Capitolo quindici

 

La primavera lasciò il posto all’estate. Ogni mattina spuntavano fiori freschi nei giardini e nei parchi del centro di Londra. I ragazzi fischiavano mentre consegnavano il cibo, sui volti pallidi delle ragazze che vendevano mazzolini di violette per le strade sembrava che si fosse posata una parte della rugiada dei petali. I cani randagi che trascorrevano le fredde giornate rabbrividendo nei vicoli e vicino alle porte dei negozi cominciarono ad andare in giro ad annusare i lampioni e le ruote delle carrozze ferme. La nuova regina fu incoronata a Westminster e Marion Willis fu contenta di vedere che aveva scelto rose gialle per la decorazione dell'abbazia. 

Il mio umore non corrispondeva all’atmosfera generale. Mi ritrovavo ad indugiare nella nostra camera da letto con il pacchetto del greco in grembo, ad esaminare i capelli, e a leggere e rileggere i versi. Pensavo a come fare per procurarmi una copia delle poesie di Shelley, la avrei ordinata da un libraio e avrei chiesto di farla consegnare da qualche altra parte. Sicuramente dovevano esserci degli indizi utili a capire l’identità della persona a cui Shelley stava facendo visita quando conobbe la bambina che potevo essere io. L’incontro con il greco sembrava essere stato un sogno ora. Forse non aveva mai detto quello che pensavo avesse detto di me da bambina. Non avevo prove. Il poveretto era andato via per sempre.

Avevo preso una penna e avevo cominciato a scrivere io stessa, producendo qualcosa che non era esattamente un diario, nè un romanzo, ma una via di mezzo. Trassi ispirazione dalle scene che avevo visto alle banchine: la massa di uomini, i profumi delle spezie, le gabbie delle scimmie e dei pappagalli. Scrissi della mia escursione al Rookery, scavando a fondo dentro di me per trovare le parole che potessero descrivere i cattivi odori e gli stracci che indossavano i miserabili. Potevo perdermi per un’ora o più nel ricordare queste scene. Tenevo le mie carte sotto il materasso e non scrivevo mai quando Martin era a casa.

Avevamo solo pochi libri: soprattutto libri sull’amministrazione domestica, una Bibbia, un libro di sermoni e un atlante. L’atlante divenne il mio abituale compagno. Il viaggio fino a Bombay sarebbe durato sei mesi. Dove poteva trovarsi John al momento? Sicuramente aveva doppiato il Capo di Buona Speranza e aveva forse ormai davanti a sè solo l’ultima parte del viaggio? Caroline aveva ricevuto una lettera inviata da un porto del Nord Africa. Parlava del caldo e delle arance che avevano caricato per tenere l’equipaggio in buona salute. 

La sera, se Martin non c’era e mi ero stancata di cucire, fissavo l’atlante finchè i miei occhi non riuscivano a vedere più nulla e mi chiedevo se John Osborne si sarebbe ancora ricordato di me quando avrebbe raggiunto Bombay. E cosa c’era da ricordare? Forse già mi ricordava con ripugnanza, la donna che aveva pensato così poco alla sua virtù e a suo marito da essere pronta a cedere a lui così facilmente. I marinai avevano donne in ogni porto, si diceva. Senza dubbio qualche donna a Bombay avrebbe festeggiato il suo ritorno. E John non mi aveva mai detto di amarmi. Aveva rivelato i suoi sentimenti per me, ma non aveva mai parlato di amore. Aveva detto che mi avrebbe salvato da Martin, ma non aveva fatto alcuna ulteriore promessa.

A mano a mano che arrivava il caldo l’aria diventava sempre più inquinata nella nostra strada. E quest’anno nel nostro quartiere non si sentiva solo il cattivo odore dei rifiuti, degli abiti sudati e della gente che non si lavava. I gasometri di Martin si elevavano come giganti, vasche di ferro rivestito nel campo dietro la schiera di case, gettavano le loro ombre sul piccolo pezzo di giardino che io e Emily avevamo creato. Avrei potuto sopportare la mancanza di sole per i miei Delphinium e Lupinus e mi ero quasi abituata ai loro profili minacciosi. Ma l'odore del gas era un'altra cosa. Martin diceva di non capire cosa intendevo. Provai a spiegargli che l’odore sulfureo mi penetrava nelle narici e in gola, facendomi sentire nauseata. Era normale? chiedevo. Il gas non doveva sentirsi di meno? Come facevano altrimenti a sopportarlo le persone che vivevano vicino agli stabilimenti di gas o ai gasometri?

Se il vento soffiava da ovest l’odore si allontanava da noi per giungere da quei malcapitati che si trovavano più ad est. Ma un vento che soffiava da est portava un odore di uova marce in casa nostra, dove ci seguiva di stanza in stanza, insinuandosi in ogni piega delle tende e delle coperte. Trovavo Emily ancora in piedi, con lo stomaco sotto sopra. ‘Non ce la faccio a sopportarlo, signora. Mi fa sentire così male.’ Il suo viso diventava del colore dello strofinaccio che stringeva.

