogni misura. Non ero una bambina per poter essere rinchiusa in quel modo; ero una donna adulta, degna di rispetto. Sollevando il telaio scorrevole della finestra feci loro un cenno di saluto, ignorando ogni decoro per poter guadagnare la libertà. Dopo aver parlato con me e aver visto che godevo di buona salute, non si sarebbero lasciati convincere da Emily del fatto che ero indisposta, credo. Si sarebbero aspettati invece che io fossi scesa e li avessi salutati. Naturalmente rischiavo che Martin al suo ritorno si adirasse nuovamente, ma questo al momento non mi interessava affatto.
‘Buon pomeriggio,’ urlai. ‘Siete venuti a farmi visita?’ Modulai la voce fingendo di essere allegra. Non volevo che provassero alcuna pietà verso Alice Clarke.
Guardarono in alto. Il volto di Caroline mostrò una certa sorpresa, ma anche tanto piacere. Il volto di John Osborne si distese invece in un ampio sorriso. Non sapevo se ero contenta del fatto che lui mi guardasse in quel modo. Era irrispettoso, e tuttavia … ‘Per l’appunto, Signora Clarke, siamo venuti a imporvi la nostra presenza, se per caso siete in casa a ricevere visite oggi pomeriggio,’ disse. ‘Mia cognata sta ancora cercando di fare di me un uomo di città e insiste nel farmi frequentare i suoi amici raffinati.’
‘Oh John, te l’ho detto, si tratta solo di Alice. Alice è contenta di ricevere visite.’ Caroline gettò uno sguardo alle macerie in strada come ad indicare che chiunque vivesse in un posto simile dovesse gioire di qualsiasi contatto umano.
‘Non sono sempre raffinata, signor Osborne, ma sono a casa. Vi prego di dire alla mia cameriera che avete parlato con me e che deve salire a prendersi cura di me qui, per favore.’
Se avevano trovato qualcosa di strano in questa richiesta non lo dissero ed avanzarono lungo il sentiero di legno che conduceva alla nostra porta principale, sparendo dalla mia vista. Caroline non mi aveva mai fatto visita prima. Immaginai la sua sorpresa nel vedere la strada fangosa, la mancanza di edifici finiti, di pavimentazioni in pietra, di luci a gas, di tutto ciò che veniva considerato normale nel suo angolo di Londra. Dio mio, speriamo che qualcuno abbia rimosso il topo morto dal marciapiede.
Sentii delle voci al piano di sotto nella sala d’ingresso ma non riuscivo a capire cosa stessero dicendo. I passi di Emily si avvicinarono sempre più alla mia porta. ‘Non so cosa fare, signora.’ Sembrava essere in preda al panico.
‘Devi liberarmi, Emily. Il signor Clarke sarà imbarazzato se dirai ai nostri visitatori che sto male mentre hanno appena visto chiaramente che sto bene. Considererebbero la cosa molto strana.’ Come in realtà era. Il mio cuore, il mio intero corpo, si stavano dissolvendo. Avevo voglia di cantare o di rimbalzare su e giù sul letto come una bambina.
La chiave girò nella serratura. ‘Era un peso sulla mia coscienza, voi rinchiusa qui dentro, signora,’ disse. ‘Troverò un colletto pulito per il vostro abito e vi pettinerò in modo da farvi sembrare di nuovo una vera signora.’
‘Giuro che non sarò mai una vera signora, Emily.’
‘Sciocchezze! Voi siete una signora migliore di tante altre che ho conosciuto.’
‘Lo sono davvero?’
‘Certo che lo siete, signora, così gentile e premurosa.’ Mi dette un pizzicotto sul collo. ‘Anche se vi muovete troppo. State un po’ ferma mentre separo queste ciocche.’ Le sue dita si muovevano con rapidità e destrezza nonostante io mi contorcessi e le rendessi il compito difficile. Nel giro di dieci minuti versavo bicchieri di vino e tagliavo fette di Madeira cake per i miei ospiti. Almeno potevo essere fiera dei nostri rinfreschi. La nostra cuoca faceva un ottimo dolce e la zia aveva mandato il vino da Wimpole Street. La zia non consentiva mai che degli scrupoli calvinisti si intromettessero tra lei e una buona bottiglia.
‘È delizioso.’ Caroline sorseggiò il vino e si guardò intorno. Il nostro salotto era una stanza normale, dall’aspetto uniforme e dal soffitto basso. Benchè la casa fosse stata costruita solo da pochi mesi, combattevamo già contro l’umidità. Ogni mattina spalancavo le finestre per cercare di eliminare il vapore acqueo che sembrava trasudare dai mattoni. Martin aveva scelto un luogo pianeggiante per il suo progetto di costruzione. Io giuravo che l’umidità aveva causato la sua tosse cronica, ma lui non si curava delle mie preoccupazioni.
