Capitolo sedici

 

Il cappellino era già sulla mia testa quando qualcuno bussò alla porta. Emily era andata a Covent Garden per acquistare lattughe e cetrioli per la signora Wheatley e quindi andai io stessa al piano di sotto ad aprire. Caroline era ferma sulla soglia, pallida in volto, e agitava il Times della mattina davanti a me.

‘Che succede?’ Mi feci da parte per farla entrare.

‘La Thomasina.’ Puntò un dito tremante su un paragrafo. ‘Dispersa.’

Mi aggrappai alla ringhiera. ‘Cosa stai dicendo?’

‘Naufragata a Table Bay in Sudafrica.’ La sua voce tremava. ‘Joseph è disperato, sono venuta a chiederti di venire con me. La mia carrozza è fuori.’

‘Certo.’ Parlavo come un automa. ‘Vengo subito.’

Durante il tragitto rilessi l’articolo come meglio potevo perchè le mani mi tremavano. I dettagli erano pochi, c’erano poche informazioni anche sui sopravvissuti.

‘Joseph è andato alla Lloyd’s per chiedere se ci sono ulteriori notizie.’ La voce di Caroline era singhiozzante. ‘Non sappiamo neanche esattamente quando o dove la nave è affondata.’

Pensai agli operai irlandesi e al fatto che sostenevano di vedere uno spirito femminile. Avevo detto loro che si sbagliavano. Forse avevano ragione riguardo alla presenza della morte.

Non appena entrammo in casa non potei fare a meno di ricordare l’ultima volta che avevo visto John Osborne sotto quello stesso tetto. Vi eravamo già tornati, naturalmente, Martin ed io. Ogni volta dovevo mordermi le labbra e trattenermi dal ricordare ciò che era accaduto nel seminterrato e al piano di sopra nella migliore stanza degli ospiti di Caroline. 

Caroline mi portò in salotto e suonò il campanello per il rinfresco. ‘Ordino cibo e bevande che poi non riesco a mangiare e a bere.’ Cercò di sorridere, strizzando gli occhi per cacciare indietro le lacrime. ‘Povero John. Era così legato a Joseph, lo sai. Hanno solo un anno e mezzo di differenza d’età. Da ragazzi erano inseparabili, correvano insieme in campagna o galoppavano sui pony nei recinti.’

Mi era stato assegnato il ruolo della consolatrice dal momento che Caroline non aveva alcun motivo di ritenere che anch’io avessi bisogno di conforto.

‘Sei un’amica così cara.’ mi disse, stringendomi la mano. Mi sentii trafitta dal senso di colpa.

Non c’era niente da fare se non aspettare che Joseph tornasse dalla City, e ascoltare Caroline che ripeteva continuamente che John era un ottimo nuotatore.

‘Ma dove sarebbe potuto approdare nuotando?’ Lo immaginai scaraventato nell’oceano di notte, nel bel mezzo di una tempesta, senza alcun soccorso.

Caroline divenne malinconica. ‘Deve essere annegato. O magari è stato colpito da una trave di legno che cadeva. O è stato divorato da un pesce gigante.’ Posò la tazza da tè. ‘Ho solo una consolazione.’

‘Quale?’

‘Non lascia una vedova e dei figli. Credo che tutti i marinai dovrebbero essere scapoli. Immagina come si può sentire una moglie in un momento simile. O pensa alla sua disperazione nel chiedersi come farà a portare avanti da sola i figli piccoli.’

Posai anch’io la tazza, temendo che sarebbe andata in frantumi se avessi continuato a stringerla così tanto. Se solo avesse avuto un’idea di ciò che era accaduto in questa casa… Provai una sensazione fisica simile al desiderio che si riaccendeva, ma si trattava di un desiderio spento, senza passione. John era disperso. Non lo avrei rivisto mai più. Per il resto della mia vita avrei avuto questa ferita nascosta, per me stessa, e per John, morto prima di aver vissuto la sua intera esistenza. Era giovane e vigoroso e meritava di vivere per altri decenni. Strinsi le braccia della mia sedia, desiderando mostrare un certo controllo. Caroline non avrebbe dovuto sapere che la mia preoccupazione non era solo quella per un amico.