E io la mandavo al parco se era aperto, o da sua madre o in qualunque altro posto potesse avere un’ora di tregua, mentre mettevo io stessa gli stivali e andavo a fare una passeggiata: a nord, fuori dalla metropoli.  

Quando riuscivo a recuperare un po’ di energia e ne avevo voglia, chiamavo Emily presto e insieme percorrevamo circa cinquemila chilometri, fino ad Hampstead. Lì trovavamo un negozio che vendeva limonata e panini e li mangiavamo nei campi o nella brughiera. Ammiravo i panorami, specie quello di St Paul, splendente come una bianca nuvola bassa al di sotto di noi, e l’acqua limpida negli stagni di Hampstead, ma non provavo entusiasmo per nulla di ciò che vedevo. Era come se il persistente splendore del sole riuscisse solo a mettere in luce i vuoti della mia vita.

Ci fermavamo ad Hampstead finchè Emily non diventava irrequieta e diceva che la signora Wheatley avrebbe avuto bisogno di lei in cucina. Povera Emily, svolgeva il lavoro di una moltitudine di domestici. Grazie a Dio avevo convinto Martin ad aumentare il suo stipendio. Chiamavo una carrozza che ci conduceva a casa e lì sedevamo in silenzio, preparandoci all’odore del gas.

Alcune mattine mi svegliavo così presto che non potevo chiedere ad Emily di accompagnarmi nelle mie passeggiate. Così mi vestivo in silenzio, senza preoccuparmi dei corsetti, e mi infilavo un vecchio cappello di paglia sulla testa. Sulla strada verso Highgate o Islington incontravo donne che portavano lattughe, fagioli, e rose a Covent Garden. Mi salutavano con un allegro buon giorno. A volte mi imbattevo in un carrello per il latte, pagavo un penny per una tazza di latte e mi fermavo a parlare con le mungitrici delle loro case, dei loro fidanzati e dei soldi che stavano risparmiando per sposarsi. E per un paio d’ore ero di buon umore, acquietata dal movimento e dalle semplici parole che avevo scambiato. Raramente andavo a sud verso il centro della città in quei giorni, per evitare i posti dove ero stata in precedenza, se non accompagnata da Martin sulla strada per la chiesa.

E così passavano le settimane.  

Era solo quando venivano alla luce vecchi fantasmi che tornava la mia attenzione e venivo riportata di nuovo alla mia vita passata. 

Mentre io ero diventata più tranquilla, Martin era diventato più allegro. Penso che gli piacesse vedermi seduta a cucire o a scrivere una lettera a Caroline (nella speranza che desse mie notizie, per quanto poche, a suo cognato). A Martin piaceva il fatto che parlassi poco in quei giorni, stavo diventando, infatti, il modello di moglie silenziosa che desiderava. Ero in parte confortata dal suo buon umore. Potevo finalmente pranzare senz’ansia e senza che la carne e il pane mi facessero acido nello stomaco. Se non fosse stato per le sue attenzioni a letto una o due volte la settimana avrei tollerato questo periodo della nostra vita coniugale. E tuttavia coglievo una sorta di disperazione nei suoi approcci verso di me. Stringeva la mascella come se dovesse farsi forza per penetrarmi. Non riuscivo a capire. Lo avevo visto scivolare nella casa vuota dall'altra parte della strada con Douglas in un paio di occasioni.

Una mattina di agosto, mentre ero seduta a fare colazione, irruppe in casa all’improvviso, sbattendo la porta e urlando verso Emily quando lei uscì fuori a vedere che cosa non andava. ‘Si tratta di maledette bugie e ripicche. Cosa può fare un pover’uomo come me, vorrei sapere?’

‘Che succede, Martin?’ Mi alzai, col tovagliolo in mano, mentre lui entrava nella sala da pranzo.

‘Questi dannati stupidi operai irlandesi si sono ubriacati di brutto, ti dico. Stanno diffondendo sciocchezze di ogni genere.’

‘Cosa dicono?’

‘Dicono che una donna morta cammina di nuovo durante la notte. L’hanno vista indugiare per la strada, vestita di nero.’

‘Non è morta.’ Parlai senza riflettere. Non volevo dire a Martin perchè la pensavo così.

‘Non è morta perchè non esiste affatto.’ Prese a calci la gamba del tavolo, facendo smuovere il coperchio della teiera. ‘Hanno posato gli arnesi e non vogliono lavorare.’

Presi il mio scialle. Volevo vedere quella donna e costringerla a darmi spiegazioni.

‘Dove diavolo credi di andare?’

‘Forse riesco a ragionare con loro,’ dissi, pensando rapidamente a cosa rispondere. ‘Può darsi che ascoltino una donna piuttosto che un uomo.’

Grugnì. 

‘Vale la pena di provare, non ti sembra?’ 

Martin mi lanciò un occhiata sospettosa ma mi lasciò andare.

