Capitolo ventidue
La biblioteca era soffocante. La testa cominciava a farmi male. Fissai i caratteri stampati finchè non cominciarono a fondersi tra loro. Alcune delle opere di mio padre non risparmiavano parole. Avevo già letto “Don Juan”, e mi era piaciuto, soprattutto le parti relative a Juan e Haidee, la ragazza greca che Juan incontra quando naufraga su un’isola deserta. Avevo identificato le citazioni di Ada. Ridetti un’occhiata al poema, lasciando che il mio sguardo cadesse sui versi e sulle espressioni. La zia non avrebbe mai fatto entrare tali parole ed immagini in casa sua.
‘Lei amava, ed era riamata – lei adorava
Ed era venerata …’
Deglutii e passai a “Beppo”. Lessi le descrizioni di Venezia e dell’Italia settentrionale e qualcosa si agitò dentro di me.
‘Quel tipo di candela da pochi quattrini che risplende
Dove il maleodorante calderone fumoso di Londra ribolle.’
Sapevo cosa intendeva con calderone fumoso. Londra non sembrava essere cambiata molto negli anni successivi a quando mio padre aveva scritto queste parole. Ti prego Dio mio, fa’ che Martin abbia svuotato la pozza insalubre dietro casa prima che io ritorni.
Quanto alle albe italiane che descriveva, forse ricordavo anche queste ora: la luce che si irradiava con tale allegria al mattino e che sembrava chiamarti dal letto per salutare il nuovo giorno.
Sul frontespizio del libro una stampa del ritratto di mio padre mi fissava. Labbra ben formate, leggermente aperte, come se stessero sul punto di pormi una domanda. Occhi inquisitori, luminosi, non grandi come quelli di Ada ma comunque della stessa forma dei suoi. Fissai l’immagine di Lord Byron, quasi desiderando che prendesse vita.
Qualcuno tossì. ‘Mi scusi, signora. Una persona dietro di lei vorrebbe leggere “Manfred” di Lord Byron e si chiede se lei ha finito con il volume.’
‘Mi scusi.’ Chiusi il libro con forza. ‘Glielo dia con i miei omaggi.’ Era ora che tornassi a casa. Martin si stava sicuramente preoccupando delle modalità della cena e la povera Emily non doveva essere lasciata a gestirlo da sola.
Il pomeriggio era freddo, una luce color bronzo avvolgeva le strade. L’aria odorava di fumo e di foglie morte ed anche le ruote dei carri e delle carrozze sembravano sferragliare sulle strade con meno vigore di quanto ne avessero mostrato una o due settimane prima. L’anno stava per finire. Eravamo quasi a novembre. Pensai ad Ada, non riuscivo ancora a considerarla la mia sorellastra. Non ci separavano così tanti chilometri. Forse stava effettuando esperimenti con i numeri, o era in corrispondenza con i suoi amici ricchi di ingegno, o cavalcava nel parco. L’avevo vista solo un giorno ma già ne sentivo la mancanza.
Così tanta gente mi passava accanto, eppure mi sentivo come se fossi l’unica persona in città; un sasso solitario su una spiaggia con le onde che mi si infrangevano addosso. Indugiavo, non desideravo tornare a casa, ma sapevo che faceva buio più presto in questo periodo dell’anno. Non potevo più andarmene in giro per le strade fino a quasi ora di cena. Tra poco sarebbe stato buio alle quattro e mezza; ancora più presto nei giorni in cui la nebbia sarebbe scesa sulla città, proprio come accadeva questa sera. Anche mentre camminavo l’aria sembrava diventare più spessa e più pesante sul mio viso. Stanotte per la prima volta i lampionai sarebbero stati presenti nella nostra strada. Mi chiedevo se le lampade a gas avrebbero illuminato bene la nebbia.