Joseph arrivò poco prima delle undici, scuotendo la testa e raccomandandoci di non nutrire speranze. ‘Non si sono avute notizie dell’equipaggio della Thomasina. Si teme che siano annegati tutti.’ Si buttò a sedere su una sedia e lasciò cadere la testa tra le mani. Io porsi le mie scuse dicendo che dovevo andar via, rendendomi conto che desiderava rimanere da solo con sua moglie. Mi offrirono un passaggio a casa con la loro carrozza, ma decisi di tornare a piedi. In condizioni normali Caroline avrebbe fatto storie dicendo che dovevo comportarmi in maniera appropriata. Ora era troppo depressa per fare delle obiezioni.

L’erba a Regent’s Park stava sbiadendo diventando di un colore verde brunastro. Non pioveva da quindici giorni ormai. Le foglie erano già orlate di bronzo, a testimoniare il prossimo arrivo dell’autunno. Martin si gloriava del fatto che le notti buie sarebbero state ottime per gli affari, perchè la gente sarebbe stata contenta di acquistare una casa con la fornitura di gas. La notte scorsa mi aveva osservata mentre accorciavo lo stoppino di una lampada ad olio e mi aveva detto che non avrei dovuto farlo per molto tempo ancora; presto la nostra luce sarebbe venuta dal gas. 

‘Spero che non si avverta nelle case la stessa puzza di gas che si sente fuori,’ avevo risposto.

‘Che odore senti fuori?’ Tirò col naso. ‘È frutto della tua immaginazione. Non c’è niente da sentire a parte ciò che la signora Wheatley sta cucinando. E se farà bruciare quel pudding di prugne che è sul fuoco la butterò fuori di casa.’

‘La signora Wheatley non farà bruciare il pudding.’ Come poteva Martin ordinare cibo così pesante in una notte così afosa? ‘E in ogni caso non è questo quello che sento.’

Nessuna brezza soffiava oggi e l'odore del gas aleggiava pesante come un mantello di lana sulle strade. Vedevo uomini e donne che si fermavano e arricciavano il naso, con un’espressione di disgusto sul volto. Poteva questo non danneggiarci? Il gas ci avrebbe avvelenato un poco alla volta? Forse sarebbe stato meglio per me. Sembrava che io non avessi più molte prospettive e la morte avrebbe posto fine alle mie fantasie peccaminose e al mio dolore. Martin sarebbe stato contento di vedere la mia fine. Perchè mai, oh, perchè mai aveva voluto sposarmi?

Voltai le spalle alla nostra casa e mi diressi a sud, incapace di affrontare mio marito, camminando a fatica per le strade senza vedere nulla. Il mio pensiero tornò al periodo di corteggiamento, due anni prima, a come Martin veniva ogni mattina a casa della zia a Edinburgo e se ne stava seduto in silenzio in salotto con noi. Lo conoscevo solo come cugino della zia, anche se la chiamava sempre zia. Pare che suo padre fosse stato un fratello molto più giovane di lei e che lei fosse diventata per lui una figura materna. Dopo alcune settimane di queste visite la zia mi chiamò nella sua camera. Seduta dietro la scrivania che usava per la corrispondenza, mi affrontò, facendomi segno di sedermi.

‘Il mio parente, il signor Clarke, ha ammesso di avere un debole per te.’ Pronunciò queste parole come se mi stesse dicendo che aveva una predilezione per le costolette o per le scaloppine di agnello.

‘Oh.’ Avevo notato i suoi occhi fissi su di me, ma siccome nessun sorriso ammorbidiva mai le sue labbra non avevo ritenuto che il suo interesse potesse indicare tenerezza di sentimenti.

‘Ti ha fatto una proposta.’