Uscii di casa e mi avviai verso gli operai, cercando di apparire allo stesso tempo ferma e comprensiva.

McManus si tolse il berretto mentre mi avvicinavo. ‘Buon giorno, signora. È uno spettacolo poco gradevole. Il signor Clarke è scontento.’ Povero McManus, aveva ovviamente avuto una sgridata da Martin. Forse aveva anche sentito la forza delle sue nocche sul torace, perchè a volte la furia di Martin con il suo caposquadra si trasformava in percosse.

‘Cosa dicono esattamente gli uomini?’

‘Vedono uno spirito femminile che va su e giù per la strada. Qualche volta se ne sta da sola di fronte alla schiera di case. Altre volte porta con sè anche uno spirito maschile.’

Uno spirito maschile. 

‘Io penso che questo spirito femminile di cui parlano sia una donna in carne ed ossa, signor McManus. L’ho vista io stessa alla luce del giorno su strade trafficate. Posso parlare con gli uomini?’

Si strinse nelle spalle. ‘Il loro linguaggio non è adatto alle signore.’

‘Penso che saranno gentili con me.’ 

Andai incontro agli operai che erano seduti a braccia conserte sulla catasta di travi alla fine della schiera di case. ‘Buongiorno, signori.’

Uno o due di loro toccarono i berretti e ripresero a mormorare.

‘Posso parlarvi della donna in nero. L’ho vista anche io e so che si tratta di una donna reale, non è affatto uno spirito.’ 

‘Dove l’avete vista, signora?’ chiese uno di loro.

‘Ad Albany Street, e una volta al Diorama e altrove.’ Provai a fare un sorriso rassicurante. 

Si guardarono tra di loro. ‘A me è sembrata umana, per niente spettrale. E una volta l’ho anche vista assistere ad uno spettacolo al Diorama.’

Uno degli uomini si grattò la testa. Un secondo girò un cannello della pipa tra le dita. Gli altri borbottarono qualcosa in gaelico. Ma riscontravo ancora dei dubbi in loro.

‘Dove la vedete?’ chiesi. ‘Solo in queste poche strade, o altrove?’

‘Ad Oxford Street,’ borbottò uno di loro. ‘E una volta, forse, nei pressi di Wimpole Street.’

Un altro uomo annuì. ‘L’ho vista anch’io da quelle parti, ma mai così spesso quanto la vedo qui.’

‘Sta cercando di spaventarci,’ dissi, facendo apparire la mia voce sicura. ‘Ma non ci riuscirà.’

‘Non ne so nulla,’ mormorò un altro in modo indisponente.

‘La vedete in compagnia?’ chiesi, cercando di sembrare incurante. Volevo sapere se avevano visto anche la donna elegante del Diorama.

‘Era vicino ad una carrozza alcuni giorni fa,’ mi disse uno di loro. ‘Parlava al conducente.’

Interessante.

‘Sembra proprio trattarsi di una donna vivente.’ Mi accorgevo del volto accigliato di Martin. ‘Non volete tornare di nuovo a lavorare? Perderete il salario standovene seduti qui.’

Un paio di loro si alzarono. ‘Questa cosa non mi piace, ma ho figli da sfamare.’

‘Sì, mia moglie aspetta di nuovo.’

‘Non mi muovo di qui finchè non viene recuperato un sacerdote e la strada non viene benedetta con l’acqua santa.’ Quello che aveva parlato sporse il mento in fuori.

‘Non è uno spirito,’ dissi. Questa affermazione fu accolta dal silenzio. Sicuramente non sarebbe stato difficile organizzare una qualche sorta di benedizione. ‘Dove posso trovare il sacerdote?’

Mi dissero dove alloggiava Padre O’Halloran. Tornai da Martin che ora si trovava vicino a McManus. ‘Vogliono che il prete benedica la strada.’

‘Non ci sarà nessun maledetto rituale papista nella mia strada.’ 

‘Ti costerà solo il biglietto della carrozza per lo spostamento del prete e un contributo per i poveri nella sua congrega. Che male c’è in tutto ciò?’

‘Nessuna idolatria sulla mia terra.’ Mi lanciò uno sguardo sospettoso. ‘Tu stessa hai detto che la donna non è un fantasma, quindi a cosa servirebbe tale assurdità?’

‘Tranquillizzerà i loro animi.’

‘E la prossima settimana chiederanno invece questa cosa o quell’altra. No.’ Si calcò il cilindro più saldamente in testa. ‘Assumeremo nuovi operai. McManus, trovami una dozzina di operai che non prestano fede a queste superstizioni da cui solo persone deboli di mente possono essere influenzate.’

Essendo stati ignorati i miei suggerimenti, me ne tornai a casa, non per sedermi a scrivere nella mia camera ma per prendere il mio cappellino di paglia e andare al parco. Forse sarei riuscita a trovare la donna in nero. Basta con questo piangersi addosso! Il tempo per sedere nella mia stanza da letto e scarabocchiare era finito. Avevo intenzione di incontrarla e chiederle cosa volesse da noi.