Capitolo ventotto

 

Emily mi aiutò a infilare il lenzuolo fresco sotto le natiche di Martin, arricciando il naso mentre lavoravamo. Insieme ve lo facemmo rotolare sopra in modo da poter poi spianare il lenzuolo sul materasso e fissarlo. Lei cercò a malapena di nascondere il disgusto per gli odori che si avvertivano nella stanza del malato. La zia aveva pagato per avere degli infermieri ma li avevamo licenziati, tra le altre malefatte, per ubriachezza, pigrizia e furto. Ed Emily era un’anima troppo buona per lasciarmi lottare da sola quando bisognava cambiare il letto. Insieme avevamo assistito Martin durante le ultime due settimane, regalandoci qualche ora di sonno quando la zia veniva a darci un po’ di respiro. E ora avevamo le occhiaie e le facce grigie per la stanchezza.

Versai dell’acqua nella bacinella e mi lavai le mani prima di prendere il rasoio e il sapone. Il volto sul cuscino sembrava del tutto privo di coscienza ma volevo mantenerlo ben rasato nella speranza che un giorno riprendesse conoscenza. Non amavo mio marito, nè mi piaceva come essere umano, ma lo commiseravo come qualsiasi altra creatura che si trovasse in uno stato simile. E mi resi conto che potevo assisterlo se lo consideravo un estraneo, un uomo che avevo trovato in strada, magari, e che non conoscevo. Se cominciavo a ricordare come mi aveva picchiata ero tentata di non cambiargli le lenzuola e di lasciargli la camicia da notte sporca.

‘C’è sempre speranza,’ mi disse il dottor Macpherson. ‘Le lesioni alla testa sono imprevedibili.’  

‘Lei ha bisogno di un po’ di riposo, signora.’ Emily mi toccò la manica. ‘Penserò io a radere il signore. Sa bene che ho la mano ferma.’

Anche io avevo la mano ferma. Come sarebbe stato facile far sì che la mia mano scivolasse e che la lama del rasoio perforasse il vaso sanguigno sul collo. Come era invitante. Tuttavia non avrei potuto uccidere questa impotente, inutile creatura più di quanto avrei potuto far fuori un cane ferito che giaceva nella grondaia.

‘Lo so, Emily.’ Cercai di sorridere. ‘Ma anche tu sei esausta.’

Oltretutto, l’assistenza a Martin alleviava il mio senso di colpa. Non riuscivo a togliermi dalla mente che era stata la mia infedeltà a causare questo incidente. Ogni grammo di razionalità in me confutava quest’idea; assi di legno marce, non una moglie infedele, avevano fatto precipitare Martin a terra. La mia coscienza diceva il contrario. Dio puniva gli empi. Quante volte lo avevo sentito nella mia infanzia? E qualche volta li puniva colpendo la loro famiglia. Ne era testimone il povero Giobbe. Avevo desiderato liberarmi di mio marito ed ecco che lui era quasi morto.

Terminai la rasatura. Il mento di Martin era liscio e morbido. Chiunque l’avesse guardato avrebbe pensato che era stata una moglie amorevole ad utilizzare il rasoio. ‘Svegliati!’ Lo scrutai per cogliere i segni di una risposta. Ogni tanto batteva le palpebre ma in modo così casuale che non sapevo se lo faceva come risposta alla mia presenza o a qualche stimolo interno. Qualche volta era inquieto durante il sonno e mi lasciava credere che alla fine si sarebbe svegliato del tutto. Beveva del brodo acquoso se glielo inserivo in bocca con un cucchiaio. ‘Svegliati, Martin!’ Nulla. ‘Non vuoi ricominciare a urlare e a lanciare maledizioni?’

Riordinavo la camera e aprivo la finestra per far entrare aria fresca e umida, sporgendomi fuori per fare respiri profondi e sostituire l’aria pesante nei miei polmoni. Qualcosa angustiava la mia memoria, qualcosa che avevo visto ma non riuscivo a ricordare. La donna e la bambina nel portone, così pulite e orgogliose nonostante la loro povertà. Afferrai i miei abiti da passeggio e dissi ad Emily che sarei tornata dopo un’ora. 

Pioggia e neve erano cadute oggi, forse la coppia aveva trovato riparo. Una parte di me pregò che lo avessero trovato. Intorno a me i passanti si affrettavano a tornare a casa stringendo pacchi. Solo i più disperati erano rimasti per la strade.

Madre e figlia erano al solito posto. I miei occhi scrutarono la coppia. Era proprio come ricordavo: vestite di stracci, ma stracci puliti, e qualcuno aveva tentato di ricucirne le parti strappate più visibili.