 

‘Scusami, zia, ma non mi risulta.’ Come poteva pensare una cosa del genere?

Tossì. ‘Non l’ha fatta a te di persona, Alice, ma a me. Mr. Clarke vorrebbe sposarti. Vivreste a Londra, dove avvierà la sua nuova impresa di costruzioni.’

Mi sforzai di trovare le parole giuste per rispondere ma non ci riuscii.

‘Non c’è bisogno che ti dica quanto sia rispettabile questo mio parente, quanto tu sia stata fortunata a fare questo incontro.’

‘Non posso sposare il signor Clarke.’ Avevo incontrato pochissimi uomini a parte il vecchio italiano che mi aveva insegnato a suonare il piano a scuola. Non avevo nessuno con cui confrontare Martin, ma sapevo che mi era impossibile amarlo.

Si sporse in avanti. ‘Lascia che te lo dica, Alice, non hai molte alternative. Non hai soldi. Non posso permettermi di tenerti per altro tempo ancora.’

‘Potrei insegnare.’ C’erano ragazze che si trattenevano all’Accademia per insegnare ai ragazzi a suonare il piano o a dipingere con gli acquerelli. E io potevo offrire lezioni di francese, di italiano e anche di tedesco. E di matematica.

‘L’insegnamento comporta una vita dura per una signora. Se sposerai il signor Clarke ti sistemerai, avrai una posizione. Sarai una donna rispettabile.’

‘Non ho bisogno del matrimonio per guadagnare rispettabilità. Sono già una persona rispettabile.’

Incrociò le braccia. ‘Tu sei il frutto di una relazione illegittima. Tua madre era una prostituta.’

Indietreggiai come se mi avesse schiaffeggiato sul viso. Prostituta. Avevo a malapena sentito la parola prima di allora, a stento ne conoscevo il significato. Come aveva potuto la zia usare quel termine con me che ero ancora una bambina? Voleva scioccarmi per costringermi a sposarmi? ‘Come sei venuta a sapere di me, allora?’

‘Ti ho incontrata in Italia quando eri abbandonata nel convento. Mi sono impietosita per la tua reclusione.’

Battei le palpebre.

‘E ora ti sto offrendo il modo migliore di mostrarmi la tua gratitudine per tutto quello che ho fatto per te.’ Prese la Bibbia che aveva sempre a portata di mano e ne fissò la copertina. ‘Fai il tuo dovere. Sposa Martin Clarke e rendi felice lui e me.’

Scossi la testa. 'Non credo che potrei renderlo felice. E so che lui non mi renderebbe felice.’

‘Hai delle idee romantiche sul matrimonio, non c’è dubbio. Ma posso dirti, mia cara, sposarsi significa far quadrare i conti di casa e controllare che le camicie di tuo marito siano state lavate nel modo giusto, piuttosto che chiar di luna e parole d’amore.’

La zia era stata sposata una volta ma non avevo mai avuto l’impressione che la sua relazione si fosse basata sul chiar di luna e su parole d’amore.

‘Non lo sposerò.’ Strinsi le mani.

‘Pensaci bene, Alice.’

‘Non posso farlo.’ Alzai la voce. ‘Come posso sposare un uomo che a malapena conosco? Devi essere pazza a proporre una cosa del genere.’

Strinse gli occhi. ‘Vai in camera tua.’

‘Non puoi liquidarmi così. Non sono più una bambina.’

‘Molto bene. Se non sei più una bambina non hai bisogno del mio sostegno. Lascia questa casa a mezzogiorno e trova la tua strada nella vita. Vedi se l’indipendenza è come te la immagini nei tuoi stupidi sogni ad occhi aperti, signorina.’

Il mio cuore sussultò. Ero eccitata e impaurita allo stesso tempo. Avevo l’occasione di sfuggire all’abbrutimento in casa della zia. ‘Prenderò quello che posso portare con me e manderò a prendere il resto quando avrò trovato un alloggio.’

Mi inchinai e lasciai la stanza, avvertendo la sua sorpresa come una ventata di calore sul retro del mio collo.