Dio mio fa’ che l’organizzazione di questa serata sia rapida. Volevo che le case fossero completate e vendute presto in modo che la zia mi avrebbe aiutata a liberarmi del mio vincolo matrimoniale. La signora Wheatley stava sorvegliando l’arrosto e faceva sobbollire i polli. Aveva già preparato le creme e le torte, ed una minestra il cui nome francese non riusciva a pronunciare. Martin si agitava ed interferiva. Starle vicino era tutto ciò che potevo fare per impedirle di presentare le dimissioni. Avrei voluto presentare le dimissioni io stessa. Martin mi considerava come uno dei suoi infissi ed arredi, un oggetto come la credenza di mogano che la zia ci aveva regalato per il nostro matrimonio, o come il tavolo della sala da pranzo con le sue grosse gambe intagliate.
Ieri sera mi aveva inchiodata al letto in modo tale che la mia testa pendeva giù verso il pavimento e mi aveva messo una mano intorno al collo facendo sì che la stanza diventasse bianca e si dissolvesse nel nulla dopo pochi secondi. Quando avevo ripreso conoscenza lui era su di me e pompava, il respiro affannoso come quello di un vecchio organo in qualche chiesa di campagna.
E tuttavia non era l’uso del mio corpo che faceva sì che io l’odiassi; era piuttosto la consapevolezza che mi aveva voluta in moglie sapendo che non avrebbe mai potuto amarmi.
La mia mente si rivolse a Douglas e a ciò che accadeva tra di loro quando si incontravano. Mi ricordo come una volta avevo visto trasalire il domestico di Joseph Osborne quando Martin gli stava troppo vicino. Avevo visto degli scugnizzi per strada darsi delle piccole gomitate e scappare via quando camminavamo. Pochi giorni prima che ci sposassimo l’avevo sentito per caso parlare con la zia.
‘È meglio così, nipote caro. Coprirà tutte le … malefatte precedenti.’
‘Sì.’
‘Lei è stupenda, ha quegli occhi così belli, bei capelli, un bel portamento.’
Restai a bocca aperta. La zia non aveva mai apprezzato il mio aspetto prima. La vanità è sempre stata un grande peccato.
‘Nessuno presterà fede ai pettegolezzi quando sapranno che hai una donna simile a casa.’ La voce della zia era tesa. ‘Ricomincerai su nuove basi al sud. Inserisciti in qualche impresa rispettabile. Circondati di persone dignitose.’
‘Come posso mantenere una moglie così? Ho sentito che le donne costano molto. Hanno bisogno di abiti e cappellini.’
‘Avevo detto che vi avrei dato qualcosa.’ Sentii la zia andare verso la scrivania, udii il fruscio della carta, il pennino della sua penna che la graffiava. ‘Questo vi sarà d’aiuto.’
Una pausa. Lui doveva star guardando la carta. ‘È solo per iniziare.’
‘Allora nipote?’
‘Cosa?’ C’era una nota imbronciata nella sua voce.
‘Non è una cattiva ragazza. Molti uomini sarebbero orgogliosi di averla in moglie.’
Cosa direbbe la zia se sapesse che il suo domestico molto personale accompagna Martin nelle case vuote ogni sera?
Ma cosa direbbe Martin se sapesse che Douglas frequenta la donna italiana che mi aveva fatto prigioniera? Non avevo detto una sola parola dell’accaduto e dell’incontro con Ada. Avevo invece scritto un resoconto fedele degli eventi nel mio diario e lo avevo nascosto nel solito posto sotto il materasso. Non era ancora venuto il momento di denunciare Douglas. Le informazioni a mia disposizione erano troppo utili per poterle rilasciare senza ottenenerne il massimo rendiconto. Sorridevo nel realizzare che stavo utilizzando i termini imprenditoriali propri del linguaggio di Martin. Non avevo ancora neanche trovato il tempo di fare visita a mia zia ma avevo già pensato a come avrei formulato le domande. La zia doveva fornirmi molte spiegazioni. Non vedevo l’ora di buttarle in faccia quanto avevo scoperto e di osservare la sua reazione. Come aveva osato ingannarmi per tutti questi anni?