‘Può aiutarmi ad assistere un uomo malato?’

La donna sbattè le palpebre.

‘Può aiutarmi ad accudire mio marito? Pulirlo, cambiargli il letto? Dargli da mangiare?’

‘Ho accudito i miei due bambini e mio marito prima che morissero.’ Fece un mezzo sorriso. ‘Forse lei pensa che questa non è una buona presentazione, ma sono morti puliti e sentendosi amati.’ Guardò la bambina. ‘C’è Sara, non posso lasciarla.’

‘Anche lei può venire. Abbiamo una stanza libera. Potete starci entrambe. Vi pagherò, e avrete vitto e alloggio finchè mio marito guarirà.’

‘Mi scusi, signora, ma perchè me lo chiede?’

Scrollai le spalle. ‘C’è qualcosa in lei, il modo di guardare, il modo in cui mantiene la sua bambina.’

Annuì e parlò sussurrando con la bambina. Le condussi a nord oltre il parco. Camminavamo a passo lento perchè la piccola Sara era logorata dal freddo. Quando arrivammo a casa dissi ad una Emily stupita di portarle in cucina e di dar loro cibo e gli abiti di ricambio che riusciva a trovare. Poi condussi la donna, Maggie, così si chiamava, nella camera dell’ammalato e le mostrai Martin. 

‘Deve essere mantenuto pulito e deve essere girato nel letto in modo che non si formino piaghe. E poi dovrebbe dargli del brodo e dell’acqua inserendoglieli col cucchiaio in bocca in modo che non si disidrati.’

Annuì. Restai seduta con lei nella stanza per un’ora, guardandola mentre si assicurava di aver capito ciò che doveva fare. Le sue mani si muovevano con attenzione, aggiustando le lenzuola, dando volume ai cuscini, offrendo acqua. Quando mi resi conto che Maggie probabilmente sapeva meglio di me di cosa ha bisogno un paziente la lasciai e andai al piano di sotto.

Rimasi alla finestra del salotto a guardare la strada e gli operai che sembravano muoversi con maggiore responsabilità ora che Martin non poteva più ostacolarli. La figura diritta della zia, la cuffietta nera sulla testa, stava svoltando l’angolo per occupare il suo posto al capezzale del nipote. Veniva a piedi da Wimpole Street, senza badare alla pioggia che era ormai quasi neve.

Non avevamo quasi più parlato da quando mi aveva consigliato di rimanere accanto a Martin finchè i problemi del gas non fossero stati risolti. Quando l’avevo mandata a chiamare dopo l’incidente, era arrivata pallida, rigida, quasi senza parole. Veniva ogni giorno. Di tanto in tanto faceva commenti sulla pulizia della stanza, o sulla pulizia del paziente. Era, credevo, il suo modo di ringraziarmi per essere rimasta con suo nipote. Forse le sembrava strano che io non avessi colto l’occasione di scappare ora che il mio aguzzino non poteva fermarmi.

Molly aveva sottolineato la stessa cosa quando ci eravamo viste una mattina in cui mi ero concessa qualche ora di libertà ed ero andata a trovarla. ‘Sei un animo nobile per il fatto che stai assistendo un uomo che ti ha maltrattata così tanto.’

Mi ero girata verso di lei stupita in quanto non le avevo mai rivelato i dettagli dei maltrattamenti che subivo da parte di Martin.

‘L’ho intuito dal vuoto nei tuoi occhi quando parlavi di tuo marito. E dai segni sui tuoi polsi. Deve averti costretta … Be’, non parliamo di questo.’ Il suo volto esprimeva rabbia. ‘Come si è permesso? Dovresti solo recuperare tutte le cose di valore che riesci a trovare e andartene nel continente. Potresti vivere felice e con pochi soldi in Francia e in Italia. Potresti cercare tua madre.’

Il pensiero dell’Italia mi fece venire un groppo alla gola. Sarei potuta tornare al convento, vedere se suor Perpetua era ancora viva. Era una giovane donna tanti anni fa, era possibile che fosse ancora in vita. Non potevo però lasciare Martin. Sarebbe stato come abbandonare un bambino. Nessuno avrebbe potuto odiare e disprezzare un bambino mentre se ne prendeva cura. Eppure io odiavo e disprezzavo mio marito, anche se mi preoccupavo che non avesse piaghe da decubito e che la sua biancheria fosse sempre pulita.

Non vedevo John Osborne dalla mattina in cui Martin era precipitato dalla scala. Mi scriveva ogni giorno. 

