Capitolo quattordici
Mi ritrovai a Clarence Gate, a sud-ovest di Regent’s Park e, in uno stato di trance, tremando, attraversai strada dopo strada finchè non mi trovai a Dorset Square, fuori alla casa di Caroline. Ma non potevo farle visita; avrebbe voluto sapere cosa mi era capitato, dal momento che tremavo di paura.
Dorset Square disponeva di giardini che un tempo erano utilizzati come campo da cricket, ora erano invece destinati ad essere goduti dai residenti. Mi rifugiai tra i cespugli e gli alberi, con i piedi che mi facevano male. Avevo camminato poco più di sei chilometri, non una grande distanza per me, tuttavia mi sentivo esausta. Una parte di me era certa di essere seguita dai poliziotti. Avevano prestato attenzione al mio aspetto? Ero vestita sobriamente per il mio incontro, avevo scelto una cuffietta che nascondeva parte del mio viso. Cercai di rassicurare me stessa del fatto che nessuno avrebbe associato la signora Martin Clarke alla signora Victoria Park.
Il volto del signor Zenos era ancora davanti ai miei occhi, con l’espressione leggermente perplessa. Quanto improvvisa era stata la sua morte! Un attimo prima stava parlando con me, un attimo dopo era stato colpito dal proiettile. Mi resi conto che tremavo così tanto da non poter fare neanche un passo in più, il mondo stava diventando scuro davanti ai miei occhi. Trovai per caso una panchina e mi sedetti abbandonando la testa tra le mani. Dalle aiuole arrivava il profumo dei giacinti, che precedentemente trovavo delizioso, e che ora mi dava il voltastomaco per la sua associazione alla morte improvvisa. Ero nauseata. Cercai di farmi forza per resistere al panico che si stava rapidamente impossessando di me. ‘Non sono terrorizzata,’ dissi a me stessa. ‘Sono una donna adulta, non devo tremare come una bambina nè piangermi addosso come una vigliacca. Sarò coraggiosa.’
‘Non ho dubbi su ciò,’ fu la risposta, pronunciata con enfasi e serietà.
Mi sedetti. Proprio lì davanti a me c’era John Osborne, con la preoccupazione dipinta sul volto. Non so se fu lui a fare la prima mossa verso di me o se fui io a lanciarmi dalla panchina tra le sue braccia, ma, comunque sia accaduto, mi ritrovai stretta a lui così tanto da pensare che le mie costole si sarebbero rotte. Per due o tre secondi abbandonai ogni costrizione dettata dalla religione o dalla morale e mi lasciai andare ai miei sensi. Sentii l'odore di spezie sulla sua pelle e quello del sapone che la lavandaia aveva usato sulla sua camicia. Misi la mano sui suoi capelli e li trovai soffici come piume. Credo sia stata questa scoperta a far sì che lo amassi tanto. Che strano che un uomo così forte nel corpo e nella mente potesse ancora conservare questa morbidezza! E per tutto il tempo il mio cuore urlava che questo era ciò che stavo aspettando, questo era il motivo per cui avevo odiato l’idea di sposare Martin. Le labbra di John Osborne fecero pressione contro le mie aprendole, quando all’improvviso sembrò tornare in sè. ‘Perdonami.’ Mi lasciò. ‘Ciò che ho fatto è imperdonabile.’
‘Non c’è niente da perdonare.’ Sistemai le pieghe sulla parte anteriore del mio abito. ‘Avrei potuto fermarti.’ Ma non lo avevo fatto.
Fissò il vestito. Abbassai lo sguardo e vidi la macchia cremisi.
‘Cosa devo fare?’ Anche se a casa mi fossi tolta il vestito e lo avessi dato ad Emily, non avrei potuto trovare alcuna scusa per spiegare la presenza delle macchie di sangue. ‘Non voglio che sappiano ciò che è accaduto.’
‘Vieni.’ Mi afferrò per il braccio. ‘Caroline non è in casa stamattina e i bambini sono fuori con la baby-sitter. Le altre domestiche hanno mezza giornata di libertà. Il retrocucina è vuoto.’ Lo amavo perchè non non mi aveva fatto domande.