‘Suo marito è molto nervoso, signora.’ Emily mi guardò mentre mi faceva entrare in casa e sussurrò: ‘Dice che deve provvedere lei alle decorazioni della tavola perchè non gli piacciono i fiori che ho sistemato.’
Le strinsi la mano. ‘Sono sicura che li hai sistemati splendidamente come sempre. Prendi questo,’ le detti il mio mantello, ‘e andrò a guardare. E Emily –’
‘Sì, signora?’
‘Si dovrebbe togliere la condensa dalle finestre.’
Guardò i vetri. ‘Li ho puliti questa mattina, signora. Ma l’umidità si insinua nuovamente non appena finisco.’
Non c’era quindi da meravigliarsi che Martin tossisse tutto il tempo. Forse il suo malumore dipendeva in parte dallo sforzo che faceva ad ogni respiro e dalla mancanza di aria da inspirare.
‘È pronta tua sorella per questa sera?’ Avevo detto che Emily e la signora Wheatley non potevano sostenere una cena di tale importanza senza un aiuto. Martin era stato d’accordo sul fatto che la sorella minore di Emily, Katie, desse una mano.
‘Katie è già in cucina a pelare le patate.’
La tovaglia che avevo ricamato con i fiori e con la frutta tropicale era un trionfo, pensai, mentre spianavo una piega al centro. Mi ero fatta ispirare dalle scene a cui avevo assistito all’East India Dock e avevo cercato di rappresentare le ananas, i meloni, le arance e i limoni che avevo visto lì. Avevo cucito anche degli uccelli, con il loro piumaggio verde e rosso brillante e gli occhi taglienti. Anche Martin aveva espresso ammirazione in modo riluttante, rovinando tutto con la sua osservazione sul fatto che le sete dovevano essere costate un occhio della testa e forse avrei potuto progettare in futuro qualcosa in colori più semplici.
Su ogni tovagliolo avevo ricamato un simbolo: una scimmia, una farfalla o una passiflora. Per ricamare il tutto avevo impiegato sei mesi, gran parte del tempo sforzando i miei occhi nel buio. Ma da questa sera la luce a gas avrebbe illuminato l’intera strada e anche le lampade di casa nostra. Almeno avremmo avuto un motivo per sopportare il cattivo odore.
Emily aveva preparato la tavola con l’argenteria. Tolsi due vassoi cesellati e una ciotola ornamentale. La tovaglia e il cibo stesso avrebbero decorato la tavola; non bisognava eccedere. Odiavo il gusto dell’esibizione esagerata che si stava imponendo, sostituendo la precedente eleganza del periodo Regency e dell’età georgiana. Era come se il ceto medio si sentisse fiducioso solo se circondato da segni del suo status e della sua ricchezza: piatti e posate decorate, fronzoli su abiti che sarebbero stati più belli nella loro semplicità, camere piene di mobili. E tutto ciò mentre le strade erano piene di persone che non possedevano nulla. Pensai alla cabina di John Osborne, alla sua essenziale semplicità e confortevolezza. Ora, però, quella cabina era ridotta a pezzi di legno rotto, gettati sulle rocce della costa africana, o localizzati sul fondo dell’oceano. Era abbastanza per me. Misi la mano sugli occhi.
Martin entrò dandosi da fare. ‘Sei qui? Bene.’ Guardò il suo orologio. ‘Non devi cambiarti? Ho chiesto ad Emily di stendere il tuo vestito sul letto.’
Ero ormai considerata incapace di scegliere i miei abiti?
‘Il signor Curtis è il banchiere. È su lui che devo fare colpo. Cerca di trovare qualche argomento di conversazione piacevole. Non menzionare i tuoi libri e i dipinti.’ Respirava in fretta, emetteva un rantolo ad ogni inspirazone.
‘Dovresti sederti, Martin. Il tuo torace è teso.’
‘Al diavolo il mio torace, c’è da lavorare.’
‘Che tipo di conversazione gradirebbe il signor Curtis?’ Sbarrai gli occhi per dare una falsa idea di ingenuità.