Devi solo chiedere e io sbrigherò qualsiasi faccenda per te in qualsiasi modo e a qualsiasi ora,’ diceva l’ultimo messaggio. ‘Sono a tua completa disposizione per qualsiasi esigenza. Vorrei venirti a trovare ma mi sento a disagio per il fatto che il signor Clarke giace privo di coscienza al piano di sopra. Era diverso quando stava abbastanza bene da poter abusare di te e farti del male. Sarò però pronto a venire se c’è qualcosa che posso fare. Il mio amore è tutto per te.’ La lettera era accompagnata da un mazzo di fiori.

Risposi, ringraziandolo e dicendogli che con l’aiuto di Maggie potevo farcela. Gli chiesi di parlare con Joseph della questione di mia madre. ‘So però che comprenderai se ti chiedo di essere discreto. È impossibile per me andare nel continente adesso, ma il sollievo di sapere dove potrò trovarla sarebbe enorme.’

Qualcuno bussò alla porta. Emily accompagnò la zia in salotto dove ero seduta a cucire. La portai al piano di sopra da Martin e dissi a Maggie che avrebbe potuto trascorrere un paio d’ore con Sara che stava facendo torte in cucina con la signora Wheatley. Mi sedetti sulla sedia vicino alla finestra, lasciando all’anziana signora il posto vuoto accanto al letto. C’erano così tante cose che avrei voluto chiedere alla zia, ma la figura silenziosa nel letto mi impediva di parlare. Presi la federa che stavo ricamando.

‘Alice.’

Mi resi conto che non le avevo detto che Maggie era venuta come infermiera per Martin. Stava per rimproverarmi per la mia scelta? Alzai lo sguardo dal cucito. ‘Dovevo trovare un po’ d’aiuto,’ dissi. ‘Emily ed io da sole non potevamo farcela. Maggie fa un buon lavoro.’

‘Lo so. Hai scelto bene. Hai accudito bene mio figlio.’

La federa mi cadde dalle gambe. Le mie labbra si aprirono. Non venne fuori nulla.

‘Leggo la domanda sul tuo volto.’ 

‘Tuo figlio?’

Mia zia sorrise: un sorriso forzato. Non riuscivo a ricordare di averla vista sorridere prima d’ora. ‘L’ho fatto passare per mio nipote per non cadere in disgrazia. Ero una ragazza selvaggia una volta.’

I miei dubbi dovevano essere visibili. Lei annuì. ‘Ti riesce difficile crederlo? Mi vedi con la Bibbia e pensi che io sia sempre stata così, sobria, condizionata, virtuosa?’

Non potevo negare che era così. Continuò. ‘Martin è il risultato della mia immoralità giovanile. Non avrei mai potuto lasciarlo vivere con me, non avrei potuto riconoscerlo come qualcosa di più di un lontano parente.’ Prese la mano del figlio. ‘Ora sento che la situazione richiede onestà. Sarò onesta con te, lo sarò…’

Martin aprì gli occhi e ci guardò, mormorando ripetutamente una parola. La zia avvicinò l’orecchio alla sua bocca. ‘Sta dicendo: “Gas”.’

Provai compassione per lei; il suo volto rivelava la sua delusione.

‘Vuole sapere se il collegamento difettoso del gas è stato riparato.’ Mi avvicinai al letto e mi chinai su Martin. ‘Hanno promesso che la riparazione sarà ultimata questa settimana.’ Chiuse di nuovo gli occhi, dopo aver atteso al suo lavoro più importante.

Gli occhi della zia brillavano. ‘È guarito, grazie a Dio.’

‘Dobbiamo essere caute.’ Misi una mano sulla sua spalla rivestita di un tessuto di lana e seta. ‘Chiederò a Maggie di andare a chiamare il dottor Macpherson.’

Fu solo più tardi, quando il dottore se ne fu andato, dopo averci assicurato che Martin aveva ora tutte le possibilità di recuperare completamente, che mi ricordai che aveva lasciato la sua storia incompiuta. Quest’uomo che russava nel letto era carne della sua carne e sangue del suo sangue. Come era possibile? Mi aveva sempre detto che era venuta fuori dal suo matrimonio vedova e sola.