Lasciai che mi guidasse attraverso il giardino.
‘Non sapevo che erano tutti fuori casa quando sono venuto a salutare la mia famiglia.’
‘Salutare?’ La parola cadde come un sasso in un pozzo.
‘Parto per Bombay con la marea di domani.’
‘Bombay?’ Non avevo mai sentito un vuoto così grande.
‘La compagnia ha fretta di farmi consegnare un carico di carbone.’
Mi condusse giù per le scale del seminterrato e trovò la chiave sotto un mattone. ‘Ho fatto amicizia con George, il secondo cameriere, è un bravo ragazzo, ha un fratello nella marina. Mi ha detto come entrare in casa se i domestici sono fuori.’ Mi fece entrare e mi fece sedere su una sedia accanto ad un tavolo di legno chiaro. ‘Vado a cercare una bacinella. Possiamo assorbire con una spugna un bel po’ di quella macchia.’
‘Quanto tempo starai via?’
Si guardò gli stivali. ‘Nove mesi, forse di più, a seconda dei venti e dello stato della Thomasina quando raggiungeremo Bombay. Se ha bisogno di maggiori riparazioni, ci vorrà un anno.’
‘Oh.’ Fissai le mattonelle bianche e nere sul pavimento e mi sembrò di riconoscere la mia vita, un’alternanza di tristezza e di gioia, nel motivo a scacchi. ‘Così tanto?’ Le parole sembravano bloccarsi in gola.
‘Non siamo come le navi a vapore che possono lanciarsi attraverso gli oceani, noi dobbiamo procedere in modo lento e costante, basandoci sui venti. A volte il viaggio di andata può durare sei mesi.’
Riempì una ciotola smaltata con l’acqua di una brocca e trovò un panno di mussola. ‘Dimmi come hai fatto a macchiarti di sangue.’ Mi fece la domanda gentilmente, senza guardarmi, cosicchè fu più facile per me fidarmi di lui.
Gli raccontai del mio incontro con il greco nel parco per discutere di una questione di famiglia, non complicai il mio racconto fornendo i dettagli, gli dissi dell’arma che aveva fatto fuoco dagli alberi. E della ferita sul torace del signor Zenos.
‘E non hai visto chi ha sparato?’
‘No.’ Scossi di nuovo la testa.
Strizzò la mussola e tamponò il mio vestito. ‘Perdonami per questa intrusione, ma dubito che tu possa badare a te stessa al momento.’
L’acqua era fredda, lenitiva. Lui continuò a strofinare ritmicamente sul posto macchiato, sciacquando il panno tra un tentativo e l’altro di rimuovere le tracce di sangue. Indietreggiò per esaminare il suo lavoro, annuendo. ‘Non è perfetto, ma va molto meglio di prima.’ Frugò in un cassetto e trovò un asciugamano asciutto per asciugare il corpetto tamponandolo. Il mio respiro rallentò non appena mi toccò di nuovo. Anche i suoi movimenti divennero più lenti, la sua mano si faceva strada al di sotto della macchia verso i miei seni. I nostri occhi si incontrarono. La mano si fermò.
‘Non fermarti,’ gli dissi, come se un diavolo si fosse appollaiato sulla mia spalla e bisbigliasse nelle mie orecchie.
L’asciugamano cadde a terra e la sua mano da sola cominciò a carezzare e ad eseguire movimenti circolari sul mio vestito dove si gonfiava. Il mio respiro sembrò fermarsi in gola. Si lasciò cadere in ginocchio davanti a me, mi attirò verso di lui. Il mio cuore batteva. E ora la sua mano stava aprendo i bottoni del mio vestito e io non stavo facendo niente per fermarlo. Faceva scivolare il vestito dalle mie spalle e tirava l’allacciatura del corsetto per allentarla e io non riuscivo a muovere un dito per protestare. Misi le mie dita tra le sue e lo aiutai a sollevare la sottoveste sotto il mio corsetto in modo che potesse baciare i miei seni. Sedetti sulla sedia lasciva come una di quelle donne tristi che avevo visto agli angoli delle strade qualche sera prima, senza però sentirmi nè triste, nè disonorata.