Si soffermò a pensare per un attimo. ‘Ha una piccola fattoria nel Kent. Si potrebbe forse parlare del suo bestiame. Suini e bovini. E forse vi cresce del luppolo. Non darlo per scontato.’
‘Prometto di non fare supposizioni sulla birra. E la signora Curtis?’
‘Ah, lei siederà accanto a me. Ho pensato a tre argomenti che potranno coinvolgerla. I figli, naturalmente: hanno un ragazzo e una ragazza.’ Mi lanciò uno sguardo di rimprovero. ‘Poi c’è la sua recente vacanza a Broadstairs. E la Regina – tutto ciò che la riguarda andrà bene.’
‘Argomenti adatti ad ogni donna, che si tratti di una duchessa o di una donna comune. I fiori utilizzati alla cerimonia di incoronazione andranno benissimo, immagino.’
Strizzò gli occhi guardandomi, avvertendo l’ironia ma incapace di cogliere segni di scherno sulla mia faccia inespressiva, e andò via, affaticandosi ad ogni respiro.
Quando mi sedetti e incominciai a spazzolarmi i capelli davanti allo specchio alla luce delle candele pensai che questa sarebbe stata l’ultima volta che la nostra strada avrebbe riposato all’ombra al calare della notte. Da questa sera le lampade avrebbero gettato la loro luce su tutti noi, uomini e donne, santi e peccatori, borghesia e manovali. Non riuscivo a provarne tanta gioia.
Nè riuscivo a calmare mio marito che si preoccupava e si agitava per la nostra serata. Forse il successo in questa impresa avrebbe migliorato il suo carattere. Molti penserebbero che avrei dovuto cercare, di nuovo, di essere la moglie che voleva, piuttosto che tentare di liberarmene. La prospettiva di restare con lui mi faceva però rabbrividire. Mi raffiguravo anni, decenni, forse, passare, i giorni della settimana ripetersi con la stessa monotonia.
Secondo la società io appartenevo a quest’uomo e lui mi possedeva. E invece la notte mi giravo e rigiravo nel letto fantasticando per sfogare la mia ansia.
A volte immaginavo di vendere i miei pochi oggetti di valore e di comprare un carrello per il latte o un piccolo appezzamento di terreno in cui coltivare ortaggi per Covent Garden. Non più camini fumosi e nebbia. Non più folla.
Stupidi, stupidi sogni. Le pastorelle che chiacchieravano con tanta allegria durante le mattinate estive senza dubbio mi avrebbero raccontato di una vita più dura d’inverno. Avrebbero riso di una donna che voleva lasciare la casa e il marito per fare il loro lavoro.
Strofinai il segno sul collo che la mano di Martin mi aveva fatto la notte scorsa. Non potevo stare con lui, ma in quale altro posto sarei potuta andare? John poteva essere una via di fuga, ma se ne era andato ormai.
Non riuscivo a rassegnarmi a un futuro così tetro. Ci doveva essere un modo per ritrovare mia madre. Non avrebbe potuto salvarmi dal matrimonio infelice ma sicuramente avrebbe potuto darmi amore. Amore. Senza amore sarei appassita. Non c’erano persone che si incaricavano di fare indagini sui parenti smarriti? Come avrei potuto mettermi in contatto con loro? Magari Molly lo sapeva; potevo chiedere a lei.
‘Fa’ presto, Alice.’ Il volto accigliato di Martin riempì il mio specchio. ‘Perchè sogni ad occhi aperti?’
La prima carrozza stava scendendo la strada, le ruote procedevano a strattoni sulla sua superficie irregolare. Lisciai il mio abito, controllai che i miei capelli restassero prigionieri dei pettinini e mi avviai verso la porta per accogliere gli ospiti. Il banchiere e sua moglie erano stupiti di trovarsi in questa parte nuova della città come un missionario che si trovi in un villaggio sperduto. ‘Non è difficile far venire i domestici fin qui?’ chiese la signora Curtis.
‘Certo che no, signora. Occorrono solo venticinque minuti a piedi per andare in città, la maggior parte di loro trova che sia una distanza accettabile.’