Non rimanemmo più insieme da sole, perchè per la maggior parte del tempo Maggie sedette nella stanza con noi due. La zia non diceva nulla, osservava solo Maggie che eseguiva i suoi doveri in modo calmo e tranquillo. Emily le aveva dato un mio abito vecchio, sul quale aveva legato un grembiule. Qualche volta la testolina di sua figlia spuntava dalla porta. Maggie annuiva e le sorrideva, poi le faceva cenno di andar via, e Sara trotterellava giù per le scale fino alla cucina. Credo che la signora Wheatley e Emily escogitassero per lei qualcosa di divertente con cui passare il tempo, dandole ad esempio un borsetta con delle vecchie mollette di legno e alcuni frammenti di tessuto che avevo fornito loro. Certo un esercito di bamboline, vestite di seta e raso, faceva bella mostra nella casa. Le guance di Sara si erano finalmente riempite durante la settimana che aveva trascorso con noi e le sue gambe non erano più sottili come degli stecchini. Emily aveva portato degli abiti di Katie e li aveva risvoltati per Sara.

Verso le cinque qualcuno venne a bussare alla porta. Scesi giù in salotto e vi trovai Molly che mi aspettava. Il mio cuore sussultò per la gioia e le saltai letteralmente addosso, offrendole del vino, del tè, cercando di prendere il suo mantello, ma lei rise e sollevò una mano. ‘Non posso restare. Sono venuta a dirti addio.’

‘Addio?’

‘Ritorno a Waterford. Il padrone è peggiorato così tanto che non pensano che vivrà ancora a lungo. Mia madre mi ha chiesto di tornare. La casa è in subbuglio e la padrona siede in una stanza buia. Non vuole nè mangiare nè bere.’ Accarezzava un cuscino sul divano e parlava così piano che non riuscivo a sentirla. ‘Mia madre dice che devo tornare e far mangiare Amy. La tenuta è in uno stato di incredibile confusione. Donne e bambini muoiono di fame perchè il raccolto è stato molto scarso. Hanno bisogno dell’aiuto di Amy.’ Si passava le nappe del cuscino tra le dita. ‘Non sanno nulla laggiù della profondità dei nostri reciproci sentimenti. Se Amy ed io saremo discrete, non ci saranno danni per nessuno, e forse ci sarà solo tanto bene.’

‘Oh, Molly!’ Ci abbracciammo in silenzio.

‘Scrivimi.’ Scivolò via di soppiatto.

‘Chi era?’ La zia era in cima alle scale.

‘Un’amica.’ Mi aspettavo un interrogatorio. Lei, invece, annuì e si allontanò.

Martin si svegliò il giorno seguente e si tirò su a sedere, chiedendomi come stava andando la posa delle tegole sulle nuove case. Da quel momento i suoi periodi di veglia si allungarono, e le sue richieste divennero più insistenti. Maggie ed io trascorrevamo il nostro tempo correndo a prendergli tazze di tè, ciotole di brodo o bicchieri di brandy, senza un attimo di tempo per poter parlare. 

Volle che gli portassi McManus per essere più volte rassicurato sul fatto che gli uomini non stavano sprecando materiale. Quando McManus gli disse che aveva ordinato nuove scale, Martin andò su tutte le furie e solo dopo un'ora riuscimmo a farlo calmare di nuovo. Dopo quest’esperienza non volli far entrare più nessuno nella stanza tranne il dottore e Maggie, che sembrava essere immune alle sue minacce e imprecazioni. A volte coglievo gli occhi di Martin sull’infermiera e notavo la docilità della loro espressione. Quando lo lavava lui tirava giù le lenzuola per lei e arrotolava la sua camicia da notte senza che ci fosse bisogno di chiederglielo.

‘Hai le mani delicate,’ dissi a Maggie l’ultima sera, mentre la esoneravo dai suoi servizi. ‘Come hai imparato a trattare con i malati in questo modo?’

Arrossì. ‘Non lo so signora. In una vita diversa mi sarebbe piaciuto guadagnarmi da vivere come infermiera. Ma ho mia figlia.’

‘Sarai ben ricompensata per il lavoro che hai fatto qui, scriverò per te anche una lettera di referenze.’

S’inchinò.

‘Dove andrai?’

‘In qualche alloggio decoroso, ora abbiamo il denaro per poterlo fare. Emily dice che posso tenere questi abiti, in questo modo sembrerò più elegante e mi sarà più facile trovare lavoro. Cercherò qualcuno di cui mi possa fidare che badi alla piccola mentre io sono fuori.’

L’afferrai per la manica. ‘Prenditi cura di lei, Maggie, cerca di non perderla mai.’

Fece un passo indietro, i suoi occhi mostravano quanto fosse sorpresa. ‘Sì signora.’

‘Ti prego di scusarmi.’ Cercai di sorridere. ‘Sono stanca. Mi sto commuovendo.’

Ancora una volta venivano fuori i miei sentimenti su questa coppia di madre e figlia, e la mia preoccupazione che un giorno potessero separarsi. 