Guardò su verso la finestra del seminterrato. ‘Non qui.’ Mi tirò su dalla sedia. ‘Vuoi venire di sopra con me?’ la sua voce era esitante.
Sapevo che stavo per gettare via tutto ciò che avevo, che tra l’altro era molto poco, per questo momento. Anche se poi sarei rimasta a bruciare tra le fiamme dell’inferno per l’eternità.
‘Sì,’ mormorai, cercando di coprire i miei abiti disordinati con lo scialle che era caduto per terra. Mi condusse su per la scala principale.
‘Questa era la mia stanza quando abitavo qui.’ Aprì la porta ed entrammo nella migliore camera per gli ospiti di Caroline ricca di rasi e di sete. Caroline. Che cosa avrebbe detto se avesse saputo ciò che stavamo facendo? Non ebbi tempo di riflettere perchè non appena chiuse la porta mi afferrò per la vita e mi spinse sul letto. E poi ci fu una gran confusione tra dita e abiti: camicie e pantaloni, il mio abito, le sottogonne, il corsetto e la sottoveste tirati giù o gettati via con poco riguardo per le allacciature. Le parole divennero quasi superflue e ci guidarono solo i sensi.
Avevamo scoperto le nostre parti più intime ed eccitanti quando udimmo una carrozza fermarsi fuori. John Osborne tolse le labbra dall’interno della mia coscia per ascoltare. Caroline – che diceva a gran voce quanto era stanca e quanto sperava che i domestici avessero lasciato dei sandwich per lei. Ci immobilizzammo; io, nuda dalla vita in su, arrossata intorno al collo e al seno, le gonne stese sul copriletto che mi lasciavano scoperta, bruciante di desiderio, con solo un paio di centimetri tra la mia virtù e John Osborne. Lui, nudo e liscio come una delle statue greche del British Museum, ma in un atteggiamento di maggiore risolutezza.
Lo spinsi indietro e mi alzai dal letto, sussurrando, ‘Che cosa dobbiamo fare?’
‘Sta’ zitta per un attimo, fammi pensare.’
‘Come posso fuggire dalla casa senza che lei mi veda?’
‘Siamo stati folli, quasi posseduti, ma non vorrei cancellare un secondo di ciò che è accaduto.’ Lui scosse la testa. ‘Dobbiamo fare in modo che tu possa uscire furtivamente quando Caroline fa lo spuntino nella sua camera da letto. Solitamente lo fa quando torna stanca dalle sue escursioni. E c’è solo la sua cameriera con lei.’
Il pensiero che la cameriera di Caroline potesse vedermi fece fremere la mia pelle dall’orrore, che si sostituì al godimento di un minuto prima.
Udimmo le loro voci nel corridoio sottostante. Indossai di nuovo la sottoveste e il corsetto, sedendomi al tavolino della toletta per legare i lacci. Guardai i miei capelli nello specchio. Mancava qualcosa. La mia cuffietta. Doveva essere caduta nel retrocucina. John mi fissò, ovviamente notando anche lui la stessa cosa. ‘Non possiamo recuperare il cappellino. Dovrà rimanere laggiù.’
‘Non posso tornare a casa a piedi col capo scoperto.’ Ascoltò le mie parole e quasi si mise a ridere. Dopo tutto quello che era accaduto oggi, preoccuparmi di essere a capo scoperto era il colmo! Tirai su le sottogonne e fui silenziosamente contenta del fatto che indossavo un abito che potevo facilmente chiudere da sola.
‘Non andrai affatto a piedi a casa, ti chiamerò una carozza.’ Mise un dito sulle labbra e sentii Caroline che veniva al piano di sopra.
‘Devo allentare questo vestito prima di soffocare. Va’ a prendere il mio abito da casa, Liza. E le pantofole per i miei piedi, questi stivali mi hanno quasi azzoppata. Quando sarà di ritorno Tilly?’