‘E potete passeggiare senza incorrere in situazioni rischiose?’
‘Vado spesso da sola a piedi a Regent’s Park.’ Le potevo mai dire che mi ero ritrovata seduta vicino ad un uomo che era stato ucciso con un’arma da fuoco? O raccontarle delle due occasioni in cui dei furfanti mi avevano sequestrato mentre ero in strada? Che tragedia sarebbe poi stata se avessi raccontato del mio incontro con la figlia di Lord Byron e avessi rivelato che ero la sua figlia illegittima!
Questi pensieri mi tentavano, facendo sì che le mie labbra si sollevassero e su di esse si formasse un sorriso. Devo aver assunto un’espressione calorosa ed accogliente perchè gli ospiti ricambiarono il sorriso. Martin mi presentò il secondo gruppo di visitatori arrivati in carrozza: il signore e la signora Stroud e il signore e la signora Richards.
Emily mi si avvicinò in punta di piedi. ‘La signora Wheatley dice che il cibo è pronto, signora.’
Guardai Martin e lui annuì. ‘Signore, signori: si fa buio, la cena ci attende. Non mangeremo nell’oscurità per molto tempo.’ Fece un gesto con le mani come fa un direttore del circo quando annuncia un numero di giocolieri o di mangiatori di fuoco.
Notai che la signora Curtis guardava suo marito e inarcava le sopracciglia. Avevano probabilmente l’illuminazione a gas da mesi, anni, forse.
Martin portò dentro la signora Curtis e io accompagnai suo marito. Emily aveva messo qualche candela tra le decorazioni sul tavolo. Martin le spense tutte. ‘Dobbiamo restare seduti senza la minima luce,’ disse. ‘Così godremo di più quando ci sarà l’illuminazione.’ I nostri ospiti si fecero strada verso i loro posti, lanciando urla di ammirazione per la novità del tutto. Sul tavolo l’enorme lampadario pendeva pallido e inutile.
‘Dobbiamo attendere che la luce si accenda prima di cominciare a mangiare la minestra?’ Guardai le lampade a gas sulla parete, che Martin annunciò che si sarebbero accese dopo un minuto esatto, secondo l’orologio sulla credenza. Naturalmente se i lampionai che aveva impiegato quella sera avessero dato fuoco al gas abbastanza rapidamente.
‘Cominciamo, cominciamo!’ esortò.
Gli ospiti cercarono a tentoni i loro cucchiai e tovaglioli. ‘Che divertimento!’ il signor Curtis mi disse. ‘È come lo scherzo di un ragazzino.’
‘Spero che il buio sarà di breve durata,’ risposi.
Sorbimmo la nostra minestra, le signore trattenevano sbuffi di insofferenza mentre il liquido si rovesciava sui loro abiti, gli uomini rovesciavano i bicchieri mentre cercavano le saliere. Emily si trasferì ad un tavolino nel corridoio in modo da trovarsi più vicina a noi e vi sistemò sopra una fila di candele. Che ragazza ragionevole; le candele emanavano un po’ di luce che arrivava a noi nella stanza.
Non mi dispiaceva il buio; era stimolante mangiare senza vedere. Il sapore del cibo era più intenso. Notai che il burro era leggermente acido, che il vino bianco tedesco era troppo fruttato per la minestra, e che il mio panino aveva un gradevole sapore dolce che non avevo mai notato prima.
‘Dieci minuti di ritardo,’ disse il signor Curtis. ‘Devi mettere in riga questi ragazzi, Clarke.’
‘Non riesco ad immaginare cosa li trattenga.’ La voce di Martin a malapena nascondeva la sua rabbia.
Emily e Katie tolsero le ciotole per la minestra, scusandosi a bassa voce mentre urtavano gli ospiti o facevano cadere i cucchiai. Dovevamo mangiare la carne? Emily tornò dalla cucina con un paio di candele e una lampada ad olio che sistemò sulla credenza con uno sguardo di sfida verso Martin.