Proprio mentre accendevo le lampade vidi che era arrivata una lettera da John Osborne.

‘L’investigatore di Joseph ha rintracciato la signorina Clairmont non a Dresda o a Firenze, ma a Windsor, un luogo molto più facilmente raggiungibile! So che questo ti farà piacere. Lavora per la famiglia Bennet, è responsabile dell’istruzione delle loro due figlie, Charlotte e Gertrude. Si dice che la signorina Clairmont faccia ormai parte della famiglia e abbia trascorso molto tempo con loro in Italia e in Francia.

‘Un incarico così facile ha richiesto pochissime spese da parte del detective e io mi sono preso la libertà di sostenerle al posto tuo. Se non sei d’accordo su questo punto, ti dico che mi potrai ricompensare quando la tua situazione domestica si sarà risolta.

Il tuo affezionato JOHN OSBORNE.’

 

Windsor! Nessun bisogno di organizzare traversate in traghetto, lunghe gite in carrozza, alberghi all’estero. Provai però quasi una fitta di delusione. Avevo nutrito una piacevole fantasia che coinvolgeva sia me che John Osborne. Avevo sognato che avremmo viaggiato come marito e moglie sotto falso nome e ci saremmo goduti il viaggio insieme. Uno stupido sogno ad occhi aperti – lui non avrebbe avuto tempo di andare in Germania prima che la sua nuova nave salpasse.

A Windsor potevo andarci da sola. La ferrovia arrivava fino a Slough e Maidenhead, non lontano dalla città, ma da alcune indagini che avevo fatto a Paddington avevo saputo che, a causa di guasti al motore, questa settimana non era assicurato un servizio continuo. Meglio prendere la carrozza, che partiva ad intervalli regolari per la città reale, che si trovava a non più di 20 minuti di distanza da Londra. Sarei potuta tornare nella stessa giornata ma decisi di concedermi una notte fuori casa. ‘Domani sera andrò a fare visita a un’amica fuori città,’ dissi ad Emily, che si mostrò solo un po’ sorpresa. ‘Il signor Clarke migliora così tanto che sento di dover cogliere quest’occasione per fare una breve escursione. Starò via per una notte.’ Quando Martin si sarebbe alzato dal letto avrebbe fatto di nuovo tutto ciò che poteva per togliermi la libertà. Il cenno di assenso di Emily mi rivelava che anche lei pensava la stessa cosa.

Scrissi di nuovo a John chiedendogli se poteva aiutarmi ad ottenere informazioni sulle carrozze e sugli orari e fornirmi il nome di un albergo rispettabile. Rispose a stretto giro di posta con le informazioni di viaggio di cui avevo bisogno e il nome del Crown Inn a Windsor. ‘Non credi che dovresti avvisare la signorina Clairmont in anticipo della visita che hai intenzione di farle?’ chiedeva.

Penso di andarci domani e mi sembra inutile avvisarla così poco tempo prima ,’ fu la mia risposta. ‘Spero che la sorpresa non sia troppo grande per lei e non ne rimanga sconvolta.’ E in effetti, presa dalla necessità di preparare i pochi vestiti che dovevo portare con me e di assicurarmi che Martin avesse tutto ciò che gli occorreva per stare a suo agio, avevo a malapena il tempo di pensare cosa avrei detto a mia madre quando ci saremmo incontrate.

Dormii meglio di quanto immaginassi ed Emily mi svegliò presto. Mentre mi vestivo sentii bussare alla porta. Emily scese ad aprire.

‘Fareste meglio a scendere al piano di sotto, signora.’ Sorrideva.

John Osborne era nell’ingresso. Senza pensarci due volte mi lanciai su di lui. Passarono diversi minuti prima che entrambi fossimo in grado di parlare. Si liberò. ‘Ti porto notizie che non ti faranno piacere, temo.’

Lo guardai. La compagnia aveva forse anticipato la data della sua partenza?

‘Tua madre non è più a Windsor.’ Mi seguì in salotto. ‘Non dovrei essere qui, ma ti dirò brevemente quello che so. Sono andato in città ieri per assicurarmi che lei risiedesse lì. Non riuscivo a sopportare l’idea che tu potessi restare delusa.’ Si sedette con me. ‘Mi sono informato presso il domestico della famiglia. Non ti preoccupare – sono stato discreto. Mi hanno detto che la signorina Clairmont se ne è andata da poco – dopo l’ingresso in società della più piccola signorina Bennet.’

Mi lasciai cadere sul divano.

‘Mi dispiace tantissimo,’ disse. ‘La troveremo, ne sono sicuro.’