Nella mia stanza da letto tirai fuori alcuni vestiti che infilai insieme ad altri panni in una borsa che potevo portare da sola. C’era qualcos’altro altro che avrei mandato a prendere più tardi. Gettai un ultimo sguardo alla stanza dalle pareti bianche decorata solo da una citazione della Bibbia in cornice prima di chiudere la porta.

L’Accademia mi accolse con piacere. Ero stata una delle preferite della direttrice, che mi propose condizioni di lavoro accettabili. Per la prima volta vivevo lontana dalla zia. Avevo amici tra gli altri insegnanti e le ragazze più grandi, e il lavoro mi entusiasmava e mi motivava. Insegnavo con passione, proprio come avevo immaginato. Tutto andò bene per qualche mese finchè mi arrivò un messaggio in cui era scritto che la zia stava male e che desiderava vedermi.

La trovai nel suo letto. ‘Alice.’ Mi toccò la mano. ‘Mi sei mancata tantissimo, bambina mia.’

‘Anche tu mi sei mancata, zia.’ In verità il mio cuore fu colpito vedendola così debole.

‘Vuoi restare con me?’

Come potevo rifiutare? Quale donna avrebbe lasciato una parente malata da sola durante la malattia? Mandai a dire all’Accademia che c’era bisogno di me a casa. Non appena ebbi inviato la lettera Martin Clarke arrivò. ‘Sono lieto di vedervi qui, Alice.’

Annuii.

‘Spero che non abbandonerete di nuovo mia zia?’

‘Resterò qui finchè è malata, di sicuro.’

Avanzò verso di me. ‘C’è un modo, sapete, di renderla felice e sana .’

‘Qual è?’ Come se non lo avessi saputo.

‘Sposarmi.’

‘Perchè? Voi non mi amate, signore.’

Non negò.

‘Perchè mi volete?’

Rimase in silenzio.

‘Non vi ho mai minimamente incoraggiato, signore. Nè ho notato in voi alcun particolare interesse verso di me.’

Mi squadrò. ‘Siete giovane, graziosa, sana e intelligente. Questi sono attributi utili in una moglie.’

Non potei fare a meno di ridere. ‘È molto improbabile che elencando i miei attributi, come li chiamate voi, siate in grado di scaldare il mio cuore.’

‘Pensateci, Alice. Considerate qual è il vostro dovere.’ Lasciò la stanza per parlare con la zia.

Il giorno dopo sembrava che si fosse ristabilita. Ritornai all’Accademia, dove le mie allieve si dissero entusiaste di rivedermi. Mi erano mancati gli amici e fummo contenti di riunirci. Ma durò poco. Un mese dopo la zia ebbe lo stesso senso di vertigini e si rimise a letto, mandandomi di nuovo a chiamare. Questa volta la direttrice fu meno contenta di darmi il permesso. 

‘Le ragazze hanno bisogno di una costante supervisione musicale, signorina Clarke. Non riesco a gestire la scuola con un’insegnante che una settimana c’è e l’altra no.’ Sospirò. ‘So che posso sembrare dura, ma devo pensare alle mie allieve, mia cara.’

Promisi di tornare il più rapidamente possibile.

La zia disse di essere contenta di vedermi. Era in grado di alzarsi dal letto con il mio aiuto, anche se quasi subito le girava di nuovo la testa.

‘Ci ho messo alcuni giorni a riprendermi dopo l’ultimo episodio,’ disse. ‘Devi aiutarmi ogni mattina e ogni pomeriggio, Alice, in modo che il mio corpo si riabitui progressivamente a stare in piedi.’

‘Qual è la causa delle vertigini?’ chiesi al medico quando la visitò. ‘Cosa si può fare per impedire che si verifichi un ennesimo episodio?’

‘È tutto molto misterioso.’ Ripose i guanti. ‘Non ho mai visto un caso simile. È fortunata ad avere una persona come voi che si prende cura di lei.’