‘L’attesa renderà la luce ancora più emozionante,’ dissi al signor Curtis con il tono più brillante possibile. Lui tastò la macchia di minestra sulla sua giacca e non disse nulla. Probabilmente desiderava tornare nella sua casa a Belgravia con le luci a gas invece di sedere nel buio che apparteneva al secolo scorso. Non riuscivo a vedere Martin ma potevo percepire la sua rabbia. Stanotte sarebbe scoppiato l’inferno. Avrebbe voluto sfogare la sua rabbia su qualcuno. Il mio corpo si irrigidì al pensiero.
Martin aveva insistito per una cena nel nuovo stile, con Emily che ci serviva dai vassoi, e aveva voluto quattro portate distinte invece di una serie di piatti al centro tavola da cui potevamo servirci da soli. La povera Emily si sarebbe sforzata di farlo anche con delle lampade ad olio, ma il buio rese vana la sua fatica. Mi alzai sussurrando una scusa al signor Curtis. Martin non mi vide. Entrai a tentoni nel corridoio e trovai due delle lampade ad olio che lui aveva rimosso dalla sala da pranzo e le accesi con due delle candele di Emily. ‘Solo una misura temporanea.’ Le sistemai sulla tavola.
‘Non è necessario,’ disse Martin.
‘Ringrazio la signora Clarke per la luce.’ Il sollievo della signora Curtis era palpabile. Era probabilmente preoccupata per le condizioni del suo abito di seta color albicocca.
Martin si scusò e lo sentii uscire sbattendo la porta principale. Probabilmente stava andando a rimproverare i lampionai. Ma come avrebbe potuto incolparli se non arrivava loro nessun gas da accendere?
Emily entrò. ‘Se non le dispiace, signora,’ mi sussurrò, ‘c’è una persona che chiede di lei alla porta.’
‘Chi è?’
‘Un certo signor Daniel Gough.’
Misi giù la forchetta, dicendo rapidamente: ‘Fallo entrare in salotto. Parlerò con lui mentre tu servi le nuove pietanze.’
‘Dovrebbe essere più facile ora che avete le lampade qui.’
A malapena finii il resto del manzo scozzese che avevo ordinato appositamente da Smithfield per questa occasione. ‘Vi prego di scusarmi di nuovo,’ dissi al signor Curtis.
‘Una serata interessantissima con tutto questo viavai.’ Non capivo se era sinceramente arrabbiato o divertito dal tutto.
Daniel Gough era in piedi vicino al camino. Emily aveva acceso un’altra lampada e questa splendeva sul suo giovane viso. Come somigliava a sua sorella. ‘Il signor Gough?’
‘Signora Clarke, mi perdoni, so che sta cenando.’ Sembrava imbarazzato. L’accento di Waterford era più forte di quello di sua sorella. ‘Non sarei venuto, ma l’ho promesso a lui.’
‘A lui?’
‘Ho promesso al capitano Osborne che sarei venuto a cercarla, signora Clarke.’
Feci un passo verso di lui. ‘John? Ma …?’ Le parole mi rimasero in gola. Feci un respiro profondo, appoggiandomi al camino per restare in equilibrio. Daniel mi si avvicinò.
‘È vivo, signora Clarke. Ma gravemente ferito. Deve venire ora se vuol vederlo.’
Barcollai cadendo sul sofa. ‘Non posso crederci. Pensavo fosse annegato.’
‘Così sapevamo. Da quello che ho potuto vedere è gravemente ferito. È delirante, non può dirci molto dell’infortunio, o di come trovare la sua famiglia, ma ha chiesto di lei.’ Dalla stanza accanto arrivavano le voci degli ospiti e il fragore delle risate. Stavano ridendo di Martin e del fallimento dell’illuminazione a gas?
‘Vuol venire con me ora, signora Clarke? Non gli resta molto da vivere, secondo il medico di bordo.’ Si rese conto della mia confusione. ‘L’ Isabelle lo ha raccolto. Nessuno ancora lo sa a Londra.’