‘Tra poco, signora. Doveva solo andare a prendere le vostre scarpe nuove e poi non aveva nient’altro da fare.’
‘Bene,’ John sussurrò. ‘Sono salite entrambe. Scendiamo rapidamente mentre sono impegnate.’
Aprì la porta di un paio di centimetri e si fermò per un attimo ad ascoltare, prima di farmi cenno di seguirlo fuori. Sgattaiolammo via lungo il corridoio e giù per l’ampia scalinata, con le orecchie tese ad ascoltare eventuali rumori fatti da Caroline o dalla sua cameriera. Come John aveva predetto, non si presentò alcun domestico, ed uscimmo dallo scantinato, facendo attenzione a non sbattere la porta.
John mi portò via dalla piazza a passo sostenuto e poi su verso Gloucester Place, fermandosi sul marciapiede. ‘Mi sembra di essere stato posseduto.’ Toccò le mie dita con leggerezza. ‘E tuttavia non c'è un secondo di quello che è successo in quella casa che non illuminerà i prossimi mesi della mia vita.’
I sentimenti mi avevano sopraffatto, non riuscivo a parlare. Non so se si trattava di vergogna per il mio desiderio, dispiacere per la partenza di John, shock causato dall’assassinio, o di tutte e tre le emozioni raccolte in uno strano intreccio, ma non riuscii ad aprire le labbra.
Alzò un braccio e chiamò una carrozza. ‘Tesoro, questo è un addio. Potrai mai perdonarmi? Non per quello che è successo tra noi, ma per il fatto che devo lasciarti proprio adesso?’
Mi aggrappai all’altro suo braccio, sospirando, incapace di descrivere come mi sentivo.
‘La cosa terribile che ti è capitata nel parco.’ Gemette. ‘Naturalmente ti deve angustiare molto, come potrebbe non essere così? Ma sei una donna forte.’
Volevo dirgli che non ero forte. Non volli pronunciare queste parole. Perchè avrei dovuto coinvolgerlo nei misteri che stavano gettando ombre sulla mia vita?
Mi guardò a lungo. ‘Sospetto,’ disse, ‘che mi nascondi molte cose. Vorrei che tu tornassi dalla polizia e raccontassi ciò che il signor Zenos ti aveva rivelato prima che gli sparassero.’
‘Se lo dico alla polizia, di sicuro la zia e Martin verranno a saperlo. Non voglio che sappiano ciò che il signor Zenos mi stava dicendo. Riguardava la mia prima infanzia. Un legame con i miei genitori, che non ho mai conosciuto.’
‘Tua zia già saprà, amore mio. Ti ha portato in Gran Bretagna da bambina.’ Quindi era già girata voce della mia infanzia all’estero ed era arrivata anche a John.
‘Sì, ma se sa che sto per scoprire la verità farà tutto ciò che potrà per impedirmi di sapere di più. So come è fatta.’ Mi farebbe rinchiudere da Martin nella mia stanza per intere settimane, impedendomi anche di usare carta e penna.
Rimase in silenzio. ‘Devo andar via con la mia nave. Lo capisci, vero?’
Annuii, cercando di rimandare indietro le emozioni. ‘Una nave senza capitano è come un corpo senza testa.’
‘Invierò lettere a Caroline da ogni porto. Lei risponderà, che Dio la benedica. E tu potrai comunicare con me in tal modo, forse.’ Mi aiutò a salire in carrozza. ‘In realtà questo è solo un arrivederci, non un addio. Abbi coraggio. Quando tornerò avrò i soldi. Non ho intenzione di vederti legata per sempre ad un uomo che ti disprezza, Alice mia. Troveremo una soluzione per farti separare da lui.’
La lingua mi venne meno. Riuscii solo ad annuire. Mentre la carrozza mi portava via, guardai fuori dal finestrino e lo vidi restare lì da solo. Non smisi di guardare finchè non girammo l’angolo e lui sparì dalla mia vista.