Non ebbi il coraggio di dirgli che intendevo fare a mia zia una visita rapidissima. Nè potevo esercitare pressione su di lui per avere ulteriori informazioni sulla natura della malattia.

Martin Clarke arrivò ancora una volta a perorare la sua causa. Lo respinsi di nuovo. La zia mi disse che si sentiva debolissima e che era sicura che sarebbe dovuta restare un mese a letto.

Dopo tre settimane la direttrice mandò a dirmi che aveva bisogno che io ritornassi al mio posto di lavoro entro una settimana o avrebbe dovuto assumere un’altra insegnante. Sono sicura che la zia o Martin devono aver letto questa lettera prima che io l’abbia vista perchè la malattia della zia continuò per altri sette giorni, al termine dei quali arrivò un’altra lettera dalla scuola con due ghinee del salario che mi era dovuto e la notizia del mio licenziamento.

‘Vedi quali sono gli svantaggi di lavorare per mantenersi, Alice?’ La zia fece un cenno a Martin. Si era sentita meglio questo pomeriggio ed era venuta in salotto a sedersi accanto al fuoco. ‘Un datore di lavoro può decidere di buttarti per strada per un capriccio.’

‘Mi avevano dato un preavviso. Non sono stata in grado di modificare le condizioni che avrebbero portato al mio licenziamento. Tutto qui.’

‘Alice.’ Martin posò la tazza. ‘Non essere sciocchina. Vieni a Londra con me. Vedrai come andrà diversamente.’ Il tono era mite, ma lo sguardo nei suoi occhi rivelava un animo calcolatore.

‘Dammi un giorno per pensarci.’ Non disse nulla, lanciò solo un'occhiata al tavolo su cui aveva messo un cesto contenente leccornie per la zia. Una bottiglia di Madeira, un grappolo d'uva, un nuovo scialle di seta. Mi resi conto che l’esposizione di questi doni era in parte voluta per farmi notare che Martin aveva mezzi sufficienti per mantenermi.

Mi misi a sedere nella mia stanzetta bianca, posai le braccia sullo scrittoio e vi lasciai cadere la testa. Non avevo mai avuto grandi speranze, non mi ero mai aspettata una grande storia d’amore, o la fama, o una vita eccitante. Ma mi ero aspettata … almeno qualcosa. Molte ragazze a cui insegnavo speravano solo di passare dall’aula scolastica alle nozze, con un po’ d’intervallo tra le due situazioni la cui durata sarebbe dipesa dalla loro capacità di gestirsi. Io, invece, avevo sempre desiderato qualcos’altro, sentivo una stretta al cuore nelle rare occasioni in cui la zia ed io uscivamo da Edinburgo per andare in viaggio e io guardavo ammirata le colline e le montagne, le brughiere con i pony irsuti, i cervi e le aquile, i fiumi che fluivano verso il mare. Qualcosa dentro di me rispondeva alla chiamata di questi luoghi selvaggi. Avevo sempre pensato di avere uno spirito avventuroso. Era strano per una ragazza che aveva vissuto un’esistenza così confinata, ma avevo da sempre il presentimento che la mia sarebbe stata una vita eccitante. Con Martin Clarke sarei stata come costretta in un campo: recintato e sicuro. Non mi sarebbero mai mancati cibo e abiti e la mia posizione sarebbe stata più che solida. Era questo ciò che voleva la zia. Questa sua casa di Edinburgo in cui ero cresciuta era arredata in modo semplice, tuttavia ogni pietra rivelava rispettabilità materiale.

Mi sembrava di avere una corda intorno al collo.

La mattina dissi a Martin che avrei accettato un altro posto da insegnante. Consultai The Scotsman e trovai un posto libero in una scuola a Peebles, una città di confine a sud di Edinburgo. Ebbi una risposta alla mia richiesta di lavoro dopo due giorni, mi si diceva che ero stata selezionata e che potevo andare subito alla scuola ad informarmi sullo stipendio, che sarebbe bastato a stento a garantirmi il guardaroba per un anno.