Forse già sapevo che sarebbe venuto un momento come questo, un momento in cui avrei dovuto fare una scelta. Ed ora era arrivato. Chiusi gli occhi per un attimo. ‘Dammi un momento per scusarmi con gli altri.’ Chiamai Emily. ‘Devo uscire. Dì a mio marito che sono indisposta e scusami con gli ospiti.’
‘Ma signora …’ Ebbi pietà di lei che aveva il compito di portare il messaggio a Martin.
‘Glielo dirò io stessa.’ Presi la candela e tornai in sala da pranzo. ‘Martin,’ gli sussurrai. ‘Ho avuto un malore. Ti dispiace se mi ritiro?’
‘Non abbiamo ancora mangiato i pudding.’
‘Lo so, perdonami.’
‘Sicuramente potrai aspettare fino a quando saranno andati via gli ospiti? Sicuramente farai questo per tuo marito.’ Graffiò uno dei colibrì che avevo ricamato sulla tovaglia e io sapevo che era la mia pelle che desiderava dilaniare. Mi girai verso Emily e le sussurrai: ‘Fatti dare un indirizzo dal signor Gough. Digli che andrò quando potrò. Digli di riferire che mi dispiace ma non posso muovermi al momento.’
Mi sedetti di nuovo all’estremità del tavolo e ascoltai il racconto del signor Curtis sulla sua visita alle Alpi austriache mentre Emily serviva le creme e le torte. Mentre raccontava del suo viaggio da Innsbruck a Salisburgo, con un’attenta descrizione di ogni passo di montagna e dei fiori alpini, i miei occhi erano concentrati sul suo volto rosso rubino e la mia mente su John. John, vivo ma forse non per molto. E se lo avessi raggiunto troppo tardi ? Come avrei potuto mai perdonarmelo? Forse dovevo semplicemente fuggire via da questa stanza in questo esatto secondo. Ma Martin mi guardava in continuazione.
Finalmente gli ospiti finirono e Martin mi fece cenno di condurli attraverso il salotto a prendere il tè e il caffè. Grazie al cielo Martin non amava lasciare i signori a tavola. La signora Curtis si accomodò sul divano e accarezzava lo spazio accanto a lei. ‘Ditemi di voi, mia cara. Vostro marito dice che non siete cresciuta in Inghilterra.’
‘Ho vissuto in Italia e in Scozia da bambina.’
‘In Italia.’ Sospirò. ‘C'è qualcosa nel nome stesso che inebria i miei sensi. Così piena di musica e di vitalità.’
Mi disse quanto era appassionata di lirica e quanto avrebbe desiderato che il signor Curtis avesse permesso al loro gruppo di attraversare le montagne per andare in Italia quando erano in viaggio. ‘È diffidente nei confronti del sud. Credo che lui tema che i cattolici gli facciano qualche incantesimo. Desidero vedere Firenze e Venezia.’
Era gentile e la conversazione con lei sarebbe stata piacevole in qualsiasi altro momento. Quante altre volte avrei infatti avuto l’occasione di parlare con qualcuno di questi argomenti? I miei occhi erano sulle lancette dell’orologio che potevo solo intravedere nel buio illuminato dalle poche candele che Martin aveva permesso ad Emily di accendere. Sarei dovuta andar via in quello stesso istante, anche se Martin fosse corso dietro a me per cercare di fermarmi.
Le luci lampeggiarono, facendoci urlare e mettere le mani sugli occhi per la sorpresa. ‘Finalmente!’ Il signor Curtis si alzò, tirò le tende e guardò verso la strada. ‘Ora possiamo vedere dove siamo.’
‘Dovremmo andar via subito, Thomas, mio caro.’ La signora Curtis guardava ora l’orologio della carrozza.
‘Ve l’avevo detto che si sarebbero accese.’ Martin incrociò le braccia. ‘Chiama Emily e chiedile di spegnere le lampade a olio e le candele,’ mi disse.
‘Oh, quel sibilo,’ disse la signora Curtis. ‘Dalla luce a gas sulla parete. Ricorda quello del serpente.’ E infatti la luce emetteva un suono simile a quello di un serpente leggermente irritato. ‘Anche le nostre emettono questo sibilo, Thomas?’