Avevo cercato di abbellire il salotto ricamando le coperture dei cuscini e sistemando fiori nei vasi sulla credenza di mogano pesante che la zia ci aveva donato come regalo di nozze. Sembrava che i mobili stessero diventando sempre più ingombranti nel corso dell’anno. Io preferivo i pezzi più leggeri del periodo Regency e del secolo precedente, ma la moda era contro di me. Tutto ciò che potevo fare era ottenere il massimo della luminosità sistemando specchi ad ogni lato delle finestre e nascondendo nelle credenze tutto ciò che creava confusione.
‘Tutta opera vostra?’ John Osborne toccò il bordo di un cuscino. Immaginai che le sue dita accarezzassero i miei capelli e sentii le mie guance diventare rosse.
‘Mi piace il cucito.’
‘Io riesco a malapena ad infilare un ago.’ Caroline si chinò verso di lui per ammirare il mio lavoro ed io avvertii una fitta di gelosia mentre il suo braccio sfiorava quello di John.
‘Tu hai la tua arte, sorella cara.’
‘Intendi i miei acquerelli?’ Scoppiò a ridere. ‘Non si tratta di una vera e propria arte ma mi diverte.’
La porta principale si aprì. Martin. Sentii il mio cuore perdere un colpo. Emily parlava con lui. Sperai che avesse trovato le parole giuste per spiegare il motivo per cui avevo riacquistato la mia libertà.
‘Signora Osborne, capitano Osborne.’ Fece un rapido cenno della testa. ‘Signora.’ Si rivolse a me. ‘Vedo che ti sei ripresa bene.’ Il suo volto avrebbe potuto affondare la flotta.
‘Signor Clarke.’ Caroline tese una mano. ‘Come potete vedere, abbiamo approfittato di Alice durante la vostra assenza.’ Mi guardò. ‘Avete detto che non è stata bene? Mi dispiace tanto. Non mi sarei sognata di disturbare se lo avessi saputo.’
‘Ma, come vedete, ora godo di ottima salute.’ Incrociai le braccia e fissai mio marito, sfidandolo a dissentire.
Riuscì ad arricciare le labbra in una specie di sorriso. ‘Sono contento di vedere che Alice sta bene di nuovo. Vi ha raccontato dell’aggressione che ha subito?’
‘No!’ Caroline si voltò verso di me con l’orrore dipinto su tutti i lineamenti del suo viso. ‘Cosa è successo?’
‘'Dei ladri le hanno rubato lo scialle e i gioielli e l’hanno buttata a terra, facendo strappare e imbrattare di fango i suoi abiti.’ Il suo torace cominciò a muoversi più rapidamente per la rabbia repressa e per l’indignazione causata dal furto della sua proprietà: materiale e umana. Avrei voluto buttare lui a terra e far imbrattare i suoi abiti. Un impulso scortese ma molto forte.
Caroline si portò una mano alla bocca. ‘Dove è accaduto tutto ciò, mia cara?’
‘Nei campi adiacenti alla vecchia fattoria vicino a noi.’
John Osborne aggrottò la fronte. ‘Strano, non avevo sentito parlare di criminali in quella zona prima d’ora. Trovo sempre Londra tanto cambiata ogni volta che torno a casa dai miei viaggi!’
‘Sei stato fuori troppo a lungo. I criminali si trovano dappertutto. Le autorità dovrebbero erigere una forca e impiccarne alcuni in modo che gli altri li possano vedere. Questo li fermerebbe.’ Martin si mise a sedere col volto ancora imbronciato. I nostri ospiti forse supponevano che la sua serietà nasceva dalla sua preoccupazione per me. Avrei potuto far vedere il segno sulla schiena dove mi aveva picchiata con la cintura la notte scorsa e avrebbero cambiato idea.
Mostrarono comprensione ed orrore. Caroline ripeté più volte quanto fosse scioccata, disse che Martin avrebbe dovuto mandarla a chiamare, che sarebbe rimasta seduta accanto a me tutta la notte.
‘Alice è stata accudita bene, la zia era qui,’ disse Martin.
‘Ah.’ Caroline annuì, il volto dall’espressione assente.
Martin si alzò. ‘Volete vedere la nuova schiera di villette di fronte alla strada?’ Si percepiva l’orgoglio nella sua voce. ‘Il signor Willis e io abbiamo già trovato quattro acquirenti.’
Uscimmo sulla strada. Mi sentivo ancora un po’ in imbarazzo per la mediocrità della nostra casa e fui quindi sollevata per il fatto di essere di nuovo fuori. ‘Dove ha avuto luogo realmente l’aggressione?’ John Osborne mi chiese, quando gli altri non erano a portata di orecchie. ‘Perdonatemi per la mia impertinenza, ma ho desunto dal vostro viso che non eravate in quei campi, signora Clark.’
Aprii la bocca per contraddirlo, per dirgli che era troppo presuntuoso, e invece mi trovai a descrivergli il luogo meglio che potevo.