‘Ti pentirai di quello che stai facendo.’ Il volto della zia era bianco di collera mentre mi seguiva giù per le scale.

‘Non renderei felice tuo nipote e gli sto facendo un favore rifiutando la sua proposta.’ Sbattè la porta d’ingresso, lasciandomi per strada con la borsa.

Nonostante la città di Peebles fosse considerata un luogo salubre, la scuola si trovava ad alcuni chilometri lontano dalla città, su una collina brulla, in balia del vento per dodici mesi all’anno. Gli allievi erano orfani, reali o presunti, e mi dispiaceva per loro. Uno o due di loro mostravano intelligenza e meritavano di più di quello che ricevevano dal preside o dagli altri docenti. La mia competenza musicale non era richiesta; io dovevo insegnare a leggere, a scrivere e a conoscere le basi dell’aritmetica, oltre che a cucire. Per cucire intendo fare gli orli, ritagliare modelli di abiti semplici, e realizzarli. La lettura consisteva nella memorizzazione di versetti della Bibbia, e l’aritmetica era intesa come la capacità di fare calcoli semplici, utili a chi lavorava a casa o in una fattoria.

I nostri pasti erano tutt’altro che abbondanti e non erano nè buoni, nè gustosi. Le abitazioni degli insegnanti e degli allievi erano allo stesso modo umide e fredde. Una notte l’uomo che era stato assunto per insegnare ai ragazzi la lavorazione del legno bussò alla mia porta e mi chiese di farlo entrare. Misi una sedia davanti alla maniglia e gli dissi che se mi avesse toccato l’avrei ferito con il mio tagliacarte. ‘Miserabile cagna.’ Se ne andò battendo i piedi. Trascorsi il resto della notte agitata e pronta a dovermi difendere ancora.

Quando arrivò la malattia, come accadeva di frequente, le ragazze e i ragazzi non ebbero la forza di resistere. Ero arrivata a scuola in buona salute, ma la prima influenza della stagione fu troppo violenta anche per la mia solida costituzione. Dopo aver trascorso quattro giorni nel mio letto in un’alternanza di brividi e forte accaldamento, il preside mi mandò a dire che ero stata licenziata per mancato adempimento dei miei doveri di insegnante. Mi alzai dal letto e mi vestii, con le gonne penzolanti intorno alla mia figura rimpicciolita, e riuscii a trascinare la mia borsa giù per la collina fino al borgo dove la carrozza si fermava ogni giorno sulla strada verso Peebles.

Sposai Martin Clarke due mesi dopo essere tornata dalla zia. ‘Avrai a tua disposizione una casa nuova e confortevole e tutti i divertimenti rispettabili della capitale,’ mi disse il giorno che acconsentii.

Mi ero sentita alla stessa stregua di un pianoforte o di un altro grande mobile.

*

La mia passeggiata mattutina senza una meta fissa mi aveva portata ad Oxford Circus. Era ora di pranzo. Martin mi aspettava a tavola. Che motivo avevo di tornare sempre al passato? Qualunque fosse stata la ragione per cui avevo sposato Martin, in tal modo avevo buttato via la mia vita. Cercavo di controllare il dolore che provavo per la perdita di John Osborne, di evitare che il mio viso ne mostrasse i segni, altrimenti ne sarebbe seguita una punizione. Una parte di me voleva urlare la verità a gran voce e subirne le conseguenze. Almeno in quel caso avrei potuto compiangerlo degnamente. Ma qualche piccola parte ragionevole mi sussurrava che ciò non sarebbe stato affatto utile. John non mi aveva fatto alcuna promessa sicura. Che cosa avrebbe potuto promettere a una donna sposata, in ogni caso? Sapevo che qualcosa di prezioso era accaduto tra noi, ma non potevo sapere se lui aveva continuato a provare gli stessi sentimenti mentre la nave lo portava lontano da me.

Mi voltai e mi trascinai verso casa.