Suo marito scosse la testa. ‘Non l’ho mai sentito così forte.’ Aggrottò la fronte guardando la lampada.
I nostri ospiti cominciarono a cercare i loro cappelli, cappotti e scialli, e a chiedere a Emily di chiamare le loro carrozze mentre mi ringraziavano per l’ospitalità. Proprio quando facevamo gesti di saluto all’ultima carrozza, le luci tremolarono una o due volte e si spensero. L’oscurità, beffarda e assoluta, ci avvolgeva. Era il momento giusto per me. Mentre Martin muggiva come un bue e lanciava maledizioni a tutti quelli che erano coinvolti nell’industria del gas, trovai il pezzo di carta sulla tavola nel corridoio su cui Emily aveva scarabocchiato un indirizzo per me. Mentre mio marito urlava e Katie andava in giro freneticamente a riaccendere le candele, io mi tolsi il copricapo di perle, afferrai il mio mantello, la borsa e il cappello, e sgattaiolai fuori dalla porta.
La nebbia avvolgeva la città così tanto che dubito che con le luci a gas ci sarebbe stata molta differenza. Davanti a me la carrozza del signor Curtis andava cautamente a zig zag lungo un sentiero verso sud. Cercai di non perdere di vista le luci, correndo per non essere lasciata indietro. John era in una casa lungo Shaftesbury Avenue. Pensai che doveva essere la residenza di Molly. Mi ci sarebbe voluta almeno un’ora per arrivare fin lì in quella coltre di nebbia umida. Martin sarebbe stato preso dai problemi del gas per un’ora o due. Si sarebbe precipitato come una furia ai gasometri, sbraitando nei confronti dei guardiani, chiedendo che andassero a chiamare il direttore. La mia assenza non sarebbe stata notata. E se così non fosse stato, non me ne sarebbe importato nulla. Martin poteva andare al diavolo. Da questa notte in poi io sarei stata di John, sinceramente e completamente, come se l’Arcivescovo di Canterbury ci avesse dichiarati marito e moglie. Il mondo poteva pensare ciò che voleva.
Nei pressi del Diorama mi fermai per riprendere fiato, guardando le deboli luci dei Curtis, ormai simili a spilli, svanire mentre giravano a destra in The Road da Paddington per tentare di percorrere i sentieri attraverso Marylebone. Continuai la mia strada da sola ora, con la nebbia che penetrava tra le pieghe del mio mantello bagnando il mio viso e irritando i miei polmoni al punto da farmi tossire mentre camminavo. Mi fermai a leggere un cartello stradale per verificare se stavo andando nella direzione giusta. Passai davanti all’appartamento della zia, immaginando come il suo viso avrebbe assunto un’espressione infuriata se avesse saputo dove ero diretta. Rabbrividii, ma non mi fermai.
La nebbia si sollevò un poco, come se qualcuno avesse tirato su un angolo di una coperta gigantesca. Mi misi a correre di nuovo, senza preoccuparmi dei capelli ormai sciolti sulle mie spalle, liberi dalla costrizione del copricapo di perle. Proseguii per alcuni isolati e le strade divennero più minacciose, le donne indugiavano agli angoli, gli ubriachi cantavano e fischiavano mentre le taverne si svuotavano. Ma Shaftesbury Avenue non era lontana ora, era poco oltre il teatro dove avevamo visto The Absent Duke.
‘Sopra alla costumista,’ aveva scritto Daniel. Notai una vetrina con abiti in stile romano e un’esposizione di vestiti di un’epoca precedente: rifiniti con velluto e decorati con piume. Bussai forte alla porta.
Molly aprì, il volto tirato, cerchi grigi intorno ai suoi occhi. ‘Grazie a Dio sei arrivata.’ Mi prese per mano e mi condusse al piano di sopra. John giaceva su un divano accanto al fuoco che era quasi spento. Daniel si alzò dal pavimento accanto al divano.
‘Non so per quanto tempo potrà durare.’