‘Una chiesa nei pressi di Tottenham Court Road circondata da vicoli e viuzze, vicino al Diplomats Theatre?’ Mi guardò con espressione accigliata. ‘Mio Dio, non mi dite che siete andata in giro per il Rookery a St Giles?’ Sembrava che fossi andata sulla luna.
‘Il Rookery – che nome strano, vero? Anche se alcuni degli abitanti sembrano dei corvi neri sbrindellati.’
Mi osservò come se non mi avesse mai guardata bene prima di allora. ‘Siete stata fortunata ad uscire da lì illesa. Come avete fatto, a proposito?’
Martin ci accompagnò in una delle case. Mentre lui portò Caroline di sopra a vedere il primo piano, io raccontai a Osborne di Molly e della fuga sotterranea. Lui aggrottò la fronte alla descrizione di Molly. ‘Che tipo di donna era?’
‘Sembrava una persona a modo.’ Mi ricordai di qualcos’altro, ‘Parlava con un’inflessione leggermente cadenzata.’
‘Aveva un accento straniero?’ John Osborne picchiettò sulle mura. L’intonaco si stava asciugando in modo non uniforme; permanevano macchie di umidità.
‘Al momento pensavo che fosse scozzese, ma ora credo che fosse irlandese.’ Provai a richiamarlo alla mia mente; ero stata così intenta a sfuggire ai criminali che non mi ero concentrata sulla voce di Molly. Il suo accento era diverso da quello dei manovali: era più dolce e maggiormente attribuibile ad una persona colta.
‘Una ragazza irlandese nel Rookery.’ Sembrava pensieroso mentre i suoi occhi guardavano gli spazi vuoti tra i telai delle finestre e la muratura.
‘Non credo che lei abiti lì.’ Molly mi era sembrata troppo pulita, troppo brillante per quel posto.
‘Tuttavia conosceva la zona così bene da portarvi in salvo attraverso gli scantinati.’
Mi ricordai del mio debito. ‘Capitano Osborne, posso chiedervi un favore?’
Alzò le sopracciglia. ‘Naturalmente.’
Non osavo immaginare cosa doveva pensare di me per il fatto che parlavo così liberamente. ‘Non posso chiedere alla mia cameriera di consegnare il denaro che devo a Molly.’
‘Sicuramente vostro marito …’ Si fermò. ‘Perdonatemi, non sta a me commentare una cosa del genere.’ Sembrava formale, come se stesse facendo un piacere ad un’estranea.
‘Il signor Clarke non conosce tutti i dettagli.’ Cercai di fare in modo che le mie parole non avessero alcuna connotazione.
‘Capisco.’ Forse pensò che io appartenessi a quel genere di donne che abitualmente non rivelano i propri segreti al marito. Non mi fece ulteriori domande. ‘Datemi il denaro quando lo avrete e io vi assicuro che raggiungerò Molly.’
Martin stava riportando Caroline da noi. Sembrava davvero tanto smarrita, la poverina, di fronte alla grande impresa che in realtà non era niente più che una schiera di case pericolanti. Era troppo educata per fare qualunque commento, ma immaginai che tornando dal marito gli avrebbe raccontato dell’intonaco che si sfaldava, delle porte che non si chiudevano bene e delle pile di tubi di piombo nella grondaia, in attesa di essere montate. La immaginavo fare domande a Christopher Willis quando lo avrebbe incontrato, per sapere se lui avesse visitato il sito negli ultimi mesi. Sicuramente tutti tranne mio marito notavano quanto erano mediocri questi lavori edili. Povero McManus, non passava giorno che lui non avvertisse mio marito dei pericoli che si correvano affrettando il lavoro.
Ma forse Martin sapeva benissimo che le case erano di bassa qualità. Purchè potesse ricavarne un immediato profitto, cosa poteva importargli del fatto che i poveri abitanti erano esposti a spifferi continui ed erano costretti ad ascoltare litigi ed altre attività dei loro vicini attraverso le mura sottili? Alcune notti, quando mio marito mi costringeva ad accettare le sue attenzioni, mi preoccupavo che i suoi grugniti e i suoi gemiti fossero ascoltati dal signore e dalla signora Richardson della porta accanto.
‘Cosa danno al Diplomats Theatre?’ chiese John Osborne, riportandomi al presente.
‘Un operetta, The Absent Duke.’
‘The Absent Duke.’ Rise. ‘Mi piace il titolo. Dovremmo andarci tutti.’
Gli stavo spiegando che non frequentavamo i teatri, che mio marito considerava licenzioso vedere commedie su un palcoscenico, ma lui allungò una mano per fermarmi. ‘I teatri sono i luoghi migliori per conoscere persone influenti,’ disse, con uno sguardo a mio marito. ‘Signor Clarke,’ esclamò a voce più alta. ‘Vi piacerebbe sorseggiare champagne fianco a fianco con uomini ricchissimi?’
I piccoli occhi di Martin brillarono.
‘Questo è ciò che propongo, signore.’ Mise una mano sulle spalle di Martin e si avviarono verso casa.